Coppi Night 25/03/2012 - Il regno del fuoco

Avevo avuto altre occasioni per vedere questo film, e le ho evitate tutte. Questo perché, semplicemente, ero convinto che si trattasse di una boiata. "Un film coi draghi che hanno spazzato via l'umanità?" mi dicevo. "Sicuramente è una roba alla Starship Troopers* con tanti mostriciattoli e un gruppo di impavidi uomini che gli fanno il culo." Ecco, alla fine ho dovuto riconoscere che mi sbagliavo. Almeno in parte.

Quella dei draghi è una minaccia a cui viene data una credibilità, fornendo (un po' rozzamente, in effetti) un'interpretazione della loro comparsa: creature che compaiono ciclicamente nella storia del pianeta e bruciano tutto quanto incontrano per nutrirsi, per poi tornare in letargo nelle profondità della Terra, per decine di millenni. [I draghi sarebbero infatti responsabili dell'estinzione dei dinosauri, peccato però che come sempre venga nominata solo l'estinzione alla fine del mesozoico, tanto famosa perché ha tolto di mezzo i fotogenici rettili pre-aviani; peccato che estinzioni anche di maggiore entità avvenute in epoche differenti vengano ignorate.] Questo crea un contesto valido in cui inserire i mostri che partono a razziare la civiltà contemporanea, di cui poi vediamo alcune comunità di scampati al massacro in lotta (contro i draghi e tra di loro) per la sopravvivenza. Il film è abbastanza convincente in questa fase, mostrando come la comunità del protagonista si sia organizzata e quali minacce debba affrontare. Le cose si muovono poi quando arrivano i soldati americani, che come è noto rovinano sempre tutto. La storia si fa quindi più movimentata, si assiste a qualche buona battaglia, e in seguito all'inevitabile disastro che i soldati si trascinano dietro, si parte per la missione finale alla sconfitta del big villain.

Quello che mi ha convinto meno del film è proprio quest'ultima fase. A partire proprio dalla teoria secondo cui [ehi, questo è uno spoiler!] tutti i draghi del pianeta siano femmine ingravidate da un unico maschio (che mi pare una tecnica riproduttiva davvero poco efficace per una specie vivente), e per come viene portato avanti lo scontro proprio contro questo boss finale, che si rivela abbastanza scontato, rispetto alla buona tendenza generale del film. Inoltre, anche le ultime scene del mondo ormai libero dai draghi sono piuttosto stucchevoli, e non è facile comprendere come l'uccisione di una sola bestia possa aver liberato il pianeta dalle altre ottantaquattromilioni e ottocentosessantaduemilanovecentoquarantasei draghesse che pure il loro valido apporto di distruzione lo fornivano. Ho anche qualche dubbio sul fatto che i draghi si possano nutrire di cenere, ma non sono sicuro che questo fosse da intendere alla lettera, quelle poche volte che viene detto, o fosse più una metafora. D'altra parte se i draghi mangiassero cenere (ammesso che fosse possibile trarne nutrimento), perché dovrebbero disturbarsi a cacciare invece di incenerire semplicemente tutto?

Comunque, in definitiva un film che si può guardare con piacere e che in linea di massima riesce a essere interessante. Lo scivolone finale fa abbassare la valutazione complessiva, ma si rimane comunque nel positivo.


*mi riferisco al film, non al libro cui questo millanta di essere tratto

365 Racconti sulla fine del mondo + Short Stories 12

Post autopromozionale doppio, per segnalare al volo due uscite recenti che vedono la presenza di altrettanti miei racconti.



Parliamo prima della raccolta 365 Racconti sulla fine del mondo: libro pubblicato da Delos Books che si inserisce nel filone dei precedenti "365 racconti", che negli anni precedenti erano stati prima erotici e poi horror. In entrambi era presente il mio contributo, e anche qui, con il racconto Polvere tornerete, ho raccontato una mia possibile versione dell'apocalisse. Forse non è facile raccontare in tanti modi diversi come finirà la vita, la civiltà o l'universo stesso, ma in qualche modo gli autori più o meno noti selezionati dalla redazione di Writers Magazine Italia ce l'hanno fatta, e potete quindi deliziarvi con queste variegate prospettive di annichilimento.





 


Secondo libro da poco disponibile è Short Stories 12 delle Edizioni Scudo. Come ormai fanno da anni gli "scudieri" selezionano periodicamente un certo numero di racconti, più o meno affini per tema, ma "di genere", dalla fantascienza al fantasy, dall'horror al mistery. Stavolta il titolo del volume è "Invasioni", argomento che gli autori coinvolti, anche qui nomi pressappoco noti nell'underground letterario, possono aver trattato in modo differente. Come sempre, ogni racconto è accompagnato da una illustrazione appositamente realizzata, e il libro si può acquistare in versione cartacea o digitale tramite Lulu.

Il tempo per leggere

Quando mi capita di parlare con qualcuno delle mie letture (evento di per sé piuttosto raro), il primo commento che ricevo in risposta non è mail sulla qualità o varietà dei libri, ma sulla loro quantità. In effetti, come si evince anche dai miei rapporti letture, mantengo una media di circa 5-6 libri al mese, per totalizzarne sul totale di un anno tra i 60 e i 70 libri (che sono 18-19000 pagine più o meno). La domanda che mi viene rivolta, tipicamente, è "Ma come fai a leggere così tanto?"

Le prime volte tendevo a minimizzare. Il fatto è che la gente non legge proprio, mi dicevo; se anche gli altri leggessero, arriverebbero a queste cifre. In seguito ho realizzato che non è così. Anche coloro che si impegnano nella lettura con una certa costanza, sembra che non riescano a superare la soglia psicologica di un libro al mese (ma di solito anche meno). E allora, che cosa ho di speciale io? Dove lo trovo il tempo per leggere?

Specifichiamo, prima che passi l'immagine di un mostriciattolo gobbo con gli occhiali spessi sei centimetri che legge in una stanza buia e polverosa alla luce di lampade a olio: non è che io abbia risorse eccezionali di tempo libero rispetto alla media nazionale. Lavoro le solite otto ore giornaliere, che anzi di solito sono più vicine alle dieci che alle otto; dormo almeno sei ore per notte; pratico un paio di sport con una certa regolarità; mantengo relazioni sociali abbastanza stabili con un gruppo di amici; non dispongo di una servitù che cucina, lava e pulisce per me; non ultimo, oltre a leggere scrivo pure! Inoltre, conclusi i tre anni di università ho anche perso il vantaggio delle due ore di treno giornaliere in cui la lettura si rivelava il miglior passatempo, eppure questo non ha diminuito (almeno non sensibilmente) le mie quotazioni. Quindi, perché io leggo sette-otto volte tanto quello che fanno gli altri?

Ebbene, riflettendo sulle mie abitudini, credo di aver individuato due fattori chiave, che ancora più dell'utilizzo di strumento come il Thumb-Thing possono spiegare la mia lettura compulsiva.

Fattore 1: nella mia vita c'è poco spazio per la TV. Aspettate, prima di pensare che sia un discorso da fricchettone new age anticapitalista. La mia non è una presa di posizione, è una constatazione. Come già rilevavo all'avvento del digitale terrestre, la televisione intesa come canali che trasmettono un palinsesto preciso non fa parte delle mie abitudini. Sono molto più propenso a utilizzarla come semplice schermo, sul quale proiettare qualcosa scelto da me. Poi capita anche di farsi la domanda "ehi, che danno alla tv?", ma è davvero un evento raro almeno quanto le chiacchierate a proposito di libri. Questo può sembrare banale o poco rilevante, ma mi sono accorto che non lo è. Quante volte, quando vi ritrovate senza niente da fare, accendete la tv, e vi scoprite un'ora e mezzo dopo ancora lì davanti? O peggio, vi addormentate e vi svegliate molto dopo, a programmi terminati? Pensate cosa avreste potuto fare in quel tempo, se non fosse rimasti lì fermi. Leggere, per esempio? Ecco quindi il primo fatore rilevante: la televisione non occupa il mio tempo.

Fattore 2: lo sfruttamento dei tempi morti. Con "tempi morti" intendo tutte quelle situazioni in cui inevitabilmente ci si trova a dover passare del tempo in una fase di "transizione", in attesa di qualcosa o qualcuno o compiendo azioni fisiologicamente necessarie ma non per questo improduttive. Tutte le volte in cui bisogna soltanto aspettare che le cose si muovano per poter passare a un'azione successiva: viaggi su mezzi pubblici, code alla posta o in banca, attesa dell'arrivo di un amico, intervallo tra il pranzo e il rientro al lavoro. E non solo: anche tutte le occasioni in cui, pur essendo impegnati in qualcosa, una mano e gli occhi sono liberi. Probabilmente tutti i lettori abituali sanno che il bagno è uno dei posti più indicati per tenere un libro: durante le deiezioni si legge così bene! Ma si può estendere quest'astrazione: per esempio, mentre fate colazione, perché non dovreste leggere con una mano? Tanto mica avete da guardare cosa c'è dentro il cappuccino, no? E lo stesso vale per qualsiasi altro pasto, dal panino con la porchetta al sashimi. Perché poi non leggere anche mentre cucinate? L'acqua non bolle più in fretta se rimanete a guardarla: nell'attesa, potete leggere. Si tratta di minuti, pochi minuti rubati qua e là nel corso della giornata. Ma giorno dopo giorno, diventano ore, e ora dopo ora, diventano libri interi.

Scontato? Utopistico? Forse. Ma la mia intenzione era mostrare come non ci sia niente di sovrumano nelle mie capacità di lettura. Ciò che realizzo io, può essere raggiunto senza troppe complicazioni da tutti, più o meno. Basta fare mente locale sulle proprie abitudini, e rendersi conto di quante occasioni state perdendo per tenere gli occhi su una pagina scritta.

Coppi Night 18/03/2012 - Stay

Come probabilmente chi legge qui sa già, da tempo mi dedico con una certa dedizione a mettere insieme racconti e tentare di pubblicarli perché qualcuno oltre a me li legga. Se anche si può dubitare della mia abilità in questo settore, non si può comunque dire che, da quando ho iniziato, non abbia ottenuto considerevoli miglioramenti. Tanto nella concezione di storie che nella loro rappresentazione tramite le parole, ho imparato diverse regole essenziali, in particolare per quanto riguarda la realizzazione di racconti di genere come fantascienza e horror.

Per esempio: in una storia del mistero in cui ul personaggio è circondato da fenomeni apparentemente inspiegabili, ma dei quali si intuisce un collegamento preciso, esistono un modo giusto e uno sbagliato per portare a compimento il racconto. Quello giusto è fornire una effettiva spiegazione degli eventi inspiegabili, possibilmente riconducendo tutti gli indizi precendentemente seminati in modo che il lettore (o più in generale, il "fruitore" dell'opera) possa magari raggiungere la soluzione o comunque intravederla prima che sia rivelata, massimizzando così il suo coinvolgimento; quello sbagliato è liquidare tutto con una conclusione che non tiene conto di quanto mostrato in precedenza, ma semplicemente mette un tappo sulle possibili speculazioni chiudendo tutto in poche battute. Questo è sbaglito soprattutto perché è irrispettoso nei confronti del fruitore: se ad egli si richiede lo sforzo di impegnarsi per seguire la storia e individuarne la soluzione, terminare non dando valore a questi sforzi è estremamente strafottente. Pensate a come vi sentireste se dopo aver tentuo minuziosamente il filo della narrazione, alla fine vi venisse detto: "Oh, già, sei stato bravo, non c'è che dire, comunque la risposta non c'entrava niente con quello che hai visto, quindi hai faticato per nulla e io lo sapevo che stavi sprecando tempo." Ecco, vi hanno appena preso per il culo.


Il cliché più diffuso di questo tipo di atteggiamento è il classico "era solo un sogno". Il protagonista si imbarca in un'avventura incredibile, surreale e misteriosa, e quando si arriva al punto in cui necessariamente deve arrivare una spiegazione per tutte quelle cose assurde... suona la sveglia, il protagonista si tira su dal letto e va al bar a prendere un caffè macchiato. Per qualche ragione, questo è il tipo di trama prediletto di molti principianti, che forse ritengono in questo modo di introdurre una sorpresa imprevedibile, non rendendosi conto di come invece si dimostrano solo irritanti.


Probabilmente a questo punto è chiaro il motivo per cui sto facendo questo lungo preambolo, che è lo stesso per cui ho generalizzato il discorso parlando del "fruitore" invece che del "lettore". Lo stesso discorso si può infatti applicare anche ai film. E nello specifico, questa diagnosi si addice perfettamente al film in oggetto. Che mi stava piacendo, merda, sembrava davvero intrigante, con tutti quegli elementi ricorsivi e indizi che si sommavano e sembravano andare a indicare che ci fosse un filo comune e quel filo forse l'ho quasi capito sto solo aspettando l'ultima parola che mi confermi che davvero è quello che penso e sicuramente sarò il primo a capirlo e ora stai a vedere che si vede che davvero è come credo io e infatti... e infatti il ragazzo sta morendo e intorno a lui ci sono i personaggi del film.

Ommerda, ve l'ho spoilerato? Meglio. Non ci perderete tempo. Per carità, è un bel film, ben realizzato, attori validi, buone interpretazioni e storia intrigante. Fino agli ultimi sette minuti. Poi la situazione si chiarisce: il ragazzo un po' matto che si è visto nel film ha fatto un incidente ed è in punto di morte, e in qualche modo ha "sognato" tutti quelli raccolti intorno a lui, ognuno col suo ruolo in una storia di cui lui occupa il centro ma che non si è mai verificata. E non venitemi a dire che un sogno è una forma di realtà, che anche questa è una storia e che una volta avete sognato vostra nonna che moriva e poi è morta davvero. Non è questo il punto. Si possono costruire anche ottimi film ambientandoli interamente all'interno di sogni o stati mentali affini (cfr: Inception, Eternal Sunshine of the Spotless Mind, Vanilla Sky...). Il punto è che non si costruisce una storia complessa per poi risolverla con "è solo un sogno". Fine del discorso.

Il futuro è tornato


Se ne ragionava un po' di tempo fa, nella  blogsfera (che non è un accessorio per massaggiare i piedi che vendono in tv in offerta a soli 129 € anziché 439), di provare a creare un movimento di militanti sf con l'obiettivo di riunire sotto un unico vessillo appassionati e addetti ai lavori, cercando di superare quelle barriere autoimposte di settarismo e paramassoneria per cui non è possibile aprire un canale di dialogo tra i sostenitori di Kirk e quelli di Picard. [Se qualche trekker mettesse in dubbio la mia buona fede, posso rivelare che non ho mai visto un solo episodio della serie, per cui sono del tutto neutrale in merito.] Sarebbe noioso ripercorrere tutti i passaggi della discussione, ma posso fornirvi qualche blog di riferimento sul quale l'argomento è stato trattato: quelli di Angelo Benuzzi (da cui l'iniziativa è partita), Nicola Parisi, Giorgio Raffaelli, Gianluca Santini.

Ora, definiti tramite sondaggi pubblici nome, logo e payoff, è finalmente on line il blog Il futuro è tornato. Da qui, si spera, potrà partire quel complicato processo di riunificazione del popolo fantascientifico italiano, che sicuramente non avverrà nel giro di una settimana, e nemmeno di sei mesi, ma da qualche parte deve pur iniziare.

Io, nel mio piccolo, cerco per quanto possibile di fare della fantascienza uno dei temi centrali del mio blog, e mi auguro pertanto che questa iniziativa, sotto la guida di persone motivate e competenti, possa avere successo. Ma c'è bisogno innanzitutto di far conoscere l'iniziativa, per cui andate là fuori e diffondete il verbo! Oltre al blog, Il futuro è tornato lo trovate anche su facebook, twitter, e google+. Preferitelo, appiacetelo, twittatelo, plusatelo!

Ultimi acquisti - Marzo 2012

Pensare che era da dicembre che non andavo a fare una sostanziosa spesa di cd! È vero che nel frattempo ho recuperato un paio di interessanti dischi isolati, come quello di Vincenzo Vasi, ma passare un paio d'ora da Mastelloni a scegliere, ascoltare e chiacchierare è tutt'altra cosa! Nel mio shopping pre-primaverile (in realtà a Firenze era un ghiaccio boia e tirava un vento malsano) ho riportato a casa sette cd, quindi credo che potremmo farli rientrare tutti in un unico post. Let's go!

Cominciamo con Paul Kalkbrenner. Un nome che, a differenza del solito, forse non vi suona del tutto sconosciuto. Perché Kalkbrenner è uno dei pochi dj che è riuscito a superare i confini della sua professione "underground", grazie alla partecipazione come interprete principale del film Berlin Calling del 2008. Ed è proprio Berlin Calling il titolo di quest'album, essendo la colonna sonora del film, composta dallo stesso Kalkbrenner (con la sola esclusione di una traccia di Sascha Funke). Le quattordici tracce contenute, alcune delle quali abbastanza brevi, sono tutte molto suggestive, quel genere di techno che crea un'atmosfera oltre al ritmo, abilità che da sempre Kalkbrenner ha dimostrato nelle sue produzioni. Mi mancano un paio di album per avere la sua discografia, ma finora penso di poter dire che questo è il più riuscito, con pezzi eccezionali come Aaron, Azure, e Sky and Sand, diventata in poco tempo un "classico". Inoltre, avendo visto il film, si riesce a collegare la musica a immagini e sequenze, traendone un impatto emotivo ancora maggiore.

Altro nome di grande risalto nell'ambito techno è Carl Cox, che da un paio di decenni è presente sulla scena internazionale. A fine 2011 è uscito il suo nuovo album All Roads Lead to the Dancefloor, eloquente già dal titolo nelle intenzioni. È infatti una raccolta di pezzi orientati dichiaratamente alla pista, che spaziano dalla techno più acid di Family Guy alla vocal house di Chemistry. Certamente nulla di sorprendente, si tratta di quello che ci si poteva aspettare da un tipo come Cox, ma canzoni di buona qualità e facile ascolto.



Margaret Dygas è invece una dj (già, esistono anche dj donna!) più di nicchia, che francamente nemmeno io tenevo troppo in considerazione. Almeno, non fino all'ascolto di questo omonimo album uscito nel 2011 su Perlon (di cui si può riconoscere la classica copetina minimalista). Si potrebbe discutere se bastano sei pezzi per fare un album, ma in realtà non è un problema che mi interessa. Perché ascoltando Margaret Dygas, si viene letteralmente rapiti dalle atmosfere soffuse e sognanti. Questa è techno, è lo stesso genere che vorreste i vostri figli non andassero mai a ballare, eppure sfido chiunque a rimanere insensibile di fronte a quel singolo tocco di piano del minuto 1:48 di Missing You Less. In questo caso sono rimasto sorpreso dall'abilità con cui la Dygas riesce a manipolare gli elementi tipici dell'elettronica (kick, percussioni, bassi) per ottenere un'amalgama così etereo.

Si cambia drasticamente genere parlando di Boys Noize. Non fatevi ingannare dalla S del nome, non è plurale: Boys Noize è uno solo. Ed è uno famoso per lo stile completamente sgangherato delle sue produzioni. Cito lui stesso, che nel descrivere il processo di realizzazione dei remix contenuti in questo doppio cd, usa più volte l'espressione "all fucked up". Ecco come in generale si possono descrivere i suoi pezzi: una techno-electro distorta, frenetica, piena di pause e ripartenze, voci vocoderizzate... ma non stupida. Altrimenti credete che gente come Depeche Mode, Royksopp, Chemical Brothers, e Daft Punk gli avrebbe chieso di realizzare dei remix? E non basta: The Remixes 2004-2011 contiene infatti anche rielaborazioni di canzoni del tutto estranee all'elettronica, come Snoop Dogg, Marilyin Manson, Feist, e persino un pezzo di David Lynch! Una raccolta che probabilmente non può piacere a tutti, ma in cui si ritrova un'energia davvero coinvolgente, e qua e là qualche sprazzo di tranquillità, come nel remix di Arcadia di Apparat.


Ho citato poco sopra i Daft Punk, ed eccoli ritornare. Penso che non ci sia bisogno di parlare del duo francese, la loro musica dovrebbe essere nota ai più. Semmai può sorprendere il fatto che io non abbia già la loro discografia completa, ma come vedete cerco di rimediare appena si presenta l'occasione. Trovandomi di fronte la raccolta Musique vol. 1, in pratica un "greatest hits" dei pezzi usciti tra il 1993 e il 2005, non ho potuto fare a meno che infilarla nel carrello. Non che mi mancassero Around the World, Da Funk o Harder Better Faster Stronger, ma di certo fa comodo averne una copia di backup.



Passando alla sezione compilation, la prima da segnalare è Rebel Rave 2, seconda label compilation della Crosstown Rebels, vivace etichetta gestita da Damian Lazarus. I rebels da un paio d'anni stanno praticamente dominando il campo della tech-house, con nomi come Art Department, Jamie Jones, Maceo Plex, Deniz Kurtel. In questa raccolta, due cd includono una selezione dei migliori pezzi e remix usciti ultimamente, mentre il terzo cd è un mix realizzato da Droog sempre sulle tracce Crosstown Rebels. Musica di grande qualità, con alternanza di sonorità classiche e innovative, che non è facile trovare all'interno di una sola etichetta.


E concludiamo con questo Cocoricò Memorabilia. A me in effetti basta la parola "memorabilia" per farmi drizzare le antenne. Nel caso specifico, i due cd qui presenti contengono una selezione di pezzi che hanno fatto la storia del famoso club di riccione. Oggi la scena musicale italiana è cambiata, e anche "La Piramide" non è più quella di una volta, ma ascoltando le tracce selezionate da Cirillo e Ralf si torna a immergersi in quella techno/tranche progressive che è stata per molto tempo la "musica da discoteca". Autori come Datura, Age of Love, Emmanuel Top, Wink, Pastaboys, Danny Tenaglia, Mr Fingers... serve altro?

Coppi Night 11/03/2012 - A Scanner Darkly

Non è facile scrivere questa recensione, perché A Scanner Darkly non è un film facile, cosa che lo accomuna dal libro di Philip K. Dick da cui è tratto. Intanto, per i fanatici e/o i criti delle trasposizioni: il film è piuttosto fedele al romanzo, sia negli eventi che nei temi e nei toni. Da questo punto di vista, si può dire che è un'operazione riuscita. Ma anche isolandolo dal libro, rimane un'opera comunque interessante e dai molteplici livelli di lettura .

Il protagonista è il personaggio interpretato da Keaneu Reeves, che ricopre la duplice identità di Bob Arctor/Fred: Arctor è un cazzone drogato che vive insieme ad altri amici cazzoni e drogati quanto lui, tutti dediti a una sostanza chiamata M, o più amichevolemente Morte; Fred è il nome che utilizza sotto copertura, quando lavora per la narcotici all'interno di una "tuta disindividuante", ovvero una particolare tuta che rende fisico, lineamenti e voce completamente indistinti, assicurando il più completo anonimato degli agenti. All'interno della squadra narcotici, nessuno conosce le identità degli altri, e questo si rivela un problema quando a Fred viene chiesto di sorvegliare Bob. Naturalmente Fred segue gli ordini, e si ritrova così a rivedere se stesso in differita, ed è forse questo, assieme all'effetto della droga, a causare la netta scissione della personalità di Bob/Fred, che all'interno della tuta si ritrova a pensare a Bob in terza persona, nutrendo dei sospetti sulle attività del sorvegliato, quando in realtà conosce (o almeno dovrebbe) tutto quello che fa l'altro (cioè se stesso). In questa storia si insericono anche delle sequenze grottesche di paranoia e dissociazione all'interno del gruppo di amici di Arctor, al limite del comico, se non si considera che le discussioni assurde sono provocate dall'abuso della sostanza M che ha un pesante effetto sulle doti intellettive di tutti. Basta citare come esempio l'impossibilità del gruppo di determinare il numero di marce di una bicicletta con sei rapporti e tre moltipliche, acquistata come una 18 marce, numero che rimane per tutti impossibile da determinare, tra addizioni e sottrazioni senza criterio. La dissociazione di Bob, confermata anche da alcuni test, peggiorerà sempre più, e le cose non si metteranno bene per lui, e nemmeno per Fred. Che comunque sono la stessa persona. Forse.

Ad aumentare l'effetto allucinatorio del film c'è la particolare tecnica di ripresa, in cui le immagini sono "cartoonizzate" (come sempre manco di termini tecnici, ma cercate un fotogramma del film e capite subito), particolarità che perdura per tutto il film, e riesce nel doppio intento di rendere più comiche le scene leggere (inclusi le varie bestiacce mostrate di tanto in tanto), e più inquietanti quelle drammatiche. Se come si è detto il protagonista è Reeves, personalmente ritengo comunque migliore l'interpretazione di Robert Downey jr, che ha la parte di uno degli amici di Bob, il più disturbato, logorroico, sedicente esperto di tecnica, paranoico, o in una parola, pazzo di tutti. I lunghi ininterrotti discorsi con cui illustra ad esempio il sistema di sorveglianza ad attivazione automatica con cui ha proteto la casa, così come le sue sofisticate soffiate alla polizia, mostrano un livello recitativo davvero elevato.

Nel complesso, A Scanner Darkly rimane come dicevo all'inizio un film abbastanza difficile, in alcuni tratti ponderoso nei due o tre soliloqui del protagonista, lento in altre fasi, ma comunque fedele alle sue intenzioni e di forte impatto.

Premio Giulio Verne 2012

Siamo entrati nella stagione dei merli. Quando uscite di casa non li vedete zampettare sui prati? Affacciandovi alla finestra non li sentite fischiettare sui tetti vicini? Fateci caso, vi scoprirete piacevolmente circondati.

Ed è la stagione dei merli anche in un altro senso. In quello più specifico che ci vede associati in un mio racconto, Sinfonia per theremin e merli, che dopo aver raggiunto la fase finale della selezione di Discronia, ed essere stato segnalato tra i finalisti dell'ultimo Premio Robot, si è qualificato anche come candidato per il Premio Giulio Verne. Questo significa che potrei anche aver vinto il premio, ma il posizionamento dei tre candidati non si saprà fino alla premiazione ufficiale, che si terrà il 15 aprile nell'ambito della Levantecon, la manifestazione di scienza e fantascienza che da qualche anno si svolge a Bari con notevole successo di pubblico.

Pur dovendo ancora organizzare la trasferta, credo proprio che ci sarò. In occasione della convention si terrà probabilmente anche una presentazione di Fantaweb 2.0, la raccolta pubblicata da poco da Edizioni Della Vigna, che cura la realizzazione del volume che raccoglierà proprio i finalisti e segnalati del Premio Giulio Verne.

Nell'attesa dei prossimi sviluppi, potete dedicarvi all'ascolto di qualche ottimo theremin solo.

Futurama 6x25 - Overclockwise / Processore accelerato

Questo è il terzo finale di Futurama. Ogni volta che la produzione si trova in bilico, incerta a proposito del rinnovo della serie, agli autori viene chiesto di scrivere un episodio che possa considerarsi "conclusivo"... ma che non lo sia del tutto. Di solito, una storia di questo tipo include un super villain da battere, un climax finale, e un focus sulla relazione Fry-Leela. Così era in The Devil's Hands are Idle Playthings, quando Fry ha scambiato le mani col Robodiavolo per poter suonare l'holophonor, e lo stesso vale per Into the Wild Green Yonder, l'ultimo dei quattro film, in cui un Fry telepatico deve trovare il modo di sconfiggere il terribile "Dark One" che si oppone alle forze universali che generano la vita e promuovono l'evoluzione. In Overclockwise, invece, il cattivo di turno è uno dei più tradizionali antagonisti della serie: Mamma. La vecchia e spietata industriale infatti sembra aver finalmente trovato il modo di annientare il Professore, mettendo fine a una rivalità (anche sentimentale) che dura da quasi un secolo. Tutto ha origine dal fatto che il piccolo Cubert potenzia il processore di Bender (operazione che in gergo si chiama appunto "overclock"), con l'obiettivo di renderlo più abile e reattivo nei giochi di ruolo online. Ma questo comporta un'infrazione della licenza, per cui il ragazzino e il suo tutore vengono arrestati e condotti in tribunale. Nel frattempo, Bender, diventato più intelligente, si accorge di poter diventare ancora più intelligente, e inizia ad autopotenziarsi, fino al punto di riuscire a prevedere in anticipo quello che accade nell'immediato e anche remoto futuro. È quindi costretto a fuggire e nascondersi, perché Mamma è sulle sue tracce, intenzionata a sequestrarlo e ripristinare le sue condizioni originali. E a peggiorare lo sfaldamento del nucleo della Planet Express, anche Leela, preoccupata per il suo futuro (professionale e sentimentale) decide di partire e cercare un'altra via, lontano dagli ex colleghi... e da Fry. Naturalmente, in quanto eroe della serie, sta proprio al ragazzo scongelato cercare di ricucire insieme i pezzi, tanto della sua relazione con la monocola quanto dell'imminente condanna del suo datore di lavoro e la sparizione del migliore amico. Fry cercherà Bender per chiedergli aiuto, visto che con le sue nuove ultracapacità è in grado di anticipare gli eventi successivi, ma il robot, ormai raggiunta la singolarità cognitivo-esistenziale, non sembra interessarsi alle vicende dei piccoli omuncoli. La battaglia finale si svolgerà in tribunale, quando Hubert e Cubert Farnsworth si troveranno a dover affrontare l'inevitabile condanna, e potranno essere salvati solo da un imprevedibile twist degno dei migliori legal movie.

In quanto episodio conclusivo, Overclockwise ha tutti gli elementi di cui parlavo all'inizio. E forse, alcuni di questi sono meglio calibrati che nei due precedenti finali. Là dove in The Devil's Hands il conflitto in corso si limitava alla dimensione personale di Fry, e in Into the Wild assumeva invece proporzioni universali (necessarie per dare una connotazione "epica" alla storia, caratteristica costante dei film), qui la focalizzazione comprende tutti i personaggi principali: la detenzione e l'arresto del Professore, la sparizione di Bender e la fuga di Leela, sono eventi che vanno ad alterare l'equilibrio della Planet Express, che si può considerare il "protagonista collettivo" dell'intera serie. Per cui, in questo caso dalle azioni dei protagonisti dipende "solo" la loro sopravvivenza, e non si può certo sperare in un intervento esterno che risolva le cose. Forse a fare le spese della complessità dei temi condensati in una durata così breve è proprio la relazione Fry-Leela: quest'ultima si dichiara insicura, ma la sua partenza per cercare fortuna altrove è forse leggermente stucchevole, una soluzione rapida per caricare tensione sul povero ragazzo abbandonato da tutti i suoi punti di riferimento. Altrettanto improvviso è il suo ritorno, a fine puntata (via, non è uno spoiler, che pensavate?), quando, nel perfetto spirito di tutti i finali di Futurama, viene mostrato il riavvicinamento (si spera definitivo) tra i due. Da riconoscere che gli autori hanno ammesso la leggerezza con cui hanno trattato il rapporto Fry-Leela, che nel corso della stagione 6 sembrava affermarsi e svanire nei diversi episodi, ed è proprio Leela ad affermare che la relazione è incerta, "on-again-off-again".

Più approfondita è l'evoluzione di Bender. In molte altre occasioni il robot aveva dimostrato le qualità intrinseche della sua costituzione meccanica, ma l'intelligenza non è mai stato il suo forto. Le sue capacità computazionali sono sempre apparse ridotte, e d'altra parte si limiterebbero a quelle necessarie per un qualsiasi robot piegatore. Qui, dopo il primo overclock, il processo è esponenziale, e sembra anche causare assuefazione a Bender, che cerca continuamente modo di potenziarsi. Il tema dell'aumento di intelligenza è piuttosto ricorrente nella fantascienza, e lo stesso Fry aveva subito qualcosa del genere quando è stato infestato dai parassiti. Qui però Bender raggiunge una vera e propria trascendenza, arrivando a definire l'intera esistenza "una partita di scacchi". Regredire da questa dimensione quasi divina a quella umana non è certo una cosa semplice né ragionevole, ma come spiegherà nel finale: "Certe decisioni non possono essere prese col ragionamento. Nemmeno se sei ubriaco."

Altro tema interessante è quello che porta i due Farnsworth in tribunale, che riguarda la proprietà e la libertà di utilizzo. Cubert è infatti incriminato per aver infranto la licenza d'uso di Bender, e per questo terribile crimine rischia la galera a vita. Padre e figlio (o meglio: clone) hanno anche un momento di sconforto durante la prima notte in prigione, in cui amettono le loro colpe: "Ho cliccato senza leggere! E ho leggermente modificato una cosa che è mia! Siamo dei mostri!"

Infine, l'episodio è arricchito anche da una serie di riferimenti ad altri precedenti, che non sto a elencare tutti (solo un esempio: la mutante Violet fa parte della giuria in tribunale, in conseguenza della libertà concessa ai mutanti in The Mutants Are Revolting), ma che un degno fan può riconoscere e apprezzare, che riaffermano la continuità della serie e aggiungono valore alla potenziale ultima puntata. Che fortunatamente ultima non è, visto che la settima stagione è già in produzione. Tutto considerato, Overclockwise è un episodio eccellente... tuttavia non perfetto. In particolare proprio la superficialità con cui è stato introdotto l'elemento destabilizzante nel rapporto Fry-Leela gli fa perdere un mezzo punto sulla scala, e lo rende pertanto inferiore ad altre perle della sesta stagione come The Late Philip J. Fry e The Mutants Are Revolting. Voto: 9.5/10

Coppi Night 04/03/2012 - ESP

Non sono mai stato un grande amante dei film horror. O meglio: apprezzo la trashosità di certe produzioni splatter, preferibilmente semiamatoriali, quando è chiaro che l'intento è tutt'altro che serio. Datemi L'armata delle tenebre e ve lo guardo per un giorno intero a ripetizione. Ma quando gli autori si mettono in testa che vogliono davvero spaventarmi, allora la storia cambia. Non perché sono particolarmente refrattario alla paura, ma semplicemente perché i meccanismi che dovrebbero portare all'"orrore" sono così prevedibili che volendo potrei balzare sulla sedia con qualche minuto d'anticipo. E se un film si basa interamente sulla sua pretesa di suscitare paura, mi appare di conseguenza del tutto inutile. Non funziona nemmeno il ribrezzo, dato che ho una soglia dello schifo molto alta, e non basta vedere un occhio penzolante dall'orbita per farmi vomitare. Anzi, è più probabile che la cosa mi susciti divertimento, ricordandomi qualche gioiosa gag degli Happy Tree Friends.

Questo film in particolare, nell'ambito dell'horror, tratta anche uno degli argomenti che mi ha sempre coinvolto meno, cioè quello di fantasmi o "spiriti", ai quali preferisco di gran lunga demoni e mostri più concreti. Forse è proprio la natura eterea di questi esseri a rendermi scettico, dato che gli consente di fare un po' tutto quello che gli pare, da attraversare i muri a possedere i corpi, da spostare oggetti a generare convenienti nebbie occultatrici. Insomma, è troppo facile poter fare quello che si vuole! E tuttavia, in ESP si raggiunge un livello ancora superiore di incredulità, visto che gli spiriti riescono addirittura a materializzare dei braccialetti personalizzati per gli ospiti del loro manicomio!

La trama non merita approfondimenti, è solo la solita riproposizione dell'archetipo "uomo che sfida forze superiori e viene sconfitto". Il tutto presentato come materiale reale di una registrazione, e realizzato con l'odioso sistema della videocamera "interna" alla scena. Di sicuro non si dice così, ma io non so i termini tecnic, per cui vediamo di capirsi se dico "alla Cloverfield". Se questo dovrebbe aiutare a immergersi nella storia, non funziona. Anzi, pare un trucco troppo comodo per nascondere sequenze rilevanti che avvengono off-screen.

Parliamo invece del titolo, vi va! Quello originale è Grave Encounters, che sarebbe il titolo dell'ipotetica trasmissione/documentario per il quale il materiale era stato girato. In Italia, è diventato ESP - Fenomeni paranormali. Ora, capisco che tradurre qualcosa come "incontri di tomba" aveva poco senso, anche perché si perde il gioco di parole con "close encounters", ma perché inventarsi un titolo e sottotitolo? E perché poi "ESP", che è l'acronimo di Extra-Sesnory Perception, ovvero percezioni extrasensoriali? L'ESP sono la telepatia e le capacità affini, che non hanno niente a che vedere con fantasmi e sbudellamenti! E poi, perché cazzo pronunciarlo all'interno del film "èsp", invece di "e esse pì"? Non siamo ai livelli de "la ragazza del ricevimento", ma l'irritazione è comunque notevole. Rinnovo la mia offerta come traduttore di titoli: lo faccio anche a gratis, contattatemi signori distributori cinematografici italiani!

Rapporto letture - Febbraio 2012

Questo sarà un rapporto letture più breve del solito, perché a febbraio scopro di aver letto solo quattro libri. La mia media si aggira di solito intorno ai sei, per cui quando rimango su queste cifre basse mi chiedo sempre perché ho letto così "poco". In questo caso, febbraio, oltre che mese più corto dell'anno, è stato anche il mese in cui ho completato il trasloco (dal quale potevano derivare le eventuali interruzioni nel blog), che com'è chiaro mi ha assorbito una certa quantità di tempo e risorse fisiche e mentali, molte delle quali spese proprio per trasportare e riordinare tutti i miei libri, che ora occupano principalmente le due ante superiori del mio nuovo armadio (ma non solo). Inoltre, sempre tra questi quattro libri, due sono consistentemente più lunghi della media di 250 pagine, per cui hanno richiesto più tempo del solito. Adesso che abbiamo risolto il Mistero della Lettura Ridotta, ripercorriamo i libri in questione.

More about Il quinto principioIl primo della lista è quello che, come ho detto, ho già analizzato in un post dedicato. Il quinto principio di Vittorio Catani ha ricevuto un'attenzione abbastanza approfondita già verso metà del mese scorso, per cui mi pare ridondante ripetermi qui. Dico solo che pur partendo prevenuto sono riuscito a farmi convincere almeno in parte dalla storia, anche se alla fine non sono rimasto del tutto soddisfatto. La sufficienza però è raggiunta, e per le ragioni che espongo nel post che ho linkato, assegno un voto: 6.5/10





More about Galassia nemicaAllen Steele ultimamente me lo ritrovo per le mani spesso (già a gennaio e dicembre), e la cosa non mi dispiace tanto. Steele è uno di quegli autori non troppo impegnativi, che si dedicano soprattutto a costruire delle solide avventure che pur senza tirare in mezzo grandi temi esistenziali riescono a risultare interessanti. Galaxy Blues appartiene proprio a questa tipologia, e più precisamente si colloca nell'universo narrativo di Coyote, utilizzato come ambientazione per molti lavori dell'autore. Qui, un eroe improvvisato che si trova a far parte di una missione di "contatto" con una comunità di specie extraterrestri, che si rivelerà essere più pericolosa del previsto, e dalla quale dipende l'eventuale ammissione dell'umanità all'interno della comunità galattica. Niente di estremamente originale o sorprendente, ma una storia costruita con un buon passo, carica di ironia, e del tutto piacevole da tirare giù. Voto: 7/10


More about Gli umanoidiDa un autore contemporaneo passiamo a uno dei Maestri: Jack Williamson. Ho letto diversi suoi racconti e romanzi, come qualunque sedicente appassionato di fantascienza dovrebbe fare, e in generale posso dire che lo ritengo un autore valido (molto spesso gli scrittori del passato sono sopravvalutati...), anche se non è mai riuscito a sconvolgermi. Ne Gli umanoidi, Williamson racconta di un'invasione operata da benevoli robot perfetti intenzionati a liberare l'umanità da qualsiasi dolore, fatica, responsabilità... ma anche iniziativa. Il loro intervento è simile a quello della Società Edonica dei Fabbricanti di felicità di Gunn (e un'influenza non è da escludere, visto che i due autori hanno anche collaborato), ma viene osteggiato dal protagonista, che, dopo aver fatto la conoscenza di alcuni stani personaggi, inizia a dubitare della bontà degli umanoidi. Per opporsi ai robot, inizia a praticare discipline "psicofisiche", che essi non sono in grado di controllare: telecinesi, telepatia, teleforesi, telurgia, e insomma tutte le tele- che vi vengono in mente. Scontri e sorprese si susseguono, fino a un finale quantomai ambiguo, che sembra in effetti non concludere affatto la vicenda. Mi risulta infatti che esista un secondo romanzo degli umanoidi, anche se non so in quale modo sia collegato a questo. Qui la storia è interessante e procede bene, anche se i due temi principali (umanoidi - psicofisica) sembrano contendersi il primato di "argomento del libro", e a volte ci si ritrova un po' confusi dalla direzione che prende la trama. Voto: 7/10

More about The Last TheoremE per questo mese interamente dedicato alla fantascienza, chiudiamo con altri due Maestri che, non me ne voglia Williamson, sono probabilmente di un livello superiore: Frederik Pohl e Arthur Clarke, che uniscono le forze per The Last Theorem. Pubblicato nel 2008, questo è anche l'ultimo romanzo di Clarke, morto pochi mesi dopo l'uscita del libro. Forse è anche questo che porta a leggere la storia con tanta brama: sapere che sono le ultime parole che Clarke ci ha lasciato. L'"ultimo teorema" del titolo è quello di Fermat, uno dei tanti problemi irrisolti della matetamica. Cioè, in realtà la congettura di Fermat è stata dimostrata, ma solo in anni recenti e con un procedimento tanto comlpesso che è impossibile che fosse quello carpito da Fermat, per quanto fosse uno che ci vedeva lungo. La tanto cercata dimostrazione viene nel libro trovata dal protagonista, un giovane srilankese (Paese che è stato per tanto la patria di Clarke) appassionato di matematica che si trova coinvolto in eventi di portata mondiale, in particolare quando una flotta di alieni giunti per sterminare la vita sulla Terra raggiunge il nostro pianeta. Ma questo aviene nelle ultime sessanta pagine... prima, è proprio la vita di Ranjit ad essere al centro dell'attenzione, intervallata da qualche breve accenno a quello che avviene nel resto della galassia, all'insaputa dei terrestri. Per cui si può dire che questo libro è proprio la storia di Ranjit Subramanian, incluse università, primo rapporto sessuale, matrimonio e lavoro. Quello che forse manca alla storia è un solido collegamento tra il protagonista e la parte fantascientifica della storia: infatti, il fatto di aver dimostrato l'ultimo teorema di Fermat non serve a coinvolgere Ranjit all'invasione, e si potrebbe pensare che se gli autori avessero raccontato la storia di chiunque altro gli ultimi capitoli sarebbero stati uguali. Ma il libro è comunque piacevole, e non si può evitare di empatizzare col protagonista. E poi è l'ultimo libro di Clarke... sembra doveroso il voto: 8/10

Coppi Night 26/02/2012 - Transformers 3

Io adoro i robot! Partendo da questo assunto, i film della saga Transformers avrebbero dovuto gasarmi alla grande. Ma c'è un problema. Automobili, camion, e "motori" in genere non mi suscitano il minimo interesse. Infatti, anche da bambino, i transformers non rientravano nel mio arsenale di giocattoli perché, pur amando la forma robot, non sapevo che farmene di quella veicolo. Quindi, in realtà i tre film di questi mecamostri non mi attiravano per nulla, infatti questo è stato il primo che ho visto. E col senno di poi, non credo di aver peccato di presunzione, a snobbarli.

Già un film la cui prima inquadratura è il culo (notevole, non c'è niente da dire) della succedanea di Megan Fox non fa presumere niente di buono. E proseguendo, si arriva quasi a rimpiangere quella prima scena, desiderando che la storia si limitasse proprio alla signorina, di cui comunque vengono concessi generosi scorci di epidermide. La trama propria del film è un ennesimo scontro tra le due fazioni di robot che hanno scelto la Terra come campo di battaglia, nonostante, a quanto mi dicono, i due gruppi si fossero già scontrati due volte nei due film precedenti e i "cattivi" (che si riconoscono perché si trasformano in furgonacci scassati invece che in Maserati) erano già stati sconfitti. Due volte. Ma vabbè. Ora i cattivi sembrano sulle tracce di qualche particolare strumento perduto nella loro remota guerra, e che era finito sulla Luna. I buoni resuscitano un loro vecchio condottiero che svela il segreto del teletrasporto, e poi si scopre che pure lui è un grosso stronzo. In tutto questo il ragazzino che già due volte ha salvato il mondo si ritrova di nuovo coinvolto negli scontri (lui, e la vice Megan Fox che è attualmente la sua compagna), ma soprattutto si ritrova alle prese con il duro mondo del lavoro, con dei genitori rompicoglioni e con il viscido capo della sua donna. Che in quanto viscido, si rivela infatti essere un collaborazionista dei robottoni cattivi. La storia, fin dall'inizio, balzella contiuamente dalla battaglia per la salvezza del pianeta alla miserevole vita del moccioso, arrivando a scene alla American Pie coi genitori del pupo che gli consigliano di trombare di più la bionda. Solo quando si arriva alla battaglia finale il tono si mantiene serio per venti minuti di fila, se si può considerare "serio" vedere venti soldati che si lanciano come petauri da un elicottero o la già citata sottomarca della Fox che fa lo scivolo su un grattacielo inclinato in frantumi e arriva a terra senza nemmeno un labbro screpolato.

Vogliamo fare riferimento anche ai vomitevoli rigurgiti di patriottamericanismo, alla nozione sottintesa che il presidente degli USA è il presidente del mondo (questo si evince poiché il parlamento statunitense ha la facoltà di decidere gli accordi tra l'umanità e i robot), al discutibile concetto di pace secondo il quale gli autobot, per impedire agli umani di farsi guerra, intervengon direttamente ad attaccare una delle fazioni in lotta (che di solito è quella sperduta in mezzo al deserto che non parla inglese)? Credo che tutto questo basti a dare un'idea dell'immane schifezza che rappresenta questo film. L'unica idea sfiziosa è quella del lungo prologo, in cui viene svelato che il progetto Apollo per portare l'uomo sulla Luna avevo il segreto obiettivo di recuperare l'astronave transformer naufragata. Peccato che questo poi non coincida col fatto che nessuno sapeva dell'esistenza degli autobot fino a quando non si sono abbattutti sulla Terra...

Per quanto mi riguarda, tenetevi le vostre macchinine convertibili. Ho robot migliori ai quali dedicarmi, come illustra lo schema qui accanto.

Vincenzo Vasi - Braccio elettrico

Precisiamo subito: io non ho un theremin. Ma nella wishlist degli oggetti che più bramo di possedere, rientra sicuramente nella top 3. Non aver mai avuto modo di suonare un theremin non mi impedisce però di esserne profondamente affascinato, tanto come apparecchio in sé che come strumento musicale. Il solo fatto che sia in grado di produrre suoni senza essere toccato basta per me a qualificarlo come una specie di macchina a controllo mentale, ma se poi si va a capire come funziona davvero, allora appare ancora più incredibile. Se poi si pensa che non si tratta dell'ultimo ritrovato della cibertronica, ma di un aggeggio inventato all'inizio del '900, la cosa si fa ancora più incredibile. È proprio la mia ossessione per il theremin che mi ha portato a farne il protagonista di un mio (a quanto pare, discreto) racconto, e a cercare informazioni su chi questo strumento lo suona davvero. Questo spiega perché mi emoziono così tanto a vedere l'interpretazione live di Silver Surfer Ghost Rider Go!!! di Trentemoller (occhio da 3:10 in poi!), e anche perché, la prima volta che mi è capitato sotto gli occhi il nome di Vincenzo Vasi, ho deciso che avrei seguito questo personaggio.

Vincenzo Vasi, è, con ogni probabilità, il più importante thereminista italiano. Certo, si può pensare che non sia difficile eccellere in un campo così ristretto, ma anche nelle nicchie più anguste si deve dimostrare il proprio valore se non si vuole fare la figura degli idioti. E il talento di Vasi, in effetti, è riconosciuto a livello internazionale, almeno da quei pochi che sono in grado di riconoscere il valore di un thereminista. E in Braccio elettrico, l'autore dimostra tutta la sua abilità e versatilità.

L'album, pubblicato nel 2010 dall'etichetta indipendente (definizione quanto mai appropriata) Tremeoloa Records, contiene nove tracce "theremin solo", che allo strumento principale affiancano solo essenziali supporti come campionatore, omnichord e la voce dello stesso Vasi. Ora, mi trovo già in difficoltà a descrivere la musica in condizioni normali, ma quando si arriva a questo livello di "sperimentalismo" riuscire a spiegare cosa si ascolta diventa impossibile. D'altra parte, il theremin di per sé è uno strumento difficile da capire, e nonostante il suo uso sia più frequente di quello che si pensi anche nella musica mainstream (I'm pickin' up good vibrations...), apprezzarlo anche quando è il suono principale invece che solo un accompagnamento non è cosa da tutti. Per cui, se ascoltando la traccia Canone relativo dell'album vi sembra di sentire solo lamenti di balene spiaggiate, non sentitevi troppo ottusi. Il theremin non fa per voi. Ma se invece quei fischi e quelle vibrazioni graffianti vi smuovono le buella, allora siete in grado di godere di tutto Braccio elettrico.

Per sua natura, il theremin è un oggetto dal sapore steampunk, che ben si associa ad atmosfere industriali o proto-spaziali. [Trivia-theremin: il 94% delle colonne sonore dei film sci-fi degli anni 50-60 includono il theremin.] Vincenzo Vasi, nel suo lavoro, coglie in pieno questa opportunità, tanto nelle sonorità proposte quanto nella confezione dell'oggetto-album. Immagini rigorosamente in bianco e nero, caratteri vintage, titoli come Cosa pensa una scimmia nello spazio o Esplorazione elettrica dei meccanismi del cervello. Ma in effetti, cos'altro vi potevate aspettare da un tipo come questo? E soprattutto, da due basette come queste?

 


Per cui, se mai voleste avvicinarvi al theremin e a tutto ciò che rappresenta, partire dal lavoro del nostro compatriota è sicuramente una buona idea. Braccio elettrico si può acquistare per una modica cifra anche su Amazon, quindi non vale la scusa che non lo trovate al Ricordi Megastore. Se poi tenete le antenne sintonizzate (come un theremin, appunto) su festival ed eventi musicali che vi capitano intorno, può darsi che abbiate l'occasione di gustarvi una performance live del buon Vincenzo, come quella nel video qui sotto.




E se frugando in soffitta trovate uno strano oggetto che sembra un pelapatate elettrico gigante, prima di buttarlo nel cassonetto fatemi uno squillo, potrei essere interessato a scambiarlo con uno spremiaglio che tanto mi avanza.