Coppi Night 25/05/2014 - John Q

Un padre con un figlio gravemente malato, in pericolo di vita. Una famiglia sull'orlo del baratro, costretta a lasciare tutto per poter sostenere le spese delle cure. Un trapianto urgente come unica soluzione, il tempo stringe, potrebbe essere questione di giorni prima che la piccola fiamma si spenga. La disperazione che porta il pover'uomo a tentare una soluzione estrema: sequestrare un intero reparto dell'ospedale e avanzare le sue richieste con la polizia, barattando la vita degli ostaggi con quella di suo figlio. Con un plot così drammatico, ne può uscire solo un film intenso, cupo, ruvido, un antesignano di Breaking Bad. E invece...


E invece a rovinare tutto troviamo una serie di stereotipi dei più fastidiosi: l'americanità che trasuda da ogni scena, dalla famiglia che canta in chiesa alla partita di baseball dei bambini (e il tragicomico slow-motion del malore in campo); la dottoressa stronza che pensa solo ai soldi e quello buono (e anche figo, un discount George Clooney in ER) che porta i giocattoli al bambino; il poliziotto negoziatore ragionevole contro il capo della polizia che è sotto elezioni e vuole solo fare bella figura con la stampa; il giornalista giustiziere che finge di interessarsi al caso umano ma poi è solo interessato allo scoop.

Su tutto spicca poi una colonna sonora totalmente fuori luogo. Va bene che erano gli anni 90, ma certe musiche sembrano messe davvero senza pensare alle scene che accompagnano, come se il regista avesse pensato a 10 pezzi che gli piacevano tanto e volesse infilarceli per forza. Anche qui l'effetto è involontariamente comico, così come estremamente narm è l'operazione a cuore aperto a cui si assiste durante il climax finale, con effetti speciali da film slasher.

Che poi, come può il cuore di una donna adulta essere adatto per sostituire quello di un bambino di 6-7 anni? È vero che in quanto miopatico aveva un cuore sovradimensionato, quindi aveva già "lo spazio" adatto, ma se proprio questo era il suo problema, che senso ha impiantargli un altro cuore troppo grande? Ma soprattutto, perché dare un cuore nuovo a un bambino che ha come idoli i body-builder, sapendo che nel giro di quindici anni lo avrà di nuovo spanato a furia di steroidi?

Ma ciò che è davvero irritante in questo film, è come dio venga evocato per operare il miracolo che salverà il piccolo innocente. E anche se non si considera che se il signor John Q non avesse mosso il culo minacciando di ammazzare tot persone suo figlio sarebbe morto comunque, preghiere o non preghiere, quello che vediamo realizzarsi come miracolo è il buon dio ha pensato bene di far morire una donna (con il braccaletto dei donatori di organi) in un incidente stradale. Ma non c'è da preoccuparsi, sicuramente era una buddhista, anche perché in genere i cristiani mica donano gli organi, no?

Stephen Baxter - La serie degli Xeelee

Nei rapporti letture dei mesi scorsi ho parlato più volte di una serie di storie di Stephen Baxter tutte afferenti allo stesso ciclo, quello degli Xeelee. Qualche settimana ho finito di leggere Ring, l'ultimo capitolo della saga, e posso quindi fornire un quadro complessivo di tutto il ciclo, che presenta numerosi punti di interesse.

La serie è composta da quattro romanzi (Raft, Timelike Infinity, Flux, Ring) e una trentina di racconti accorpati e incorniciati nella raccolta Vacuum Diagrams, tutti pubblicati tra il 1991 e il 1997. Nonostante Baxter sia uno degli autori di spicco della nuova fantascienza hard, e di quella new space opera inglese che ha avuto una grande diffusione negli ultimi anni, la serie è pressoché sconosciuta in Italia (per la verità la stessa vasta produzione dell'autore è stata trasposta in minima misura, se si escludono occasionali racconti comparsi in varie raccolte), e solo Infinito e Ring sono usciti nel 1998 in un'edizione della collana Cosmo della Nord. In ogni caso la reperibilità attuale di questi volumi è pressoché nulla, per cui se volete leggerlo dovete adattarvi all'inglese. Segue qualche moderato spoiler, nel senso che riferisco il contesto generale della serie e l'arco narrativo complessivo, ma niente che non trovereste in una quarta di copertina.

Per spiegare di cosa tratta la serie degli Xeelee, sarebbe logico spiegare innanzitutto cosa sono questi Xeelee. "Xeelee" è il nome di una razza aliena, e più precisamente la più antica, sviluppata e potente esistente nell'universo. In realtà nessuno nel corso della serie incontra mai uno Xeelee, e le informazioni su di loro sono per lo più frammentarie e al limite del mitologico, ma gli Xeelee esistono e si muovono da sempre nell'universo perseguendo i loro imponderabili scopi. In possesso di tecnologie che permettono loro di manipolare a piacere energia, materia e spazio-tempo (convertitori di luce in materia, cannoni gravitazionali, motori iperspaziali e così via), gli Xeelee sono talmente superiori e disinteressati a ciò che li circonda che intere guerre possono essere scatenate dalle altre specie intelligenti per entrare in possesso dei loro rifiuti. Questo perché un singolo artefatto dimenticato dagli Xeelee alla deriva in qualche sistema stellare può contenere applicazioni tecnologiche tali da cambiare radicalmente la storia di una civiltà. Di fatto la tecnologia per il volo interestellare si è diffusa proprio in questo modo. Gli Xeelee sono quindi l'eminenza grigia dell'intero universo, ma non sono certo gli unici esseri intelligenti: nel corso della serie infatti, oltre agli umani conosciamo Squeem, Qax, Fantasmi (Ghosts), Spline e decine di altre forme di vita più o meno consapevoli di sé stesse. Anzi, in effetti nell'universo di Baxter la vita è quasi la regola, piuttosto che l'eccezione; per essere ancora più precisi, l'intelligenza (la "mente") si sviluppa ovunque e in qualunque circostanza, e creature capaci di pensare si annidano anche nel nostro stesso Sistema Solare. Molte verranno scoperte solo quando hanno ormai smesso di esistere, e l'universo si rivela essere disseminato dei resti di civiltà estinte.

In questo ampio contesto, la serie segue principalmente le vicende degli umani. La storia dell'universo è distinta in una sequenza di ere, da quella primordiale in cui è avvenuto il Big Bang fino alla Singolarità finale, e nel mezzo si succedono tutte le fasi dello sviluppo dell'umanità. L'Uomo infatti è una specie tenace, forse per certi versi ingenua ma capace di grandi imprese. Dopo la prima espansione nel Sistema Solare grazie all'invenzione ad opera di Michael Poole (uno dei pochi personaggi ricorrenti) dei motori GUT (Great Unified Theory) e in seguito delle Interfacce wormhole, e dopo aver sopportato due occupazioni (Squeem e Qax) l'umanità ha continuato a estendersi nelle galassie, durante una lunga fase detta Assimilazione in cui ogni altra specie aliena è stata conquistata o distrutta. Infatti, l'Uomo diventa in poco più di centomila anni la più forte razza sub-Xeelee, e da lì il passo è breve a iniziare a combattere anche contro questi imperscrutabili Signori del Creato. Quello che l'umanità non sa è che gli Xeelee a loro volta stanno combattendo una guerra vecchia quanto l'universo stesso. Il vero nemico infatti sono i photino birds, creature composte di materia oscura e pertanto impenetrabili alla normale materia barionica di cui sono composte tutte le altre razze senzienti. I photino birds sono come una peste: "infestano" le stelle alterando le loro reazioni interne in modo da renderle stabili nane brune nel cui blando e freddo pozzo gravitazionale possano adagiarsi (anche il nostro Sole è infestato da diversi miliardi di anni). Gli Xeelee hanno capito molto presto (a poche centinaia di milioni di anni dal Big Bang) che i photino birds erano una minaccia, e hanno iniziato da subito a costruire l'Anello (Ring), una colossale struttura tanto immensa da attirare a sé tutte le altre Galassie (in pratica il Grande Attrattore), che serve come arma finale contro i nemici photinici.

Tutte le storie (racconti o romanzi che siano) che compongono la serie sono autoconclusive, e Baxter stesso afferma che non c'è un ordine preciso per leggerle. Volendo però individuare una sequenza più logica, è sicuramente utile leggere per prima la raccolta Vacuum Diagrams, che fornisce un contesto complessivo della storia, a partire appunto dall'Espansione nel Sistema Solare, passando per le varie invasioni aliene, fino alla guerra con gli Xeelee e il suo inevitabile esito, per concludere con la morte dell'universo. A seguire si possono leggere Timelike Infinity e Ring, le due storie più collegate tra loro, ambientata la prima durante l'occupazione Qax e la seconda qualche millennio dopo (e cinque milioni di anni dopo). Entrambi questi romanzi giocano molto sulla possibilità di viaggiare nel tempo, e anzi viene qui presentato un modo nuovo di renderlo possibile, che sfrutta le differenze nello scorrere del tempo quando ci si avvicina alle velocità relativistiche (ne parlavo recensendo Timelike Infinity). Ring si può di fatto considerare come il libro conclusivo della serie, poiché in questo vengono forniti riferimenti a tutti gli altri romanzi, e si conclude effettivamente con un epilogo che chiude la storia della specie umana.

Raft e Flux sono in realtà delle storie tangenziali a quella principali. Il primo in particolare non ha praticamente nessun legame con il contesto principale, visto che la storia è ambientata in un altro universo, in cui gli uomini sono finiti come effetto collaterale della guerra con gli Xeelee. In Flux invece abbiamo degli "esseri umani" adattati alla vita sulla superficie di una stella, anch'essi inconsapevoli pedine della guerra Uomo-Xeelee. Allo stesso modo, molti dei racconti di Vacuum Diagrams hanno collegamenti solo marginali con la trama principale, al limite che molti di questi sono in pratica soltanto ambientati nello stesso universo narrativo. Lo stesso racconto da cui tutta la serie (e lo stesso nome "Xeelee" ha avuto origine, The Xeelee Flower, narra semplicemente le vicende di un uomo costretto ad andare a caccia su un mondo devastato alla ricerca di rifiuti Xeelee, ma di chi o cosa siano questi non si sa niente. In retrospettiva, questo racconto è inquadrato all'epoca dell'occupazione Squeem, così come molti altri racconti apparentemente svincolati dal resto trovano invece una loro precisa posizione nella timeline della serie (che l'autore si è preoccupato di fornire per aiutare i lettori). Questa indipendenza dei racconti può a prima vista sembrare un difetto, nel senso che fa perdere unità e complessità alla serie, ma proseguendo nella lettura ci si accorge che non è affatto così. Tutt'altro: ogni singola storia, proprio perché slegata dalle altre, assume un valore di per se stessa, e permette di trattare un tema autonomo, con personaggi e storie che si sviluppano solo per il tempo necessario. In tutta la serie i personaggi ricorrenti sono davvero pochi, se si escludono gli Xeelee in quanti "entità": Michael Poole, l'uomo che ha aperto lo spazio all'umanità, Jim Bolder (per la verità più citato che presente), colui che ha scoperto Ring e ha rovesciato gli occupanti Qax, e pochi altri. Per questo tutte le storie risultano estremamente plot-driven, senza però risultare piatte dal punto di vista emotivo per i personaggi presenti (penso ad esempio ai racconti More Than Time or Distance, Vacuum Diagaram, Eve e Lieserl).

Baxter si è sempre distinto per la forte componente scientifico/speculativa delle sue storie, e quello che troviamo in questo ciclo non è da meno. Ogni singolo racconto di Vacuum Diagrams infatti procede intorno un'idea forte e precisa, che richiede anche una notevole attenzione da parte del lettore per seguire le speculazioni di carattere matematico, fisico, e anche filosofico. Esempi degli argomenti tirati in ballo sono le Costanti di Planck, il Teorema di Incompletezza di Godel, il Principio di Pauli, l'universo multidimensionale, le stringhe cosmiche, l'entanglement quantistico, la supergravità e così via. È estremamente soddisfacente, per i lettori appassionati di fisica, assorbire queste nozioni e vederle manipolate per creare delle storie coinvolgenti. Da questo punto di vista, la scrittura di Baxter è sicuramente una delle più accurate e valide, degno erede di autori come Arthur Clarke (con il quale infatti ha anche collaborato nella saga Odissea nel Tempo). In definitiva, questa serie rappresenta a mio avviso una delle massime espressioni di cosa la fantascienza più hard è in grado di fornire, sia dal punto di vista delle saghe di ampio respiro cosmico che per l'eccellente sfruttamento delle prospettive scientifico/tecnologiche.




Per completezza, bisogna anche citare la serie Detiny's Children, a sua volta composta di tre romanzi (Coalescent, Exultant, Transcendent) e una raccolta (Resplendent): anch'essi sono ambientati nello stesso universo e presentano dei collegamenti, ma l'autore li ritiene comunque una serie a parte. Prevedo in effetti di passare a suo tempo anche a questi, perché quella degli Xeelee è una serie di cui non si vorrebbe mai smettere di leggere.

Lost in Lost #21 - Ep. 4x10-4x11

Ci avviciniamo al finale di stagione. Abbiamo da poco appreso quali sono le forze in gioco, conosciamo tutti gli Oceanic Six ma ancora non è chiaro come effettivamente si salveranno. In Something Nice Back Home a Jack esplode l'appendicite e qui torna utile Rose per far notare che solitamente in quel posto la gente viene curata. L'operazione può procedere solo quando Kate si leva di torno, ed è un grande sollievo, mentre non fa altrettanto piacere vedere la vita da coppietta dei due nel flashforward. Questo potrà aver fatto la gioia dei "jaters" (credo si chiamassero così all'epoca), i sostenitori della coppia Jack-Kate nel triangolo quadrilatero Jack-Kate-Sawyer-Juliet. Sawyer invece, che si sta occupando da solo di portare in salvo Claire e suo figlio, con Miles al seguito, dimostra di nuovo di aver maturato una coscienza diversa da quella ostentata all'inizio, e sembra anzi un leader più affidabile di quelli che finora si sono spartiti il comando. Peccato che Claire alla fine sparisca, abbandonando Aaron...

In Cabin Fever abbiamo uno di quei gustosi episodi "dalla culla alla tomba", o meglio, alla sedia a rotelle, visto che si parla di Locke. Mentre infatti Locke cerca il modo di trovare la capanna di Jacob (e viene in questo aiutato dai sogni in cui gli compare il buon vecchio Horace, che pure lui non ha mai conosciuto), vediamo alcune scene selezionate della sua vita, dalla nascita prematura, al Buddha-test sottopostogli da Alpert, fino all'incontro con Abaddon, l'inquietante nero con la testa a punta che abbiamo scoperto essere uno degli uomini di Widmore. E mentre Hugo e Ben si dividono una barretta, la risposta di Jacob, che parla per bocca del padre di Jack (e tiene in casa con sé Claire), è che per salvare l'isola bisogna spostarla.

Ecco, anche qui di ciccia ce n'è. Passi appunto la romance tra Jack e Kate, di cui potevamo fare tutti a meno, ma quello che apprendiamo, e che ci sta portando verso il triplo episodio finale, è piuttosto intenso. Infatti, se da una parte Locke presumibilmente cercherà di spostare l'isola (come? in senso letterale o metaforico?), gli altri dovranno preoccuparsi dell'imminente attacco dei mercenari di Widmore, parecchio incazzati dopo l'attacco del Mostro. Altri punti interessanti sono appunto il fatto che Jack si sia sentito male, il che lo rende l'unico abitante dell'isola a cui è stata rifiutata la grazia, insieme a Benjamin Linus (sì ok, e tutte le donne incinte...). Questo potrebbe essere il segnale che l'isola sta "disapprovando" quello che loro hanno fatto o pensano di fare? E quindi il proposito di abbandonare l'isola è forse sbagliato fin dal principio? Abbiamo anche visto il dottore della nave scannato e buttato in mare, episodio che si ricollega con quanto visto nell'episodio 9, e che conferma quindi la discrepanza temporale dentro e fuori dall'isola. Infine, abbiamo avuto la conferma che effettivamente Alpert non è mai invecchiato (lo sospettavamo, ma adesso lo abbiamo visto): potrebbe forse essere lui Jacob, che si muove in mezzo alla sua gente in borghese? E la vita di Locke, a quanto pare da sempre tenuta d'occhio (tanto da Alpert che da Widmore), significa forse che lui è davvero un "predestinato"? Che davvero la sua missione è sempre stata quella di raggiungere l'isola e guidarla? Eppure Alpert non sembrava molto convinto della sua scelta del pugnale durante il test degli oggetti...

Manca solo il finale, e ci sono diversi aspetti ancora da scoprire: innanzitutto, come e perché i Sei laseranno l'isola, e perché solo loro. Avremo sicuramente un altro scontro tra i mercenari e il gruppo, e qualcuno deve rimetterci la pelle, è chiaro. E qualcosa dovrà succedere anche sulla nave, dove Sayid, Desmond e Michael sono ancora operativi (nonostante stiano rischiando grosso). Infine, bisogna capire in che modo l'isola verrà spostata, e probabilmente, come nel finale della stagione precedente, ci troveremo di nuovo a un confrontro tra Jack e Locke, entrambi intenzionati a mantenere la propria linea. Se non che è sempre più difficile capire chi abbia ragione e chi sia completamente pazzo...

Dj set: Retcon

In questo momento, a meno che non abbia forato in autostrada, io sono a Bellaria, e mi sto immergendo per la prima volta nell'Italcon, conoscendo un po' di gente che spero possa avere voglia di venirmi a sentire domani, quando parlerò di Spore. Ma mentre io sono là, voi siete più o meno costretti tutti alle vostre solite giornate, e domani dovete pure andare a votare, per cui ho pensato di farvi cosa gradita regalandovi un nuovo dj set mixato da me da ascoltare. Ecco quindi Retcon, 19 tracce tra techno, minimal, electro, trance, idm:





Ora, leggendo il titolo del set potrebbe venirvi in mente qualcosa. "Retcon..." dov'è che l'avete già sentito? Se siete pubblico affezionato di questo blog, il mistero è svelato abbastanza in fretta. Retcon è il titolo del romanzo che ho iniziato a scrivere verso la fine dell'anno scorso e completato a gennaio di quest'anno. Il mio "primo romanzo", in un certo senso. Retcon è stata una bella esperienza, e sembra che il risultato non sia così male, visto che al premio della Mezzotints pur non arrivando tra i tre finalisti ha ricevuto la menzione di merito. E non è escluso che in seguito non ne sentiate di nuovo parlare, ma è davvero troppo presto per lasciare anticipazioni...

In ogni caso, la trasposizione dal romanzo al dj set mi è venuta piuttosto spontanea: il fatto di avergli dato questo titolo non è un'assegnazione casuale, ma una seria dichairazione di intenti. I temi, i titoli e anche i testi dei pezzi contenuti in questa selezione sono infatti in qualche modo collegati a ciò che si trova in Retcon. Purtroppo è impossibile cogliere i riferimenti senza sapere di cosa si tratta, ma basta la partenza con Dream Machine, e poi Flying Practice e You Don't Know Me, e sembra assurdo ma anche 1-2-3-4 vuol dire qualcosa. E pensando alle parole, "There is something out there" di Contact così come "Deep inside the Milky Way" in Deep Inside si sono rivelati quasi a mia stessa sorpresa del tutto azzeccati. Insomma, c'è molto più di quello che sembra apparentemente in questa tracklist, ma il set deve essere buono di per sé, e quindi non vi resta che ascoltarlo.

Con la speranza che, un giorno, anche voi possiate capirlo come l'ho pensato io.

Coppi Night 18/05/2014 - Shaun of the Dead

Qualche tempo fa dopo aver visto La fine del mondo ho accennato alla "Trilogia del Cornetto", un tris di film scritti da Edgar Wright e Simon Pegg idealmente legati tra loro, anche se indipendenti. Shaun of the Dead è il primo della serie, uscito nel 2004, ed è una versione parodistica del tipico film di epidemia zombie planetaria. Attenzione, con "parodia" non si intende però roba alla Scary Movie, e se l'adattamento italiano del titolo (L'alba dei morti dementi) può ingannare, in realtà non ci si trova davanti a un prodotto demenziale. L'umorismo è sicuramente l'ingrediente principale, ma è di tipo più soft, grottesco ma non invadente, sicuramente insolito in una storia di apocalisse zombie.

Come in tutti i film della serie il protagonista è Simon Pegg (qui lo Shaun del titolo, necessario per il pun su Dawn of the Dead), che interpreta un giovane indolente e accidioso che si trascina nella vita crogiolandosi nella routine: la fidanzata insoddisfatta, l'amico nullafacente (Nick Frost), la madre semirincoglionita (che poi è l'attrice che faceva il primo ministro inglese nelle prime stagioni di Doctor Who, si vede che ha un talento per fare la rimbambita) e il patrigno stronzo. Naturalmente tutto cambia quando si troveranno a doversi confrontare con l'attacco degli zombie (anche se sta male chiamarli così!) e dovranno quindi trovare rifugio in attesa di essere salvati. Chiaramente le cose non vanno come previsto, il gruppo si troverà spesso in pericolo, e qualcuno rimarrà vittima dei morti viventi. Tutto questo però è portato su schermo con un tono leggero ma non per questo falsato.

Direi addirittura che proprio la credibilità dei personaggi è uno degli elementi che più mi hanno sorpreso in questo film. Si capisce fin da subito che abbiamo davanti personaggi stereotipati (il fallito, il fannullone, l'attricetta ecc), ma le loro reazioni in questo contesto chiaramente fuori dall'ordinario sono del tutto plausibili. Non ci sono infatti eroi determinati o sterminatori infallibili di zombie: anzi, quando il gruppo trova un fucile non sanno quasi come usarlo, e dei pochi proiettili a disposizione sono pochi quelli che vanno a segno. Anche alcuni dei cliché sui film zombie sono smontati, ad esempio qui non c'è nessuna difficoltà a fuggire da un gruppo di zombie inseguitori (che notoriamente procedono a passo di lumaca), e per una volta l'esercito con le mitragliatrici non ha problemi a ripulire le strade dai non-morti. Insomma, questo non è The Walking Dead, ma una zom-rom-com (zombie romantic comedy, come l'ha definita il suo autore) che non si prende sul serio ma fa le cose per bene. Rivedendolo per la secona volta infatti ho notato diversi dettagli piazzati ad arte e che assumono maggiore significato nell'economia complessiva del film.

Shaun of the Dead non raggiunge gli stessi livelli di The World's End, perché sia la parte drammatica che l'azione in quest'ultimo sono decisamente più intense, ma si tratta comunque di un prodotto ben strutturato, divertente ma intelligente, un'altra prova che per far ridere il pubblico non serve essere idioti, così come per farlo inquietare non bisogna essere truci.

Spore + Il mondo sopra live @ Italcon (Bellaria), 25 maggio

Giusto il tempo di ritirare il fiato dopo la prima presentaione a Pisa che devo tornare ad annunciare un nuovo evento. D'altra parte vi avevo preannunciato che avrei dovuto presto riaprire la parentesi autocelebrativa, no? Stavolta però c'è una novità, infatti non sarò solo io a presentare il mio Spore, ma sarò affiancato dal collega Michel Franzoso, che presenterà il suo libro Il mondo sopra, anch'esso edito da I Sognatori Factory Editoriale. De Il mondo sopra ho parlato pochi post fa nell'ultimo rapporto letture, perché appunto l'ho letto da poco. Avrò quindi il piacere di affiancare Michel sul palco dell'Italcon 40.

Sì perché c'è una ragione se saremo affiancati, ed è che la presentazione si svolgerà nell'ambito dell'Italcon, la convention annuale italiana di fantascienza, che quest'anno si terrà dal 22 al 25 maggio a Bellaria (provincia di Rimini). E quale occasione migliore di presentare in un colpo solo i due titoli della collana "Stazioni orbitali" dedicata alla fantascienza? Il titolo della presentazione prende proprio il nome da questa, ed ecco la locandina che abbiamo preparato per l'occasione.


Saremo in scena domenica 25 maggio, l'ultimo giorno della convention, dalle ore 15 alle 16, all'interno della sala Babel del Palazzo Congressi dove si svolge tutta la manifestazione. Presenti ovviamente io e Michel, e forse qualche illustre (e più rinomato nel settore) ospite che gentilmente vorrà farci da presentatore per conquistare la diffidente platea dello Star Trek Italian Club che sponsorizza tutto l'evento. Credetemi, conosco il fandom, so che saranno diffidenti se non apertamente ostili, soprattutto quando scopriranno che non ho mai visto un-episodio-uno di Star Trek...

Non sarà facile riuscire ad avere un pubblico attento, soprattutto considerando che gli eventi sul calendario sono molti e proprio domenica è uno dei giorni più fitti di appuntamenti, molti dei quali si svolgono in contemporanea. Ma ci proveremo lo stesso, e insieme la coppia Viscusi/Franzoso sta cercando di proporre qualcosa di un po' diverso dalla classica presentazione-di-libro-con-autore-e-lettura-brani. Se qualcuno volesse intervenire, ricordo che per accedere all'Italcon è necessario registrarsi e pagare l'ingresso giornaliero. Peraltr io sarò presente già da sabato, quindi se passate di lì fatemi sapere, e una piadina insieme ce la possiamo anche fare.


Infine, ho deciso che per i due giorni in cui sarò a Bellaria, metterò in promozione su Amazon i miei ultimi due e-book, Pixel e Weird Love: entrambi saranno scaricabili completamente gratis! Ma sbrigatevi ad accaparrarli finché non ci sono, perché appena torno rimetto i prezzi normali, eh.

Tutori della Scienza: Vicino conta a bocce

Come avevo anticipato, propongo un nuovo post che si inserisce nell'iniziativa Tutori della Scienza, lanciata dal blog di Gianluca Santini. Dopo aver spiegato per sommi capi perché l'uomo non discende dalla scimmia, torno su un argomento abbastanza familiare per chiunque ma su cui spesso si fa confusione. Ho pensato infatti che sia questo il taglio più appropriato da dare a questo filone di post: ci sono infatti tanti temi comuni che diamo per scontati, ma che hanno una "base scientifica" ben diversa da quella generalmente accettata.

Il tema di questo post, che forse dal titolo non è così evidente, è la cosiddetta legge dei grandi numeri. Ho ripreso il titolo dalla tipica risposta sardonica che si dà dalle mie parti, quando qualcuno afferma di essere andato vicino a raggiungere qualcosa. Del tipo:
"L'altra sera sono andato vicino a fare un canestro da tre!"
"Vicino conta a bocce..."
La risposta esprime in modo sintetico e dissacrante il concetto per cui non si può "approssimare" un obiettivo con quelli a lui vicini, a meno che, appunto, non si stia giocando a bocce (se non sapete come funziona il gioco delle bocce, aspettate di arrivare in pensione e capirete). Apparentemente questo è un concetto scontato e superficiale, ma in realtà approndendo il tema si scopre che c'è qualcosa di più.

L'esempio più semplice per spiegare tale dinamica è quello della lotteria. Consideriamo per semplicità anche il semplice gioco del lotto, in cui vengono estratti 6 numeri su 90. È evidente anche per chi non ha studiato la materia che la probabilità dell'uscita di un qualsiasi numero è appunto di 1/90 (non stiamo a complicarci la vita calcolando le probabilità delle varie combinazioni, perché non ci interessa, ma in effetti il discorso si applica anche in questi casi). Ciò che è meno intuitivo è che la probabilità di 1/90 si mantiene per tutte le estrazioni successive. Ogni volta che viene estratto un numero, a distanza di due giorni, una settimana, sei anni, la sua probabilità è sempre 1/90. Da ciò deriva il fatto che tutte le teorie e i sistemi basati sui numeri "ritardatari" sono essenzialmente delle cazzate, ed è proprio questo il punto dove forse l'intuito dei più vacilla. Siamo infatti portati a credere che, per la legge dei grandi numeri, nel lungo periodo qualunque numero debba uscire. Per cui se il 37 non esce da 114 estrazioni, alla 115esima è probabile che esca. Non è così.

La legge dei grandi numeri è un caso particolare (o volendo una formulazione più "volgare") del teorema del limite centrale, o teorema centrale del limite. Ai tempi in cui studiavo statistica avrei potuto snocciolarvi a memoria la dimostrazione di questo teorema su cui si basa in pratica tutta l'applicazione degli strumenti statistici ai casi pratici e sperimentali, ma attualmente ho difficoltà anche a calcolare un semplice integrale definito... in ogni caso, lo sviluppo matematico non ci interessa in questa sede. Riducendo il concetto dall'eleganza matematica al rozzo linguaggio parlato, si può dire che la media campionaria di una serie di esperimenti tende all'infinito alla media effettiva della popolazione. Semplificando al massimo, si ha che in una serie di prove infinite, la media ricavata dal campione e quella vera coincidono. Applicando questo teorema a una variabile casuale binomiale (che è il modello secondo cui si distribuisce appunto l'estrazione del lotto), si ottiene che per un numero di infinito di estrazioni ogni elemento verrà estratto un numero di volte proporzionale alla sua probabilità di estrazione, ovvero in questo caso una volta su novanta.

Formulando in questo modo (pur molto approssimativo rispetto ai termini matematici esatti) il teorema, apparentemente si ottiene la conferma che proprio perché il 37 non esce da 114 estrazioni, la 115esima sarà quella buona. Il problema sta nel fatto che si sottovaluta mostruosamente che cosa si intende con "grandi numeri": grande vuol dire infinito. E 115 non è una buona approssimazione dell'infinito, come non lo è 2613 e nemmeno 45631578541354. La probabilità che un numero esca non è influenzata dal fatto che non sia uscito precedentemente, per cui non ha senso parlare di numeri "ritardatari", come se ci si aspettasse che debbano farsi vivi e invece non sono arrivati. Quel 37 potrebbe anche ritardare di centosettanta milioni di anni, e la cosa sarebbe perfettamente in regola con le leggi matematiche in gioco. Allo stesso tempo, si ha che qualunque numero ha sempre la stessa probabilità di uscire, per cui potremmo giocare il 15 da qui all'eternità e vincere tutte le volte.

"Eh ma allora", dite voi, "se è così perché non ci sono numeri che non escono mai?" Perché i ritardatari effettivamente poi escono?". L'anticlimatica risposta è che, tutto sommato, 1/90 non è una probabilità così bassa. Invece di contare per quante estrazioni non esce il 37 sulla ruota di Bari, segnatevi la prossima combinazione vincente del Superenalotto e contate quante estrazioni ci vogliono perché quella stessa combinazione si ripresenti. Se non che, in realtà, potrebbe anche presentarsi la settimana successiva, e non ci sarebbe niente di strano...

Tutto l'esempio del lotto si basa chiaramente sul fatto che le estrazioni siano davvero casuali e non "pilotate". Non mi meraviglierebbe che ci fosse un sistema studiato apposta per programmare i "ritardi", ma questo va oltre quanto si può spiegare con la sola matematica. In definitiva, ecco perché è vero che "vicino conta a bocce": non c'è modo di avvicinare un fenomeno casuale, e anche se possiamo contare sulla legge dei grandi numeri, questo in realtà non ci garantisce niente, nei limiti della nostra ristretta esperienza terrena. Perché a dirla tutta, nemmeno se potessimo giocare da qui alla fine dell'universo saremmo sicuri di vincere almeno una volta.

Concludo solo specificando che questo post non è pubblicità progresso e non vuole insegnarvi a "giocare responsabilmente". Fate quello che vi pare, purché siate coscienti dei meccanismi con cui vi confrontate. Se poi avete anche la prozia morta che vi passa i numeri in sogno, tanto meglio.

Coppi Night 11/05/2014 - Amici miei

Questa non è una recensione, perché in realtà non dirò nulla del film che domenica scorsa è stato scelto dal Coppi Club (soprattutto perché si è scoperto che qualcuno al suo interno non l'aveva visto, intollerabile!). Non dirò nulla perché non c'è niente che possa dire per aggiungere spunti utili su questo film che è più di un cult e più di un classico, è un archetipo vero e proprio. Avevo già parlato tempo fa di Amici miei atto III, qui però il discorso è a maggior ragione più radicato, perché questo è il primo della serie.

Quello che mi stupisce è come, a distanza di quarant'anni (!!!) da quando è stato realizzato, e forse di venti da quando l'ho visto per la prima volta, questo film riesca ancora a divertirmi. E non intendo quel divertimento patinato di rivedere qualcosa che in passato ci ha divertito e per cui si sente qualcosa del tipo "Ah, sì, questa era una bella scena" e si sorride al ricordo. Gli sketch e le battute qui presenti funzionano sempre, e in questo sorpassano in qualità la quasi totalità delle commedie italiane seguenti.

Forse poi dalla mia ho il fatto di essere toscano, e di ritrovare nello spirito e nello slang dei personaggi quello che io stesso conosco, e con cui mi trovo a vivere ogni giorno. E non si avverte nessuna differenza per il fatto che la storia sia ambientata negli anni '70, perché davvero io tuttora ribatto "La fava!" per screditare le affermazioni altrui. Viene quasi da chiedersi se espressioni come questa sono entrate nel film perché parte ordinaria della cultura popolare, o se attualmente siano parte della cultura popolare perché presenti nel film. È così che nascono i miti, no?
 
Sarebbe interessante capire se all'esterno dei confini regionali ha avuto la stessa presa, perché credo che questo sia il miglior esempio di "toscanità" portato a schermo. Per dire, magari i film di Totò sono l'equivalente partenopeo di questo, e proprio perché non ne faccio parte sono io a non coglierlo.

Report Spore @ Pisa, 10 maggio 2014

Ho esitato un po' prima di scrivere questo post, perché non sapevo quanto fosse opportuno. Il mio dubbio era: "Ma al pubblico di questo blog quanto mai gli potrà importare di cosa si è fatto e come è andata la prima presentazione di Spore?". Poi però mi sono detto, già che vi ho invitati perché non dovrei farvi sapere com'è andata? E poi what the hell, è la mia prima presentazione da solista! Se non me ne crogiolo ora, quando potrò farlo?

A qualche giorno di distanza, analizzando la serata a mente fredda, posso dire di ritenermi soddisfatto. Il pubblico non era smisurato, ma il locale era pieno quindi una trentina di persone ad ascoltarmi c'erano. Di queste, forse la metà erano mie conoscenze dirette, le altre "sconosciuti" richiamati all'evento da qualcuno degli altri presenti. In ogni caso il pubblico si è dimostrato attento, e la serie di domande poste da Alberto Fanfani credo che siano state in grado di toccare argomenti vari e interessanti anche per chi non è del settore: il ruolo della fantascienza, il rapporto tra letteratura e cinema, i meccanismi della scrittura, gli obiettivi dell'autore. Credo che sia merito soprattutto di queste domande ben congegnate se siamo riusciti a tenere alta l'attenzione per tutto il tempo (e non so quanto è durato, perché l'orologio era l'ultimo dei miei pensieri... un'ora e qualcosa, suppongo). Anche le vendite, considerando che una buona parte dei presenti aveva già il libro, sono andate bene. E vedersi formare la fila per autografare i libri è sicuramente un'esperienza inebriante. Voglio dire, non sono un novellino, e nella mia "carriera" ho già avuto modo di firmare qualche volume... ma mai mi era capitato di vedere una decina di persone in coda solo per me. File under: cose che fanno bene all'ego.

Il Caffè Letterario Volta Pagina si è dimostrato a sua volta disponibile e preparato, e oltre ad averci dato disponibilità si è anche impegnato per contribuire al successo della serata, quindi un plauso va anche a loro. Posti come questo meritano davvero di crescere e prosperare, perché rappresentano isole felici nel generale mare di squallore. I ringraziamenti vanno anche a Matteo Panerai e Alessandra Favilli, che hanno letto i brani tratti dai racconti, Donatella Piccini che si è occupata del gravoso compito di riscuotere e fare i resti, Filippo Bernardeschi ed Elena Barni che hanno avuto l'ardire di porre delle domande a fine presentazione. So che è noioso elencare i credits in un post ma non potevo fare finta di nulla.


Cosa mi è rimasto da questa serata che per quanto breve ha richiesto settimane di preparazione? Esaurita la scarica di adrenalina del momento, le mie impressioni predominanti sono due:

Primo: la Factory funziona. Io ho sempre evitato di parlare qui sul blog dei progetti e dell'attività che si svolge all'interno del gruppo nato l'estate scorsa su idea di Aldo Moscatelli, ma gli ultimi sviluppi mi convincono sempre di più che questo meccanismo dà i suoi frutti. E dico la verità, nemmeno io avevo la certezza che fosse la strada giusta, che l'idea di una casa editrice a numero chiuso e dalle competenze spalmate tra tutti i suoi membri potesse essere un modello vincente, ma diamine, sabato l'hanno visto tutti. Perché sfido qualunque "esordiente" a mettere su una presentazione così ben strutturata in collaborazione con il suo editore. E credetemi, ho partecipato ad altri eventi organizzati da case editrici, e so di cosa parlo.

Secondo: mi è venuta ancora più voglia di scrivere! Perché sì, è bello mettere insieme una storia, è ancora più bello pubblicarla e sapere che qualcuno la legge e la apprezza, ma è estasi quando hai davanti x persone genuinamente interessate a quello che stai raccontando, vedere direttamente le loro reazioni alle tue parole, e poterci poi scambiare battute e osservazioni, inventare una dedica per ognuno di loro, stringere mani e ricevere complimenti e sentirsi dire faccia a faccia "Questo tuo racconto mi ha davvero colpito". Forse è un accenno di qualche patologia ossessiva, ma ne voglio ancora! E questo credo che mi porterà a impegnarmi ancora di più nella scrittura. Se poi ne verranno dei risultati, è un altro discorso...


Sulla pagina Facebook de I Sognatori ci sono già alcune foto, così come su Twitter, e in seguito dovrebbero essere disponibili anche alcuni video. Concludo qui questa parentesi di autocelebrazione, anche perché presto dovrò aprirne altre, perché ci sono diversi progetti in cantiere...

Rapporto letture - Aprile 2014

Aprile è stato un mese dedicato agli "esordienti", estendendo il significato tradizionale di questo termine non solo agli autori ma anche agli editori. I tre libri letti infatti appartengono tutti a case editrici nuove, piccole, e sicuramente coraggiose. Il che di solito non basta a determinare il successo, ma, chissà, le basi ci sono...

Più riguardo a Desolation RoadIl primo libro non è certo di un autore sconosciuto, anzi, si tratta di uno scrittore affermato da anni a livello internazionale, se pur nel limitato ambito della fantascienza. Ian MacDonald è stato il primo autore scelto da Zona 42, una nuova casa editrice nata pochi mesi fa con l'intento di diffondere appunto le migliori opere sf, con particolare riguardo per quelle inspiegabilmente mai giunte in Italia. Desolation Road è infatti un romanzo vecchiotto, ma che per qualche ragione non era mai stato tradotto (mentre molti altri libri di MacDonald successivi ci sono arrivati). È difficile inquadrare la storia che si sviluppa in questo complesso romanzo: volendo descriverla proprio in termini generici si tratta di un'epopea marziana, che segue la nascita della cittadina di Desolation Road, la sua successiva popolazione, e le gesta tra loro interconnesse di tutti i personaggi in un modo o nell'altro collegati a questo posto. All'inizio le atmosfere sono quelle di un western, con il villaggio sperduto in mezzo al deserto (il nome del borgo non è certo casuale) a cui approdano in sequenza fuggiaschi, profughi e disperati di varia origine. Le famiglie poi si stabilizzano, crescono e si incrociano, le generazioni si succedono e i figli dei figli lasciano il loro villaggio per scoprire le grandi metropoli del pianeta, ognuno segue un percorso diverso ma tutto alla fine converge nello stesso punto da dove è iniziato, finché Desolation Road stessa viene abbandonata e dimenticata. La storia è corale e imprevedibile, e se a un certo livello si parla di fantascienza (perché siamo su Marte, perché ci sono giganteschi robot terraformatori e tecnologie avanzate), in un altro senso si trovano anche mitologia e mistero (penso ad esempio alle gerarchie angeliche e alla divinità delle macchine). Le influenze in effetti sono diverse, molte delle quali io non sono in grado di cogliere. Quello che rimane è una storia articolata, imprevedibile, che non sorprende tanto per la presenza di rivelazioni o colpi di scena, ma perché dopo qualche capitolo si impara che è impossibile districarsi e capire dove si andrà a parare, per questo ogni capitolo è a suo modo una storia nuova e coinvolgente. Un romanzo quindi di ampio respiro, forse non di facilissima lettura, non tanto per la presenza di concetti complicati, ma per la presenza che richiede al lettore. Voto: 8/10


Più riguardo a L'ultimo KhamaA seguire viene il primo "libro vero" di Stefano Andrea Noventa, un autore che conosco da alcuni anni e di cui ho avuto modo di apprezzare altrove (in raccolte e online) le capacità. Pubblicato da Plesio Editore, L'ultimo Khama è apparentemente un romanzo fantasy. E già qui mi dovrei mordere la lingua, perché da quand'è che leggo fantasy? In realtà quella fantasy è solo una crosta, perché l'autore qui descrive un universo estremamente complesso, con precise meccaniche che se pure si manifestano in fenomeni "magici" hanno alla base una spiegazione del tutto coerente. La storia segue due sorelle, entrambe destinate a diventare Interpreti, ovvero (per intendersi) delle "sacerdotesse" in grado di fare da tramite tra il mondo degli uomini e quello dei daimoni, le divinità-macchine che rappresentano le forze dell'universo. Con il rito periodico del Khama il patto tra uomini e dèi viene rinnovato, fino a quando le perturbazioni nelle forze cosmiche richiedono di nuovo che gli Interpreti si facciano avanti per ristabilire l'equilibrio. Ma il ciclo si sta spezzando, perché l'ultimo interprete degli dèi del buio ha intenzione di sovvertire l'ordine cosmico, perciò le sorti del mondo risiedono nelle mani di chi ha il potere per contrastarlo. La narrazione procede su due piani paralleli, e guida il lettore nella serie di nozioni che servono per comprendere l'universo (un universo "progettato" da entità precedenti) in cui si muovono i personaggi. E se c'è un punto debole in questo romanzo sta proprio qui: i concetti infatti sono forse fin troppo densi, e non c'è quasi un capitolo che non contenga spiegazioni determinanti per il procedere della trama. Sembra che le pagine del libro siano troppo strette per contenere tutto quanto c'è da sapere su questo universo, e laddove pare che manchino alcuni particolari ci si rende conto che in realtà non c'è il tempo di approfondire i temi come meriterebbero, perché l'azione narrata è troppo pressante per potersi perdere in dettagli marginali che tuttavia avrebbero arricchito e "umanizzato" il tutto. Inoltre bisogna anche dire che, fin da quando l'antagonista viene presentato, e viene spiegato quale sia il suo obiettivo, si intuisce da subito che è lui ad avere ragione, per cui tutta la lotta successiva perde in una certa misura di intensità. Il romanzo quindi non è perfetto, e probabilmente con uno spazio maggiore per svilupparsi (basterebbe una lunghezza di una volta e mezzo quella attuale) renderebbe molto meglio, riuscendo a far davvero immergere il lettore nell'universo dei daimoni e degli Interpreti. Si tratta comunque di una prova più che buona, anzi, ce ne fossero di esordi di questo livello! Voto 7.5/10


Più riguardo a Il mondo sopraUltimo esordiente del gruppo è Michel Franzoso, mio collega autore della Factory Editoriale nella collana di fantascienza (siamo a 2 titoli di sf su 3 uscite, una bella proporzione!) che con Il mondo sopra ci porta in un'ambientazione fantascientifica tipica: la megalopoli futura, con grattacieli altissimi di cemento e acciaio. In realtà il mondo di questo romanzo è diviso in due, e (non è difficile da capire) esiste anche un "mondo sopra" a quello conosciuto dalla giovane protagonista Meela. Sarà infatti lei, insieme al suo tutore robot, ad avventurarsi in questo mondo sconosciuto e proibito, per scoprire che c'è molto che lei e tutti i suoi concittadini ignorano. La storia si può definire un romanzo di formazione, perché abbiamo una ragazzina per protagonista, che lentamente oltrepassa i confini delle proprie conoscenze e matura in funzione di queste nuove scoperte. A funzionare è soprattutto la coppia Meela-Cyman, così come la successiva alleanza del robot con uno dei personaggi introdotti più avanti. Si tratta di una storia semplice, che non si basa su azione esagerata o complotti da sovvertire, ma si focalizza soprattutto sui personaggi, e su come la loro nuova consapevolezza modifica il loro modo di pensare e concepire il mondo. Si termina la lettura con un sorriso e tanti buoni sentimenti, e in effetti sembra che possa esserci spazio per un seguito. Questo è sicuramente un libro adatto "ai ragazzi", con il che non intendo che si tratti di un young adult, e nemmeno che si tratti di roba scontata; piuttosto, il punto di vista e lo svolgimento della trama si adattano bene a quello che un ragazzo può cercare in una storia. Voto: 7/10

Lost in Lost #20 - Ep. 4x07-4x09

Altre tre puntate piuttosto ricche di rivelazioni e novità. In Ji Yeon scopriamo chi è l'ultimo degli Oceanic Six, e l'identità del misterioso agente di Ben sulla nave: Michael il "traditore" che aveva lasciato gli altri alla fine della seconda stagione, primo e unico (finora) ad aver davvero abbandonato l'isola. E proprio per riempire il gap lasciato dalla sua assenza, nell'episodio successivo Meet Kevin Johnson ci viene mostrato come se l'è cavata dopo essere ritornato sulla terraferma, o meglio, dopo aver interrotto i rapporti con Walt, inorridito dalla sua confessione di aver ucciso per poterlo liberare. Dopo aver raccontato la sua storia a Sayid e Desmond, il primo come ogni torturatore che si rispetti decide che sia il caso di sottoporlo al giudizio del capitano, in quanto spia e sabotatore. In seguito, in The Shape of Things to Come, torniamo a seguire Ben, sull'isola impegnato a contrastare l'attacco dei mercenari inviati da Widmore, i quali non si fanno scrupoli a uccidere sua figlia Alex (dopo aver già eliminato sua madre, ciao ciao Rousseau) davanti ai suoi occhi. Il suo flashforward mostra invece come dopo aver a sua volta lasciato l'isola Ben è entrato in contatto con Sayid, e assistiamo al suo primo confronto (solo a parole) con Widmore, l'antagonista rivelato poche puntate fa. A quanto pare Ben ha deciso di uccidere la povera Penelope, che si troverà quindi invischiata ancora di più negli affari dell'isola, così come il suo Desmond, che pure sta facendo di tutto per allontanarsene.

Personalmente ritegno che proprio questo sia il mio episodio preferito in assoluto di tutta la serie: un po' perché Benjamin Linus è sicuramente uno dei personaggi più interessanti, e di riflesso lo sono tutte le puntate a lui dedicate, in secondo luogo perché è qui che davvero si inizia a intuire che c'è un conflitto tra due parti in gioco che comporta conseguenze anche per persone estranee e "innocenti". Ma questa è solo una nota personale, la mia cavia è di altro avviso. Intanto nell'episodio dedicato a Jin e Sun si è sentita vagamente presa in giro dall'alternanza tra flash avanti e indietro (back/forward) dei due protagonisti, che sembrano non avere alcuna utilità narrativa se non quella di confondere lo spettatore (oh, se solo sapesse cosa ancora la aspetta...). A parte questo, apprendere che Jin è morto è interessante, perché fa supporre che dovremo assistere presto a una qualche straziante scena di separazione tra i due. Nell'episodio dedicato a Michael invece due sono le nozioni chiave: il fatto che l'isola richiami ancora la presenza di qualcuno che l'ha lasciata ("L'isola non ha finito con te"), e che il suo potere si estenda al di là dei suoi confini: Michael infatti non riesce a uccidersi, ed è questo a portarlo a credere che davvero l'isola lo stia reclamando. Certo è anche da notare che Michael ha vissuto un perido parecchio intenso, perché anche se non lo abbiamo visto per un'intera stagione, a livello cronologico non è passato molto da quando se n'è andato, e deve aver trovato il tempo di tornare a casa, litigare con suo figlio, tentare il suicidio, riprendersi dalle ferite, tentare ancora il suicidio, imbarcarsi sulla nave di Widmore, viaggiare fino all'isola, sabotare la nave: non si è riposato un attimo! Ben invece dimostra finalmente in prima persona di avere contatti ovunque e piani alternativi pronti per qualunque evenienza, tanto che dal deserto arriva in poco temo in Iraq e poi a Londra, e in tutti questi posti riesce a ottenere quello che cercava. Sull'isola invece abbiamo il primo indizio che sia in grado di controllare (o almeno evocare) il Mostro. Viene da pensare se sia stato sempre lui a dirigerlo oppure questo abbia una volontà sua che non dipende dagli ordini di Ben (o di Jacob?). La morte di Alex, così immediata e cruda, è sicuramente una delle scene più forti viste finora, anche considerando come suo padre adottivo l'ha lasciata, dicendole che non ha alcun valore per lui, evidentemente convinto di poter in questo modo evitare l'omicidio. Determinante in questo episodio anche il confronto tra Jack e Faraday: quest'ultimo afferma finalmente che la nave arrivata non ha alcuna intenzione (e non l'ha mai avuta) di salvare i naufraghi. E dopo il primo esperimento di Faraday viene di nuovo confermato che esiste una qualche differenza nello scorrere del tempo sull'isola e fuori, con il cadavere del dottore che giunge in spiaggia quando sulla nave non è ancora successo nulla. Questo è un particolare che potrebbe contribuire a spiegare molti fenomeni finora accennati ma non giustificati.

Le previsioni sul seguito ora si fanno piuttosto nebulosa, nonostante manchino solo quattro episodi alla fine. Questo perché dopo l'attacco alla base, il gruppo di Locke si è di nuovo frammentato, con Ben, Locke e Hugo in cerca della capanna di Jacob e gli altri in viaggio verso la spiaggia. Jack è svenuto a metà puntata (sarà solo lo shock?), e il resto del suo gruppo ha appena scoperto che non verrano mai salvati, quindi anche loro devono studiare un nuovo piano d'azione. Tutto questo mentre il contingente di mercenari, pur decimato dal Mostro, è sempre in giro e di certo non è di buon umore. Infine, sulla nave Michael è stato smascherato e portato dal capitano, e questo potrebbe avere conseguenze anche per gli altri due occupanti. Anche la rivelazione fatta dal buon vecchio (e chiaramente omosessuale) Tom Friendly, secondo cui il relitto dell'815 sul fondale è stato opportunamente piazzato da Widmore, mette in gioco tutta una nuova serie di variabili, perché implica che questi sapeva già che l'aereo fosse arrivato sull'isola. E se adesso (cioè, dopo il suo ritorno) Ben vuole uccidere Penny, presto avremo sicuramente un gustoso confronto Linus vs Hume. Chi l'avrebbe mai detto?

Ultimi acquisti - Aprile 2014

Sono un po' indeciso iniziando questo post su cosa includere nel periodico aggiornamento sugli acquisti musicali appena effettuati. Questo perché da quando sono entrato in possesso di un giradischi, mi sono finalmente aperto al mercato del vinile, e questo comporta una serie di conseguenze sul mio modo di condurre gli acquisti. Se infatti limitandomi ai cd acquistavo album o compilation, adesso mi posso dedicare anche a singoli ed EP. Il che pone una questione: ha senso recensire un disco single-sided, ovvero una traccia sola? Ci ho pensato e sono giunto alla conclusione che sì, ha senso anche questo, perché è un po' come recensire un singolo racconto piuttosto che una raccolta o un romanzo, e se mi capita di leggere un e-book con un solo racconto anche breve non vedo perché non dovrei commentarlo. Da adesso in poi, quindi, negli "ultimi acquisti" non commenterò più soltanto album e raccolte, ma anche singoli. E si comincia proprio da oggi.


Partiamo comunque rispettando la tradizione, con un buon album su cd. Si tratta di Self Portrait, secondo album di Joseph Capriati, dj italiano che ha acquisito negli ultimi anni una crescente autorevolezza nell'ambito techno. Se in Save My Soul Capriati si prendeva una pausa dal suono techno puro, fatto di cassa distinta e lineare, in questo secondo lavoro punta invece soprattutto sulle sonorità techno-minimal, con poche concessioni a suoni più distesi. Non a caso quindi l'album si chiama "auoritratto", visto che quanto si trova qui dentro corrisponde proprio al Joseph Capriati come si è fatto conoscere nel mondo. Non si trova niente di eccezionale o innovativo nelle tracce contenute qui, ma una serie di pezzi techno autentici e affidabili.


La sezione album finisce già, perché si passa subito agli ep. Il primo della serie è Repetitive Digital Noise di i, disco del 2006 uscito su Recognition, l'etichetta del polacco Jacek Sienkiewicz. Ancehe in questo caso ci troviamo di fronte a techno forte e loopposa, il che dovrebbe essere abbastanza chiaro visto il titolo dell'EP. Suoni ruvidi che non lasciano alcuno spazio a melodie di qualunque tipo, qui tutto è monocromatico.






Troviamo poi un singolo di Ruede Hagelstein, che da tempo ho imparato ad apprezzare. Nei 10 minuti di Minus Hagelstein ci fa scorrere lungo un efficace percorso minimal-house, basato su un'ottima composizione di bassi e percussioni, con il previsto drop a due terzi dall'inizio e il rush finale che conclude l'opera. Un pezzo di qualità, che mantiene l'atmosfera tesa per tutta la durata.







Forse di tutti i dischi che ho riportato a casa stavolta questo è quello per cui mi sono esaltato di più. Sì perché per Dominik Eulberg nutro un'estrema adorazione, e la collaborazione con Gabriel Ananda non fa che accrescere le aspettative (già in Heimische Gefilde c'era un pezzo realizzato a quattro mani da loro). Firend of All that Lives riflette già dal titolo la dedica al mondo naturale tipica di Eulberg, e le due tracce esprimono al solito questa sua attitudine, con la capacità subliminale di evocare in qualche modo proprio quest'idea di "selvaticità". Si tratta comunque di pezzi techno, ma è un'interpretazione unica e ormai caratteristica di questo genere.



L'ultimo vinile della tornata è una raccolta di pezzi curata da Trentemoller, che fa parte della serie Late Night Tales: una selezione di pezzi da lui considerati significativi e importanti per la sua formazione, e conoscendo il soggetto c'è ovviamente da fidarsi. Uscita dapprima su cd, questa raccolta è stata da poco ristampata in vinile per soddisfare i collezionisti, ed è grazie a Trentemoller che ora posso dire di avere in archivio pezzi di This Mortal Coil, Velvet Underground, Ekko, Low. Difficile identificare un genere che li accomuni tutti, ma è evidente la presenza di un forte valore intrinseco in ognuno di questi, e dal tizio che ho visto esibirsi a Bologna all'inizio di quest'anno non ci si poteva aspettare di meno.


Concludo quindi con l'ultimo mix made in Cocoon: Neun, mixato da Chris Tietjen, che prosegue la serie parallela alla Cocoon Compilation con i migliori pezzi dell'etichetta in un set continuo. Stavolta abbiamo davanti un set molto profondo, grazie al contributo di tracce di Matt John, Minilogue (tratto da Blomma), Nick Curly, Julien Bracht, e la notabile presenza di Mauro Picotto e Riccardo Ferri con il loro singolo uscito per questa etichetta. Molte delle tracce sono state estratte dalla già storica raccolta Cocoon 100 e dalla Cocoon Compilation M, e in questo modo il cerchio si chiude sulla stagione musicale appena trascorsa per l'etichetta che sta in pratica inventando la techno degli ultimi dieci anni.

Coppi Night 27/04/2014 - Saint Tropez Saint Tropez

*sospiro*

Non è facile, lo garantisco, non è per niente facile, perché ogni volta che penso che i film di questo tipo siano esauriti mi ritrovo con il Coppi Club che mi si rivolta contro e va a far vincere questa roba. E gesussanto, è davvero triste.

Il mio commento a questo film si riassume in quel sospiro iniziale. Mi pare uno spreco di tempo dovermi mettere ad analizzare punto per punto le assurdità, l'incoerenza, la superficialità e in generale lo schifo di queso film. Anche perché basta leggere la recensione a uno degli altri simili a questo e in pratica si parla della stessa cosa: provate qui, o qui o qui e poi non ho voglia di cercarne altri. Tuttavia questo film in particolare è riuscito a dimostrare estremamente irritante, perché è un po' il capostipite della razza dei "vacanze a": ambientato in un luogo di villeggiatura (indovinate dove). Di questi ha la struttura con più filoni narrativi con personaggi diversi completamente slegati tra loro, la fastidiosa tendenza a puntare tutto sulle facce note ma senza alcun valore, e soprattutto il livello estremamente basso di humor.

Riassumo i punti essenziali della "trama", in realtà non per spiegare di cosa tratta il film (perché non si può dire che affronti degli argomenti) ma solo per dare un'idea di come si muovono le cose. C'è Jerry Calà che è un pianista-popstar separato dalla moglie che torna a trovarla per riconquistarla in prossimità del suo nuovo matrimonio. Questo nonostante sia chiarito subito che era un fedifrago che ha abbandonato la famiglia poco dopo la nascita del figlio e non abbia alcun interesse reale a mantenersi unito ad essi, perché che sia un puttaniere è palese. Poi abbiamo Debora Caprioglio che è una ricca e antipaticissima mocciosetta che vuole a tutti i costi scopare con un burino che però ha un bel fisico, e viene aiutata in questo dal cugino incestuoso che vuole a sua volta scoparsi lei, il che alla fine avverrà davvero in un disgustoso amplesso sadomasoincestochista. Serena Grandi e un ignoto autore che chiaramente non recita in italiano sono una coppia sposata che ripercorre il viaggio di nozze in cerca di quella scintilla che faccia riesplodere la passione di un tempo (ricordiamo che all'epoca non esisteva il viagra e si credeva ancora nelle ostriche). Infine Alba Parietti interpreta con una capacità di immedesimazione sconvolgente e un accento perfetto (non ho aperto il tago [sarcasmo], ma penso si capisca lo stesso) la figlia di un boss mafioso inviata a Saint Tropez per uccidere il capo di un clan rivale, che viene ostacolata da Fabrizio Bracconeri in una serie di situazioni credibili solo all'interno di un Benny Hill Show.

Alla fine del film se ne trae, come spesso in queste situazioni, che i valori vincenti sono il denaro e l'incuria, e che quello che piace veramente alle donne sono la violenza fisica e verbale, oltre che l'incesto, appunto. C'è anche da rilevare, come ha puntualizzato uno dei membri del Club, come le protagonista femminili contino in tre mezzo quintale di tette, il che non può essere un caso. Dal punto di vista tecnico è veramente disgustoso il doppiaggio, che è fatto talmente male che sembra uno di quei film di Bollywood tradotti. Che poi seriamente, ma solo in Italia è d'uso ridoppiare gli attori con le loro stesse voci? Partendo dal presupposto che questo film in particolare fa cagare comunque, ma perché questa tradizione di chiedere agli attori di ripetere le battute in sala di registrazione, con quell'orrido effetto voiceover da televendita? Non so, ma sono in un certo senso sollevato di aver visto questo film perché significa un altro in meno... finiranno, prima o poi.