Coppi Night 22/10/2017 - El Bar

Ho già avuto modo di constatare in passato come i film di genere spagnoli si rivelino più interessanti di quello che si direbbe, e che forse vale la pena approfondire l'argomento. La scelta di El bar deriva in parte da questo tentativo di conoscere meglio la produzione cinematografica spagnola e anche in questo caso posso dire che ci si trova di fronte a un film per lo meno interessante e ben costruito.

La base della storia è piuttosto semplice: un gruppo di sconosciuti rimane chiusa in un bar nel centro di Madrid e deve cercare di uscirne. La complicazione sta nel fatto che a quanto pare chiunque metta la testa fuori viene abbattuto da dei cecchini. La ragione di questo stillicidio viene chiarita nel corso del film, ma fin da subito risulta evidente che c'è qualcuno, all'interno di quel piccolo gruppo, che nasconde un segreto per il quale c'è gente disposta ad uccidere.

Il meccanismo quindi è quello dell'ambiente chiuso e sospetto reciproco. Tutti sanno di trovarsi in una situazione dalla quale potranno uscire soltanto agendo prima degli altri, tenendo nascoste le proprie conoscenze e capacità, alimentando i conflitti per approfittare della confusione. Le alleanze tra i vari personaggi si formano e si sciolgono, i contrasti esplodono e si arriva presto alle mani. La situazione peggiora quando, una volta compresa l'origine della loro situazione, si rende chiaro che sarà impossibile uscirne tutti vivi, e sono richiesti dei sacrifici.

Personalmente lo trovo uno spunto sempre valido, da cui possono nascere dinamiche differenti ogni volta (penso ad esempio a Cube). Certo la sfida in questo caso è quella di caratterizzare i personaggi senza farli cadere nello stereotipo, cosa in cui il film in questione riesce solo in parte. Mentre alcuni dei protagonisti hanno effettivamente una dimensione reale e plurisfaccettata, altri agiscono un po' da macchietta. Chiaramente quando ci sono 7-8 protagonisti è ovvio che non tutti possono ottenere lo stesso sviluppo, e maggiore cura sarà data a quelli che alla fine si riveleranno gli attori del climax. In generale comunque i personaggi funzionano e si possono considerare coerenti con le proprie intenzioni.

C'è anche da dire che a visione ultimata non rimane molto di questo film, non ci sono particolari temi che emergono, anche in forma allegorica/metaforica, e rendono le vicende mostrate più significative. Il tutto va preso per il suo senso letterale e lì ci si ferma. Ma insomma, un film senza livelli di lettura ulteriori può comunque funzionare, se è ben realizzato, e in questo senso El bar si può considerare soddisfacente.

Che fine hanno fatto le colonne sonore?

La settimana scorsa sono stato al cinema tre volte, battendo il mio record di frequenza cinematografica. Certo non era un record difficile da battere, con una media di 4-5 volte all'anno, spazzato via da due film al cinema nello stesso giorno. Ho visto due volte Blade Runner 2049 (mai successo prima di rivedere al cinema lo stesso film, questa è stata una mirabile eccezione con validi motivi) e una volta It. La visione di quest'ultimo è stata una delle esperienze al cinema più terribili che io ricordi, visto che ho passato buona parte del film a zittire i ragazzetti in sala invece che a seguire lo schermo. Ma questo post non parla né di Blade Runner 2049 né di It, almeno non in maniera diretta.

Forse la riflessione mi è sorta confrontando a distanza di poche ore l'impianto musicale del primo film (prepotente, ossessivo, coerente) con il secondo (marginale, prevedibile, generico), ma il discorso si applica in termini molto più ampi di questo caso specifico. E la questione è: perché nei film di oggi si sta perdendo la componente musicale?

È una cosa che emerge in modo evidente se vado a ripercorrere gli ultimi film che ho visto, sia al cinema che in altre occasioni (vedi Coppi Night, ma anche l'abuso di Netflix). Sembra che la tendenza attuale sia quella di tenere la musica come un elemento di contorno, un plus che serve a sottolineare qua e là alcuni momenti salienti, ma che di fatto non fa parte del film, al pari ad esempio dei titoli di coda... anzi meno ancora, negli ultimi anni i titoli di coda stanno acquisendo sempre più importanza con le scene bonus. Ovviamente ci sono delle notabili eccezioni, vedi appunto Blade Runner 2049 che riesce nell'arduo a ricordare la musica di Vangelis senza copiarla paroparo.

Eppure mi pare che il ruolo della musica in un film sia tutt'altro che secondario. Per dire se io adesso riascolto questo pezzo, riesco a rivedere distintamente la scena, e in parte provo di nuovo le stesse emozioni provate in quel momento, o quantomeno ricordo quello che ho provato.


E se ripercorro in rapida successione i film che in tempi recenti mi hanno catturato di più, non ce n'è uno di cui non riesca a ricordare la musica. Prendendo come campione solo quelli di cui ho parlato su questo blog, posso pensare ad Arrival, Predestination, Upstream Color, Mad Max: Fury Road, Chappie

Lo stesso esercizio non riesco a compierlo invece per tanti altri, e secondo me è un gran peccato che l'attenzione il livello di attenzione per la colonna sonora stia calando, forse per via di meccanismi di produzione che privilegiano altri aspetti: si chiama colonna sonora, si capisce che è qualcosa di importante che serve a sorreggere il film.

Parlando di colonna sonora non mi riferisco solo alla musica originale composta per un film, ma anche una soundtrack composta da pezzi appropriatamente scelti. In questo caso mi vengono decine di altri esempi validi, da Trainspotting all'altrettanto valido Trainspotting 2, da Scott Pilgrim vs The World a pressoché tutti gli altri film di Edgar Wright (e ancora non ho visto Baby Driver). Si può pensare che comporre una soundtrack in questo modo sia la strada più semplice, ma in realtà riuscire a inserire dei pezzi già noti al di fuori del film in modo che lo spettatore si sintonizzi sul giusto stato emotivo (indipendentemente da ciò che lui associa con un pezzo che magari già conosce) è tutt'altro che banale. Anzi, sbagliare in questo caso è molto più facile, quando si scambia la popolarità di una canzone per la reazione che susciterà (Suicide Squad, presente?).

Forse sono io che esagero il problema, può darsi che sia perché ho una predisposizione abbastanza spiccata per la parte uditiva piuttosto che quella visiva di un'opera. Per dire, la fotografia mi suscita effetti molto blandi, quindi un film esteticamente perfetto mi cattura meno di uno con una musica fenomenale. Ma al di là delle percezioni personali, credo che il problema della musica all'interno dei film esista davvero, e che si ricolleghi in ultima analisi a quel grande carrozzone senza conducente che sta diventando l'industria cinematografica globalizzata.

Purtroppo sono praticamente digiuno di teoria musicale per cui non sono in grado di affrontare un discorso ragionato su questo tema. Ma è un argomento che mi sta molto a cuore, per cui mi sono un po' documentato negli ultimi giorni e voglio proporre una selezione di video interessanti che sono cruciali per capire il problema della moderna composizione musicale nell'ambito del cinema. Li lascio qui, così potete seguirli e farvi una vostra idea sulla questione.





Memehunter

Dopo qualche settimana di silenzio radio, torno a pubblicare sul blog con una segnalazione fresca fresca. Era da un po' di tempo che non annunciavo una nuova pubblicazione, ma nonostante le turbolenze dell'ultimo anno e mezzo ho continuato a lavorare nell'ombra, anche se meno del solito, ed eccoci qui con un titolo su cui ho investito parecchio.

A fine settimana sarà disponibile in ebook Memehunter, un racconto lungo pubblicato sotto il marchio di Future Fiction. Se il nome della casa editrice vi suona familiare, può essere perché ne ho parlato diverse volte nei miei rapporti letture, visto che ho letto diversi titoli nel catalogo, e lo ritengo uno dei progetti più interessanti nel panorama attuale della sf italiana, con il suo obiettivo di curare la "biodiversità narrativa". Ho proposto tempo fa la mia storia a Francesco Verso, e dopo parecchi mesi di lavoro siamo arrivati alla versione finale, che vede ora la luce.


Volendo dar retta alle etichette, Memehunter si può definire un racconto cyberpunk. Lo è nella misura in cui i protagonisti sono dei giovani hacker, impegnati in una missione oltre la loro portata, e perché buona parte della storia si svolge nella Rete. Ma, signori miei, il mondo è andato avanti parecchio dai tempi di Mirrorshades, e quello stesso cyberpunk oggi ha poco senso. Oggi gli hacker non combattono tanto le multinazionale ma le bufale, e il terreno di gioco non è il cyberspazio ma i social network. È in questo contesto che si muovono Derek, un memehunter e il suo amico e socio Jo, uno snark. Insieme sono assunti da un committente misterioso per compiere la caccia al meme dei memi.

Quindi Memehunter è un po' la mia versione aggiornata di La notte che bruciammo Chrome, ma con facebook, gattini e droni. Vi si trova un po' di quella ideologia anarchica disillusa che riecheggia anche in Mr. Robot (si nota il riferimento in copertina?) e che è a sua volta una riproposizione degli ideali del movimento hacker delle origini. Ma soprattutto ribolle del caos della Rete di oggi, che come in molti addetti ai lavori hanno ammesso, è completamente sfuggita al nostro controllo, ed è diventata molto più e molto di peggio di quello strumento di comunicazione universale e democrazia diretta che tutti si aspettavano vent'anni fa.

Ne consegue anche che Memehunter potrebbe soffire di obsolescenza precoce. Soprattutto l'aspetto tecnologico e lessicale potrebbero venire superati nel giro di un paio di anni, al ritmo con cui queste cose si evolvono oggigiorno. Uno ci prova a estrapolare e speculare, ma siamo nell'era pre-singolarità, in cui le macchine si insegnano da sole i giochi da tavolo, per cui c'è un limite alla capacità di fare previsioni del nostro scadente wetware mammaliano. Tutto questo per dire che volete leggere il racconto, mai come stavolta è importante farlo ora invece che tra sei mesi!

Se siete abbonati a Future Fiction lo avete già ricevuto, altrimenti Memehunter sarà disponibile per l'acquisto da venerdì, sul sito di Future Fiction e sui maggiori store online.

Coppi Night 1/10/2017 - Okja

Okja mi era stato presentato come un film controverso che sollevava interrogativi importanti sull'alimentazione e il rapporto tra l'uomo e gli animali. E forse, scavando un po', queste cose si ritrovano davvero, ma il problema è che bisogna scavare sotto strati di noia per raggiungere questo nucleo.

Metto le mani avanti come ho già fatto in occasioni simili, dichiarando la mia scarsa familiarità col cinema coreano. In questo caso la produzione è un mix di coreano e americano, ma in certe parti si percepisce molto l'influenza di una cinematografia diverda da quella di Hollywood, di cui ammetto non essere un esperto. Ciò detto, rimane il fatto che personalmente ho trovato Okja estremamente blando, incapace di impressionare davvero nonostante il tema trattato consentisse scene forti ed emotivamente devastanti.

La multinazionale cattiva alter ego della Monsanto ci tiene tanto a fare bella figura col suo nuovo megamaiale OGM (e nessuno sembra rendersi conto che assomiglia molto di più a un ippopotamo), e forse questo piano di marketing di durata decennale è una delle parti meglio riuscite della storia. Il rapporto tra la ragazzina e l'animale viene mostrato inizialmente con qualche scena idilliaca, ma a parte abbracci e corse nel bosco non si riesce mai a percepire un vero legame. Ma peggio ancora, la bambina protagonista manca completamente di caratterizzazione, visto che parla poco e agisce sempre dietro manipolazione di qualcun altro. Il suo personaggio esiste solo in quanto controparte del maiale gigante, per questo mi è stato davvero difficile fare il tifo per lei, e di conseguenza anche per la pover bestia vittima di tutto ciò.

Paradossalmente, alcuni personaggi secondari sembrano avere una complessità molto maggiore e suggeriscono uno sviluppo narrativo tragico non indifferente. L'amminstratice della multionazionale col suo rapporto difficile con padre e sorella e i tentativi di tenere sotto controllo un'azienda troppo grande; alcuni degli animalisti, combattuti tra l'adesione ai principi del loro manifesto e la necessità di agire in modo diretto e violento; ma soprattutto, il presentatore amico degli animali interpretato da Jake Gyllenhaal, una specie di Wild Frank caduto in disgrazia e costretto a fare da testimonial a un'azienda che lucra su ciò che lui ha sempre amato. Mi sarebbe piaciuto quasi di più conoscere la sua storia, che quella della ragazzina e del suo nonno avaro.

Quindi alla fine, Okja non riesce a raggiungere la forza che potrebbe, anche nelle sequenze finali in cui viene mostrato esplicitamente il macello dove gli animali sono ammazzati e processati per farne bistecche, hamburger e salsicce. Quello che avrebbe dovuto essere un momento estremamente drammatico mi è sembrato solo una prevedibile arma tirata fuori all'ultimo momento per scioccare lo spettatore, che però, se è come me, a quel punto ha già perso interese. Peccato, perché il tema merita acute riflessioni e io stesso ci sto pensando molto nell'ultimo periodo. Non sarà però un'opera del genere a farmi propendere in una direzione o l'altra.

Rapporto letture - Settembre 2017

Settembre è stato un mese piuttosto impegnativo sul fronte personale, come testimonia la scarsità di entry sul blog di cui accennavo nel post precedente. Niente di imprevisto comunque, anzi tutto ampiamente programmato da quasi un anno, solo che quando poi ti ci trovi sotto, puoi programmare in anticipo quanto ti pare, ma il tempo non ti basta comunque. Tuttavia la lettura non ne ha risentito più di tanto, e due bei libretti sono comunque riuscito ad assimilarli.


Il primo è Paradox, romanzo di fantascienza visionaria di Massimo Spiga, pubblicato l'autunno scorso da Acheron. È una lettura particolare, e di certo non facile sotto diversi punti di vista. Il lettore non viene messo a proprio agio, lo stile a tratti è ermetico e la trama non si sforza più di tanto di farsi spiegare. Si parla di conflitti che abbracciano tutto lo spazio e il tempo, di cui l'umanità è un pedina inerme. Questa guerra cosmica piomba però nella quotidianità dei protagonisti, in particolare di Perla, giovane ragazza romana che si trova ad affrontare in prima persona lo scontro tra due avversari non del tutto umani, ma nemmeno completamente alieni, dai poteri inimmaginabili e dalle motivazioni oscure. La cosa più interessante del romanzo è sicuramente il vasto e appena visibile universo narrativo che cela, di cui non solo la ragazza, ma anche gli invasori postumani non conoscono tutte le sfaccettature. Questo è però in qualche modo anche la debolezza del libro, perché vedere questo schieramento di forze onnipotenti ridimensiona in modo drastico la rilevanza delle piccole vite umane e delle motivazioni della ragazza. Soprattutto perché, per una buona parte centrale del libro, la storia si concentra più su D (quello che siamo portati a considerare "il buono" nella guerra in atto) che su di lei. Per il resto rimane solo da rilevare che l'autore indugia un po' troppo su qualche riferimento e citazione (Finnegan's Wake di Joyce, prima di tutto), ma in sostanza l'insieme funziona. La storia non può considerarsi autoconclusiva, anche perché fa parte di un universo narrativo più ampio che comprende altre opere, altri autori, e altri media. Nonostante qualche piccola sbavatura rimane comunque una buona lettura. Voto: 7.5/10

Secondo libro letto a settembre è Sole pirata, il terzo e ultimo volume della trilogia di Virga di Karl Schroeder, pubblicata in italia da Zona 42. Dopo Il sole dei soli e Regina del sole, si torna alle avventure nell'enorme sfera cava artificiale in cui si librano varie nazioni in conflitto tra loro. Cambia di nuovo il protagonista principale della vicenda, che stavolta è Chaison Fanning, il coraggioso ammiraglio che ha condotto la grande battaglia nel primo libro, e che ritroviamo in prigione. Fatto evadere da sua moglie (come sappiamo dal secondo libro), Chaison ha intenzione di tornare al suo paese, ma viene intercettato da nuovi personaggi che lo costringono ad allungare parecchio la strada. In Sole pirata si scopre finalmente l'origine di Virga e le minacce esterne che la mettono a rischio, purtroppo però questi elementi, che sembrano i più interessanti, sono appena menzionati, mentre il libro si concentra soprattutto sulle avventure di Fanning e compagni, alcune delle quali hanno poco a che fare con la missione principale. Non che sia noioso, ma vedere i protagonisti cimentarsi con la resistenza di una piccola e sconosciuta città, quando sappiamo che nemici esterni potentissimi stanno progettando la loro invasione, sembra quasi una distrazione. Il plot viene chiuso poi in poche pagine, con un rapido confronto finale e una riunione brevissima con i personaggi dei libri precedenti. Rimane un buon libro, ma sembra quasi che l'autore non avesse più tanta voglia di raccontare la storia di questi personaggi. Voto: 7/10