Un'opinione laica su Avengers Endgame

E quindi sì, sono andato a vedere Avengers: Endgame. Ho miseramente ceduto alla pressione della società che un tempo ti spingeva a fare figli e oggi invece pretende che tu sia in pari con il MCU. In realtà mi mancano parecchi episodi di questa serie tv al cinema, ma ho visto quanto basta per poter capire quello che succede. Mi sono giusto aggiornato con Infinity War un paio di giorni fa, e pronti via.

Il mio interesse era per lo più narratologico, nel senso che mi piaceva vedere come gli autori avrebbero portato a compimento la storia. Interesse che è nato soprattutto nel momento in cui ho potuto apprezzare come Infinity War abbia in effetti una costruzione piuttosto solida, pur sempre contestualizzato all'interno della categoria cinecomic. Inoltre i primi commenti dopo l'uscita del film non esitavano a parlare di capovaloro, perfezione, degna conclusione, epica, eccetera. Salvo poi alcuni altri commenti usciti subito dopo che invece parlano di delusione, sciatteria, ruffianismo, incoerenza, noia, eccetera. L'impressione però è che entrambe queste opinioni siano polarizzate per partigianeria, il dovere di identificarsi con una parte precisa per cui tutto ciò che è MCU. Sì insomma, fanboy vs haters, niente di nuovo, grazie internet.

Personalmente credo di potermi collocare a distanza da entrambe queste categorie. Non sono un appassionato dei film Marvel (tantomento dei fumetti, mai aperto uno), e in generale dei film di supereroi, fatico a torvarne uno che posso dire di aver apprezzato, così al volo mi viene in mente solo Logan. D'altra parte, non ho nemmeno motivo di dover per forza sottolineare le mancanze di questi prodotti, proprio perché non ho un particolare coinvolgimento emotivo nella vicenda. Per questo, ho la presunzione che la mia opinione possa essere interessante per chi vive circondato dai mujaheddin di questa guerra santa. Ovviamente seguiranno spoiler, ma ve lo devo davvero dire?

Leviamoci subito di torno la domanda principale: Endgame non è al livello di Infinity War. Non mi piace parlare di "meglio/peggio" ma in quanto sostanzialmente due parti della stessa storia, il confronto è doveroso, e quest'ultimo film non lo regge rispetto al precedente. La ragione di questo divario sta tutta nella mancanza di un'unità tematica di fondo, che invece nel primo era forte. Cerco di spiegare meglio cosa intendo con qualche dettaglio.

Endgame praticamente si apre con la morte di Thanos. Molto bene. Lo spettatore arriva pensando che questo film sarà la vendetta contro il cattivo, e il cattivo viene fatto fuori al minuto 6. Solo che ammazzato lui, non cambia niente. In contrasto alla logica dei blockbuster, non è così che si risolvono i problemi: non basta eliminare l'avversario per far tornare tutto alla normalità. Ottimo spunto di partenza, che prelude a uno svolgimento molto maturo della storia.

E invece no. O meglio, abbiamo modo di vedere come i personaggi affrontano la perdita e questo di nuovo è un bene: Black Widow ossessionata dal suo ruolo di protettrice del mondo, Capitan America aiuta gli altri a superare il lutto, Iron Man si rifugia lontano da tutti e si dedica alla famiglia, Hawkeye diventa un assassino per togliere di mezzo quelli che avrebbero dovuto sparire e invece sono rimasti, Hulk prende confidenza con la sua parte mostruosa, Thor rifiuta tutto e si lascia andare a una vita sregolata. Ricordiamo che questi sono i sei Avenger origianli, quindi i veri protagonisti, e qualcuno di loro è più protagonista degli altri. Come punto da cui muovere la storia questo funziona, peccato però che quasi nessuno di loro abbia poi un percorso che li porta davvero a cambiare e ridefinire il proprio ruolo. Anzi, per alcuni è proprio il contrario. Vediamoli uno per uno.

Iron Man: l'unico che cambia davvero, e in sostanza il reale protagonista di tutta la serie, come già si era visto in Infinity War. Percorso classico di redenzione dove un personaggio inizialmente egoista si sacrifica alla fine per gli altri. Tony Stark è senza dubbio il personaggio meglio caratterizzato, e in quest'ultimo film anche il suo rifugiarsi nella famiglia era in realtà un modo per scappare dalle responsabilità e dal bisogno di fare la propria parte. Niente da dire.

Capitan America: bene ma non benissimo. Cap è sempre stato la bussola morale del gruppo e questo lo ha già portato in contrapposizione con gli altri, soprattutto con Iron Man (vedi Civil War ma non solo). Il problema nel suo caso è che alla fine del film sembra in realtà regredire. Certo, è bello e romantico sapere che ha trascorso una vita felice con il suo amore, ma è contraddittorio rispetto a quello che il suo personaggio avrebbe dovuto realizzare. Proprio lui che all'inizio del film tiene i gruppi di sostegno per aiutare la gente ad "andare avanti", alla fine sceglie di tornare indietro, al suo passato semplice e confortante. Invalida quella che avrebbe dovuto essere la lezione da apprendere.

Black Widow: anche qui, la sua fine contraddice quello che avrebbe dovuto essere lo sviluppo. Fin dall'inizio lei è quella che vuole sistemare le cose, disposta a sacrificare tutto per riportare le cose come stanno. Ed è proprio questo che succede. È eroico, per carità, ma non compie niente a livello di evoluzione del personaggio. Quello che voleva è quello che ottiene, quindi aveva ragione. Non ha imparato niente.

Hawkeye: simile a Black Widow. Il lutto lo ha portato a diventare un personaggio oscuro, forse anche malvagio, un assassino motivato da nobili intenti ma pur sempre un assassino. Un Thanos in miniatura, se vogliamo fare il paragone. Ma sta di fatto che anche lui non cambia. Non c'è un momento in cui realizza di aver sbagliato e cambia qualcosa di sé per tornare a essere la persona che vuole essere. È evidente che si rende conto che le sue azioni sono sbagliate, come dice appunto nel suo ultimo dialogo con Black Widow. Ma non cambia niente. Forse se fosse stato davvero lui a sacrificarsi avrebbero assunto più senso sia il suo arco che quello di Black Widow: lui perché dimostra che non è eliminando i non meritevoli che si migliora il mondo, ma a volte anche sacrificando chi invece ha buone intenzioni; lei perché avrebbe capito che il suo desiderio di perfezione e controllo non poteva estendersi anche alle scelte degli altri. Un po' meglio, ma comunque non perfetto.

Hulk: grosso spreco. Personalmente è anche uno dei personaggi di cui capisco meno il potenziale, comunque l'impressione in Infinity War era che fosse in difficoltà con il suo alter ego. Qui lo troviamo che ha già raggiunto il suo stato di equilibrio e da lì non si muove. È vero che il tema di Hulk che non riesce a controllarsi è già stato esplorato, ma tutto il setup del film precedente si rivela del tutto inutile. Lo troviamo come un personaggio già realizzato e così rimane. Che va bene, ci può anche stare, è tutto sommato una nota positiva. Ma priva lo spettatore dell'emozione di vedere appunto il cambiamento, piuttosto che trovarselo davanti già compiuto.

Thor: enorme, imperdonabile spreco. Ammetto che Thor è in effetti quello per cui ho meno considerazione, ma qui quando l'ho visto nella sua versione Big Lebowski ho visto l'opportunità di una grande storia. E all'inizio sembra proprio che vada in quella direzione: qui abbiamo l'eroe non solo riluttante (come è già Iron Man), ma anche debilitato, fisicamente incapace di poter fare l'eroe. Ma niente. Quando arriva la battaglia è pronto, forte e scattante come sempre nonstante la buzza alcolica. Non c'è nessun momento di illuminazione, nonostante dovrebbe essere uno di quelli che è coinvolto a livello più personale: "l'ho ucciso io Thanos", lo dice anche. È lui a toglierlo di mezzo, rimediando all'errore di Infinity War, e quindi più di tutti dovrebbe essere lui a portare il peso di questa vendetta che non lo ha davvero soddisfatto. Mi sta bene che per la prima parte del film sia il personaggio su cui si concentrano le gag, purché poi in seguito avvenga il suo riscatto, e a quel punto sarebbe davvero epico. Thor avrebbe dovuto combattere senza la sua forza, senza martelli e asce, scoprire che il suo valore di erore, asgardiano e re non sta nei muscoli e nei fulmini. Lo abbiamo già visto risolvere i problemi coi muscoli e coi fulmini, e a cosa è servito? Peccato, davvero peccato.


Questo per quanto riguarda i protagonisti. Ma ne manca uno, ed è uno dei punti fondamentali di tutta la questione: Thanos. Pubblico e critica sono stati concordi nel decretare che uno dei grandi meriti di Infinity War era quello di aver dato al villain una personalità, una motivazione, una filosofia. Se Thanos è un cattivo memorabile, che funziona, è perché non è uno di quelli che arriva dal nulla col desiderio di dominare il mondo. Anzi, una volta fatto quello che ha fatto, se ne va in ritiro nel suo casale in campagna, a coltivare fichi d'india. Vecchio, stanco, provato. Arriva anche a capire che il potere delle gemme dell'infinito è una tentazione troppo forte e decide di distruggerle. E in questa condizione viene scovato ed eliminato, senza appello, senza processo. Fine del tiranno che si è finito da solo. "Cosa ti è costato? Tutto". Tragico, fortissimo. Ma poi in Endgame viene fuori un nuovo Thanos, quello del passato, che ha appena iniziato la sua quest per le gemme dell'infinito. Ed ecco che tutta la filosofia scompare, che il suo atteggiamento benevolo da padre di tutto il creato sparisce per fare posto a un semplice generale sanguinario. Ha un esercito, lo usa, stavolta per sterminare tutti. Chi se ne frega. Va bene, la battaglia di proporzioni immani ci deve essere, è pur sempre un cinecomic. Io ne farei volentieri a meno ma capisco, e la spettacolarità la riconosco. Ma non c'è cuore sotto quest'ultima battaglia, non c'è uno scontro di valori come era invece in Infinity War. Le scene migliori di quel film infatti erano quelle in cui Thanos si rivelava non come mostro genocida, ma come persona con una sua morale, perversa quanto si vuole, ma coerente. Quando sacrifica Gamora, quando dimostra il suo rispetto per Stark, quando accarezza la testa a Scarlet Witch dicendole che capisce il suo dolore. Quello è il Thanos che funziona, non questo pupazzo sostituibile a piacere con uno qualunque degli altri villain visti in ogni altro film. Si dirà che il Thanos che agisce qui è appunto una sua versione passata quindi può avere una personalità diversa, che è cambiata poi negli anni. Sì, può essere. Non dico che questo Thanos non sia realistico, che fosse un cattivo spietato sterminatore di mondi lo sappiamo già. Ma questo Thanos non è interessante, per cui in un modo o nell'altro avrebbero dovuto portare su schermo la sua versione che già conoscevamo.

Tutto questo per illustrare appunto dove sta la carenza tematica del film. Non vado ad analizzare il plot che si affida allo stratagemma un po' cheap del viaggio nel tempo: quando in un universo narrativo introduci il viaggio nel tempo è sempre una mossa pericolosa, che apre a qualunque possibilità, e questo non è un bene. Capisco l'esigenza di fare un excursus sul passato della serie, anche se forse due ore di solo fanservice sono un po' eccessive. Tralascio le incoerenze nelle stesse leggi che vengono illustrare rispetto ai viaggi nel tempo e tante altre piccole storture, che si possono trovare in qualunque film, non è questo il punto principale. La mia analisi si limita a quello che è il nucleo narrativo della storia, dal punto di vista di temi e personaggi. E purtroppo, le carenze sono evidenti e pesanti. Non dico che sia un brutto film, probabilmente lo si può ritenere nella media di quello che è il livello del MCU, e non nego che ci siano dei momenti di forte impatto. La battuta finale "I am Iron Man" è un gran colpo, così come "Avengers: assemble!". Fa il suo dovere, e chiude una stagione cinematografica lunga e complessa, che forse lascerà un vuoto. I Marvel Studios andranno avanti, ma forse in un certo senso davvero non sarà più come prima e non è detto che il successo continui. Se alla Marvel fossero davvero coraggiosi, chiuderebbero qui, con una storia compiuta, invece di spremere finché è possibile i personaggi e il pubblico e smantellare tutto in fase calante, lasciandosi dietro un retrogusto amaro. Ma di soldi ce ne sono troppi che girano perché davvero si possa pensare a una conclusione così ragionata, quindi non è nemmeno argomento di discussione.

Per concludere in merito a Endgame, ho comunque il sospetto che passata l'emozione iniziale, con una seconda visione a freddo anche molti dei fan che lo hanno osannato inizieranno a notare tutto questo potenziale sprecato. Una storia che aveva le premesse per essere grandiosa e memorabile, è rimasta solo grande. E Infinity War probabilmente continuerà a essere considerato l'apice di tutta questa serie.

Come finirà Game of Thrones

L'ultima stagione di Game of Thrones si è fatta aspettare più del solito e ha lasciato tanto tempo ai fan per speculare su ipotesi e teorie, da quelle più scontate alle assurdità complete. Nel giro di poche settimane si concluderà una delle saghe più seguite dell'epoca contemporanea delle serie tv, e anche se molti (io per esempio) hanno forti dubbi sulla qualità delle ultime stagioni, è indubbio che GoT ha già lasciato il segno.

E via via che i fili si annodano e misteri si sciolgono, la questione più importante che rimane sul piatto è: come finirà Game of Thrones? Ovvero, chi sarà alla fine a conquistare il tanto agognato Trono di Spade? Con l'inizio della final season sono saltati fuori articoli, podcast e dirette streaming, centinaia di migliaia di parole per affrontare questo argomento. E la cosa un po' mi stupisce, perché con tutto il rispetto per questi professionisti del nerdom, la questione mi sembra di una banalità estrema. E la cosa paradossale è che tra tutti i commenti, leak, headcanon ed esegesi che mi è capitato di vedere (sicuramente una parte infinitesima di quanti ce ne sono in giro), nessuno sembra considerare questa possibilità.

Quindi adesso ve lo dico io, come finisce Game of Thrones. Ovvero, risponderò a quella domanda: chi siederà sul Trono di Spade?

La risposta, banale e lampante, è una sola: nessuno.

Non ci sarà nessuno sul Trono di Spade. Non lo intendo in senso metaforico, proprio in senso letterale: nessuno diventerà il nuovo legittimo sovrano, nessuno sarà Re degli Andali, dei Primi Uomini, Protettore del Regno eccetera eccetera. A dirla tutta, il Trono di Spade non esisterà più.

Può sembrare una soluzione estrema e forse anche provocatoria, ma è l'unico finale tematicamente coerente. Anzi, l'unico possibile, per rispettare il tema di fondo della serie, quello che potremmo considerare come l'arco narrativo dell'intera saga.

Tutta la storia di Game of Thrones si basa sul concetto che il potere è fallibile, corruttibile, perverso. Anche quando si manifesta negli individui più virtuosi finisce per condurre a storture, come abbiamo visto nella prima scena del pilot, quando Ned Stark esegue la sentenza capitale su un disertore colpevole soltanto di portare l'avviso dell'imminente attacco dei white walkers. La stessa identica cosa che continua a ripetersi in scala sempre più ampia nel seguito della serie. Tutto ciò che succede in otto stagioni non è altro che una conseguenza di questo assunto di base, l'intrinseca deformazione del potere, legittimo o usurpato che sia. Tutti i personaggi si sono confrontati con questa idea e hanno fallito, pagando in prima persona, spesso con la vita. Finora nessuno è riuscito davvero a opporsi al paradigma del potere costituito. Anche la Regina dei Draghi, tanto solerte nel liberare gli schiavi dai loro padroni, alla fine dei conti sembra molto determinata a riprendere il potere che è convinta le spetti per nascita, e si dimostra piuttosto permalosa quando qualcuno rifiuta inginocchiarsi a lei, per essere una che intende "rompere il meccanismo".

"When you play the game of thrones, you win or you die", ci viene detto molto presto, e finora si è dimostrato sempre vero. In effetti si potrebbe molto facilmente dedurre che anche quando vinci, la vittoria è solo temporanea, e a sua volta porterà con ogni proababilità alla morte. Il gioco del trono non si può vincere davvero. L'unica strategia è limitare le perdite, ovvero, non giocare.

Questo è il compimento naturale della serie. Una presa di coscienza dei protagonisti rimasti in campo, che realizzano di non poter cambiare niente finché continueranno a perpetuare gli stessi schemi. Finché qualcuno siederà sul Trono di Spade, finché ci sarà un Trono di Spade, la storia continuerà a ripetersi. La minaccia esterna degli zombie di ghiaccio è soltanto il catalizzatore che dovrebbe permettere ai più intelligenti di raggiungere questa consapevolezza. La fine del Regno, la fine del gioco. Solo così potranno tornare tutti a essere liberi, e magari anche rimanere vivi.

Non c'è un altro finale che abbia senso dal punto di vista tematico. Sì certo, ci saranno di mezzo le battaglie, in qualche modo sconfiggeranno o faranno arretrare gli zombie, il popolino acclamerà i draghi e tutte quelle cose lì. Ma il punto principale della storia è che il punto della storia deve cambiare. Altrimenti tutto quello che c'è stato finora perde ogni significato.

Ovviamente, non so se la serie finirà davvero così. Quindi questo è un How it should have ended fatto in anticipo. Ma seriamente, qualunque fine diversa da questa traviserebbe in modo completo e colpevole il senso dell'intera storia, facendo crollare tutta l'impalcatura narrativa messa su fin dal primo minuto. Poi si sa, per il fanservice si può fare questo e anche peggio. D'altra parte ci sono spin-off da produrre e gadget da vendere, quindi una speranza che tutto cambi perché niente cambi deve rimare viva nello spettatore bulimico.

Vedremo tra qualche settimana se hanno osato mantenersi coerenti alla loro opera o si sono piegati alle necessità del fandom. Adda passà l'inverno.

Rapporto letture - Marzo 2019

Mese di letture abbastanza intense e con una discreta varietà di generi, autori e temi, alla faccia di quelli che dicono che leggo sempre la solita roba e che c'è un mondo là fuori che non conosco e che in effetti non so chi siano ma sono sicuro che in giro ci sono queste voci.

Confesso: di Margareet Atwood non avevo mai letto nulla. Sì, lo so, il racconto dell'ancella, la distopia, non la chiamate fantascienza ché sennò lei si incazza, come se un tizio a Bora Bora si inventa un piatto composto da una pasta di farina lievitata e cotta con sopra salsa di pomodoro e mozzarella e insiste a dire che no quella mica è una pizza, come ti viene in mente? Insomma, questo per dire che partivo un po' prevenuto con Fantasie di stupro, che è poi una raccolta di racconti, cosa evidente visto che è pubblicata dalla casa editrice Racconti. I racconti sono per lo più di ambientazione contemporanea e inscrivibile nel mainstream (niente distopie a sto giro) e per la maggior parte mi hanno dato l'impressione di chiudersi mezza pagina troppo presto. Sembra che la Atwood arrivi al climax della vicenda e poi non lo affronti, ma si percepisce del metodo in questo approccio, non è una questione di incapacità o superficialità. La percezione è che porti il lettore al punto focale della storia e poi gli lasci decidere da solo cosa ne vuole trarre. Non tutti i racconti sono dello stesso livello, alcuni hanno tematiche più labili, ma in generale è comunque una lettura discreta. Voto: 6.5/10


Vi ricordate la Guerra Senza Nome? Probabilmente no, io invece non l'avevo mai dimenticata. Qualche anno fa parlai sul blog di Mort(e), romanzo di Robert Repino in cui le formiche dichiaravno guerra all'umanità usando come soldati animali da compagnia resi bipedi, antropoidi, parlanti e senzienti. Mort(e) è appunto il nome che si era scelto il gatto di casa Sebastian allo scoppio della guerra. In quel libro Mort(e) diventa un eroe di guerra ma poi arriva a chidersi le ragioni di questo conflitto, ed entrerà in contatto con alcuni dei pochi umani sopravvissuti che gli promettono di potergli far ritrovare Sheba, la cagnolina che viveva con lui prima della trasformazione. A distanza di tre anni ho scoperto che Repino ha scritto due sequel, a cominciare dal romanzo breve Culdesac. Culdesac è un personaggio che compare nel primo romanzo, comandante della Red Sphynx, la squadra felina di assassini in cui aveva militato Mort(e) durante la guerra. Ed è proprio durante la guerra che è ambientata questa storia, centrata appunto sul punto di vista di Culdesac, animato da un rancore insaziabile nei confronti degli umani. La Red Sphynx riceve l'ordine di stazionarsi in una cittadina conquistata e difenderla dagli attacchi degli umani, missione che a Culdesac non piace visto che la sua squadra è addestrata alle incursioni rapide e letali, non al controllo del territorio. Ma c'è evidentemente un piano della Regina, perché la Regina vede tutto, e Culdesac dovrà capire da solo cosa vuole da lui. A parte le crude sequenze della guerra, che nel primo romanzo mancavano poiché era ambientato dopo la sostanziale sconfitta degli umani, in Culdesac vengono poste questioni interessanti, che poi sono quelle che si affacciano più o meno in tutta la serie. Se il cambiamento degli animali ha aumentato la loro capacità di pensiero, significa che ha aumentato anche la loro capacità emotiva? Sono forse più empatici, più propensi all'amore, più "umani" nel senso in cui si intendono quei valori che dovrebbero contraddistinguere l'uomo dalle altre specie? Culdesac non si pone questi problemi, lui è un assassino e tutto quello di cui ha bisogno è la caccia, ma intorno a lui il mondo è cambiato e qualcosa si sta muovendo, anche tra gli animali. Voto: 7.5/10


E dopo questo breve prequel, sono passato anche a D'Arc, che invece è un romanzo completo. D'Arc, come Joan D'Arc, è il nome che Sheba sceglie per sé dopo che Mort(e) decide di darle la pasticca con gli ormoni che le permettono di trasformarsi (che la Regina gli aveva offerto alla fine del primo libro). La regina è morta, le formiche sono allo sbando, la guerra è finita, e Mort(e) e D'Arc si ritirano nei boschi, ad allevare formiche giganti. Ma dalla vicina città di castori qualcuno viene a chiedere il loro aiuto, e nonostante all'inizio Mort(e) sia riluttante, alla fine i due decidono di aiutarli. La realtà è che anche se la Regina è morta, la guerra non è finita, e forse non finirà mai. La Regina, che vede tutto, ha visto probabilmente la propria fine e ha fatto piani per il seguito. Ci sono altre creature che sentono la sua chiamata e che sanno di dover agire per eliminare la minaccia degli umani, e se necessario anche quella degli animali trasformati. Mort(e) vorrebbe tenersi fuori da tutto questo, lui ha già dato abbastanza, ma al contrario D'Arc vuole trovare la propria strada e parte quindi senza di lui. La cosa notevole di questo secondo capitolo della serie è vedere come il percorso di consapevolezza che nel primo volume è stato compiuto da Mort(e) adesso viene seguito da D'Arc, ma con ideali e obiettivi molto diversi. Ed è proprio dal conflitto tra i loro diversi approcci che nasce il senso del libro: un eroe riluttanto contro un'eroina entusiasta, uniti da un legame profondo, che però devono entrambi riuscire a travalicare. Anche qui ci sono battaglie, c'è un nuovo nemico, ci sono tradimenti e morti, ma sono tutte situazioni che serovno a mettere alla prova il loro rapporto e i loro diversi schemi di valori. Nessuno dei due ha ragione in assoluto, entrambi sbagliano, entrambi crescono e capiscono. Il finale è straziante, e lascia la voglia di saperne di più, e infatti è previsto un nuovo capitolo, secondo le ultime news in uscita quest'anno, ma chissà. Quanto darei perché questa serie fosse tradotta in italiano... Voto: 8/10


Ultimo libro letto è un altro romanzo breve, opera prima di Enrico Bordignon, collega autore di Moscabianca. Animale e nume è un libro molto particolare, una storia semplice nella sua concezione ma complessa nei temi che si spinge a toccare e intrecciare insieme. Abner Misau è un pittore, un filo pieno di sé come sanno esserlo certi artisti, che viene convocato da un team di astronomi per offrire la sua interpretazione su alcune strane osservazioni di corpi celesti. Da qui si arriva a ricalcare le orme di un dimenticato astrologo vittima dell'inquisizione, si ripercorre l'invasione e lo sterminio dei popoli del centro america e si finisce in visioni lisergiche fatte di colori autocoscienti che potrebbero essere la più concreta manifestazione di Dio. In poche pagine questa storia pone un sacco di domande, su religione e arte, sul rapporto tra creatore e creatura, artista e opera, percezione e significato. Non ci sono risposte, ma se mai esistesse una risposta a questo tipo di domande probabilmente non avremmo bisogno né di religione né di arte né di artisti né di significati. Voto: 7.5/10

Border, o il confine tra noi e loro

Tra un Capitan Marvel e un Roma, un teaser di Endgame e uno di Tarantino, in pochi si sono considerati Border, film svedese di un regista che ha fatto un altro film che boh nemmeno io lo conoscevo. In realtà non sapevo dell'esistenza del film, finché la settimana scorsa mi sono detto "ho voglia di andare al cinema" e la scelta era tra questo e Aldo Baglio, quindi, beh, ok era divertente quella cosa di Ajeje ma ecco. Quindi mi sono trovato per la prima volta da tanto tempo a vedere un film di cui non sapevo praticamente nulla oltre al trailer (esperienza da ripetere, peraltro). E a sorpresa mi sono trovato con qualcosa di attinente al mio solito campo di interesse.

Stop. Per quelli di voi che ancora credono negli spoiler, fermatevi qui. Ci sono due cose principali del film che possono essere spoilerate. La prima è uno spoiler minore, nel senso che è una rivelazione che serve a cementare la premessa quindi non la ritengo davvero pericolosa, e la esporrò nel prossimo paragrafo. Quindi se non volete saperlo, ciao ciao. Non sbirciate nemmeno perché metterò delle parole in grassetto che vi potrebbero saltare agli occhi. Metto un'immagine di mezzo per darvi modo di non spostare lo sguardo, più di così non posso fare.



Protagonista del film è Tina, una donna con deformità piuttosto evidenti causate da un difetto genetico. Oltre al suo aspetto neandertaliano, ha anche una sorta di super-olfatto che le permette di percepire emozioni come paura, vergogna, rabbia. Questo suo talento è messo a frutto lavorando alla dogana, dove annusa i viaggiatori e riesce a scoprire quelli che nascondono qualcosa. Un giorno alla dogana passa Vore, un uomo con deformità stranamente simili alle sue, del quale non riesce a percepire le emozioni. Ah, e Vore è un uomo ma ha la vagina. Comunque, lui sembra riconoscerla e lei prova una strana attrazione nei suoi confronti, capisce che sono in qualche modo simili per cui lo ospita a casa sua. Dopo una serie di incontri e un rapporto sessuale decisamente woman empowering (altro che Capitan Marvel, appunto), Vore le rivela la verità: loro due sono dei troll, due dei pochi sopravvissuti di questa razza che è stata sistematicamente sterminata dagli umani.

Qusta rivelazione arriva più o meno a metà film e come dicevo non è quella che veramente cambia il senso del film. Tina era già stata presentata come diversa dalle persone "normali", la sua vita era già piuttosto misera e insoddisfacente. Conoscere la natura della sua diversità non cambia niente della sua miseria e insoddisfazione, le dà solo un contesto. E non ha importanza se i troll di cui si parla siano proprio i troll della mitologia, o se sia solo un termine convenzionale con cui si può indicare questa specie antropomorfa. Se per esempio "troll" fosse il modo con cui nelle leggende ci si riferisce ai sopravvissuti dei Neanderthal, non cambierebbe nulla. Ci sono anche altri elementi che si ricollegano ad alcuni miti nordici ma appunto non sono determinanti.

Certo una volta appreso questo Tina si confronta con il suo padre (che è quindi adottivo, e sa cosa è successo ai suoi veri genitori troll), caccia il suo compagno scroccone, intensifica il rapporto con Vore e si mette a correre nuda nei boschi. Abbraccia quella diversità di cui è sempre stata al corrente ma che non ha mai potuto esprimere, convinta che fosse un problema. Scopre che invece la diversità può essere qualcosa di cui andare fiera, soprattutto se c'è qualcuno con cui condividerla.

Tutto molto bello, e molto empowering, ancora. Ma non è così che finisce. A questo punto del film infatti avevo un po' il sospetto che la storia si riducesse al protagonista che scopre di essere "speciale", abbandona i costrutti della società e torna alla comunione con la natura, trova uno uguale a lui e sono tutti felici. E invece no. Ed è questa la parte significativa del film, quella che non spoilererò.

Tina si trova dover fare una scelta: deve decidere se è più importante la sua natura di troll o i valori sui quali ha impostato la sua vita. Perché è una goduria mangiarsi gli insetti (come Vore le ha insegnato a fare), è liberatorio starsene nudi sotto la pioggia, e tutte quelle cose che fanno i troll. È bello far parte di qualcosa, avere finalmente un senso di appartenenza e poter dire "ecco, io sono così, noi siamo così". Ma forse questa appartenenza non è davvero la cosa primaria, non è ciò che ci definisce davvero. Perché che merito c'è nell'essere ciò che si è per natura? E anche se questa natura ti rende diverso da coloro che ti circondano, anteporre l'appartenenza a tutto il resto è la strada più facile, quella che implica meno responsabilità. Mi comporto così perché è così che facciamo noi: questo è il ragionamento di Vore, che all'inizio fa presa anche su Tina, ma poi arrivano i dubtti.

Anche se è difficile, anche se è doloroso, non è nella propria origine che sta quella differenza, quel confine tra noi e loro. È un messaggio attualissimo, perché è facile applicare la stessa logica sostituendo i due elementi dell'equazione: il "noi" possono esssere i troll quanto i vegani o i musulmani o gli interisti, i "loro" possono essere i negri o i maschi o i vecchi o i cani. Quante di queste contrapposizioni si basano solo sull'idea che c'è un confine tra i due gruppi, e le nostre azioni sono giustificate per il solo fatto di far parte di uno di essi?

Ma non è così. Alla fine dei conti, vale sempre quel maledetto assioma dello showdontell, che forse funziona quasi più nella vita vera che in narrativa. Sono le nostre azioni che ci definiscono. Noi siamo ciò che facciamo, che siamo umani, troll, neanderthal, o quello che vi pare. E loro, anche, chiunque siano, sono ciò che fanno. Solo su questo è giusto basare le proprie decisioni. Non c'è altra distinzione che tenga.

I miei vent'anni con Futurama

Il 28 marzo del 1999 andava in onda Space Pilot 3000, il primo episodio di Futurama. All'epoca avevo tredici anni non ancora compiuti e di Futurama non seppi nulla per almeni altri tre.

Questo per mettere subito in chiaro che no, non è stato un colpo di fulmine, non ero lì fin dal primo minuto starry eyed davanti la tv, non schiumavo dall'hype (che nel 1999 non esisteva proprio come concetto) e vivevo benissimo senza Futurama. Quindi posso parlare dei vent'anni di questa serie con una certa rilassatezza, senza dover stare a rincorrere i dogmi del SEO che vorrebbero far uscire questo articolo il 28 marzo alle ore 08:40 per accalappiare il traffico in entrata all'apertura degli uffici. Ma alla fine è vero, in un certo senso Futurama la vita un po' me l'ha cambiata, quindi questi vent'anni è giusto celebrarli. E siccome su questo blog ne ho già parlato e non mi va di fare il post su diciotto cose che non sapevi su Futurama, parlerò invece di come ho sviluppato il gusto per la serie.

Il primo episodio che ho visto è A fishfull Dollars, quello in cui Fry diventa ricco e compra l'ultima scatola di acciughe del mondo, e si scontra con Mom che vuole utilizzare l'olio di acciuga per i suoi scopi. Naturalmente all'epoca non sapevo il titolo dell'episodio, perché in tv non passavano i titoli, nemmeno quelli tradotti in italiano (per lo più trasposti in senso letterale, senza cogliere i calembour). Venni a sapere di Futurama da un amico, un compagno di classe delle scuole medie che mi raccontava di questo cartone nuovo dove c'era un robot che beveva e ruttava, e che altro serviva per volerlo guardare? Ma già allora non ero così sensibile all'entusiasmo per cui non corsi subito a sintonizzarmi su Italia 1 il giorno dopo, mi capitò di vedere quel primo episodio per caso, e lo riconobbi proprio come uno di quelli di cui mi aveva parlato (ripensandoci a posteriori questo significa che probabilmente era già la prima replica della stagione, perché lui l'aveva già visto e davano lo stesso episodio).

Era divertente, l'ambientazione curiosa e poi avevo già letto tutto Asimov, parecchio Fredric Brown (almeno quello che si trovava in italiano) e forse stavo affrontando Dune, iniziando sciaguratamente dai preludi. Quindi insomma, era roba per me. Iniziai a seguirlo con più attenzione.

Il momento di svolta ci fu quache tempo dopo, d'estate. La domenica spesso andavamo al mare, a Viareggio. Col treno, andavo alla stazione in bicicletta, la incatenavo lì (non proprio davanti la stazione, un po' defilata perché fosse meno esposta a furti). Il viaggio d'andata di solito era gradevole, anche perché partivamo prima della media degli altri, col treno delle 7:50 o giù di lì. Prima delle 9 eravamo già in spiaggia mentre il grosso della gente arrivava dalle 10:30 in poi. Di solito andavamo al Bagno Felice perché aveva anche il campetto da calcio e una partita in mattinata si faceva sempre. Il viaggio di ritorno invece era una tortura. Tutti riprendevano il treno nello stesso momento e a parte quella volta in cui invece di prendere il treno che da Viareggio andava a Firenze via Luca prendemmo quello via Pisa e ci costrinsero a scendere a Pontedera, la sopravvivenza sui quei vagoni, dopo una giornata di sole, sabbia e salsedine, schiacciati nei corridoi come... beh, come acciughe, ecco, insomma era un momento di sconforto.

Spesso prima di tornare alla stazione prendevamo un gelato o una granita o una bottiglia di coca per caricarci prima di affrontare il viaggio. Una di quelle domeniche avevamo lasciato la spiaggia un po' prima del solito e quindi facemmo un giro sulla passeggiata prima di andare a prendere il treno. Io e il mio amico, quello stesso che mi aveva parlato di Futurama per la prima volta, entrammo alla Galleria del Disco, che c'è ancora ma è molto diversa da com'era. E lì trovai il cofanetto della prima stagione di Futurama. Sto parlando di videocassette, sto parlando di un'epoca in cui internet era una connessione dial-up 56k che si pagava a scatti al minuto e se chiamava la zia si interrompeva. Non solo non esisteva lo streaming, ma ancora dovevano nascere i torrent, e se Emule girava già non era ancora arrivato da noi. Forse c'era giusto Napster, ma tre ore per scaricare una canzone che poi non era quella che cercavi era abbastanza frustrante.

Non mi ritenevo così appassionato di Futurama da volere il cofanetto. In realtà non credevo nemmeno che si dovesse essere particolarmente appassionati per fare quell'acquisto. Futurama mi piaceva, ce l'avevo davanti, avevo un po' di soldi: perché no? Credo fosse l'estate del 2001, i gadget nerd non erano ancora uno status symbol e sì, le torri gemelle erano ancora in piedi. Non c'era bisogno di giustificazioni particolari. Durante il viaggio di ritorno in treno, quando si liberò un posto a sedere (di solito a Lucca si svuotava di una buona metà), mi misi a guardare le cassette e mi accorsi che la copertina di ognuna delle tre formava un disegno unico. Era pieno di particolari, alcuni li riconoscevo e altri no, ma ero sicuro che avessero tutti un significato preciso. Non sapevo nemmeno se avevo davvero visto tutti gli episodi, ma nei giorni dopo mi ci misi e li guardati tutti più volte.

Nelle stagioni successive non fui così costante nel seguirlo, perché l'orario di trasmissione in tv non mi facilitava la visione diretta. In media arrivavo a casa alle 15 o poco prima, e riuscivo a vedere solo gli ultimi 2-3 minuti quando lo davano alle 14:30. Per rimediare programmai il videoregistratore in modo che registrasse in automatico le puntate. Nel pomeriggio la guardavo, e se mi piaceva abbastanza la tenevo, altrimenti ci registravo sopra. Più volte mi pentii di aver registrato sopra un episodio che col senno di poi mi resi conto che meritava di essere tenuto. Ricordate: no streaming, no torrent, e Futurama non si trovava nemmeno al noleggio DVD, quello self service con la tesserina ricaricabile. No, non sto inventando, DVD e VHS hanno convissuto per un certo periodo, almeno in casa mia.

Credo di essermi reso conto di avere un problema con Futurama quando ho capito che non ce n'era più. Mi ci volle un po' ad accorgermi che le puntate che giravano erano sempre le stesse. Non lo sapevo ancora, ma la serie era stata interrotta dopo quattro stagioni, e in tutto ne esistevano una sessantina, di cui un paio mai trasmessi in tv (questa è una di quelle cose che non sapevate di Futurama, ma è storia per un altro post, se mai avrò voglia). Ebbi lo stimolo di documentarmi per capire se mi mancava qualcosa o se davvero non c'era altro, e allora appresi la triste raltà. E fu lì che mi sembrò terribile, ingiusto, che il mondo non meritasse Futurama. Era troppo intelligente, troppo coerente, troppo profonda perché la gente lo capisse. Grazie a dio non avevo nessuno con cui condividere quella passione e all'epoca non esistevano ancora le subreddit, altrimenti avrei preso probabilmente la strada del fandom tossico integralista come succede oggi a Rick & Morty.

Mi rifugiai quindi nei gadget. Di lì a poco mi ritrovai maggiorenne, con un lavoro e un conto in banca, ebbi la disponibilità di una carta prepagata mia e quindi potevo spendermi quei soldi nelle cazzate che volevo. Action figure, portachiavi, mazzi di carte. Toynami, Kidrobot, Funko. Con i dvd iniziai a seguire la serie in lingua originale, e fu come scoprirla di nuovo da capo. Anche se tante battute le ho fisse in testa nella loro versione doppiata, che poi tutto sommato non era così male salvo parecchie battute non tradotte.

Poi vennero i film, ero già all'università. Appena uscito Bender's Big Game lo scaricai subito, perché era già iniziata l'era delle cose che si scaricavano, e feci la punta su Ebay (era ancora più diffuso di Amazon, anche se per poco) appena fu disponibile il dvd in italiano. Perché lo volevo, e glielo dovevo. Si diceva che la serie fosse stata rimessa in produzione proprio grazie alle ottime vendite di dvd e accessori vari, per cui se con i miei soldi potevo aiutare Futurama a vivere era il minimo che potessi fare.

Il resto è abbastanza recente da poter essere trovato su questo blog. Io ho iniziato a sostenere di essere il maggior esperto italiano di Futurama e giuro, nessuno mi ha mai contraddetto quindi lo sono davvero, no?

Futurama è finito, non ci sono indizi su un suo possibile ritorno. Se doveva essere il potere necromantico di Netflix a resuscitara, sarebbe dovuto già succedere. Non è successo, non succederà. Quello che abbiamo di Futurama è già tutto quello che c'è.

A me mancano ancora un po' di accessori, ad esempio non ho l'action figure di URL che credo ormai sia introvabile, e non ho mai avuto la fortuna di trovare il peluche del Robodiavolo. Maledico chi ha pensato che fosse una buona idea sprecare uno slot di action figure per Nudar, ma tutti erano eccitati per il ritorno della serie e si sono fatti prendere dall'entusiasmo per il nuovo personaggio, presumo. Peraltro, Nudar lo andai a comprare in un negozio di fumetti a Viareggio. Era giusto la settimana dopo quell'incidente con il treno che esplose ammazzando un sacco di gente. Me lo ricordo perché scendere con il treno alla stazione a poche centinaia di metri da dove era avvenuto il disastro mi fece un certo effetto. Ripresi il treno immediatamente successivo, appena una mezz'ora dopo.

Ma forse è un bene sapere che c'è qualcosa che ancora mi manca di Futurama, qualcosa che potrei scoprire o trovarmi davanti all'improvviso. Intanto, quel cofanetto di VHS ce l'ho ancora, anche se in qualche punto il nastro si era rovinato e l'immagine sfarfallava, e comunque non ho più un videoregistratore e non potrei più vederlo. Ma c'è, so dov'è, e so tutto quello che significa, che è in parte quello che ho scritto qui e in molte altri parti tante altre cose.

Ho parlato di me, non di Futurama. Ma è un po' come quando a un funerale parli della persona che se n'è andata, in realtà parli di come tu hai conosciuto quella persona. Non c'è altro modo di farlo.

Tanti auguri. Here's to another lousy twenty years.