Coppi Night 14/01/2018 - Splice

Riprendiamo con la prima serata Coppi del 2018, e facendo due conti approssimativi dovrebbe essere qualcosa come dodici anni che la tradizione va avanti, pur con qualche inceppamento in certi periodi. Fatto sta che in questo modo, una domenica alla volta, si è accumulato un sostanzioso archivio storico di film visti negli ultimi tempi, anche se non sempre c'è molto da dire.

Si inizia quest'anno con una bella storia di ingegneria genetica fuori controllo, con gli uomini che giocano a fare dio e vengono inevitabilmente puniti per la loro presunzione. Avevo già visto il film, forse addirittura due volte, non perché lo avessi gradito tanto da volervo rivedere ma solo perché mi è ricapitato sottomano in una serata in cui l'obiettivo era guardare qualcosa di gross e uncanny, che in questo film si trova in abbondanza dall'inizio alla fine.

La storia dei due scienziati che creano una chimera umano-animale presenta punti interessanti e altri più banali, e il problema principale di questo film è a mio avviso che si sofferma proprio su quelli meno freschi, finendo troppo spesso nel "già visto", in particolare per chi è appassionato di argomenti del genere, nella fantascienza ma anche in altri ambiti.

Tra i temi più insidiosi toccati dal film, c'è quello della ricerca e del modo in cui propone. Di fatto una parte importante del conflitto del film deriva dal modo in cui la ricerca scientifica viene sostenuta e indirizzata da investimenti privati, e pertanto non solo deve mantenere un approccio utilitaristico, ma deve essere anche abbastanza fotogenica da poter superare una presentazione in pubblico. Gli scienziati devono essere anche sowman e il loro studio deve essere catchy, preferibilmente sexy, anche quando si parla di ammassi di blob semoventi.

Un altro tema spinoso è quello del modo in cui la propria esperienza personale influenza l'approccio alla ricerca. Emerge quasi di sfuggita ma ha un potenziale enorme. Quando la genetista donna (di cui ora mi sfugge il nome) rivela di essere cresciuta in una famiglia chiusa e forse violenta, con una madre tutt'altro che amorevole, si avverte che questo avrà un impatto sul suo modo di trattare Dren, creatura pericolosamente sul confine tra "esperimento" e "famiglia". Purtroppo il discorso si afferma in un'unica scena e poi viene archiviato, come accade anche alla disturbante scena di sesso che a seconda dei punti di vista può invadere parecchi territori tabù, dalla zoofilia alla pedofilia all'incesto. Ma l'incidente è presto dimenticato e si torna all'azione.

Maggiore attenzione viene invece concessa all'imprevedibilità della "natura" e all'idea che l'uomo sia la creatura più complessa prodotta dall'evoluzione, una concezione antropocentrista che non può trovare spazio nella formazione di scienziati moderni, tanto più se biologi/genetisti in grado di eseguire splicing di questo livello. Argomenti del genere sono vecchi quanto la fantascienza stessa e forse anche di più, se ne trova già in H.G. Wells ma per il grande pubblico basta citare Jurassic Park (no, Jurassic World non aggiunge niente a tutto questo).

Peccato quindi che a partire da un'idea sempre valida, la capacità di manipolare la vita a nostro piacimento, il film scelga di percorrere le strade già battute e accenni appena a quei temi che avrebbero potuto renderlo più incisivo. Forse la voglia di insistere sugli aspetti più uncanny (come dimostra la cura con cui è stata progetta Dren nelle varie fasi del suo ciclo vitale) ha fatto perdere di vista alcuni aspetti meno estetici ma più profondi. Ma in fondo, forse fare cinema è come ricerca, e bisogna sempre cercare di essere catchy per stare a galla.

L'astensione è l'unico voto puro

Su Unknown to Millions non si parla di "politica". Si parla poco anche di attualità, salvi i casi in cui i fatti recenti si collegano ai temi più specifici del blog. Quindi è un caso davvero eccezionale che questo post si occupi di argomenti del genere, ma nel fervore che sta iniziando a diffondersi tra giornali, tv, radio e precaritaddidio social, ho scorto un paio di dichiarazioni che mi hanno indotto a una riflessione.

Parliamo di astensionismo, inteso in senso lato come "rifiuto del voto", che può esprimersi col disertare le elezioni, oppure partecipare ma consegnare scheda bianca o annulata. L'astensionismo come scelta consapevole di voto non è ammessa nella società civile, è un tabù che viene insegnato fin da piccoli, quando alle elementari si studia educazione civica. Molto spesso, chi si dichiara astensionista viene trattato come un ateo viene trattato da un religioso: l'astensionista è vigliacco, vuoto dentro; non comprende la scala di valori naturale del mondo; non merita il bene che gli arriva perché non ha fatto niente per ottenerlo; dovrebbe essere privato dei diritti fondamentali perché rifiuta il sistema di cui fa parte.

È mia intenzione invece dimostrare come l'astensione sia l'espressione di voto più ideale e compatibile con i principi della democrazia. Per arrivarci, facciamo un passo indietro.

Il voto di scambio è la pratica con cui un elettore "vende" il suo voto in cambio di un vantaggio personale e immediato. Io ti do duecento euro, tu mi voti. Come tutti sanno il voto di scambio è vietato in tutte le sue forme, non solo quando viene effettivamente compiuto ma anche solo promesso (ricordate le polemiche di qualche mese fa su De Luca e la sua frittura di pesce?). Il voto di scambio è l'antitesi della democrazia.

Il punto è che, a ben pensarci, qualunque voto è un voto di scambio.

Mi pare un concetto estremamente banale. Per definizione, se voto il partito/candidato X, è perché mi aspetto che il suo operato mi porti un vantaggio. Non sarà un vantaggio immediato, come un mazzetto di banconote, ma comunque qualcosa che ritengo mi farà stare meglio. Come abbiamo già visto (e come è stabilito dalla legge), non è necessario che la transazione si compia perché si configuri la fattispecie del voto di scambio, basta la promessa. Dire "Se mi voti ti duecento euro" è già reato, anche se poi non avviene.

Ora facciamo un test: segue una serie di affermazioni, il candidato contrassegni quelle che sono qualificabili e perseguibili come voto di scambio.

Se mi voti ti do duecento euro
Se mi voti ti regalo una bicicletta
Se mi voti ti faccio assumere in comune
Se mi voti ti offro una frittura di pesce
Se mi voti non ti faccio pagare il bollo auto
Se mi voti non ti taglio la pensione
Se mi voti ti condono il box auto abusivo
Se mi voti aumento i dazi sulle importazioni
Se mi voti non faccio più entrare immigrati
Se mi voti legalizzo la cannabis

Dove tracciamo la linea? Fin dove queste promesse sono lecite e quando invece sono l'espressione della peggior forma di corruzione? E in ultima analisi, ha davvero senso un ragionamento del genere?

È ovvio e scontato che qualunque voto viene diretto in base agli interessi personali. È l'assunto su cui si basa la politica moderna, è la base di tutte le campagne elettorali da un paio di secoli a questa parte. Se io elettore ritengo più utile per me ricevere subito duecento euro, perché devo essere colpevole rispetto a chi invece vota perché vuole avere il reddito di cittadinanza? Ma anche se non si parla di corrispettivi economici diretti, se sono un imprenditore e indirizzo il voto verso il partito che ha promesso di ridurmi la tassazione, non sto facendo lo stesso ragionamento, solo più a lungo termine? Entrambe le scelte sono legittime, o per lo meno, a livello razionale se una è reputata legittima deve esserlo necessariamente anche l'altra.

Si può obiettare che votare non è solo ricercare il proprio interesse ma anche affermare dei principi, sostenere degli ideali. Benissimo. Ma questo non fa che spostare il problema. Perché l'affermazione dei miei ideali è comunque un vantaggio che perseguo in maniera egoistica. Se sono Henry Ford, il mio principio è lo sfruttamento capitalistico delle masse, e voterò in modo da realizzarlo; se sono Mohandas Gandhi voglio ottenere la pace tra i popoli e voterò in modo da realizzarla. In entrambi i casi, il mio voto per quanto idealistico punta a far prevalere la mia visione del mondo, il mio progetto. E per quanto nobile e utopistico, tale progetto sarà sempre contrario agli interessi di qualcuno, e quindi il mio tentativo di imporlo è comunque una forma più subdola di ottenere un vantaggio personale a discapito di altri.

Per rimanere coerenti, questa linea di pensiero non ha nessun limite. Qualunque espressione di voto ricade nello stesso tipo di ragionamento egoistico di fondo. Ne consegue che esiste un unico modo per esprimere un voto scevro da condizionamenti egoistici: il non voto.

In quanto astensionista, evito di imporre ad altri la mia visione del mondo, rifiuto di cercare il mio tornaconto, ideologico, sociale o economico che sia. Lascio che a scegliere siano gli altri, ognuno secondo le sue propensioni, e in questo modo affermo nel modo più diretto il diritto universale all'autodeterminazione di ogni uomo. È una sorta di nirvana elettorale, il raggiungimento di uno stato di non-individualità che è la più importante affermazione di sé.

Provate a immaginare un'utopia in cui tutti comprendono questa verità palese e decidono di non votare: un mondo libero e sano, privo di acredine, sotterfugi, malumori. Una società serena in cui non serve continuamente correre, spingere e calpestare la fazione opposta.

Ma si sa, ogni popolo ha il governo che si merita. E noi, ora come ora, ci meritiamo la democrazia.

Rapporto letture - Dicembre 2017

Arriviamo all'ultimo rapporto letture del 2017, che sarebbe l'occasione ideale per fare un bilancio dei libri consumati nell'anno appena finito: quanti sono, quali i migliori, distribuzione geografica degli autori, voto medio... tutti dati molto interessanti che vi lascio scoprire da soli scorrendo i vecchi post. Credo che per un po' farò a meno delle statistiche, anche perché comincio il 2018 con la ferma idea di non usare più aNobii (dopo dieci anni di fedeltà) vista la cronica inaccessibilità del portale; dall'altro lato, approdare su Goodreads richiederebbe un investimento iniziale di tempo troppo elevato.

Quindi è bene che parli di questi libri finché li ho in mente, perché non avrò una memoria di backup da cui recuperarli.


Il primo libro di dicembre è stato Laguna, l'ultimo romanzo pubblicato da Zona 42 e prima apparizione italiana di Nnedi Okorafor, autrice americana di origine nigeriana che sta emergendo parecchio negli ultimi anni, sprattutto per il suo apporto di "afrincanità" alla narrativa di fantascienza, tanto che qualcuno inizia a parlare di qualcosa come afrofuturismo. Laguna è sulla carta la storia di un'invasione aliena: un'astronave atterra nell'oceano al largo di Lagos, e i suoi occupanti iniziano a interagire con i terrestri, umani e non. La storia è raccontata principalmente dal punto di vista di tre protagonisti (una biologa marina, un soldato, un rapper), ma ci sono anche altri personaggi che compaiono ogni tanto che danno una visione corale dell'evento. L'invasione è di fatto pacifica, ma questo non significa indolore, perché gli alieni per loro stessa ammissione "portano cambiamento", e a non tutti il cambiamento piace. Il romanzo è molto interessante, anche per il modo in cui la quotidianità di una città come Lagos viene resa attravesro i protagonisti, cosa che induce un doppio senso di straniamento nel lettore europeo/americano. La struttura stessa della storia non segue con cura i costrutti della narrativa occidentale, si sente l'influenza di una tradizione diversa (quelle fiabe africane per noi sconclusionate e incomprensibili), e gli stessi contenuti scivolano dalla fantascienza a qualcosa di meno definito, un "realismo magico" di qualche tipo se proprio lo si volesse inquadrare. La cosa che mi ha un po' insospettito, è che per un romanzo che ci tiene tanto a sconvolgere l'ordine precostituito, insiste forse troppo sulla Nigeria come terra dei sogni e delle utopie, tanto che lo stesso Presidente della Nigeria diventa un personaggio centrale nella storia, un po' come di solito succede per il Presidente USA. Se davvero vogliamo cambiare, che stiamo ancora qui a ragionare di nazioni e presidenti? Voto: 7/10

In seconda posizione abbiamo l'ultimo libro della serie di Philip Pullman His Dark Materials. Dopo Northern Lights aka The Golden Compass e The Subtle Knife, arriviamo infine a The Amber Spyglass, che da sé è quasi lungo quanto gli altri due messi insieme. Alla fine del secondo romanzo le cose non sembravano messe bene, e riapriamo qui poco tempo dopo, con Will e Lyra separati, e uno scontro epico tra i mondi che si prepara ad esplodere. Succedono davvero tante cose, forse non tutte così necessarie alla fine dei conti, ma lo scorrere delle pagine è sempre piacevole con l'alternarsi dei personaggi. Will e Lyra prima di tutti, ma anche Mary Malone, che si trova a vivere in mezzo a delle strane creature con le ruote, Lord Asriel e Mrs Coulter, e diversi altri ancora. Lo schieramento di esseri fantastici si infittisce ancora, con angeli, arpie, fantasmi, gallivespiani ecc, tutti schierati nel conflitto che si sta preparando per sovvertire l'ordine cosmico, ovvero uccidere Dio in persona (detto anche "L'Autorità"). La cosa fenomenale è che quando si arriva all'apice di questo conflitto, in realtà accade quasi in sordina, vediamo la battaglia di sfuggita, e si apprende solo in seguito cosa è successo. Segue un lungo epilogo in cui Will e Lyra tornano ai propri mondi e cercando di ristabilire una vita normale. Questo terzo e ultimo libro è molto stratificato e complesso, evolve in molte direzioni non sempre fruttuose e finisce con una nota dolceamara. Senza dubbio merita la lettura, ma devo ammettere che il secondo capitolo mi aveva catturato di più. Voto: 7.5/10


Infine, una cosa mai avvenuta prima: ho letto un fumetto! Consigliato da qualcuno che aveva ravvisato delle somiglianze tra DTS e questo albo, mi sono fatto prestare Il lungo addio, numero non-so-quale-ma-molto-vecchio di Dylan Dog, scritta dallo stesso Tiziano Sclavi. Ci sono in effetti delle suggestioni simili a quelle che si possono trovare nel mio libro, come il ritorno a un luogo familiare che è cambiato, una relazione interrotta e ripresa, l'esplorazione di una realtà che-avrebbe-potuto-essere. Però, sarà che non sono abituato ai fumetti, ma non sono riuscito a godermelo. Mi pare di avere soprattutto un problema coi tempi narrativi, che si sviluppano in modo diverso rispetto a un romanzo o anche a un film. Mi sono trovato in difficoltà a seguire le tavole con la giusta cadenza e comprendere il ritmo della storia, ma sicuramente è un problema mio. Immagino che come molte forme di arte/comunicazione, il fumetto sia qualcosa che bisogna imparare a conoscere per poter essere apprezzato, e io per adesso ne sono molto lontano.

La sfida a... Dimenticami Trovami Sognami (ebook)

Primo post del 2018, yuppi-yuppi-yadda-wadda-yuuu, e lo sfrutto per una breve segnalazione che non riguarda direttamente un mio lavoro.

Se ricordate bene, qualche mese fa avevo annunciato la partenza sul forum di Minuti Contati a un contest dedicato al mio DTS, che prevedeva la scrittura di testi che contenessero una serie di elementi tratti dal romanzo. La competizione si è conclusa nelle settimane successive, e da pochi giorni è disponibile l'ebook gratuito che raccoglie i racconti migliori usciti dal concorso.


http://www.minuticontati.com/book-la-sfida-dimenticami-trovami-sognami/


Il volume contiene racconti di Eugene Fitzherbert (vincitore del contest), Francesco Capozzi, Angelo Frascella e Valter Carignano. È scaricabile liberamente su varie piattaforme, potete raggiungere i link appositi dalla pagina del libro.

Buona lettura, e con l'occasione vi ricordo di fare un giro sulla community di Minuti Contati che promuove spesso iniziative interessanti (come il contest live a cui ho partecipato a inizio dicembre).