Rivedere i film da adulti

Non vorrei che il titolo di questo post fosse letto con l'enfasi sbagliata: non si parla di "film da adulti", di quelli che danno dalle 22 in poi su Cielo, ma di film di qualsiasi genere, rivisti in età adulta.

Tutti abbiamo dei film che da bambini/ragazzini abbiamo visto e rivisto fino a imparare le battute a memoria. O almeno, tutti quelli fino alla mia generazione. Non so le leve da 2000 in poi come se la passano in questo senso, per dire, non so nemmeno se capiscono le citazioni dei Simpson che per me fanno parte del patrimonio culturale dell'umanità, ma questo è un altro discorso. Partiamo dall'assunto che esistono dei film che conosciamo alla perfezione, immagine per immagine, parola per parola, nota per nota. Quelli che quando avevamo otto, dieci, dodici anni continuavamo a riavvolgere e rivedere fino a smagnetizzare il nastro delle VHS. Il punto è: li conosciamo davvero, quei film?

Mi è capitato in tempi recenti di rivedere alcuni di questi film iconici della mia infanzia. E nonostante, appunto, conoscessi perfettamente il loro svolgimento mentre mi si presentava davanti, riguardandoli li ho capiti in modo del tutto diverso. Mi si sono presentati una serie di temi e significati che forse proprio in ragione della mia giovinezza non avevo colto. Facciamo un esempio pratico con tre di questi, sono film della metà degli anni 90 che hanno avuto un buon successo e sono ormai considerati dei cult: Jurassic Park, Jumanji, Independence Day.

Con Jurassic Park forse è più facile. Quando sei un ragazzino vedi i mostri, vedi gli inseguimenti e i raptor furbi come gatti. Questo è tutto quanto ti serve a farti contento, ed è ragione sufficiente a premere replay over and over. Ma rivisto adesso, con gli occhi di un adulto, noti che i dinosauri non sono il centro tematico della storia. Non sono nemmeno il vero nemico. Certo bisogna essere piuttosto superficiali per non capirlo, visto che ci sono una serie di battute che rendono la cosa piuttosto esplicita, durante il primo pranzo degli ospiti al parco, quando tutti gli invitati di Hammond si oppongono al suo progetto. Il tema è quello dell'illusione del controllo, di come sia facile credere di avere un potere sul mondo (animali, persone, eventi naturali) che invece può sgretolarsi in pochi istanti. La mancanza di controllo si manifesta da subito, quando durante il giro inaugurale i dinosauri non si mostrano ai visitatori, e in seguito la tempesta peggiora la situazione. Abbiamo poi il sabotatore interno all'azienda, un altro esempio di sottovalutazione, soprattutto per via della sua indispensabilità nella gestione del parco. Poi naturalmente i dinosauri, che non sono pericolosi in quanto "mostri", ma solo perché sono creature imprevedibili, di cui non sappiamo anticipare il comportamento nel mondo in cui si trovano. E poi si scopre che, ops!, anche il sistema di controllo sulla loro riproduzione non funziona. Nella seconda conversazione durante un pasto tra la dottoressa Sattler e John Hammond, il concetto viene ribadito, e si arriva alla conclusione che il controllo si può ottenere solo come illusione: era possibile forse al circo delle pulci, che era di per sé un'illusione, ma altrimenti non c'è modo di ottenerlo. Sarebbe semplicistico limitare la lezione di Jurassic Park a un monito contro i rischi della scienza. Certo, anche questo rientra nel tema, ma il film non è una parabola luddista. È l'arroganza umana, in termini più generici, a essere sotto accusa, perché tutti, protagonisti e anatagonisti, ne soffrono e tutti devono confrontarsi con essa, uscendone in modo tragico o vittorioso.


Passiamo a Jumanji. Ne ho parlato tempo fa quando è stato visto durante una Coppi Night, quindi posso rimandare anche a quel post per riprendere la mia interpretazione adulta della storia. Riassumendo, quella che si configura come un'avventura fantasy anche in questo caso con mostri e inseguimenti, funziona a un altro livello come metafora del rapporto tra genitori e figli. Lo vediamo fin da subito: il giovane Alan Parrish subisce la disciplina ferrea del padre e da questa cerca di sfuggire... salvo poi rimanere intrappolato nel gioco. Dall'altra parte, i due ragazzini degli anni 90 che riscoprono Jumanji sono orfani, ed entrambi elaborano il lutto convincendosi di aver avuto genitori terribili. Quando poi Alan torna nella civiltà, si accorgerà di usare con il piccolo Peter le stesse odiose parole che suo padre rivolgeva a lui. Ed è emblematico il fatto che il cacciatore della giungla che esce dal gioco per uccidere Alan è interpretato dallo stesso attore di suo padre (cosa che all'epoca non avevo notato).


Il caso di Independece Day è più complesso. Perché è un disaster movie dei più classici, quello che ha consacrato Roland Emmerich tra i registi più fracassoni del secolo, e una di quelle storie in cui il big american dream salva il mondo, perché chi altri può farlo? Pare difficile trovare un senso remoto in un film del genere, che è fatto apposta per spegnere il cervello e godere della distruzioni di quei cazzo di alieni tentacolati, tornatene a casa vostra EARTH FIRST!!! Eppure, a ben guardare, anche qui c'è un tema meno evidente, e lo si nota seguendo con più attenzione il background dei protagonisti. Il presidente (Bill Pullman), il pilota (Will Smith) e lo scienziato (Jeff Goldblum, anche qui) sono tutti dei falliti: sicuramente sono capaci, appassionati, ma non vengono presi sul serio. Lo scienziato viene considerato un paranoico, fissato per la tutela dell'ambiente, è stato mollato dalla moglie e non se ne fa una ragione; il pilota vorrebbe avanare di carriera per diventare astronauta ma viene continuamente scartato, e si è invischiato in una relazione con una stripper single-mother che non lo aiuterà; il presidente è accusato di inesperienza, non è al corrente degli affari della sua Nazione (non sa niente dell'Area 51) e viene continuamente scavalcato nelle decisioni dai suoi sottoposti: lo si vede bene nelle prime scene, in cui sono i suoi segretari a decidere come affrontare la minaccia, contraddicendolo apertamente. Anche l'ubriacone reduce del Vietnam che racconta di essere stato rapito si rivela alla fine come l'eroe determinante per la sopravvivenza dell'umanità. Ecco il tema nascosto, dietro gli abbagli dei laser ed esplosioni: la storia fatta dai numeri due, quelli che sono messi da parte perché reputati inadatti al loro ruolo. Certo questo non basta a fare di Independence Day un'opera di utilità sociale, ma contribuisce quanto meno a rendere la storia più avvincente.


Di seguito a questa riflessione, mi pare di vedere che questo secondo livello di interpretazione è quello che spesso manca nei sequel. Non ho visto il recente Jumanji quindi non parlo di quello, ma tutti i sequel di Jurassic Park (incluso il terribile Jurassic World, e non ho avuto ancora la forza di vedere Fallen Kingdom) e pure Independence Day Resurgence sembrano capaci di cogliere solo l'aspetto superficiale di queste storie, e non aggiungere nessun approfondimento, che poi non deve necessariamente essere lo stesso ma anche un tema diverso capace di dare più profondità alla storia e allo sviluppo dei personaggi. Invece no, come afferma il sempre profetico professor Ian Malcolm: "Siete saliti sulle spalle di altri per raggiungere questo risultato, e ora lo avete impacchettato e volete venderlo."

Conclusa la parentesi old man yells at people, vi invito a riprendere i film della vostra infanzia, quelli che siete convinti di conoscere alla perfezione, e rivederlo adesso, a distanza magari di vent'anni dall'ultima volta. Magari siete convinti di sapere tutto quello che contiene, ma come è successo a me potreste scoprire qualcosa, e apprezzarlo ancora di più. Ma occhio, non garantisco che sia una formula universale: può darsi anche che il vostro film preferito da bambini sia solo un film per bambini, e rivederlo distrugga i vostri dolci ricordi: i film di merda li sapevano fare allora come oggi. Procedete solo a vostro rischio, consapevoli di poter avere l'infanzia distrutta.

L'arco narrativo del Dodicesimo Dottore

Stanno uscendo in questi giorni i primi teaser e promo dell'undicesima stagione del NuWho, che vedrà il Dottore interpretato per la prima volta in più di cinquant'anni da una donna, ragione per cui molti associano il nuovo cacciavite sonico a un vibratore. Ma prima di buttarsi su questo soft reboot (nuovo Dottore, nuovi companion, nuovo Tardis, nuovo cacciavite, nuovo showrunner, nuovi autori, nuovo compositore...) potrebbe essere il caso di riguardare in prospettiva alle ultime stagioni, quelle del Dodicesimo Dottore di Peter Capaldi, e provare a capire cosa ha rappresentato nella storia della serie e del personaggio. È passato tempo a sufficienza dalla sua struggente rigenerazione da poter affrontare l'argomento senza lucciconi.

Disclaimer: Peter Capaldi è il mio Dottore preferito. E lo dico quando sono arrivato con pazienza a metà del periodo del Sesto Dottore di Colin Baker, e posso essere ragionevolmente sicuro che né il Settimo Sylvester McCoy né l'Ottavo Paul McGann potranno fare miracoli. Di conseguenza la mia analisi potrebbe essere in parte viziata da questa adorazione, ma prometto che cercherò di limitare le considerazion da fanboy.

Come abbiamo visto tempo fa, tutto il percorso dell'Undicesimo Dottore di Matt Smith è inscrivibile in un unico ampio arco narrativo, arrovellato su se stesso, presentato in ordine non cronologico e più volte retconizzato... ma comunque presente. Riesaminando invece il Dodicesimo Dottore, ci si accorge invece che una storia unitaria che abbraccia tutte le tre stagioni non esiste. Ci sono dei temi ricorrenti che sono risolti nel season finale (la Terra Promessa nella stagione otto, l'Ibrido nella stavione nove, la Cella con Missy nella stagione dieci), ma non c'è un unico plot che poi riannodi insieme tutti i fili. Quindi, di arco narrativo non si può parlare

A meno che non prendiamo in considerazione l'arco di trasformazione del Dottore stesso. Perché il Dodicesimo Dottore è forse quello più tormentato, più cupo ma anche più determinato, quello che si evolve maggiormente nel suo percorso. Proviamo a ripassare questo percorso.

Il Dodicesimo è il primo Dottore che sa cosa è successo a Gallifrey durante la Time War. In seguito agli eventi di The Day of the Doctor, Dodici "nasce" con la consapevolezza di aver salvato ma al tempo stesso perso per sempre il suo popolo. Non è un peso da poco, perché fin dall'inizio abbiamo seri dubbi sul fatto che questa incarnazione del Dottore sia "buono" nel senso classico. Tutti i Dottori hanno le loro ombre, ma quella di Dodici sembra più scura e meno timida delle altre. Tutta l'ottava stagione porta avanti questo tema, il tentativo del Dottore di capire se è davvero un buono: lo chiede a Clara, esplicitamente: "Am i a good man?" e lei non gli sa rispondere (forse ancora un po' turbata dalla trasformazione del piacione Undicesimo in questo vecchio zio scorbutico). Nel suo primo episodio, Capaldi potrebbe aver ucciso il suo nemico buttandolo nel vuoto (non ci è dato di saperlo, ma io propendo per questa ipotesi); nell'episodio successivo, un Dalek lo riconosce come suo simile per l'odio che porta dentro di sé; in seguito il Dottore dimostra più volte la sua scarsa considerazione per i piccoli umani che chiedono il suo aiuto, e arriva quasi a farsi ammazzare da Clara che sopporta la sua indifferenza. È solo nel finale della stagione che di fronte all'esercito di cyberman e al ritorno del Master nella sua versione femminile, arriva alla realizzazione di non essere né buono né cattivo, ma solo un qualunque idiota che commette errori.

Nella nona stagione ritroviamo il Dottore in crisi. Forse per la sua rottura con Clara (presto riparata per esigenze di produzione, ma probabilmente nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto uscire di scena dopo lo speciale di natale), il nuovo scontro con Missy e l'incontro con il giovane Davros, pare che si sia rassegnato al suo declino e stia solo aspettando la fine. Una sorta di crisi di mezza età con tanto di chitarra elettrica, capelli in disordine e occhiali da sole. Il suo cinismo inizialmente continua a esondare, ma quando si accorge a più riprese di come il suo intervento influenza la vita delle persone, raggiunge un altro momento di epifania. È allora che capisce anche la ragioen per cui porta il viso del pompeano che ha salvato tanto tempo prima, quando la sua faccia era quella di David Tennant: "I am the Doctor, and i save people". Questa sua determinazione a voler salvare l'insalvabile lo porterà al limite estremo, fino a tentare di impedire la morte (meritata) di Clara. Anche il ritrovamento di Gallifrey e il confronto con i Time Lord passerà in secondo piano rispetto a questo.

Questa nuova attitudine proseguirà anche nella decima stagione, e anzi la sua voglia di fare la cosa giusta si estende anche a Missy, che cercherà di redimere e che costituirà il suo metro di paragone per capire se le sue azioni hanno un peso. Il suo discorso finale ai due Master "Who i am is where i stand; where i stand is where i fall" è la sintesi della consapevolezza che raggiunto, l'idea finale che la sua persona è definita da ciò che decide di difendere, pur senza ricompensa, senza speranza, senza testimoni. E stavolta parla sul serio di morte, perché quando arriva il momento in cui il suo fisico non lo regge più e vorrebbe rigenerarsi, è lui a volerlo impedire. Non per paura di morire, non per vanità o perché pensa di poter ancora fare molto come all'epoca del Decimo, ma per non cambiare: per non dover riniziare da capo il percorso che lo ha portato a emergere da una profonda crisi e a capire di nuovo chi è. Questo Dottore vuole semplicemente morire, perché sente di aver raggiunto un punto di equilibrio con se stesso. Ha la forza di farlo ancora? Ovviamente sì, lo sappiamo, ma è una scelta molto sofferta, tanto che prima di andarsene ha l'accortezza di lasciare al suo successore alcuni preziosi consigli.

Tutto questo arco è a mio avviso ineguagliato da qualsiasi altro Dottore, e fa del Dodicesimo quello con la storia più interessante, perché è un percorso di crescita, di presa di coscienza, di cambiamento, che nessuno aveva dimostrato prima. Secondo un'altra interpretazione che ho letto tempo fa da qualche parte (probabilmente su qualche subreddit), ogni stagione del Dodicesimo Dottore mostra un personaggio che cerca di diventare come il Dottore: nell'ottava stagione è il Dottore stesso, dopo la rigenerazione; nella nona è Clara; nella decima Missy. Come chiave di lettura può funzionare, ma secondo me rimane comunque valido l'intero arco di trasformazione proposto prima.

Con ciò non voglio dire che il periodo del Dodicesimo Dottore sia perfetto. Anzi. Ci sono degli abissi davvero bui, con alcuni degli episodi più brutti della serie moderna (Sleep No More, In the Forest of the Night). L'ottava stagione soprattutto è stata influenzata da un cambio troppo brusco del protagonista: molte delle storie sembravano scritte per il Dottore sornione di Matt Smith, piuttosto che quello ruvido di Capaldi. E nonostante l'eccellente spirito di adattamento dell'attore, le stonature si notano. Inoltre anche le continue incertezze sulla presenza o meno di Jenna Coleman hanno portato a una volatilità del personaggio di Clara, che sembra cambiare negli atteggiamenti e intenzioni da una stagione all'altra.

È noto che in queste ultime tre stagioni gli ascolti di DW sono calati, non in modo drammatico ma comunque costante. Probabilmente la scelta di un Dottore anziano, incollocabile nelle fanfiction e nei sogni di ship dei fan (Tennant e Smith hanno giovato molto di questa loro piacevolezza estetica), ha allontanato una parte di pubblico giovane che fino a quel momento aveva seguito il Dottore. La scelta di Steven Moffat di prendere Capaldi in questo senso è stata audace, e ha permesso quanto meno di riportare in scena un Dottore maturo, refrattario al romanticismo di cui il personaggio si era ammantato fin dall'epoca di McGann. Mi permetto quindi di suggerire un percorso essenziale degli episodi dell'epoca di Capaldi da vedere per potersi mettere in pari prima dell'arrivo di Jodie Whittaker. Quelle che elenco sono le puntate essenziali per poter seguire questo percorso del Dodicesimo Dottore, scansando il materiale meno funzionale. Tra quelle elencate compare anche qualche puntata mediocre, ma che contiene elementi necessari per poter seguire lo sviluppo del personaggio.

Stagione 8: Deep Breath, Into the Dalek, Listen, The Caretaker, Kill the Moon, Dark Water/Death in Heaven

Stagione 9: praticamente tutta tranne Sleep No More, essendo interamente composta da episodi doppi tutti significativi

Stagione 10: The Pilot, Thin Ice, Oxygen, Extremis (tecnicamente questo è il primo di un tre-parti, ma le due successive si possono evitare), World Enough and Time/The Doctor Falls, Twice Upon a Time


Forse prima dell'inizio della nuova stagione dedicherò un post anche a una retrospettiva sull'intera era di Moffat a capo della serie, per cercare di capire se al netto delle critiche si possao considerare un periodo positivo o no. Ma non vorrei addentrarmi troppo nei territori del fandom rabbioso, per cui non prometto niente.

Il lettore universale

Signori, ci siamo. Nei mesi scorsi avevo lanciato qua e là qualche indizio di una prossima uscita, e finalmente esce davvero. Con un po' di ritardo dovuto a disavventure tipografiche, è da oggi disponibile Il lettore universale, raccolta di sei racconti pubblicata da Moscabianca Edizioni, con copertina e illustrazioni bonus interne di Simone Peracchi.



Il lavoro su questo volume, tra letture, revisione, editing, illustrazione, impaginazione, natale pasqua epifania più imprevisti vari (per dire, ho trovato il tempo di sposaremi e fare un giro in Guatemala) è durato circa un anno. I racconti presenti nel volume sono una sorta di retrospettiva sulla mia produzione breve, visto che ci sono testi già editi risalenti anche a parecchi anni fa. Addiritura il racconto che dà il titolo alla raccolta è stato uno dei miei primi pubblicati in assoluto, con il quale mi classificai terzo a una edizione del Trofeo RiLL (2010 o giù di lì).

Eh ma che palle, un libro di ristampe?

Obiezione lecita, ma non è proprio così. Innanzitutto "ristampa" è un termine improprio quando si tratta di mettere insieme racconti sparsi nel tempo e nell'editoria. Tra raccolte di premi letterari e autopubblicazioni sfido chiunque a recuperarli tutti. Nemmeno io sono sicuro di dove si potrebbero trovare, e anche rintracciandoli sarebbero probabilmente libri irrecuperabili. In secondo luogo, tutti i racconti sono stati pesantemente rivisti e rieditati. Alcuni sono stati in buona parte riscritti, mantenendo l'idea di fondo e i personaggi. Questo colossale lavoro di editing è stato seguito da Leonardo Munzlinger, che con pazienza e rigore mi ha iniziato alla via della Scrittura Immersiva™, che sto tuttora approfondendo. Credo che le mie storie (queste, ma anche quelle scritte in seguito) ne abbiano guadagnato in termini immisurabili, e per questo ringrazio per tutto il tempo e l'attenzione che mi è stata dedicata. Vi segnalo peraltro che se volete usufruire dell'acuto occhio critico di Leonardo potete contattarlo sulla sua pagina di editor.

Due parole voglio spenderle anche su Moscabianca, che ha dato la vita a questo libro. Il Progetto Moscabiana è nato a fine del 2016, dalla voglia di fare di due ragazzi romani già familiari con il mondo dell'editoria e canali affini. Sono partiti praticamente da zero con questa idea e nel tempo l'hanno plasmata secondo le loro esigenze, scontrandosi con gli inevitabili ostacoli tecnico-burocratici. Il lettore universale è di fatto il primo libro nel loro catalogo, ma ne arriveranno presto altri e alla narrativa si affiancheranno anche graphic novel e giochi da tavolo. Teneteli d'occhio sulla loro pagina facebook, e se ci sarete passate a trovarli a Stranimondi, la loro prima uscita pubblica! Da parte mia posso dire che mi piace sempre nell'ambito delle mie limitate possibilità contribuire a queste piccole e virtuose realtà. In effetti anche Spore faceva parte del tris inaugurale di libri pubblicato dalla Factory Editoriale I Sognatori, e Dimenticami Trovami Sognami era il primo titolo italiano di Zona42 che partiva per non pubblicare titoli italiani, quindi il ruolo di apripista ormai ce l'ho nel curriculum. Che poi sia anche bravo a ricoprirlo, non spetta a me giudicarlo...

E insomma ho chiacchierato tanto ma alla fine non ho detto nulla di cosa c'è in questo libro. Che roba è? Racconti? Ma di che genere? Allora, una cosa su cui io e le mosce bianche siamo d'accordo è che incastrarsi in un genere è controproducente. Ma poi è anche vero che bene o male si sa quello che scrivo, quindi di certo non c'è da aspettarsi un giallo da ombrellone. Basti sapere che c'è della fantascienza, ma c'è anche qualcosa di vagamente urban fantasy; ci sono dei futuri ma c'è anche il presente; ci sono alieni ma anche dèi. Vi lascio i titoli dei racconti e poi le info sul volume. Ne Il lettore universale troverete:

Il lettore universale
Spore
En prison
Il raccolto
Voi demoni
Momento per momento 

Il libro è disponibile sia in cartacoe che in ebook sul sito di Moscabianca e su tutti gli store soliti. Sarà poi presente distribuito in librerie indipendenti e catene come Feltrinelli, Mondadori e Ubik, ma sapete bene come i microeditori siano schiacciati all'interno di questi megastore. Un'altra buona occasione per recuperare questo e gli altri titoli imminenti nel catalogo di Moscabianca sono gli eventi a cui l'editore sarà presente nei prossimi mesi, a cominciare da Stranimondi a Milano, dove probabilmente ci scapperà anche la prima presentazione.

Grazie a chi avrà la voglia di leggermi ancora.

Rapporto letture - Giugno 2018

Un rapporto più scarno del solito, visto che a giugno ho assimilato solo due libri. Certo uno dei due ha una volumetria notevole, ma il fatto è che come già ho potuto segnalare più volte, a me l'estate fa calare i ritmi di lettura, a differenza del resto del mondo.


Il primo libro letto è una raccolta di tre racconti di Claude Lalumière, riunite sotto il titolo Altre persone, pubblicata dalla solita Future Fiction. Le "altre persone" del titolo sono una razza di umani diversa dall'homo sapiens che emerge in un futuro postapocalittico (ma poi forse sono persone anche i cani?), oppure quelle allevate nell'ultima storia sul "trattamento etico della carne" in una società di zombie (o similari) antropofagi. Racconti che stimolano alla riflessione, soprattutto sui confini di ciò che giudichiamo simile a noi, e su quanto realmente siamo in grado di autodefinirci. Come nella migliore fantascienza, il trucco sta nel rovesciamento di prospettiva, facendoci vedere noi stessi dal punto di vista di altri, che siano o meno "persone" in senso stretto. Voto: 7.5/10


Il volume cospicui è una raccolta di racconti weird, curata da Laird Barron e Michael Kelly e portata in Italia qualche anno fa da edizioni Hypnos con il titolo Nuovi incubi. L'antologia si apre con una buona prospettiva su cosa sia il genere weird, e mi pare di capire che nemmeno loro ne sanno dare una definizione precisa: il weird è una sorta di state of mind che si adatta a storie inquadrabili in altri generi come la fantascienza e l'horror, lo slipstream o il realismo magico. Gli stessi racconti presenti ne sono prova, dato che spaziano con agilità tra invasioni di topi, fantasmi, dimensioni parallele, mostri ed entità non meglio identificate. In buona parte i racconti sono validi, tranne un paio che ho faticato davvero a leggere per via di una prosa davvero pesante e un contenuto vago e poco stimolante come Bor Urus di John Langan. Ci sono in compenso un paio di perle, come Fox Into Lady di Anne-Sylvie Salzman, L'anno del ratto di Chen Qiufan e SWIM se va così male come pensa SWIM di Paul Tremblay. In ogni caso, etichette a parte, si tratta di storie che riescono a smuovere qualcosa, con strumenti differenti ma per lo più efficaci. Da apprezzare inoltre la numerose note di traduzione che permettono di interpretare meglio le intenzioni originali degli autori e cogliere le numerose citazioni presenti. Voto: 7/10

Perché la seconda stagione di Westworld è migliore della prima

Il titolo del post è volutamente provocatorio, e so che farà drizzare le antenne a molti. La seconda stagione di Westworld, conclusa un paio di settimane fa, non è stata accolta con lo stesso entusiasmo della prima, uscita nel 2016. Quella che si era rivelata come la serie più ambiziosa degli ultimi anni (a turno era il nuovo Game of Thrones e il nuovo Lost), a detta di buona parte del pubblico ha inciampato su se stesse e ha perso parecchio del suo valore. Io credo invece il contrario, e ritengo che la seconda stagione sia stata non solo una conferma, ma anche un passo avanti rispetto alla prima. In questo post proverò a spiegare perché, certamente non prima di aver piazzato un vistosissimo SPOILER ALERT, perché dovrò necessariamente riferire alcuni punti della trama vista finora. Se non siete in pari con la scena post-credit dell'episodio 10 della stagione 2, andatevene di qui.

È noto che la seconda opera di un artista è sempre la più difficile. Quando con il tuo primo lavoro hai conquistato il pubblico, ottenuto una reputazione e create delle aspettative, rimanere all'altezza di tutto questo è impresa tutt'altro che facile. La prima stagione di Westworld è stata unanimante riconosciuta come uno show di estrema qualità: ben fatto, ben costruito, dalle idee forti e storia coinvolgente. Due anni dopo, le aspettative erano al massimo e non tutti sono rimasti soddisfatti. Ma in realtà la seconda stagione è stata più che all'altezza, se considerata in prospettiva.

Partiamo dall'aspetto più semplice: per quanto riguarda il comparto "tecnico", da regia a recitazione, da costumi a soundtrack, il livello è rimasto lo stesso, molto alto. Qua e là ho notato qualche sprazzo di fotografia davvero ispirata, ma ammetto di non ricordare frame by frame la prima stagione quindi consideriamo un pareggio su questo fronte. Una cosa che non si potrà mai dire di Westworld  è che sia un prodotto raffazzonato.

Ora veniamo a uno degli aspetti centrali. L'arco narrativo complessivo della stagione. Per stessa ammissione dei due sceneggiatori, Johnatan Nolan e Lisa Joy, l'idea di Westworld è quella di stagioni sostanzialmente autoconcludenti, con trame che si accavallano ma senza misteri inspiegabili fino all'ultimo episodio. In questo prendono le distanze da Lost, che invece sul continuo gioco al rialzo di misteri ha fatto la sua fortuna e trovato la sua rovina. Se ogni stagione è autoconclusiva, allora la prima stagione era molto semplice: fin dall'inizio disquisiao di intelligenza e coscienza, e sappiamo che il punto di arrivo sarà quello del risveglio degli host. Le modalità possono essere le più varie, e come sempre in una buona storia conta più il come che il cosa, ma il percorso è semplice: da robot schiavi a entità coscienti che si ribellano. Quel colpo di pistola alla testa di Robert Ford era una conclusione quasi naturale. Molto bene, e ora che la rivolta è iniziata, che facciamo? Davvero vogliamo fare un'intera stagione di robot uprising, esseri artificiali contro umani? Come se non si fosse visto in decine di film anche di infima categoria... no, il percorso stavolta doveva essere diverso, doveva portare necessariamente a un nuovo cambio di prospettiva. Stavolta non si è chiesto a pubblico di interrogarsi su quando un robot diventa un uomo, ma il contrario: quando un uomo è davvero un uomo. Ed era un punto tutt'altro che facile da rendere e far passare come messaggio.

C'è anche da considerare che la trama di questa stagione non si fondava su plot twist devastanti e WTF moment come quelli della stagione precedente. Che Bernard fosse un host, e che William e il pistolero in nero fossero la stessa persona in due momenti diversi, sono state rivelazioni forti. La seconda stagione, pur concedendo un twist nell'ultima puntata, non ne ha fatto il cardine della sua storia. Ed è molto facile basare un'intera narrazione su un rivolgimento finale che rimarrà stapato nella mente dello spettatore; più difficile convincerlo senza l'ausilio di espedienti narrativi.

I personaggi principali di questa seconda stagione (ma non solo loro) hanno avuto un percorso di trasformazione molto più marcato rispetto a quelli della prima. Se prendiamo come protagonisti principali della prima stagione Ford, Bernard e Dolores, ci accorgiamo che solo quest'ultima raggiunge un reale cambiamento. Tra i secondari, sicuramente c'è da considerare Maeve, mentre anche il cambiamento di William è meno deciso, visto che conosciamo già la sua evoluzione futura. Ma in questa seconda stagione, quasi tutti hanno compiuto un vero e proprio arco, che può averli portati anche al fallimento: Dolores, Teddy, Maeve, Bernard, Akecheta, William, e il mai compianto abbastanza Lee Sizemore. Tutti loro nel corso della stagione sono cambiati profondamente e lo stesso si può intuire di personaggi di contorno di cui abbiamo visto appena poche scene, come Logan e James Delos. Questo ha dato alla stagione un senso di compimento ben più ampio della prima, che a posteriori può sembrare quasi un antefatto di quanto invece accade qui.

Questa seconda stagione ha anche dedicato ancora più spazio al worldbuilding. Se in precedenza abbiamo visto principalmente il parco e gli ambienti interni dello stabilimento, con la seconda stagione abbiamo conosciuto anche il mondo esterno... e quanto meno sappiamo che un mondo esterno di fatto esiste. Conosciamo il modo in cui la Delos ha acquisito il parco, gli obiettivi di William, l'uso degli host all'esterno di Westworld, i progetti collaterali, l'evoluzione del parco e dei primi host che lo abitavano, e così via. Inquadriamo il tutto all'interno di un contesto più ampio, che servirà quando, com'è probabile, nella terza stagione buona parte dell'azione si svolgerà fuori da Westworld. E non dimentichiamo le incursioni nei parchi vicini!

Infine, c'è un ultimo dettaglio tutt'altro che secondario: Anthony Hopkins. La prima stagione ha potuto contare sulla presenza costante di un attore straordianrio in un ruolo perfettamente adatto alla sua espressività, e ne ha guadagnato in termini non misurabili. Dopo la sua morte alla fine della prima stagione, non era dato di sapere se lo avremmo rivisto. Io diffidavo di chi diceva che a essere stata uccisa fosse una sua copia, e che sarebbe ricomparso, e avevo ragione. La sua presenza nella seconda stagione è stata notevolmente limitata, quindi il suo apporto alla serie nel complesso è stato minore, e ha permesso ad altri attori di far valere le proprie capacità. Penso soprattutto a Jeffrey Wright (Bernard) e Ed Harris (Uomo in nero), ma anche Zahn McClarnon (Akecheta) e le brevi scene di Peter Mullan (James Delos) e Luis Herthum (Peter Abernathy).

Con tutto questo non voglio dire che sia stata una stagione perfetta. Ci sono sicuramente aspetti non del tutto chiari e soprattutto alcune incongruenze con quanto si sapeva dalla prima stagione. La necessità di operare la retcon per poter portare avanti la storia ha creato qualche problema di coerenza interna, di cui uno degli esempi più chiari è la presenza delle "unità di controllo" degli host, di cui non esisteva menzione in precedenza (tant'è che gli host difettosi come Abernathy e Clementine venivano lobotoizzati). Tuttavia il tentativo di far incastrare le nuove nozioni con quelle precedenti è stato per lo più efficace, come dimostra al contrario il lungo excursus storico di Akecheta, che riesce a ricontestualizzare la mitologia del labirinto, che già nella prima stagione era stata riscritta per problemi di produzione (l'attore da cui partiva la storia è morto dopo aver girato il primo episodio, per cui la storia è stata riadattata in seguito per escluderlo).

In definitiva, Westworld si conferma come uno dei progetti televisivi più ambiziosi. Forse è vero che a volte si compiace troppo della sua stessa qualità e intelligenza, e arriva quasi a strafare. Ma stiamo parlando di un prodotto di un livello decisamente più alto della media dei suoi concorrenti, e sarebbe sciocco squalificare una stagione che ha avuto il coraggio di muovere avanti una storia che a questo punto può portare ovunque. Come Person of Interest (anch'esso concepito da Johnatan Nolan), Westworld ha la potenzialità di condurre gli spettatori su territori completamente diversi da quelli in cui è nato, e questo dovrebe bastare a mantenere alta l'attezione su questa storia... ma potremo saperlo solo nel 2020.