L'avevo detto. Parlando di Extremis avevo ipotizzato come il mantra "without hope, without witness, without reward" sarebbe stato l'epitaffio del Dodicesimo Dottore. E così è stato: quando si lancia in battaglia, ormai solo, sapendo di non poter sopravvivere, sono queste le parole che rivolge a se stesso: senza speranza, senza testimoni, senza ricompensa. La virtù è vera solo alla fine di tutto.
The Doctor Falls è la fine di molte cose. La fine del Master... di nuovo. Di sicuro la fine di Missy e del Master/Saxon di John Simm, tornato solo per quest'ultima breve comparsa. Chiaramente c'è sempre spazio perché in futuro un'incarnazione successiva o precedente dell'arcinemico si ripresenti, ma per adesso, e probabilmente per un po', non lo vedremo più. Spiace solo che l'arco narrativo della conversione di Missy sia stato sfruttato così poco: emerso per pochi minuti nelle ultime puntate, non c'è mai stato modo di vederlo succedere, ci è stato raccontato che avveniva ma non ne conosciamo la vera ragione. Ma si può pensare che in realtà Missy/Master ci stesse già provando da molto tempo, fin da quando nel finale dell'ottava stagione si rivela e svela che il suo piano serviva solo a far sentire il Dottore come lei. Oppure come all'inizio della stagione nove, in cui cerca e assiste il Dottore durante il suo confronto con Davros. Forse negli ultimi anni, Missy non ha fatto altro che avvicinarsi a lui, perché il suo unico e ultimo desiderio era di poter rimanere al suo fianco, dalla parte giusta, almeno una volta.
È la fine dei due companion di questa stagione, Nardole e Bill. Il primo, per il quale fin dall'inizio avevo espresso estremo scetticismo, e che si è rivelato invece una controparte preziosa ed equilibrata: pragmatico, acuto, utile, e alla fine anche eroico. Forse c'è bisogno di altri compagni del genere, nel futuro del Dottore, un assistente più che un ospite, qualcuno di affidabile con capacità su cui contare, come è stato in passato per altri companion dell'era classica (umani e non). Quella di Bill è un'altra fine difficile da dimenticare. La companion arrivata in questa stagione, con i giorni (leggi: gli episodi) già contati, è riuscita comunque a conquistarsi un posto nella storia del Dottore e a sviluppare un suo arco narrativo credibile. Forse Bill è la companion che ha sofferto di più rispetto al poco tempo in cui ha affiancato il Timelord: l'apparente morte in Oxygen, la dittatura dei Monaci, e infine la conversione in cyberman alla fine di World Enough and Time. In quest'ultimo episodio la vediamo ancora in forma umana, ed è per questo ancora più straziante sapere che adesso è tutt'altra cosa, e non potrà mai tornare com'era. Certo, è un meccanismo simile a quello di quando abbiamo conosciuto Clara in Asylum of the Daleks, ma qui molto più drammatico. E allora, quando alla fine si ripresenta la pilota di The Pilot, come uno dei deus ex machina più letterali mai visti finora nel Doctor Who moderno, non è poi così terribile. Bill si è meritata questa fine, ha imparato e sofferto molto ed è giusto che possa finalmente essere felice.
The Doctor Falls non è la fine del Dodicesimo Dottore, anche se più volte lo si vede iniziare la rigenerazione. Eppure nonostante sia ancora in piedi, il Dottore forse è l'unico sconfitto.
Who I am is where I stand. Where I stand is where I fall.
Questa è la frase che usa per convincere il Master e Missy ad affiancarlo nell'ultima lotta, ma non basta. E sarà da solo a cadere, batendosi soltanto per guadagnare tempo e permettere una fuga temporanea a una manciata di sconosciuti. Non saprà mai che alla fine Missy stava per tornare, che aveva ragione lui a vederla cambiata. Non saprà mai che Bill in qualche modo non è finita carbonizzata nella tuta metallica di un cyberman. Tutto quello per cui ha combattuto, dal suo punto di vista, è stato vano.
Ed è per questo che si oppone alla rigenerazione. Questo Dottore non lo fa per vanità, il suo I don't want to go non è un capriccio. È un'affermazione di sé: non posso andarmene adesso, non ora che ho capito me stesso, che sto imparando a essere chi sono. Il Dodicesimo Dottore ha faticato fin dall'inizio a capirsi, tanto da doverlo chiedere: am i a good man? La risposta è arrivata forse troppo tardi, quando ormai era impossibile cambiare le cose. E allora il Dottore dice no e trattiene la rigenerazione come uno starnuto. Stavolta non si cambia, piuttosto si muore. Where i stand is where i fall.
The Doctor Falls non è un episodio perfetto. Perde molta dell'atmosfera claustrofobica di World Enough and Time. Ma è un ottimo finale di stagione, e una degna preparazione al saluto finale all'attuale Dottore. Molte cose avrebbero potuto essere ben più memorabili, viste le premesse. In particolare, sembra un po' sprecato il ritorno del Master di John Simm, che alla fine dei conti agisce molto poco. Non si capisce in effetti quale fosse il suo piano sull'astronave da Mondas, l'idea che avesse architettato e diretto tutto il progetto dei Cybermen è sfumata subito. Il confronto con il nemico non è epico come ci si aspetta da un season finale, in cui in genere è minacciato l'universo, o almeno tutto il pianeta Terra. Eppure questo può essere anche un aspetto positivo, perché vediamo appunto il Dottore battersi fino all'ultimo per qualcosa di relativamente poco importante, ma metterci comunque tutto se stesso.
L'incontro finale con il Primo Dottore, nell'interpretazione di David Bradley (che aveva interpretato William Hartnell in An Adventure in Space and Time) sembra avvenire durante The Tenth Planet, la storia in cui il Primo Dottore, confrontandosi con i Cyberman Mondasiani per la prima volta, è costretto a rigenerarsi. Anche il Primo sembra del tutto contrario all'idea, e probabilmente Uno e Dodici dovranno trovare insieme la forza per fare ognuno questo passo importante. Annullare se stessi, per continuare a esserlo. Sarà un'ultima grande occasione per Capaldi di far valere l'intensita del suo Dottore, certamente il più complesso e difficile da apprezzare, perché non ha mai fatto niente per risultare gradito. Ma so già che mi mancherà. Voto: 7.5/10
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