La vita vince sempre (tranne al Jurassic World)

Jurassic World è uscito da poco più di una settimana e già ha incassato stratilioni, piazzandosi nella top-qualcosa dei film di maggior successo ever. Il quarto capitolo della serie giurassica (anche se è idealmente un seguito diretto del primo Jurassic Park) ha catturato subito i fan di tutto il pianeta affascinandoli e sconvolgendoli... un po' quello che era il piano di John Hammond per il parco stesso (a dimostrazione che non servono i dinosauri veri, basta il "circo delle pulci"). Ora, diciamolo pure, Jurassic World è un film nel migliore dei casi mediocre. Ci sono validissimi motivi per ritenerlo un brutto film sotto tutti i punti di vista (narrativo, tecnico, scientifico, intrattenitivo), ma questa non è una recensione quindi non parleremo di JW in sé. Se comunque volete sapere cosa ne penso, potete leggere la recensione pubblicata dal paleontologo Andrea Cau sul blog Theropoda, che riassume bene o male le mie stesse impressioni.

Quello che mi interessava affrontare in questo post è quanto emerge come messaggio da Jurassic World, che cosa lo spettatore trae, in modo più o meno diretto, dalla visione. Certo, mi direte subito, non è un film fatto per avere un "senso profondo", è puro intrattenimento (anche se non ci riesce), quindi perché andare a cercare significati nascosti? Perché, di fatto, questi significati ci sono, ma sono così sommersi che probabilmente nemmeno chi ha realizzato il film si è accorto di averli inseriti. Non si tratta infatti di interpretazioni o metafore ma di paradigmi, strutture mentali occulte sul quale il film è stato costruito e che contribuisce a veicolare al pubblico.

No, non sto parlando del messaggio anti-consumistico anti-social, inserito con tanta grossolaneria nella prima parte del film che sembra di vedere una parodia. E nemmeno della possibile interpretazione metatestuale del film suggerita da qualcuno, secondo la quale JW parla in realtà della riproposizione di un franchise vent'anni dopo il suo successo iniziale, manovra ormai all'ordine del giorno nell'industria cinematografica. Questo potrebbe essere un arogmento interessante, ma non è quello che ci interessa, adesso.

Il vero tema nascosto è quello del rapporto tra "uomo e natura", il confronto sempre attuale tra i meccanismi che regolano la vita su questo pianeta e la possibilità e opportunità di alterarli. È chiaro che il film, come tutti quelli della serie, verte in modo centrale su questo argomento, e il messaggio immediato che se ne trae è "ci sono forze che non siamo in grado di controllare, e non dovremmo farlo". Fin qui tutto regolare, niente di nuovo, ma un messaggio sempre utile ribadire. Eppure ci sono delle sfumature ben diverse tra Jurassic World e il suo padre di una generazione prima, il Jurassic Park basato in maniera abbastanza diretta sul libro scritto da Michael Crichton. C'è una differenza fondamentale tra il film del 1993 e quello del 2015, ed è così sottile che in realtà non emerge alla prima visione. Proviamo a ripercorrere alcuni elementi essenziali delle due trame, che pur sviluppandosi con sequenze molto simili (a volte deliberatamente identiche) sottintendono un'interpretazione ben diversa.

In JP il parco dei dinosauri è in costruzione, e il milionario suo ideatore chiede la consulenza di qualche specialista prima di iniziare l'attività. Nello staff del parco c'è però una talpa, che ha intenzione di vendere il prezioso DNA mesozoico ad altri offerenti, e per farlo è disposto a scatenare il caos all'interno della struttura, liberando tutti gli animali per poter fuggire col bottino nel marasma conseguente. I visitatori si trovano così a confrontarsi con decine di bestie preistoriche in libertà, trovandosi spesso in situazioni di pericolo. Si scopre poi che nonostante tutte le misure di controllo (in particolare il sesso predeterminato per tutti gli animali clonati), i dinosauri hanno trovato comunque il modo di riprodursi. "La vita vince sempre", sentenzia all'inizio del film il teorico del caos, dottor Malcolm.

In JW siamo in parco già funzionante e aperto al pubblico, che però sta perdendo il suo appeal, e per calamitare di nuovo l'attenzione spinge le sue tecniche di splicing genetico creando un ibrido con svariati superpoteri. L'ibrido riesce a fuggire dal suo recinto e inizia a seminare morte e distruzione ovunque passa. I gestori del parco cercano quindi di fermarlo, impiegando tutti i mezzi a disposizione, ma falliscono quasi sempre, fino all'epica battaglia finale 3 vs 1 in cui l'ibrido viene eliminato, azzerando così tutti i disastri arrecati nel suo killing spree. "Servono più denti" è la frase che ha portato sia al problema che alla soluzione.

Può sembrare che le due trame in qualche modo convergano: in fondo si basa sempre di una situazione di pericolo creata dalla scarsca cautela di qualche persona troppo avida, con tutte le conseguenze del caso. Ma le differenze ci sono, e stanno tutte nel ruolo che gli umani assumono nelle due storie. Se è ovvio che ad innescare tutto c'è l'intervento dell'uomo (raccolta e replica del DNA di creature estinte), quello che succede una volta che i dinosauri tornano liberi è ben diverso nei due casi. In JP, per la maggior parte del tempo i personaggi umani sono coinvolti solo in modo collaterale, trovandosi in un ambiente poco familiare in cui animali poco familiari si muovono a loro piacimento. Il primo attacco del T-Rex ignora quasi del tutto i piccoli primati e si concentra quasi esclusivamente sull'automobile, oggetto apparentemente più consistente e appetitoso. In seguito sempre il T-Rex attaccherà dei gallimimus, e alla fine del film i velociraptor. Questi ultimi sono forse l'unica specie che mostra di avere un particolare accanimento per gli uomini, ma la cosa si può spiegare all'interno del film con la loro presunta intelligenza, e capacità di comprendere chi è stato a "imprigionarli". Per il resto, tuttavia, tanto nel film che nel libro da cui è derivato, ci si trova sempre di fronte a scene di "natura selvaggia" che risultano incidentalmente pericolose, come potrebbe esserlo un safari nella savana o una regata sul Rio delle Amazzoni. L'uomo è spettatore, e deve trovare il modo di salvarsi.

In JW la prospettiva cambia. L'ibrido mostra fin da subito la sua precisa volontà di uccidere, distruggere, e lo fa in modo creativo e deliberato. Attenzione, anche questo è opportunamente giustificato in-universe, con l'idea che la creatura sia stata progettata appositamente per essere intelligente e cattiva, e si comporta di conseguenza. Tuttavia, l'atteggiamento dell'Indominus (ho evitato finora di usare questo nome terribile, ma ero a corto di sinonimi) è fin troppo umano. E non solo il suo: i velociraptor che rispondono ai comandi, cambiano fazione, e poi si schierano di nuovo con il loro alpha, fanno lo stesso. Gli pterosauri liberati dalla voliera sembrano avere l'esclusivo obiettivo di calare sulle frotte di spettatori per catturarli. Anche il T-Rex (che come confermato dalle fonti ufficiali è narrativamente lo stesso del primo film) interviene solo quando convocato, fa la sua parte e se ne va con una quasi letterale strizzata d'occhio. Tutti i dinosauri di Jurassic World esistono e si muovo solo in funzione dell'uomo. Non hanno una propria volontà, pulsioni, spinte biologico-evolutive. Sono definite soltanto in base al loro atteggiamento verso gli uomini.

Questa è la differenza fondamentale tra i due film, ed è il paradigma dal quale gli autori sono (probabilmente in modo inconsapevole) partiti, portando in sala qualcosa che rafforza nel pubblico il suo già radicato pregiudizio specista. L'idea che l'uomo sia il gradino finale della scala evolutiva, e che questo si esprima a maggior ragione confrontandolo con creature estinte milioni di anni prima (anche su questo ci sarebbe da discutere, perché molti cladi di dinosauri sono di fatto tuttora viventi, ma questo è un altro argomento). Quella stessa distorsione che ci porta a rifiutare il fatto che discendiamo dalle scimmie, ignorando che questa affermazione è fondamentalmente errata.

Attenzione, quando mi riferisco al pregiudizio specista, non mi riferisco al concetto che "l'uomo è parte della natura" e quindi è tenuto a rispettarla e non alterarla. La specie umana, al momento, è indubbiamente in grado di decidere della vita di migliaia di altre specie, e questo la pone in un certo senso su un gradino più alto di molte di queste, ma solo in senso allegorico. La realtà dei fatti è che la vita, gli ecosistemi, l'intero pianeta, rispondono a leggi molto più antiche e incontrollabili, a cui noi stessi siamo sottoposti, e che prescindono in tutti i sensi dalla nostra volontà. In questo non siamo diversi da quei brachiosauri clonati che si trovano a brucare alberi cresciuti 80 milioni di anni dopo la loro morte. L'evoluzione è una staffetta*, e sì, dottor Malcolm, aveva ragione lei: la vita vince sempre, ma gioca sempre in squadra da sola.



*perdonate l'autocitazione

La Serra trema - San Miniato (PI), 26-27 giugno

Segnalo un evento che non mi riguarda direttamente, nel senso che non si tratta di una presentazione di uno dei miei libri. Avevo già fatto presente che a fine giugno sarei stato a questa manifestazione, e ora a pochi giorni dalla data d'inizio (scusate lo scarso preavviso) confermo il tutto.

La Serra trema è un evento dedicato all'horror, in particolare al cinema pseudoamatoriale, tant'è che la definizione completa è "Festival del cinema artigiano macabro rurale". Oltre al cinema il festival si interessa anche delle altre declinazioni dell'horror, come quelle letterarie e fumettistiche, e lo confermano la presenza di case editrici come Dunwich e il panel su Dylan Dog in programma. La manifestazione si svolgerà a La Serra, località di San Miniato che giustifica il termine "rurale" nella descrizione dell'evento, considerando che dista una decina di chilometri dal più vicino supermercato e forse il doppio dal più vicino cinema, tanto per fare un esempio. Ma è anche zona di tartufi e di cacciagione, e in questo periodo anche di girasoli, quindi lo sforzo per raggiungerla è pienamente ripagato.

Tra i vari partner dell'evento c'è anche la Factory Editoriale I Sognatori, ed è in veste di esponente del gruppo che sarò presente anch'io, e nello specifico interverrò direttamente (insieme ad altri colleghi) sabato 27, alle ore 17:30, per una mezz'ora di chiacchiere dedicate appunto al progetto della Factory e alle sue pubblicazioni più in tema con la manifestazione. Ora, I Sognatori non è una casa editrice specializzata in horror, ma l'ampiezza dei generi trattati (dalla fantascienza al thriller, dal fantasy allo slipstream al weird) mette a disposizione un bel po' di materiale di cui trattare. Ci sarà forse modo anche di fare qualche acceno al mio Spore.

In ogni caso, intervento a parte, sarò lì per tutta la giornata di sabato, mentre il venerdì saranno altri factoriani a presiedere il nostro banchetto, con Andrea Berneschi (finora unico autore horror "puro" della scuderia) a salire sul palco durante la retrospettiva su Dylan Dog.

Quindi se siete appassionati del genere, l'appuntamento è ghiotto, anche per la presenza di numerosi ospiti di rilievo nel panorama underground cinemato-letterario orrorifico. Potete consultare il programma completo per scoprire chi altro ci sarà, oppure seguire gli aggiornamenti sulla pagina facebook.

Coppi Night 14/06/2015 - A.C.A.B.

Non sono sicuro che il titolo si scriva come acronimo puntato o tutto di seguito, comunque il senso è quello, all cops are bastards. Si tratta di un film che più volte era stato proposto nel corso delle Coppi Night ma che finora non aveva mai vinto, e che per la verità avevo sempre osteggiato. Le caratteristiche di base infatti lo rendono ben lontano dai miei standard di gradimento: un film italiano e con tematica politica, cosa c'è di peggio? Beh, sarebbe peggio se volesse anche essere una commedia, e fosse recitato per più di metà da bambini (cfr: La mafia uccide solo d'estate). Stavolta però ho voluto risolvere per sempre la questione, e ho deciso di appoggiarlo.

E col senno di poi, posso dire che tutto sommato non mi è dispiaciuto. Mi aspettavo un film "di denuncia", che mostrasse gli abusi delle forze dell'ordine, tema che, per carità, è sicuramente importante, ma non è il tipo di argomento che mi piace vedere sviluppato in un film. Sospettavo quindi di vedere quindi una storia che puntasse a senso unico contro la polizia (nello specifico, i "celerini" della squadra mobile che sono incaricati di gestire la sicurezza durante particolari eventi come manifestazioni, partite ecc). Invece, sorprendentemente, il film si presta a più interpretazioni, fornendo punti di vista alternativi e senza incanalare l'opinione in una direzione univoca.

Quello che voglio dire è che, immaginando idealmente che esistano due schieramente pro- e contro-celerini, credo che entrambi riterrebbero la loro posizione rafforzata dopo la visione di questo film. È vero che gli agenti abusano della loro autorità, anche al di fuori dei loro incarichi ufficiali e senza la divisa addosso, ma d'altra parte si vede come ci sono fazioni che non aspettano altra occasione che quella di scatenare guerriglia urbana proprio contro di loro. Per me che non ho una posizione definita in questa battaglia, ne risulta banalmente che la verità sta nel mezzo, o forse, meno banalmente, da nessuna parte.

Sono rimasto quindi piacevolmente sorpreso, anche perché ho avuto la conferma che, tutto sommato, questi attori italiani che vediamo solitamente impegnati in commedie di basso rango e dal valore comunicativo pari a zero, se messi all'interno di una storia ben scritta e diretti da qualcuno che sa il suo mestiere, non si rivelano così cani. Viene così confermata la teoria così abilmente esposta nella serie Boris, di come la mediocrità derivi non tanto dall'assenza di capacità dei professionisti del settore quanto dalla mancanza di voler proporre qualcosa di diverso. Pensiero che, pur essendo in qualche modo rassicurante, lascia un certo retrogusto agrodolce.

Perché Samantha Cristoforetti è un'eroina

Come tutti nel mondo sanno, la settimana scorsa si è conclusa la missione 42 (mind this number) sulla ISS, che comprendeva tra l'equipaggio di bordo l'italiana Samantha Cristoforetti. Ora che ho esaurito le nozioni prese da wikipedia, passiamo all'oggetto di questo post.

Durante i lunghi 200 giorni di permanenza della Cristoforetti (Astrosamantha per amici e uccellini) sulla stazione spaziale, si sono succeduti tanti commenti sul suo ruolo e la sua occupazione all'interno della missione. La presenza di una donna italiana nello Spazio (la prima, per inciso) è stata per lo più motivo di vanto e orgoglio nazionale, ma ci sono state anche reazioni avverse, e molte di queste si sono scatenate proprio in concomitanza con il rientro di Astrosamantha dalla missione, quando è stato un fiorire di "ebbasta non se ne pole più, ma chi è sta cretina e che ha fatto di così eccezionale?" Ci sono stati anche commenti di personaggi "illustri", gente che ha un seguito di pubblico e la cui opinione viene presa in considerazione e riportata dai giornali, che si muovevano su questo tono. "Se lei è un'eroina, cosa sono le donne che tutti i giorni si spaccano la schiena e poi hanno la famiglia da portare avanti? Mia nonna ha cresciuto quattordici figli, era più stupida di lei?" Uscite del genere sono accompagnati da valanghe di like e commenti di supporto.
 
Personalmente, non ho la pretesa di far cambiare opinione a nessuno. E dubito anche che uno qualunque di quelli che hanno espresso accordo per un discorso del genere possano capitare su questo blog (se non cercando  di scoprire qualcosa sull'osso del pene). Quindi probabilmente questo è un post senza pubblico, ma mi piacerebbe provare a spiegare perché Samanta Cristoforetti è davvero un'eroina, perché la consideriamo tale e merita questo titolo.

Lasciamo pure da parte tutta la sfilza di primati che ha accumulato (prima italiana nello Spazio, donna con permanenza più lunga nello Spazio, ecc...), anche se, in effetti, per alcuni è bastato molto meno ad essere proclamati eroi nazionali. Lasciamo anche stare il banale discorso anti-populista "Ah, ma quando la nazionale di calcio vince i mondiali sono tutti eroi e nominati cavalieri, quando si tratta di scienza non conta nulla, gli italiano ragionano col pallone al posto della testa", anche se, in effetti, ci sarebbe da discuterne. Io stesso, d'altra parte, non sono un fan di prima linea di Astrosamantha, ho seguito le sue avventure sporadicamente, eppure il poco che mi è arrivato mi ha convinto.

Il punto è che, per la prima volta nella storia dell'esplorazione spaziale italiana (ammesso che questa storia esista), ad andare nello Spazio è stato uno di noi. E quando parlo di noi, intendo noi seguaci della fantascienza, noi gente cresciuta coi dinosauri spiegati da Piero Angela, noi che cerchiamo di invividuare le costellazioni di notte... Samantha, da lassù, ci ha lanciato decine di segnali, ammicchi, citazioni. I più non le hanno colte, come quando i giornali hanno riportato il suo ultimo saluto senza capire che cosa significasse quel "Addio, e grazie di tutto il pesce", che non poteva non essere il commiato della missione 42. Ma noi ce ne siamo accorti, eccome!

Ecco perché la Cristoforetti ha riscosso tanto successo, tutto meritato. Con poche semplici battute ci ha fatto sentire tutti parte di un'unica squadra, e tutti più vicini alla Luna. Ci ha mostrato che c'è davvero spazio per noi, lassù, e di questo le siamo grati. È questo che fanno gli eroi: cambiare la dimensione umana di coloro che incontrano.

Tutta questione di marketing? Solo una strategia di comunicazione, un'abile sfruttamento delle possibilità offerte dai social network, che all'epoca di Parmitano ancora non erano diffusi? Probabile. Ed è quasi sicuro che Astrosamantha non avrebbe avuto tanto seguito (nel senso: tanti follower), se non avesse avuto modo di twittare le sue foto. Ma insomma, per una volta sembra che i social abbiano davvero svolto un ruolo importante nell'unire le persone, e potremmo anche perdonarli.

Coppi Night 07/06/15 - Brain Damage

Quando un horror si muove sul sottile filo dell'assurdo possono venire fuori tanto delle schifezze incomprensibili quanto dei cult indimenticabili. Statisticamente il primo caso è il più frequente, ma basta che una volta su cento si verifichi il secondo per compensare tutti gli sforzi. Questi film fa parte di quel 1%.

Brain Damage (portato in Italia con il sottotitolo La maledizione di Elmer) è un film che si presenta come qualcosa di atipico fin dalle prime scene, quando una coppia di anziani si dispera mettendo la casa a soqquadro alla ricerca di qualcosa che è sparito dalla vasca da bagno. Si scoprirà poi che a essere scappato è appunto Elmer, una piccola creatura dalle fattezze copromorfe (essenzialmente sembra una cacca umana con gli occhi) capace di parlare e con un formidabile potere: Elmer è in grado di secernere una sostanza blu lattiginosa, che agisce sul cervello e induce uno stato di benessere e allucinazione, inducendo dipendenza. In cambio di questo paradiso, Elmer chiede solo di essere nutrito, preferibilmente con cervelli umani (vivi). Elmer fugge quindi dai suoi precedenti possessori e si rifugia da Brian, il giovane protagonista del film. Convince Brian a provare la sua speciale sostanza e da quel momento lo ha in suo potere, facendosi portare in giro (nascosto sotto i vestiti o appeso alla nuca) a caccia di cervelli da ingurgitare, nel corso di scorribande notturne di cui poi Brian non ricorda nulla. Il fratello e la ragazz di Elmer però si accorgono del suo cambiamento (soprattutto quando si chiude in bagno e ride come un ossesso stando nella vasca da solo), e pur non potendo rivelare il suo segreto, il ragazzo arriva a capire che qualcosa effettivamente non va in lui. Cerca così di liberarsi di Elmer, ma la cosa si dimostra tutt'altro che facile.

Questo film è eccezionale sotto diversi punti di vista. Innanzitutto è divertente, perché Elmer è un gran simpaticone e vederlo muoversi e chiacchierare in tono suadente è davvero spassoso, a maggior ragione considerando che è un pupazzo di gomma animato come oggi non se ne fanno più (in questo senso mi ha ricordato molto i vermi della serie di videogiochi Worms: fisionomia, movimenti e attitudine sono molto simili). Brain Damage è anche estremamente cinico, l'antitesi del politically correct, e alcune scene sono eccezionali in questo senso (pare infatti che la stessa troupe abbia rifiutato di girarle per quanto erano disgustose e irrispettose... se lo vedete capite subito a quale mi riferisco). In più, per essere un horror orientato allo splatter (di scene crude ce ne sono in abbondanza, ma anche queste puntano più a divertire che spaventare) ha una trama essenzialmente solida e coerente. Certo, la premessa di base è piuttosto straordinaria, ma non più di tanti altri horror "seri". Inoltre c'è anche tutta una mitologia dietro Elmer e la sua specie, che aggiunge al tutto una dimensione storica notevole. La trama in sé non ha niente di innovativo, ma per un film del genere è sicuramente di buon livello, e batte facilmente metà della cinematografia horror attuale. Infine, credo che Brain Damage abbia anche livelli di lettura multipli, e non si fermi alla sola superficie. Il collegamento tra Elmer e la dipendenza dalle droghe è evidente, quindi citare questo è abbastanza scontato, ma non credo che ci si fermi qui. Nella sua dipendenza dalla droga di Elmer, Brian arriva a conoscere un mondo diverso da quello in cui vivono gli altri, raggiunge uno stato di sinestesia in cui i sensi si mescolano e tutto è più armonioso. Per lui tutto questo è reale, anche più delle vittime che si lascia dietro di notte in notte, di cui in effetti non sa niente. Si può quindi arrivare a pensare che Elmer non sia soltanto una metafora della droga, ma anche il punto di accesso per una realtà più vasta, superiore, nella quale però il ragazzo si trova isolato dal resto del mondo. La scena finale, l'immagine su cui il film si chiude bruscamente, è abbastanza indicativa di questa interpretazione, con quella luce che fuoriesce dalla testa di Brian.

Forse sto esagerando, forse voglio leggere troppo in un film che è stato pensato solo per mettere insieme qualche effetto speciale valido (per l'epoca). Eppure, analizzando la ridotta produzione del regista/autore del film, si nota che sembra sempre esserci qualcosa di più, sotto la superficie fracassona (l'ultimo film ha per protagonisti un uomo col pene indipendente e una donna con sette clitoridi). Ma anche senza andare a scomodare filosofie, altri mondi e altri realtà, Brain Damage rimane un film di ottimo intrattenimento, che nonostante sia un po' lento rispetto agli standard contemporanei riguarderei subito.

Rapporto letture - Maggio 2015

Nuova tornata di letture, e questo mese devo ammettere che sono stato davvero monotematico, dedicandomi in pratica esclusivamente alla fantascienza. In compenso ho alternato bene tra romanzi e racconti, autori italiani e internazionali, opere recenti e datate. Entriamo nel dettaglio.

Ebbè con tutti che ne parlano alla fine ho letto anch'io L'uomo di Marte di Andy Weir, già sapendo che Ridley Scott ne sta realizzando un film. Avevo letto commenti in gran parte positivi e posso in linea di massima confermarli: questa storia di sopravvivenza estrema in un ambiente che non ha niente che favorisca la vita umana è davvero appassionante. Il protagonista viene abbandonato (creduto morto) su Marte, e qui deve cavarsela da solo fino all'arrivo dei soccorsi... quattro anni dopo. La storia è narrata principalmente in prima persona, attraverso il diario di bordo, ma in seguito facciamo incursioni anche in altri personaggi, sulla Terra o in viaggio tra i due pianeti. La cosa che più funziona è sicuramente l'accuratezza con cui l'astronauta disperso applica nozioni scientifiche (chimica, fisica, botanica, matematica, ingegneria) per trovare la soluzione ai suoi problemi. In questo senso è probabilmente un libro molto adatto a un pubblico moderatamente geek, anche perché il narratore è estremamente ironico e il tono per lo più leggero. Insomma, un'ottima avventura, che si spera non perda qualcosa nella trasposizione su schermo. Voto: 8/10


Passiamo quindi al primo autore italiano. Ho già parlato in passato di Silvio Donà, soprattutto recensendo il suo precedente romanzo di fantascienza Pinocchio.2112.  Questo nuovo libro, uscito pochi mesi fa, si colloca in uno scenario simile, ma segue un percorso diverso. Extasia si svolge in un mondo esausto, potremmo quasi dire post-apocalittico anche se non ci sono cenni evidenti di un'apocalisse, solo un generale disfacimento della società attuale. I protagonisti sono due ragazzini, fratello e sorella, abituati alla vita di strada dominata dalla malavita, dalle droghe (tra cui l'extasia del titolo) e da un Morbo letale che colpisce all'improvviso e consuma i corpi delle vittime. I ragazzi, dopo essere finiti sulla lista nera di pericoloso clan criminale, tentano di trovare una via d'uscita, anche letterale, dalla città in cui hanno sempre vissuto, confrontandosi lungo il cammino con una serie di personaggi (qualcuno amichevole, qualcun altro meno). Ora, quando si parla di protagonisti ragazzini è facile pensare che si tratti di un romanzo di formazione o uno young adult, ma in questo caso non è così. In realtà entrambi i protagonisti, per quanto anagraficamente giovani, sono già abbastanza "formati". E non ci sono sottotrame sentimentali, state tranquilli. Il libro è soprattutto un'avventura, a tratti feroce, con alcune successive rivelazioni che tengono su il ritmo. Forse alcuni personaggi comprimari sono un po' stereotipati: il villain cattivo fino in fondo, il bravo dottore ingenuo e gli scienziati ossessionati dalla ricerca... tuttavia nell'insieme la storia regge. Forse Pinocchio.2112 aveva qualcosa in più, per uno sviluppo della storia più complesso, ma anche questo rimane comunque un buon libro, accessibile a qualunque pubblico. Voto: 7/10


Continuiamo con autori italiani, e uso il plurale non a caso, perché la raccolta di racconti Cielo e ferro è scritta in coppia da Italo Bonera e Paolo Frusca. Anche di loro avevo già letto qualcosa, e se risalite a ottobre 2012 (!!!) potete trovare il commento a Ph0xGen!. Questo libro dal titolo impronunciabile era un'ucronia in cui l'Impero Austriaco ha esteso il suo dominio su tutta l'Europa, e a sua volta Cielo e ferro gioca con la storia, stavolta però più sui toni della distopia. La raccolta infatti è composta da racconti (alcuni scritti da entrambi gli autori, altri da uno solo dei due) ambientati in un futuro prossimo, in cui la crescita del potere di un leader religioso fondamentalista ha trascinato il mondo verso un baratro di violenza e oscurantismo. La cosa interessante è come questa religione viene presentata, una sorta di ibrido delle maggiori religioni monoteiste, che prende da ognuna principalmente gli aspetti peggiori. È molto suggestivo scoprire come questa ha raggiunto la popolarità e accumulato fedeli, e vedere le conseguenze che questo ha portato nella politica globale. Chiarito lo scenario, c'è da dire che i racconti sono svincolati tra loro, alcuni anzi hanno pochi elementi a caratterizzarli all'interno del contesto, tuttavia il tono cupo e la cappa opprimente rimangono costanti per tutta la raccolta. È sicuramente auspicabile (e credo che sia già in corso d'opera) l'approfondimento della storia avrahamita. Voto 7.5/10


Tornando ai masters of science fiction, ecco un romanzo breve di Larry Niven che mi sono trovato sul kindle non ricordo bene perché. Una storia di fine del mondo imminente, che inizia quando il protagonista si accorge che la luna è molto più luminosa di quanto dovrebbe essere. Capisce quindi che probabilmente il sole ci ha fatto uno scherzo e sta diventando una nova, e ci sono solo poche ora prima che tutto il pianeta sia incenerito. Seguiamo così la sua avventura con la ragazza che frequenta, mentre anche qualcun altro sembra accorgersi dell'anomalia ma nessuno ha intenzione di lanciare l'allarme, soltanto godersi l'ultima notte. Sempre che sia tutto vero. Inconstant Moon risulta una storia gradevole, per la verità non così straordinaria dal punto di vista della speculazione fantascientifica, ma comunque una buona lettura. Voto 6.5/10


Per ultima c'è l'opera di un altro autore italiano, Fabio Lastrucci, anche questo un ebook che mi stazionava nel kinde da tempo, dato che mi è già capitato di leggere qualcosa dell'autore (non mi ricordo dove o quando). Utopia morbida si potrebbe definire un romanzo breve, anche se, devo essere onesto, ho qualche difficoltà a riassumerne i tratti essenziali. Sostanzialmente la storia verte sulla possibilità di creare un "mondo ideale" sfruttando le capacità mentali dello stato di sogno (uhm, does it ring a bell?), e assistiamo alla creazione di questa utopia alla quale si oppongono le autorità. Il problema però è che la storia è forse troppo frammentata, i brevi capitoli con decine di personaggi rendono difficoltoso seguire il dipanarsi della vicenda, per cui non sono riuscito del tutto a comprendere "cosa succede", nonostante i temi e i richiami siano chiari. Probabilmente questo libro avrebbe avuto bisogno di uno sviluppo più ampio e soprattutto più "rilassato", senza il bisogno di mettere continuamente in campo nuovi personaggi. Qualche buona idea c'è, ma non riesce a emergere efficacemente. Voto: 5/10

Unpunned Futurama Titles #2

Secondo episodio della rubrica dedicata ai titoli delle puntate di Futurama, la maggior parte dei quali nasconde un doppio senso, un calembour, un pun, o chiamatelo come volete. Dopo aver esaminato i titoli della prima stagione, passiamo alla seconda.


I Second that Emotion (Il chip delle emozioni): titolo ripreso da una canzone dei The Miracles. Inoltre trattandosi del primo episodio della seconda stagione, la parola "second" si interpreta in entrambi i sensi.

Brannigan Begin Again (Zapp attore): riferimento al film-tv americano Finnegan Begin Again. Molto più criptico il titolo italiano...

A Head in the Polls (Un colpo di testa): "ahead in the polls" significa essere avanti nei sondaggi, ovvero essere favoriti per un'elezione. In questo caso a essere candidato è la testa di Nixon, da cui il gioco di parole.

Xmas Story (Babbo Nasale): nessun riferimento specifico rintracciabile. Apprezzabile in questo caso come nella versione italiana si sia cercato di rendere il pasasggio da Christmas a Xmas usando il "Nasale".

Why Must I Be a Crustacean in Love? (Crostaceo in amore): Verso tratto dalla canzone Teenager in Love di Dion and the Belmonts.

The Lesser of Two Evils (Il male minore): nessun riferimento specifico rintracciabile.

Put Your Head on My Shoulders (San Valentino decollato): Il titolo originale riprese una canzone di Paul Anka. In questo caso però è interessante invece la versione italiana, che si rifà al titolo del film San Giovanni decollato, riucendo a creare un gioco di parole efficace e coerente con il contenuto della puntata.

Raging Bender (Il Bender furioso): riferimento al film Raging Bull (Toro scatenato).

A Bicyclops Built for Two (Hai voluto il biciclope?): Bycicle Built for Two è una canzone popolare, nota anche come Daisy Bell. È anche la canzone prima canzone mai cantata con il sintetizzatore vocale da un computer, ed è quella che HAL9000 canta durante la sua disattivazione in 2001 Odissea nello Spazio (nella versione originale del film). In questo caso anche la versione italiana sembra aver colto almeno in parte l'idea di fondo.

A Clone of My Own (Il mio clone): nessun riferimento specifico rintracciabile.

How Hermes Requisitioned His Groove Back (L'onore ritrovato): riferimento al film How Stella Got Her Groove Back (Benvenuta in paradiso).

The Deep South (Profondo sud): i personaggi che nell'episodio si sono tramutati in sirene sono le stereotipo dell'abitante della zona sud degli USA, in questo caso quindi il "profondo" assume un doppio senso, visto che adesso vivono sul fondo dell'oceano.

Bender Gets Made (La benda e la banda): "get made" nello slang mafioso significa entrare a far parte a pieno titolo di un clan. In italiano si è ricreato un buon gioco di parole a tema (che si sarebbe potuto spingere oltre aggiungendo anche "Bender").

Mother's Day (Il giorno della mamma): nessun riferimento specifico rintracciabile.

The Problem with Popplers (Il cibo parlante): riferimento The Trouble With Tribbles, un episodio di Star Trek in cui sono presenti un tipo di creature simili.
 
Anthology of Interest I (Il gioco del se fossi): nessun riferimento specifico rintracciabile. L'episodio è tuttavia composto a sua volta da tre miniepisodi, i cui titoli (non tradotti in italiano):
  • Terror at 500 feet: riferimento all'iconico episodio Nightmare at 20000 feet di Ai confini della realtà, lo stesso titolo era stato parodiato anche ne I Simpson.
  • Dial L for Leela: nella cultura americana, si usa usare la tastiera telefonica con le lettere che sono presenti a ogni numero, così che un numero di telefono può essere anche una parola. In questo digitare L ricorda le istruzioni del centralino di un numero di emergenza che invita a identificare il pericolo in questione (visto che nell'episodio Leela è una maniaca omicida).
  • The Un-freeze of a lifetime: nessun riferimento specifico rintracciabile.

War Is the H-Word (Guerra dell'altro mondo): "H-word" è un modo per imprecare senza farsi riprendere usato dei ragazzini (sta per "hell"). Il titolo è quindi una citazione della frase "War is hell" del generale Sherman.

The Honking (La macchina satanica): riferimetno al romanzo The Howling (L'ululato) che tratta di lupi mannari.

The Cryonic Woman (Un amore sbucato dal passato): riferimento al telefilm The Bionic Woman.

Inedito is a state of mind

Non serve che vi racconti io dell'immagine che vedete qui accanto, no? In un paio di giorni la notizia ha rimbalzato un po' su tutti i social, e se siete un minimo coinvolti nel mondo della narrativa/editoria/bibliofilia (cosa probabile se state leggendo questo post), sicuramente conoscete già la storia. Il tizio qui accanto, che per qualche combinazione si ritrova attualmente a essere ministro di questa nazione, ha rilasciato questa dichiarazione. La cosa inizialmente è venuta fuori durante un intervento per la premiazione di un concorso letterario rivolto agli studenti, ma poi è stata ribadita su twitter, che è l'organo stampa ufficiale della politica contemporanea, quindi non si trattava di una boutade ma di un pensiero concreto.

È chiaro che in realtà non ne verrà mai fuori nulla, che è stata una dichiarazione sparata nel mucchio con l'intenzione di apparire un despota illuminato (d'altra parte è lui che sovrintende alla Cultura in questo Paese), e per commenti articolati sulla fattibilità e opportunità di questa proposta vi rimando ai numerosi, completi post che trovate ovunque. A me interessa concentrarmi più su un aspetto: che cosa è un "inedito".

La definizione da dizionario è abbastanza banale: inedito è ciò che non è edito. Cioè, che non è mai stato pubblicato. Fino a una quindicina di anni fa la cosa era abbbastanza facile da determinare, ma poi è arrivato il print on demand. Poi gli ebook, il kindle e il selfpublishing. E allora è diventato un macello. Un sistema convenzionale di definizione è considerare edito ciò che ha un ISBN, che è poi lo stesso criterio che è stato deciso per la diversa applicazione dell'iva sui libri digitali (voluta sempre dal signore qui sopra). In realtà anche questo non è esatto, perché ad esempio ciò che è pubblicato col Kindle Direct Publishing non ha ISBN, mentre altre piattaforme di selfpublishing lo rilasciano, quindi esistono distinzioni tra prodotti che hanno lo stesso canale di distribuzione. Ma appunto, è una convenzione, usiamola come punto di partenza.

Tutto ciò che non ha ISBN è per definizione inedito, e potrà quindi finire nella Biblioteca Nazionale dell'Inedito. Diamo per assunto anche il fatto che ciò che viene raccolto nella BNI non riceva un ISBN come sistema di classificazione, altrimenti diventerebbe edito e non potrebbe stare nella BNI, per risolvere questo problema bisognerebbe chiedere al barbiere di Bertrand Russell. A questo punto ci ritroviamo con un certo volume di opere senza ISBN che però meritano di essere lette. Ovvero: inediti che dovrebbero essere editi.

Viene quindi da chiedersi: che cosa distingue, nella colossale massa di materiale non pubblicato, ciò che invece dovrebbe esserlo? Nel discorso che ha preceduto la dichiarazione di sopra, il tizio in questione ha parlato di (non sono le parole testuali) "storie di tutti che devono essere ricordate, patrimonio di una nazione da conservare". L'accenno quindi è abbastanza chiaro a tutti quei romanzi nel cassetto, tutte quelle storie più o meno personali che uno pensa di raccogliere quando gli capita qualcosa e pensa "diavolo, potrei scriverci un libro". L'idea di fondo è che tutte le storie meritino di essere lette e tramandate, che ogni opera abbia un valore per definizione, in quanto creazione di un essere umano. Tutto questo è molto bello e molto nobile, perché libera l'Arte dai criteri commercial-capitalisti che dominano da secoli il settore dell'editoria, e probabilmente era proprio questo l'intento della dichiarazione, mostrare che il nostro ministro ha una concenzione dell'Arte ben più ampia. Tutto molto bello e nobile, ma... non funziona così.

"Inedito" non è un attributo arbitrario che viene attribuito a un'opera, e da cui questa non può liberarsi. Non si tratta di una discriminazione di classe, non è una apartheid nei confronti di testi bollati come immeritevoli. Ogni opera (letteraria o di altro genere), ma volendo estendere il discorso, ogni pensiero nasce come inedito. Si origina nella mente di qualcuno, e sta lì fino a che questo qualcuno non lo porta fuori. Se avete un'idea (che sia un commento sulla finale di champions, una proposta per migliorare la viabilità, un consiglio su un film, una barzelletta...) e la esponete la sera al bar, in qualche modo la state "pubblicando", e il pubblico (appunto) deciderà se merita di essere condivisa o morirà subito dopo il parto. Lo stesso accade con buona parte delle cose che vengono scritte da chiunque, nel mondo. Molti non hanno nemmeno la reale intenzione di diffondere i loro testi, e pertanto l'inediticità è decisa a monte, è uno state of mind. Ciò che non è edito, nella quasi totalità dei casi, non deve esserlo. Naturalmente ci sono eccezioni (in un senso e nell'altro), e i meccanismi perversi che regolano il mercato conducono a tutta una serie di storture per cui è probabile che esistano davvero belle opere che nessuno leggerà mai. Ma non è mettendo sullo scaffale tutti i diari dei cittadini che si troveranno queste perle. Il passaggio da ineditlo a edito è un percorso complesso, difficile, che richiede impegno, dedizione, fortuna. È un investimento e un lavoro. Ed è forse il vero percorso di accrescimento per l'autore.

In realtà sappiamo bene che un 80% buono della popolazione occidentale ha velleità di scrittore, e quindi ritiene che i suoi romanzi/racconti/poesie/sceneggiature/fumetti devono raggiungere il pubblico. Ma pensare che per poter essere letti l'unico sforzo da fare sia tirare giù qualcosa su un fogliaccio e lasciare che i netturbini della NBI lo passino a raccogliere è una perversione che va ben oltre gli obbrobri a cui ha condotto in tempi recenti il selfpublishing.

Forse il signor ministro lì sapeva bene che, pur leggendo meno di un libro all'anno, buona parte dei suoi cittadini ritiene di essere uno scrittore, e la proposta ha anche un sottofondo propagandistico. O forse, il signor ministro lì non conosce come funziona davvero il mondo dell'editoria: lui sa solo che quando ha scritto una cosa un Grande Editore (nel caso specifico, Bompiani) è stato pronto a pubblicarlo, e non si capacita del fatto che per tutti gli altri non funzioni nello stesso modo. Come mai, per lui è stato così facile e tutti gli altri invece faticano tanto?

Te lo sei chiesto, @dariofrance?

Coppi Night 31/05/2015 - Delivery Man

Ok, dopo una non dichiarata pausa del blog dovuta a un accavallarsi di impegni che mi hanno tenuto materialmente lontano dal computer per la maggior parte degli ultimi giorni, torniamo alla regolare programmazione dei post, iniziando con gli aggiornamenti dal Coppi Club.

Il film che ha vinto la sera in cui sono tornato da Telese e affrontavo lo schermo con la stanchezza accumulata da due giornate estremamente impegnative, doveva nelle intenzioni essere una commedia di qualche genere. Voglio dire: c'è Vince Vaughn, la storia si basa sulle donazioni di sperma, vorresti non ridere? Io in realtà so che non avrei riso lo stesso, ma almeno quell'ora e mezza sarebbe scivolata senza intoppi. E invece non è andata così.

A me non piace Vince Vaugh, non mi fa ridere quando dovrebbe far ridere e mi irrita quando dovrebbe essere serio. In questo film l'aggravante è che tenta di fare entrambe le cose, e fallisce sempre. Ma non voglio dare tutta la colpa a lui, figuriamoci, i problemi sono ben altri. Abbiamo questo giovanotto che lavora nella ditta del babbo e può quindi permettersi di essere un inetto completo, e scopriamo che 17-18 anni prima ha raschiato il fondo dei suoi testicoli spremendoli con una certa frequenza per donare lo sperma. Che poi in realtà non lo stava donando, perché glielo pagavano. Accade poi che questo sperma risulta essere di ottima qualità (non so bene quali siano i parametri per giudicarlo) e così con questo vengono fecondate più di 300 wannabe madri. Fin qui tutto regolare. Poi per qualche ragione la società di fecondazione artificiale è costretta a rilasciare i documenti e si scopre che questi 300+ bambini sono nati tutti dallo stesso padre, e a quel punto tutti si coalizzano per scoprire di chi si tratta, minacciando azioni legali pesanti.

Così il nostro protagonista (con il nome d'arte [arte onanista, s'intende] Starbuck) conosce uno per uno i suoi figli, senza farsi scoprire, e si sente in dovere di aiutarli in qualche modo. La cosa potrebbe essere simpatica ma poi assume dei toni da fiction: la ragazza tossicodipendente che vuole suicidarsi, il ragazzino handicappato, il musicista di strada, l'omosessuale... il tutto culmina quando Starbuck si ritrova a un raduno dei Figli di Starbuck, e questi non capiscono che si tratta di lui nonostante sia l'unico adulto e molti lo abbiano già conosciuto in situazioni svariate. Ma la cosa più assurda è: che cosa vogliono questi 300+ ragazzi? Sentendoli parlare sembra che lamentino di essere cresciuti senza un padre, senza una guida, e che per questo rivendichino il loro diritto a conoscere chi ha donato lo sperma. Ma santiddio, qualcuno li avrà pur cresciuti, no? Quando vai a farti inseminare con lo sperma di qualcun altro, di solito hai anche un compagno, o comunque hai le carte in regola per avere un figlio. Mica Starbuck ha violentato e messo incinta queste 300 donne, per poi abbandonarle al loro destino. E allora da dove viene tutta questa pretesa di conoscere da quale scroto venivano gli spermatozoi che ti hanno generato, e di metterla in termini di diritti familiari? Mi sembra una visione davvero ottusa del tema della paternità, un discorso che poteva reggere prima che Mendel iniziasse a suddividere i piselli per il loro colore.

Ah, sullo sfondo di tutto questo ci sono anche vicende lavorative, familiari e amorose di Starbuck di cui possiamo fare a meno di parlarne, tanto si risolvono tutto con deus ex machina improbabili e senza nessuna reale crescita del personaggio, quindi perché preoccuparsene.

In tutto il film ci sono forse due battute che fanno effettivamente ridere, il resto è in bilico tra l'improbabile e l'immotivatamente melenso. Le emozioni più frequenti durante la visione sono noia e irritazione. Che se anch'io passavo la serata a donare sperma forse mi divertivo di più.