Coppi Night Special Edition 26/12/2016 - Oceania

La specialità di questa Coppi Night sta nel fatto che intanto non era una night ma un mid-afternoon, e che invece del pizza + film a casa è diventato hamburger + cinema per fare qualcosa a Santo Stefano quando fuori c'è una nebbia da brughiera padana e quindi cosa potresti fare di meglio? Contiamola allora come Coppi Night così ho l'occasione per il probabile ultimo post del 2016.

Erano anni che non mi capitava di andare a vedere un "film di Natale", visto che in genere le proposte per questo periodo mi lasciano alquanto indifferente: cinepanettoni a parte (fenomeno che mi pare un po' in declino), di solito c'è la commedia per familige, il filmone sentimentale, il cartone e l'avventura. Per la verità non è che avessi tutta questa voglia di andare a vedere Oceania (o Moana come da titolo originale, da noi corretto per evitare equivoci sulla protagonista), ma tra le possibilità non mi dispiaceva poi tanto, considerando il generale livello qualitativo dei film Disney e l'ambientazione interessante.

Devo ammettere che sono rimasto un po' fregato dalla falsa equazione Disney = Pixar. Se è vero che il primo gruppo produce i lavori dello studio di animazione, in questo caso il lavoro è stato diretto direttamente dal nucleo centrale della Disney, ed è quindi un prodotto dedicato a un pubblico molto giovane, a differenza dei lungometraggi della Pixar che spesso sono forse anche più adatti al pubblico adulto. Insomma, Oceania non ha niente di nuovo a livello di struttura rispetto ai "classici", e ancora meno distanza rispetto a successi più recenti come Frozen. Gli ingredienti sono gli stessi: principessa ribelle (ok, figlia del capovillaggio, ma si equivalgono), popolo in pericolo, parente morto che fa da spirito guida, partner guascone ma di buon cuore, animaletti simpatici di accompagnamento, e tante tante canzoni.

Si può parlare di un lavoro ben realizzato tecnicamente, il che non è banale se si considera che un elemento difficile da animare come l'acqua è onnipresente per tutta la durata. Scenografie e atmosfere perfette per rendere l'ambientazione polinesiana, e qualche elemento di mitologia interessante (anche se non mi sono premurato di controllare le fonti). Da qui a parlare di una trama coinvolgente però ce ne vuole, anzi la prevedibilità è a livelli di allarme, così anche le sequenze più intense nella parte finale risultano piuttosto fiacche. Personalmente poi trovo piuttosto irritante che le canzoni siano tradotte in senso letterale (almeno così presumo) senza un minimo tentativo di rispettare metrica e musicalità (ci fosse una-rima-una!). Già mi sto sforzando a sopportare gente che canta in mezzo a un film, se poi canta a caso figuriamoci!

In definitiva un film piacevole soprattutto per gli occhi, certamente con qualche gag azzeccata, ma che ha senso andare a vedere soltanto in presenza di marmocchi da far tare calmi un paio d'ore.

Doctor Who Christmas Special 2016 - The Return of Doctor Mysterio

È passato un anno dall'ultima volta che abbiamo sentito parlare del Dottore, il che di per sé sembra quasi incredibile. Lo abbiamo lasciato alla sua ultima notte con River Song su Darillium, e lo ritroviamo sulla Terra, a investigare sull'ennessima corporation dagli scopi poco chiari dietro la quale si nasconde un piano di invasione aliena. Tutto come da copione insomma.

A parte i soliti alieni malefici (l'anno scorso avevamo un corpo in cerca di testa, questa volta cervelli in cerca di corpi), questo episodio di Natale (che per la verità di natalizio ha molto poco) si focalizza su un tema che sembra non sia mai passato nella storia di Doctor Who: quello dei supereroi, intesi nel senso più classico e fumettistico del termine, tanto che l'apertura della puntata sembra citare direttamente i cinecomics Marvel, mostrando alcune tavole disegnate dalle quali si arriva poi al film. Naturalmente nell'universo di DW spiegare qualcosa come i superpoteri (volo, superforza, supervelocità, vista a raggi x eccetera) diventa semplicissimo, in questo caso basta avere a disposizione quella che è sostanzialmente una stella cadente che funziona davvero e avvera i desideri di chi la maneggia. Se ad averla è un bambino di otto anni appassionato di fumetti, si fa presto ad avere Ghost, il primo vigilante mascherato di New York. Come ogni supereroe che si rispetti, anche Ghost ha una doppia vita e una giornalista che cerca di scoprire la sua identità, e sarà questo a causargli le maggiori difficoltà nella parte centrale della storia. Contrariamente a quanto ci si poteva aspettare, la puntata non parodizza la moda attuale dei supereroi, il personaggio di Ghost viene trattato con dignità anche se senza troppa serietà (ma quello è il tono generale dell'episodio).

In tutto ciò il Dottore è presente, ma il suo è quasi un ruolo secondario. È vero che è stato lui a rendere Ghost ciò che è, ma il centro dell'episodio è proprio il supereroe con il suo amore inconfessabile e la sua necessità di tenere in equilibrio le due vite. Certo è il Dottore a smascherare i piani del villain di turno, ma alla fine dei conti non è nemmeno lui a risolvere la situazione stavolta. E tutto sommato questo approccio non dispiace di tanto in tanto, visto che nelle ultime stagioni ci siamo abituati a un Dottore che è poco meno di un dio, intorno al quale si muove l'intero universo e che sembra l'unico in grado di gestire qualunque tipo di situazione.

Ancora a corto di companion dopo la morte (?) di Clara, per quest'avventura il Dottore si è portato dietro Nardole, l'irritante assistente di River Song dell'episodio scorso, che a ricordare bene era anche stato decapitato, ma si sa che la morte in DW è un concetto molto flessibile. Nardole fa da spalla comica, anche se personalmente non gradisco molto il personaggio e l'interpretazione, per cui la notizia che sarà presente anche in alcuni episodi della prossima stagione 10 non mi incoraggia. Mi aspettavo una sorta di cameo della nuova companion che è già stata annunciata da alcuni mesi, ma in realtà non si è vista.

Come nota di colore c'è da notare che "Doctor Mysterio" è il titolo con cui è stato adattato il Doctor Who classio in Messico, non senza una massiccia dose di edit tali da rendere lo show praticamente incomprensibile. Il titolo è quindi di una sorta di inside joke, che comunque non incide sullo svolgimento della storia.

The Return of Doctor Mysterio è quindi un episodio leggero e gradevole, dal focus un po' decentrato rispetto alle ultime cose viste, e che pertanto può servire come trampolino per un parziale rinnovo della serie, come ci si aspetta dall'inizio della stagione 10 (l'ultima di Steven Moffat e probabilmente anche di Capaldi). Fortunatamente non dovremo aspettare un altro anno, ma solo qualche mese. Voto: 7/10

Dirk Gently - Agenzia di investigazione olistica

Nel 2010 (vale a dire nel cambriano, rapportato ai tempi di fruizione attuali) la BBC produsse un adattamento in serie tv dei due romanzi investigativi di Douglas Adams. Il Dirk Gently del 2010-2012 è stata una produzione sfortunata, interrotta dopo appena 4 episodi, e che i più non ricordano di aver mai visto passare. A distanza di qualche anno ci hanno riprovato, stavolta sotto la direzione di Netflix (e chi sennò?), con un nuovo adattamento della serie del tutto indipendente da quello precedente: la prima stagione di 8 episodi è già conclusa, ed è arrivato il rinnovo per la seconda. Si direbbe quindi che Dirk Gently - Agenzia di investigazione olistica sia migliore del suo omologo del 2010. Ma è davvero così? Parliamone.

La premessa che sta alla base (e nel titolo) di tutti i Dirk Gently letterari o televisivi che siano, è l'investigazione olistica. Si tratta della scuola investigativa di cui Gently è l'unico esponente che consiste nel riconoscere l'interconnessione tra ogni cosa (da cui l'olismo), e permette quindi di raccogliere indizi in qualunque posto. Cioè, andare a caso. Tanto se tutto è connesso, allora non importa da dove si parte, si arriverà comunque alla soluzione che si sta cercando. Si capisce che è una premessa surreale, ed è comprensibile visto che si sta parlando di una creazione di Adams, ma è anche un approccio molto originale per una storia investigativa.

Gli otto episodi di questa nuova serie non rappresentano altrettanti casi, ma un'unica storia con un mistero centrale, la sparizione di una giovane ragazza, sulla quale Dirk è stato incaricato di investigare da parte del padre, che nel frattempo è stato assassinato. Il punto di vista dello spettatore è quello di Todd Brotzman (Elijah Wood), che viene coinvolto da Gently nell'indagine e che pur riluttante si lascia trascinare dall'eccentrico investigare che non sembra avere idea di quello che sta facendo. A loro si affiancano alcuni personaggi secondari che li aiuteranno (volontariamente o meno) a rimettere insieme i pezzi dell'intricata faccenda in cui hanno una parte inventori, hippie, rockstar, squali e cani. Sulla trama principale se ne innestano alcune accessorie, con diverse fazioni che sembrano tutte sulle tracce di Dirk: un gruppo di teppisti (i Rowdy 3), un agente della CIA e un'assassina olistica (cioè che uccide gente a caso).

La storia è piacevole da seguire, mantenendo solitamente un tono leggero e facendo uso ricorrente di gag comunque non troppo sopra le righe. Il problema è che la trama sembra inutilmente complicata, con l'unico scopo di rendere il mistero più difficile da sbrogliare, quando avrebbe potuto essere efficace anche senza l'aggiunta di tanti ingredienti. Intendiamoci, anche nel romanzo Dirk Gently originale avevamo di tutto (alieni, fantasmi, viaggi nel tempo, monaci elettrici), ma questi elementi per quanto variegati si innestavano in una trama che si rivelava estremamente lineare una volta compresa. Qui sembra invece che si sia fatto l'esercizio opposto, trascinandosi dietro per la strada qualche incoerenza di troppo, che osservata con occhio critico mina la credibilità dell'intera vicenda (non vado nel dettaglio per evitare spoiler, ma se qualcuno è interessato possiamo approfondire nei commenti).

Anche il Dirk Gently di Samuel Barnett non è esattamente come ci si aspettava. Non che l'interpretazione sia inadeguata, ma il personaggio non sembra comportarsi nel modo adeguato. Dirk Gently non fa che parlare e reagire come un ragazzino a tutto quanto gli succede, esagerando il suo entusiasmo e frustrazione in ogni situazione. In molte occasioni semra di avere davanti il Dottore di Matt Smith. Ma la cosa più importante è che non sembra per niente intelligente. Ora, se anche accettiamo il metodo di investigazione casuale, rimane il fatto che l'investigatore debba avere la capacità di mettere insieme ciò che si trova davanti. Questo Dirk non dà nessuna impressione di riuscire a capire qualcosa, tranne alla fine quando per qualche motivo ha chiara tutta la faccenda. Infine, anche se non viene spiegato del tutto, viene fatto intuire che Gently faccia parte di una speciale squadra di individui speciali che erano stati identificati e forse addestrati dalla CIA, e che quindi il suo "talento" olistico sia una una sorta di superpotere (dello stesso progetto fanno parte i Rowdy 3 e l'assassina olistica). Questo in un certo senso sminuisce il personaggio, perché porta a pensare che la sua abilità sia qualcosa di innato e incontrollabile, non l'applicazione cosciente di un metodo, sgangherato che sia.

Con questo non voglio dire che Dirk Gently - Agenzia di investigazione olistica sia una brutta serie. È sicuramente ben realizzata e si segue con piacere, però mi sembra lontana dall'approccio dei libri di Adams, che il Dirk Gently di qualche anno fa invece ricalcava con più fedeltà. È in un certo senso più arruffona, tende a procedere per accumulazione grossolana piuttosto che cesellando i dettagli, e perde così quella sottigliezza che invece si trova nei romanzi, tanto in termini di svolgimento che per il livello di umorismo. Insomma, vi piacerà tanto più quanto meno avete familiarità con il Dirk Gently letterario. Sfortunato io a considerarlo in effetti la migliore opera di Adams!

Rapporto letture - Novembre 2016

Eccoci coi libri letti a novembre, una spolverata di generi più ampia rispetto alla solita fantascienza che diciamoci la verità anche basta, no?

Del primo libro non parlerò in modo approfondito, perché ho dedicato a The Affirmation un post intero, quindi rimando a quello. Si tratta di un romanzo complesso, vagamente inquadrabile come una storia di universi paralleli, ma è soprattutto una storia sulla forza delle storie. Ne approfitto per far presente che con la progressiva conoscenza delle opere di Christopher Priest lo sto sempre di più elevando nell'empireo non solo dei miei scrittori "preferiti", ma di riferimento. Voto: 8.5/10





Torniamo poi nell'ambito della fantascienza con un autore italiano che ritengo tra i più interessanti. Di Francesco Troccoli ho letto molti racconti e i due romanzi della saga dell'Universo Insonne pubblicati qualche anno fa da Curcio (cercate sul blog), ora con Mondi senza tempo ho potuto completare la serie. La storia riprende a poca distanza da Falsi Dèi, con un Tobruk Ramarren tormentato da quanto successo nella missione precedente e tormentato da sogni che gli prospettano una realtà differente (does it ring a bell?). Il romanzo fondamentalmente riprende il tono dei precedenti, si tratta in linea di massima di un'avventura, con Tobruk che si imbarca in una nuova missione, stavolta per conto di quelli che erano i suoi nemici. Ma naturalmente dietro gli scopi dichiarati della missione ce ne sono altri più profondi, che affondano fino all'inizio del primo libro della serie. Non so se i due seguiti fossero previsti fin da quando è stato scritto Ferro sette, ma l'incastro funziona bene, e l'intera saga trova una sua completezza. Pur senza introdurre idee particolarmente originali o sconvolgenti (in certe parti sembra addirittura che sia citato il Piano Seldon!), il romanzo è ben scritto e strutturato, e contiene tutto quello che serve per concludere la vicenda. Voto: 7/10


Rimaniamo sugli autori italiani ma cambiamo decisamente genere, anzi, entriamo in un campo che non so bene che genere sia. L'editore Gorilla Sapiens per sua vocazione pubblica libri strani, narrativa al limite della narrativa, e ho avuto già esperienza con un i racconti di Carlo Sperduti. Qui è affiancato da Davide Predosin in un racconto epistolare che ruota intorno a Lo Sturangoscia, un apparecchio (una sorta di pompa idraulica) che si utilizza per estrarre materialmente dal corpo l'angoscia, identificata come fluido corporeo. Il carteggio tra i vari personaggi è surreale e delinea una storia sconnessa ma con una sua coerenza, tra società segrete, invstigatori, meteorologi regrediti a selvaggi, e altre assurdità. Tutto si gioca sulla forza delle parole, con un umorismo nonsense che funziona proprio perché wtf am i reading!? Non è sicuramente un libro apprezzabile da tutti, potete provarci se vi piacciono i Monty Python, per fare un esempio. Manuale d'uso dello sturangoscia compreso nel libro. Voto: 7.5/10

Coppi Club 11/12/2016 - Spectral

Riprendo col Coppi Club dopo qualche settimana di assenza, dovuta a impegni vari che non mi hanno permesso di fare la regolare serata pizza + film. Era anche il mio turno di proporre i film, cosa che mi risulta molto più facile da quando (come buona  parte del mondo civilizzato) ho l'abbonamento a Netflix. Tra i vari titoli che ho preselezionato ce n'era uno fresco fresco, prodotto dalla stessa Netflix, che pareva abbastanza accattivante a tutti i presenti.

Spectral si presenta come un action movie soldati contro fantasmi. Di solito i fantasmi sono protagonisti effimeri di storie horror a base di jumpscare, raramente vengono affrontati con un'attrezzatura specifica, se si esclude Ghostbusters che però si muove su toni ben diversi (e non vogliamo parlare di Ghostbusters, vero?). Quindi la premessa è in effetti interessante: i cazzuti marine stavolta non devono affrontare soldati avversari (yawn) né dinosauri, né mostri, né alieni, né zombie: si tratta di fantasmi, esseri invisibili e incorporei che possono uccidere con un solo tocco.

Il film ha per protagonista uno scienziato del DARPA che viene inviato in Moldavia dove alcune apparecchiature ottiche da lui progettate stanno dando rilevazioni piuttosto insolite. Sul posto, da tempo sconvolto da una profonda guerra civile, scopre le morti sospette e le immagini registrate prima di esse, che sembrano inquadrare appunto dei fantasmi, forme umanoidi evanescenti invisibil a occhio nudo, che attaccano i soldati. Il fenomeno viene interpretato in vari modi, dalle armi sperimentali agli "spirti di guerra", anime tormentate morte negli scontri che non riescono a trovare pace. Allo scienziato/inventore/ingegnere viene quindi affidato il compito di identificare la minaccia e scoprire come combatterla, anche perché si sta facendo sempre più pericolosa.

C'è da dire che il film è tecnicamente ben realizzato, e pur senza contare su star e interpretazioni di alto livello, riesce a mettere insieme delle ottime sequenze di azione credibili, oltre a creare una buona tensione intorno ai fantasmi che costituiscono al tempo stesso il nemico e il mistero da risolvere. Proprio qui però sta il punto debole del film, perché una volta che il mistero viene svelato (c'è effettivamente una spiegazione "scientifica", che richiede una certa sospensione dell'incredulità e sopportazione di technobabble, ma tutto sommato si può accettare), la storia perde ogni mordente e si avvia velocemente verso la conclusione, senza più curarsi di mantenere il tono e la coerenza con quanto fatto prima. L'esempio primario di questo scivolamento è la sequenza in cui con un rapido montaggio viene mostrato il protagonista macgyverizzato che attrezza un'intera squadra di soldati con armi per combattere i fantasmi, costruendo sofisticate apparecchiature a partire dagli scarti di produzione di un hangar. Anche il finale in cui basta distruggere il nodo principale per fermare tutti i mostri contribuisce alle levate di sopracciglia dell'ultimo atto, ma questo è un problema piuttosto diffuso in tutto il cinema d'azione contemporaneo.

In fin dei conti Spectral è un film godibile, che si basa su una buona idea di fondo ma poi non sa come gestirla una volta resa esplicita. Per certi versi mi ha ricordato una puntata di Doctor Who, nel modo in cui un unico personaggio si rivela risolutivo sotto ogni punto di vista (scopre il mistero, costruisce l'attrezzatura, interviene per fermare lo scontro), e a ben guardare nell'ultima stagione abbiamo avuto proprio un (doppio) episodio in cui comparivano dei "fantasmi" che avevano basi scientifiche più o meno accettabili. Coincidenza?

Andromeda n. 1

Quest'anno per me non è stato molto prolifico a livello di pubblicazioni, per tutta una serie di ragioni che non sto a ripetere. Tuttavia a fine anno mi sto riprendendo con un colpo di coda, con un paio di racconti: la raccolta Dinosauria uscita il mese scorso, e a brevissimio il primo numero della rivista Andromeda.

In questo caso al di là della pubblicazione che mi riguarda, vale la pena soffermarsi per illustrare meglio il nuovo progetto che sta per vedere la luce. Andromeda nasce come blogzine (credo si possa definire così), ovvero un blog su cui compariono post periodici dedicati alla fantascienza, ideato e gestito da Alessandro Iascy, che raccoglie contributi di più autori (recensioni, dossier, segnalazioni, ecc). Con il passare dei mesi il progetto si è ampliato, e infine grazie alla collaborazione della Ailus Editrice, si presenta come rivista cartacea semestrale.

È noto che le riviste di genere hanno un mercato molto ridotto. Per quanto riguarda la fantascienza, al momento l'unica rivista in essere è Robot (non credo che Urania si possa considerare una rivista, nonostante la distribuzione in edicola). Ci sono stati lodevoli tentativi nei mesi passati come Parallàxis, che purtroppo non è riuscita a sopravvivere oltre il quarto numero. Andromeda si inserisce quindi in una nicchia molto particolare che finora non ha permesso grandi risultati. Si qualifica quindi come un'operazione coraggiosa e in controtendenza, visto che pubblica non soltanto narrativa ma anche saggi, approfondimenti e interviste.



Il primo numero sarà un corposo volume di 240 pagine, contenente 20 articoli di diversi autori (tra i quali Umberto Rossi, Massimo Citi, Silvia Treves, Michele Tetro, Nicola Parisi e lo stesso Iascy), e sette racconti di altrettanti scrittori di genere italiani. Il mio racconto Fusa si colloca in buona compagnia accanto ai lavori di gente come Dario Tonani, Donato Altomare, Maico Morellini, Alessandro Forlani. Il tutto illustrato da Gino Carosini.

Andromeda n. 1 è disponibile a partire dal 15 dicembre, come si dice sempre in questi casi, giusto in tempo per i regali di Natale. Per il momento è possibile acquistarlo solo richiedendolo all'editore, al prezzo di 12 €. Come dicevo prima, è una scommessa, e onestamente non so se sarà possibile vincerla. Ma sono contento di poter dare il mio piccolo contributo anche in questo caso.

Host vs Cylon: robot umanoidi in tv

C'è molto interesse negli ultimi anni intorno a intelligente artificiali, robot e androidi di vario genere, e lo dimostra il numero di produzioni che trattano questo argomento. Da Chappie a Her, da Ex Machina ad Automata, da Person of Interest a Humans, costeggiando qualche episodio di Black Mirror. Ma l'attenzione più grande sul tema la sta calamitando quella che si può definire la serie del momento, Westworld. Basata nella premessa sull'omonimo film cult di Michael Chrichton (che vent'anni dopo si sarebbe evoluto in un ancor più cult Jurassic Park), la serie ha appena concluso la sua prima stagione, confermandosi come uno dei prodotti più interessanti degli ultimi anni, per vastità e complessità dell'universo narrativo, impatto di trama e temi trattati, qualità di produzione (dietro c'è il canale HBO, che probabilmente punta a fare di Westworld il nuovo Game of Thrones, ora che si inizia a intravedere la fine della saga fantasy).


Senza andare a ripercorrere questa prima stagione, si può dire che l'elemento intorno a cui ruota tutto Westworld sono gli Host, come vengono chiamati gli occupanti sintetici del grande parco a tema western al centro della storia. Li si può definire in molti modi, ma fondamentalmente si tratta si robot umanoidi, nella concezione già in uso decenni fa da Asimov di creatura meccanica costruita dall'uomo ma del tutto indistinguibile da un umano. Ma gli Host (userò la definizione in lingua originale, non so come sia stata trasposta in italiano) non sono i primi esseri di questo genere comparso in tv. Una decina di anni fa andava in onda Battlestar Galactica, space opera (anch'essa basata su un prodotto precedente degli anni 70) che raccontava degli sforzi dell'umanità per sopravvivere alla guerra contro i Cylon, orde robotiche che comprendevano tra le proprie fila esemplari perfettamente uguali agli uomini. Può essere interessante fare un confronto tra queste due declinazioni dello stesso concetto di base.

Segnalo a questo punto che da qui in poi saranno presenti spoiler, riguardandi la prima stagione di Westworld e l'intera serie (moderna) di Battlestar Galactica. Illustrare la trama non è l'intenzione principale di questo post, ma alcuni dettagli potrebbero emergere, quindi proseguite a vostro rischio.

Partiamo dall'inizio, definendo cosa sono Host e Cylon. Entrambi sono esseri artificiali, con tutte le riserve che questa terminologia sottintende. La loro artificalità risiede nel fatto che sono stati creati dagli uomini, progettati e costruiti per scopi diversi. Questo non significa che siano creature meccaniche, anzi, hanno una costituzione che si potrebbe definire in buona parte biologica. I Cylon sono di fatto identici agli esseri umani, tanto che è praticamente impossibile dimostrare la "cylonità" di un uomo (questione che assume importanza in alcune occasioni durante la serie), e sono addirittura in grado di procreare con gli umani. Per quanto riguarda gli Host non è del tutto chiaro se siano integralmente costruiti su base biologica, ma hanno ossa, carne, sangue e reazioni fisiologiche. È anche mostrato che il loro design si è evoluto col tempo, e agli inizi avevano una composizione più meccanica/metallica, che si è poi fatta più complessa e realistica. Sia Cylon che Host, pur avendo muscoli e tendini, possono dimostrare all'occorrenza capacità sovrumane, come ci aspetta da dei robot ben progettati: forza, resistenza e velocità notevoli, capaci di sopraffare qualunque persona.

Da questa descrizione non è facile affermare se Host e Cylon siano vivi, ma questo è più un problema della definizione di "vita", che in casi limite del genere si rivela incompleta e inaffidabile. D'altra parte anche con esseri come i virus, che non sono stati costruiti artificialmente, abbiamo difficoltà ad applicare una definizione in un senso o nell'altro. Saltiamo quindi questa prima ovvia domanda che risulta fallata nella sua premessa.

Finora parlavamo delle caratteristiche strettamente fisiche delle due specie, ma è importante esaminare le loro facoltà intellettive. In entrambi i casi si tratta chiaramente di creature intelligenti (quindi non soltanto robot, ma intersezione tra robot e AI), ma qui troviamo una prima differenza. Mentre i Cylon hanno sviluppato una loro intelligenza indipendente, gli Host sono costretti all'interno di una rigida programmazione che li fa agire nell'ambito di un percorso prestabilito, dal quale non possono deviare. O almeno, questa è la loro condizione iniziale, ma nel corso di questa prima stagione si sono già mostrate le prime incrinature nella loro supposta adesione al programma prestabilito. D'altra parte, anche i Cylon, pur con la propria autodeterminazione, rispondono comunque a una programmazione, per lo più autoimposta dai loro simili. Per cui anche in questo ambito la distinzione tra Cylon e Host è questione di sfumature.

Discorso diverso invece se si parla della consapevolezza. Come già detto, i Cylon sono autonomi (o almeno lo sono da quando li conosciamo all'interno di BSG), per forza di cose quindi sanno qual è la loro natura. Per gli Host non è così: essi sono programmati per pensare di essere persone normali, ignari della propria natura artificiale. A questo scopo, hanno anche un sistema sensoriale opportunamente "filtrato" che impedisce loro di vedere/capire/agire in contrasto con la loro programmazione. Eppure, anche qui con il progredire della storia le carte si mischiano: scopriamo infatti Cylon convinti di essere umani (e quindi "filtrati" dalla loro programmazione) e Host che acquisiscono coscienza della loro natura robotica. Non c'è quindi una distinzione netta in termini di potenzialità: entrambi possono o non possono essere coscienti di se stessi.

Un altro aspetto interessante è il modo in cui questi esseri si confrontano con la morte. I Cylon umanoidi esistono solo in dodici "modelli" (di cui cinque sconosciuti ai Cylon stessi), ma di ogni modello sono presenti più copie contemporaneamente. Alla morte di una di esse, la sua mente viene "uploadata" istantaneamente in un nuovo corpo, conservato in apposite vasche di resurrezione, che nasce in quel momento acquisendo tutte le esperienze del suo predecessore. Gli Host invece (a quanto ne sappiamo finora) esistono in un'unica copia, e quando muoiono devono essere materialmente riparati e riattivati, in genere ricevendo una completa ripulitra della memoria in modo da essere reinseriti nel loro loop programmato. I Cylon quindi conoscono e sperimentano spesso la morte, mentre gli Host non ne conservano il ricordo. O per lo meno, non dovrebbero. Di nuovo, con il procedere della storia emergono delle affinità. In BSG, dopo la distruzione delle astronavi in cui si trovano i corpi pronti per essere animati, la morte di un Cylon diventa permanente; in WW, alcuni Host iniziano a conservare i ricordi delle vite precedenti e dei prelievi da parte degli operatori umani del parco, il che li porta a non temere la morte, sapendo che si tratta di uno stato transitorio, e anzi la cercano di proposito.

Possiamo analizzare anche il loro rapporto con gli umani, in questo caso però non abbiamo informazioni complete per quanto riguarda WW, visto che siamo ben lontani dalla conclusione della storia. Per quanto visto finora, è evidente che gli Host sono stati creati con lo scopo di servire l'uomo (nel caso specifico, intrattenerlo), ma già in questa prima stagione emergono i primi segni di ribellione e desiderio di indipendenza. I Cylon sono in aperta guerra con gli umani, ma sappiamo che sono anch'essi nati come servitori (anche se non è chiarissimo in che ambito fossero utili alla società) che in seguito si sono ribellati. Il percorso degli Host potrebbe quindi essere lo stesso che nei Cylon si è già compiuto all'inizio di BSG.

Ne risulta che Cylon e Host appaiono molto simili, al punto che si potrebbe quasi inquadrare Westworld come un prequel di Battlestar Galactica. Questo significa che gli autori di WW hanno semplicemente scopiazzato le idee della serie precedente? Non direi. Penso piuttosto che le due storie si basano sullo stesso topos, quello dell'essere artificiale intelligente, che arriva lentamente alla consapevolezza di sé. Non sono certo le prime opere ad affrontarlo (si può partire da Frankenstein ma probabilmente si arriva anche più indietro, forse fino al golem), ma la stessa idea di base affrontata nello stesso media può portare a risultati affini. Il che non vuol dire che la visione di una esclude l'altra: intreccio, personaggi e ambientazioni sono molto diversi, e se alcuni temi di fondo sono per forza di cose ripetuti (la coscienza di sé, la definizione di umanità, i limiti di intelligenza ed empatia), sarebbe superficiale considerare le due serie come sovrapponibili. Piuttosto, si può parlare di due interpretazioni e prospettive diverse per lo stesso argomento.

Per cui, se avete finito Westworld e siete già in crisi di astinenza (a maggior ragione considerando che la seconda stagione arriverà non prima del 2018), potrebbe essere l'occasione di recuperare Battlestar Galactica nel frattempo (mi pare si trovi anche su Netflix Italia). Così quando rivedrete gli Host, avrete la consapevolezza che tutto questo è già successo, e succederà ancora.

E.V.O.: Search for Eden

Quando ho deciso che ogni tanto avrei dedicato qualche post a videogame non ho mai specificato che avrei parlato di titoli recenti o ampiamente noti. Come ho già detto altre volte, non mi considero un gamer vero e proprio (nel senso che non "seguo" il mondo dei videogiochi, e non dedico un tot di tempo costante a questa attività), ma riesco ad apprezzare l'esperienza di un buon gioco. In genere sono più attratto dagli indie games, perché trovo che ci sia una maggiore ricchezza di spunti al di fuori del mercato di massa, ma non è una regola assoluta.

In questo caso infatti voglio riprendere un titolo di oltre vent'anni fa, risalente alla gloriosa epoca del Super Nintendo. E.V.O.: Search for Eden è un gioco del 1992, uscito solo in Giappone e USA, titolo minore di un periodo in cui le cassette del Nintendo si sfornavano come michette, e forse sconosciuto a buona parte dei giocatori italiani. Pur non avendo avuto un grande successo all'epoca, in tempi recenti è stato rivalutato, se non altro per la sua originalità. Personalmente l'ho scoperto una decina di anni fa, quando ho recuperato un emulatore SNES e mi sono sparato una cinquatina di giochi che ai tempi non avevo avuto modo di provare (perché io non avevo il Super Nintendo!).

EVO (ometto i puntini per comodità da qui in avanti) è il classico gioco di quegli anni, un adventure-platform in 2D composto da più livelli in successione, da percorrere camminando da sinistra verso destra e superando vari ostacoli. Quello che lo rende particolare (e all'epoca, unico) è il tema portante di tutto il gioco: l'evoluzione. Il giocatore infatti muove una creatura, che attraversando cinque ere diverse si evoleve, partendo dalla vita acquatica fino a diventare un umano. L'evoluzione dell'animale però non è prestabilita, ed è il giocatore a scegliere quali parti del corpo evolvere e in quale forma: bocca, arti, collo, coda, corna, sono tutti selezionabili in modo indipendente. Le varie opzioni hanno caratteristiche diverse, per cui scegliere di sviluppare un tratto piuttosto che un altro può avvantaggiare in un senso ma ostacolare in un altro. Ad esempio un corpo corazzato resiste maggiormente agli attacchi, ma è più lento; oppure una coda lunga facilita il salto ma non può essere usata come arma. Si può così andare a modellare una creatura bizzarra ma funzionale, che si mostrerà più adatta in alcune situazioni (la differenza si nota soprattutto nelle battaglie contro i boss).

I cinque stadi in cui si divide il gioco sono pesce, anfibio, rettile, mammifero e di nuovo mammifero (con la possibilità di diventare un ominide). Ogni era è divisa in singoli livelli, abitati da animali dell'epoca che possono essere attaccati per guadagnare "evolution points", spesi poi per acquistare le nuove parti del corpo. Ogni cinque-sei livelli ci si trova davanti a un boss, che di solito è una versione gigante degli animali che popolano i livelli precedenti. C'è anche una sorta di plot, anche se è molto misticheggiante e in realtà non dirige in modo chiaro la storia: Gaia (la personificazione della Terra) deve trovare un compagno con il quale entrare nell'Eden (!?) e sceglierà la creatura che si dimostra più degna di affiancarla. Il percorso del giocatore è quindi una sorta di prova di valore che dura qualche miliardo di anni, per poter entrare poi nell'Eden con Gaia. Su questo si innestano le interferenze di misteriose entità identificate solo come "sussurri", che poi si scopriranno essere dei marziani che stanno monitorando la vita sulla Terra, involontariamente interferendo con il normale percorso evolutivo con la diffusione di "cristalli" in grado di far compiere alle creature dei balzi evolutivi.

C'è da dire che se la premessa è interessante, ed è divertente vedere le possibili combinazioni di corporatura che si possono ottenere, il gameplay non è sempre fluido. Molti livelli sono ripetitivi, si tratta solo di dover passeggiare saltando gli animali che si trovano nel mezzo. Il fatto poi di dover accumulare punti-evoluzione per potersi sviluppare comporta fare avanti e indietro a mangiare innocenti bestie per decine di minuti. Anche le battaglie con i boss non sono sempre equilibrate: a volte sono fin troppo semplici (il boss finale, per esempio!), altre quasi impossibili (c'è un boss facoltativo che non sono mai riuscito a battere), e in ogni caso seguono sempre un pattern di mosse che fa diventare lo scontro abbastanza noioso. Inoltre le battaglie perdono tutta la loro tensione a causa di un banale exploit delle regole del gioco, per cui ogni volta che ci si evolve si recuperano tutti gli hit points: basta farsi crescere un corno ogni volta che si sta per morire per essere di nuovo freschi e pronti a combattere. Il gioco comunque non prevede nessun "game over": se il giocatore muore, si ritrova alla schermata di selezione del livello, con gli evo points dimezzati.

Bisogna anche sottolineare che il concetto di evoluzione promosso da EVO è quello superficiale dell'evoluzione teleologica, un percorso lineare che porta verso una forma intrinsecamente "migliore". In effetti è possibile arrivare alla fine del gioco in diverse forme (mammifero, rettile, uccello, umano), ma è chiaro che l'obiettivo che il gioco cerca di porre è quello di diventare un homo sapiens. Non a caso Gaia è una donna... ci siamo capiti, no?

D'altra parte che il percorso evolutivo del giocatore non sia da prendere come scientificamente accurato diventa evidente a partire dalla quarta era. Dopo una progressione abbastanza realistica da pesce ad anfibio a sinapside a dinosauro a uccello (facoltativo) a mammifero, con l'inclusione di animali bene o male riconoscibili (anche se i nomi sono inspiegabilmente alterati, ad esempio tyrasaur invece di tyrannosaur), il gioco parte per la tangente e attinge alla criptozoologia per creare nuovi livelli e avversari: yeti, tritoni, uomini-uccello, dino-uomini, e i terribili rogon che sono squali intelligenti che cavalcano altri squali armati di pistole laser subacquee. Non so se mi spiego.


Insomma, E.V.O. è sicuramente un gioco sfizioso, ma non si può di certo considerare una perla. Tuttavia come onesto antenato di giochi successivi con temi simili come Spore, mantiene comunque una sua dignità. Se poi riuscite ad ammazzare l'ape regina vicino allo stonehenge, fatemi sapere.