Anna Starobinec - Zero

Quando si parla di letteratura fantascientifica, per un buon 80% dei casi si fa riferimento ad autori anglofoni: americani, inglesi, canadesi, al più australiani. Sono abbastanza rari gli autori "di rilievo" che non scrivono originariamente in inglese. Alcuni nomi possono essere Stanislaw Lem, René Barjavel, Jacques Spitz, Andreas Eschbach, e non me ne vengono proprio altri. Gli scrittori di fantascienza non anlgofoni sono una specie talmente rara che vengono preservati in apposite aree protette (leggi: antologie dedicate). Per questo, quando ci si trova per le mani un libro di sf di un'autrice russa tradotto in italiano, è già di per sé un evento. La portata aumenta ulteriormente se, col proseguire della lettura, ci si accorge che si tratta per di più di un ottimo libro.

L'autrice in questione è Anna Starobinec, che non dovete sentirvi ignoranti se non avete mai sentito nominare perché, di fatto, penso non si sia mai vista transitare prima nel nostro paese. Tuttavia la Atmosphere Libri, casa editrice che si dedica principalmente alla traduzione di libri stranieri (è stato pubblicato da loro anche Seconda origine di Manuel de Pedrolo) ha pubblicato con meno di un anno di ritardo il suo libro Zero, che in originale è qualcosa tipo Zivuscij, ma con un sacco di segnetti sopra ogni lettera. Volendo stringere al massimo le definizioni, Zero si può inquadare come un romanzo cyberpunk, visto che la parte cruciale della storia ruota intorno a una realtà virtuale condivisa da tutto il pianeta con la quale la popolazione viene asservita. Questa però è una sintesi alquanto imperfetta, per cui, cercando di evitare gli spoiler, provo a dare qualche elemento in più della trama.

La storia si svolge in un futuro non troppo distante (ma non si sa quanto perché il computo degli anni è cambiato), in una società che è la diretta evoluzione di quella attuale, basata sull'integrazione tra vita "reale" e "virtuale". In seguito a una crisi mondiale che ha provocato la morte di miliardi di persone (e di quasi tutti gli animali), all'interno della rete che connette tutti gli esseri umani è sorto "il Vivente", un'entità spontanea che costituisce la somma e l'insieme di tutti i tre miliardi di individui. Questo numero, tre miliardi, è fisso, e deve rimanere tale affinché la nuova società possa sorreggersi. Per questo, a ogni persona è associato un in-code, un codice identificativo immutabile, anche dopo la morte. In effetti, anzi, il concetto di morte è stato rimosso: un corpo fisico può cessare di funzionare (ed è obbligato a farlo raggiunti i sessant'anni), ma in questo caso si dice che ha "cessato temporaneamente di esistere". Dopo i "cinque secondi di buio", lo stesso in-code si "incarna" in un embrione appena concepito. Il sistema è calibrato in modo che ad ogni morte corrisponda sempre una nuova gravidanza, e così il numero di tre miliardi di soggetti è sempre garantito. Raggiunti gli otto anni di età, ogni individuo può accedere alla storia della sua precedente incarnazione e agli automessaggi lasciati da questo, apprendendo così la sua vita precedente (anche se in realtà la sequenza di incarnazioni viene considerata una vita unica ed eterna, con solo alcune "pause"). All'interno del Vivente, la vita si svolge principalmente nel sotzio, una realtà virtuale che è un'evoluzione estrema dei social network, e che comprende varie forme di intrattenimento (e di pubblicità). Ci sono in effetti diversi "strati" di questa realtà, ovvero livelli successivi di immersione nel virtuale, e se il primo strato (il mondo fisico) è snobbato dai più, non sono in molti a saper andare oltre il terzo strato, anche se si dice ne esistano fino a tredici. I rapporti personali, familiari e amorosi sono scoraggiati, mentre l'attività sociale si svolge praticamente tutta nel sotzio, e anche per la riproduzione "forzata" vengono organizzati appositi festival in cui le persone sono indotte ad accoppiarsi (e un pari numero a "entrare in pausa").

La trama di Zero inizia con il concepimento di un individuo a cui non è associato nessun in-code: in pratica, il tremiliardieun-esimo elemento del Vivente. Questo è di per sé stabilizzante, e il bambino, che viene chiamato appunto Zero, viene immediatamente inserito in un Centro di Correzione, ovvero una casa di cura in cui vengono detenuti, e presumibilmente "corretti", tutti i soggetti ritenuti pericolosi. Molti di questi sono lì dalla nascita, poiché il loro in-code corrisponde a quello di noti criminali, che quindi trascorrono la loro intera vita all'interno del Centro. Qui Zero fa la conoscenza di Cracker, l'inventore del sotzio, che fin dall'emergere del Vivente ha cercato di distruggerlo ed è stato per questo obbligato ad entrare in correzione. Cracker è convinto che Zero sia in grado di rovesciare il sistema e abbattere il Vivente, e lo incoraggerà a farlo in diversi modi. In realtà, già nei primi capitoli ci viene detto che Zero si è suicidato, e nel suo caso si parla di vera morte perché il suo in-code inesistente non si reincarnerà. Tutta la prima parte del libro costituisce una narrazione/indagine sulla morte di Zero da parte di alcuni agenti di sicurezza, interessati a ricostruirne la dinamica, poiché con il suicidio egli ha assunto in breve tempo il ruolo di un messia di cui molti "dissidenti" aspettano il ritorno. Nella seconda parte del libro si inizia poi a scoprire che alcuni dei personaggi hanno assunto identità diverse da quelle dichiarate (grazie anche al fatto che dopo la "pausa", un in-code può manifestarsi in soggetti completamente diversi e anche di sesso opposto), e che forse lo stesso Zero, in realtà, è ancora vivo. In seguito, si fa la conoscenza anche del Collegio degli Otto, il "governo" del Vivente, i cui membri hanno il compito di vigilare sulle essenziali funzioni della società, e godono di consistenti privilegi (per esempio, hanno la facoltà di tenere dei compagni stabili e formare una famiglia). Infiltrandosi all'interno del Collegio, Zero cerca di sovvertire il sistema dall'interno, ma anche questo si dimostra tutt'altro che facile, anzi, lui stesso viene presto corrotto dalle promesse del Collegio. Naturalmente nella parte finale si verifica una scossa definitiva, ma il modo in cui questo avviene ve lo lascio scoprire.

Messa in questi termini può sembrare una tipica distopia, nella quale un elemento ribelle nota le perversioni del sistema e cerca di rovesciarle. Tuttavia, rispetto ad esempio a un Fahrenheit 451 o un Mondo nuovo, c'è una differenza sostanziale: Zero non vuole distruggere il sistema. Anzi, fin dalla nascita, il suo più grande desiderio è quello di entrare a farne parte. Infatti, per la sua presunta pericolosità, Zero è privato dell'accesso al sotzio, e quindi non è parte del Vivente. Si ritrova quindi a essere un escluso, ma non per sua scelta, e quando in seguito risucirà ad avere un accesso (per quanto limitato) al secondo strato, ne diventerà quasi dipendente. Di fatto, è Cracker a spingere Zero alla ribellione, forte del fatto che lui, proprio perché elemento "esterno", può agire liberamente nel primo strato. E in ogni caso, Zero è lontano dall'essere un eroe infallibile e valoroso: compie numerosi errori di leggerezza, si lascia coinvolgere e tentare dalla curiosità, dalla fama e dalle lusinghe, e in più di un'occasione è sul punto di abbandonare la sua missione. Inoltre, il Vivente non è mostrato come male assoluto: non si tratta di un regime dispotico e schiavizzante, anzi, la sua nascita sembra davvero aver portato un equilibrio, nonostante le storture dell'"ordine naturale" che comporta. Nell'ultima parte del libro, quando entrano nella narrazione gli Otto, si scopre al contrario che il sistema è più fragile di quello che viene mostrato, e che basterebbe veramente poco per farlo crollare.

Il libro è strutturato con una narrazione che segue il punto di vista di vari personaggi e include documenti, automessaggi, sezioni di chat e così via. All'inizio si rimane leggermente spaesati, anche per l'introduzione di molti termini dal significato non del tutto chiaro, ma procedendo si acquisisce familiarità con la società del Vivente e le sue caratteristiche. Questa forse è una delle parti meglio riuscite del romanzo: il mondo è reso con un'estrema credibiltà, che non deriva tanto dalle descrzioni, quanto proprio da tutta una serie di dettagli di livello "quotidiano" che riescono a far intuire come questa civilità si sia evoluta a partire da quella attuale. Ecco perché la lettura risulta a suo modo anche inquietante: quello che vediamo in Zero, se pur estremizzato in certi aspetti, non è poi così distante dalla realtà con cui ci stiamo confrontando attualmente.

È per tutte queste ragioni che ritengo Zero un ottimo libro, e il fatto che per una volta si parli bene di un romanzo sf di origine non anglofona si aggiunge come gustoso bonus. E se non siete d'accordo, VAZP!

Impossible Movies Project: Foundation

Importante: leggere la nota in fondo al post!



Ogni volta che viene annunciata la trasposizione sullo schermo uno dei grandi "classici" della fantascienza, il fandom trema. Prima ancora che vengano dichiarati (o solo ipotizzati) attori, registi, sceneggiatori, si alza un coro di "NOOOOOO!!! NON ROVINATE ANCHE QUESTO!!!" che non sente ragioni. D'altra parte, si sa che il fandom è fanatico per definizione. Ma in certi casi il timore è più giustificato di altri: un conto è quando viene annunciato un Ridley Scott a dirigere The Forever War, un altro è quando si parla di Roland Emmerich alla regia di Foundation. Sì, stiamo parlando proprio della Fondazione di Asimov, la serie di racconti che costituisce essenzialmente la spina dorsale dell'età dell'oro della fantascienza. Stavolta è normale preoccuparsi.

Non solo è normale, ma, col senno di poi, è anche del tutto appropriato. Perché dei racconti di Asimov in questo film c'è vervamente poco, se non i nomi dei personaggi. Ma procediamo con ordine.

La trama, innanzitutto. Per chi non la conoscesse, la serie della Fondazione racconta di un lontano futuro, in cui l'umanità si è ormai sparsa su migliaia di mondi in tutta la galassia, e parte con il crollo dell'Impero che per dodicimila anni ha dominato su tutto l'universo conosciuto. La figura chiave della storia è Hari Seldon, il matematico che, avvertendo l'imminente fine dell'Impero, elabora la psicostoriografia (o psicostoria, a seconda delle traduzioni), una complessa scienza matematico-sociale in grado di prevedere il comportamento delle persone (o meglio: gruppi molto numerosi di persone, un principio analogo a quello della previsione del comportamento delle molecole). Grazie all'applicazione di questa disciplina, Seldon elabora un piano, il "Piano Seldon" appunto, con il quale intende controllare il periodo di barbarie che sarebbe seguito all crollo dell'Impero e far sorgere nel giro di un solo millennio una nuova civiltà. A tal scopo, istituisce una "Fondazione" su un pianeta remoto, Terminus, con l'obiettivo dichiarato di redigere un'Enciclopedia Galattica che raccolga tutto il sapere dell'umanità, ma con l'obiettivo nascosto (almeno all'inizio) di essere il nucleo da cui sorgerà il nuovo Impero. La storia della Fondazione parte da qui, e si dipana quindi nel corso di interi secoli, con personaggi che si avvicendano alla risoluzione delle varie "crisi" che via via mettono in pericolo la sopravvivenza della Fondazione (e di conseguenza della civiltà). Riassumere la trama della serie è pertanto molto complicato, ancora di più se si includono, oltre alla serie di racconti degli anni 50, anche i successivi romanzi che fanno da prequel e sequel, e qui sta la prima difficoltà che qualunque sceneggiatore avrebbe incontrato. Come si può condensare in due ore una storia che si dipana su oltre cinque secoli, con decine di personaggi differenti? Non si può, in effetti, senza stravolgerne la natura, ed era questa la prima obiezione del fandom. Il film infatti si concentra su un momento particolare della storia della Fondazione, forse il più turbolento, e mescola in questo calderone una serie di nomi, nozioni ed eventi che appartengono a contesti diversi. Il risultato è un minestrone dal sapore indefinito, in grado non solo di deludere gli appassionati della serie, ma di lasciare indifferente anche il nuovo pubblico del film.

C'è di buono che riassumere la trama del film risulta molto più agile rispetto ai libri (seguono pesanti spoiler!). Si comincia con la voce fuori campo di un'anziana Arkady Darell, che impegnata a redigere le sue memorie, racconta di "come ebbe inizio tutto". La scena si sposta quindi all'interno della Volta del Tempo, l'anfiteatro in cui, a ogni crisi prevista dal Piano, le registrazioni olografiche di Hari Seldon appaiono per guidare gli uomini futuri. La registrazione del vecchio matematico sulla sedia a rotelle è in pratica l'unica apparizione di Seldon, che porta la faccia di un malandato Harrison Ford non troppo ispirato, che sembra interpretare un cameo più che un ruolo vero e proprio. Si scopre così che ci troviamo nell'epoca del Mule, ed è quasi scontato che sia così, dato che il mutante telepatico è in effetti l'unico "villain" in senso stretto della serie. Mentre tutti i presenti si aspettano che Seldon dica loro come difendersi dal Mule, il suo esercito attacca Terminus, e sottomette in poco tempo le forze della Fondazione, che è costretta a cedere. Nel trambusto generale dell'attacco, tra esplosioni di "laser atomici" e edifici che crollano, una ragazza in fuga inciampa praticamente in un nano deforme riverso al suolo, dopodiché entrambi vengono tratti in salvo da una donna incappucciata e condotti verso un'astronave in partenza. La donna contratta un passaggio sulla Far Star con il capitano, che si rivela poi essere Hober Mallow (uno degli eroi della prima parte della saga della Fondazione, che tecnicamente all'epoca del Mule dovrebbe essere morto da un centinaio d'anni), mentre il nano (Peter Dinklage, perché quando serve un attore nano pare ci sia solo lui a disposizione) è Magnifico, ex "giullare di corte" del Mule... anche se chi ha letto la serie sa bene come stanno le cose in realtà. A questo punto bisognerebbe soffermarsi un minuto sugli attori che interpretano Arkady e Hober: rispettivamente Kristen Stewart e Nicholas Hoult. Se i nomi non vi dicono nulla, googlateli e notate le prime locandine su cui appaiono le loro facce. La scelta di questi due attori dovrebbe già dirla lunga sul target e il tono che si è voluto dare alla storia... ma se ciò non bastasse, ci pensa anche il seguito del film. Tutta la parte centrale è un susseguirsi di fughe da un pianeta all'altro, battaglie nello spazio e sulla superficie, e ostentazione di segreti che non sono tali. A un certo punto si scopre che l'anziana donna che ha soccorso Arkady non è altri che Wanda Seldon, bisnipote di Hari, che convince Hober Mallow della necessità di scovare la Seconda Fondazione, l'entità quasi leggendaria che vigila su Terminus affinché il Piano segua la sua strada per tutti i mille anni previsti. Tuttavia, per quanto sia sicura che la Seconda Fondazione esiste (una specie di segreto di famiglia), la signora Seldon non sa dove si trovi. In seguito, ancora in fuga dalle truppe del Mule, sulla Far Star si imbarca anche uno Sean Bean in tunica che puzza di Seconda Fondazione lontano un miglio. Magnifico naturalmente si innamora di Arkady, ignaro che lei abbia già consumato col capitano della nave, e la cosa fa incazzare il nano, che dimostra di essere piuttosto stronzo e fa nascere qualche sospetto sulla sua vera identità. La combriccola intanto si è recata su Trantor, ex capitale dell'Impero, per accedere agli sterminati archivi della Biblioteca Imperiale dove Walda Seldon pensa di poter trovare indizi sulla collocazione della Seconda Fondazione. Quando poi la donna annuncia di aver scoperto dove si trova e fa per rivelarlo, Arkady la uccide prima che possa parlare, e dalla reazione di Magnifico si scopre che lui è proprio il Mule, e che non aspettava altro che scoprire dove si trovassero i suoi avversari dotati dei suoi stessi poteri, gli unici in grado di fermarlo. Mallow deve dimostrare di essere un duro e lo sfonda di cazzotti, ma poco dopo viene annientato dal "tocco mentale" del mutante, che sembra intenzionato a sottomettere tutti e chiuderla lì. Solo a quel punto si fa avanti Preem Palver, che si rivela a sua volta per essere il Primo Oratore, cioè una specie di presidente della Seconda Fondazione, e ingaggia con il Mule una battaglia mentale, riuscendo, con l'aiuto di Arkady (!!!) a sconfiggerlo. Eseguito il lavoro sporco, racconta a tutti come stanno le cose, rivela l'ubicazione della Seconda Fondazione (ce l'hanno sotto i piedi...) e poi decide di cancellare a tutti la memoria, perché la sua gente deve operare in segreto per poter essere efficace nel perpetrare il Piano Seldon. Si torna quindi alla vecchia Arkady Darell, che a quanto pare da sessant'anni a questa parte sta accudendo l'Hober Mallow reso invalido dall'attacco del Mule, e il Mule stesso regredito allo stato mentale di bambino e ormai innocuo. E tutti, apparentemente, sono felici così.


Forse mi sono dilungato anche troppo nel descrivere la trama, ma trattandosi di una storia tanto diversa da quella che leggiamo nei libri, per poter descrivere il film era necessario srotolarla tutta. Dei racconti originali, come dicevo all'inizio, abbiamo i nomi, e una generica caratterizzazione di base dei personaggi. Anche alcuni eventi sono tratti dalla carta: l'attacco a Terminus, la fuga su Trantor, l'omicidio della persona che scopre l'ubicazione della Seconda Fondazione, lo scontro tra il Mule e il Primo Oratore e così via, sono avvenimenti familiari a chi ha letto la serie. Ma qui sono buttati tutti insieme, forzosamente intrecciati per dare corpo a una storia che, per come viene mostrata, dice veramente poco. Per fare un paragone efficace, si può pensare al film "tratto" da Io, robot: anche lì non si faceva altro che mettere insieme qualche nome e tema di fondo per un film d'azione con qualche elemento sf. Le interpretazioni degli attori non sono tutte allo stesso livello: se Dinklage al solito è impeccabile, e Hoult tutto sommato fa una buona impressione, la Stewart è piuttosto insipida (ma chi si aspettava diversamente?) e pure Bean non sembra metterci grande passione (forse a disagio per il fatto che in questo film non muore, che è la cosa che gli riesce meglio...). E ho già parlato del cameo di Ford, giusto? Naturalmente al tutto deve essere anche aggiunta la componente "sentimentale" (pressoché assente nella storia originale), ed è chiaro che la giovane ragazza e il bel capitano non possono non finire a letto insieme. Cosa che di per sé non è negativa a priori, ma che, come molte altre, appare forzata e innaturale, messa lì solo perché "ci deve essere".

Con questo non voglio dire che Foundation sia sgradevole: il ritmo è buono, le sorprese ben cadenzate, l'azione non manca. Si passa pur sempre un paio d'ore di buon intrattenimento, non è un film di quelli che ti fanno strascicare le gambe in terra dall'esasperazione. Per capirsi, anche Independence Day si guarda volentieri, no? Tuttavia, è irritante constatare come, ancora una volta, è stata completamente stravolta un'idea di fondo storica, per trarne un prodotto "commerciale". A dimostrare queste intenzioni è innanzitutto il cast, ma anche la faciloneria con cui sono stati mischiati tutti gli elementi. Per non parlare dei plot hole... uno su tutti: se alla fine Preem Palver ha rimosso il ricordo della Seconda Fondazione a tutti i presenti, come fa Arkady a raccontarlo? Ci sono anche altri aspetti nebulosi, ma stare ad elencarli è superfluo, basti sapere che, pur ignorando la storia nella sua forma originale, non si rimane del tutto convinti da quelloche si vede sullo schermo. Tutto ciò però conferma questa triste tendenza hollywoodiana di snaturare i prodotti di valore, prendendo quel che basta per giustificare un titolo che si lega alla tradizione ma alterando tutto il resto.

Non dico che io avrei saputo fare di meglio. Per la verità, non credo che il problema sia tanto Emmerich alla regia piuttosto che Nolan. Il fatto è che la Fondazione non è fatta per essere proiettata sullo schermo. Per la sua stessa natura, questa storia non è adatta a una trasposizione cinematografica (o anche in serie televisiva), vista la prospettiva storica impossibile da concentrare in uno spazio così ridotto. Personalmente, era questo che mi portava a gridare "NOOOOOO!!! NON ROVINATE ANCHE QUESTO!!!", la consapevolezza che, in ogni caso, il vero spirito della serie di Asimov sarebbe stato tradito. E purtroppo, come spesso accade, il tempo mi ha dato ragione.



Nota: il film Foundation non esiste. Questo mio lungo articolo è la risposta all'iniziativa Impossible Movies Project lanciata sul blog Minuetto Express. Il fatto che il film però non esista non vuol dire che me lo sono inventato. Di un Roland Emmerich alla regia di una trasposizione della Fondazione si parla da anni, fortunatamente senza sviluppi concreti, ma pare un progetto tuttora aperto e potenzialmente realizzabile. Visto che con ogni probabilità si tratta di fatto di un "film che non vedrete mai", ho deciso di proporlo in questa rubrica. Purtroppo non sono abbastanza abile in termini di manipolazione grafica, e non sono riuscito a realizzare una locandina valida. Se qualcuno vuole prepararla al posto mio, la inserirò nel post.

Candidatura al Premio Italia 2013

Visti i contenuti di questo blog, si presume con un buon livello di confidenza che chi passa di qui sia minimamente interessato alla fantascienza. Ciò implica che, probabilmente, ha quanto meno sentito parlare del Premio Italia, un riconoscimento annuale che dal 1972 in poi premia i migliori racconti, romanzi, saggi, collane, riviste, illustratori eccetera in ambito fantascientico. Insomma, per dirla in breve, è praticamente il l'Hugo italiano. Il premio si riferisce alle "pubblicazioni professionali" uscite nell'anno precdente, quindi non include autopubblicazioni e pubblicazioni amatoriali, ma solo quelle mediate da una casa editrice "riconosciuta".

Onestamente nemmeno io ci pensavo, ma mi sono accorto stamattina da alcuni post lanciati in giro che un mio lavoro è tecnicamente candidabile per il premio. Forse è un po' tardi, perché la fase di candidatura termina il 29 marzo, ma io un abbocco ve lo lancio.

Il racconto in questione, suggerito anche dall'editore, è Sinfonia per theremin e merli, secondo classificato al Premio Giulio Verne 2012 e incluso nella raccolta Strani Nuovi Mondi 2012 di Edizioni Della Vigna. Che, guarda caso, è una "pubblicazione professionale" occorsa nel 2012! La mia ucronia di una Firenze degli anni 60 antimatematica pare che sia piaciucchiata in giro, e se non altro ha il merito di aver insegnato a molti dei lettori cosa è un theremin. Per chi non conosce il racconto e vuole due parole in più è a disposizione il video della premiazione del Giulio Verne in cui ne parlo personalmente (intorno al minuto 27), altrimenti... beh, potete anche chiedermelo (non credo sia contro il regolamento). D'altra parte, se lo stesso racconto era stato segnalato al Premio Robot, e aveva passato la fase finale della selezione per l'antologia Discronia dell'ormai defunta Edizioni XII, vorrà pur dire qualcosa...

La difficoltà maggiore sta nel fatto che le candidature sono proponibili solo da chi è iscritto alla World SF Italia (quindi i professionisti del settore) e da chi ha partecipato alle due precedenti edizioni dell'Italcon. Una cerchia piuttosto ristretta in effetti, ma magari chi legge qui ha un amico di un amico che...

Per inciso, ci sono anche altri racconti, raccolte e personaggi che varrebbe la pena votare. Non mi sento di fare qui pubblicità a questo o quello (già mi pesa farla per me), ma ad esempio queste sono le candidature proposte da Edizioni Della Vigna, che includono altri autori validi, alcuni dei quali presenti nell'antologia Fantaweb 2.0 (il mio racconto Il senso della vita non è candidabile in quanto era già stato pubblicato in precedenza). Insomma, non mi aspetto seriamente di poter ricevere la candidatura, ma ogni contributo sarà più che gradito. Grazie a chi sceglerà di darmi supporto!

Coppi Night 10/03/2013 - I mitici

Decido di ignorare quella tradizione tipicamente italiana di assegnare sottotitoli, come a dire "aspetta, ok, dal titolo non si capisce di che sto parlando ma ti do un indizio". Quindi non includo qui sopra quel "Colpo gobbo a Milano", ma insomma il film è quello. Una delle tante commedie italiane che di quando in quando comparsano al Coppi Club. Per la verità credo che il film goda di una certa fama, quindi non sto a descriverlo.

Se solitamente sono piuttosto ostile, o quanto meno insensibile, alle trame (presunte o reali) e al tipo di comicità sfoggiato in questo genere di film, stavolta invece credo di poter esprimere un parere positivo. La storia della rapina organizzata da un gruppo di disperati è un classico, ma qui reso in maniera ottima (se si considera che non stiamo parlando di megaproduzioni hollywoodiane) e, per quanto possibile, avvincente. Il piano messo in opera può sembrare improvvisato e sgangherato, ma, nelle stesse condizioni, voi avreste fatto di meglio? Il paragone con il più recente, famoso e fortunato Ocean's 11 viene quasi naturale, ma è chiaro che qui non siamo agli stessi livelli... basta confrontare le due coppie di protagonisti dei rispettivi film per farsi un'idea: quelli de I mitici hanno tutto un altro appeal rispetto a questi due. Tuttavia, i diversi rivolgimenti della trama e le occasionali sorprese tengono viva l'attenzione. Al tempo stesso, al contrario di come spesso avviene nei film italiani, non si cerca a tutti i costi di portare in primo piano l'aspetto "sentimentale", credendo che sia questo a dare profondità al film. La storia rimane focalizzata sull'obiettivo finale, quello della rapina, e le digressioni sono poche. Ci sono alcuni accenni all'attualità dell'epoca, che parlano di disoccupazione, crisi (toh, anche allora?), corruzione e così via, ma sono note a margine, rilevabili ma non pesanti nell'economia del film. Anche il finale è ben studiato, non banale ma soddisfacente.

Una menzione va fatta anche ad alcune interpretazioni. Smaila è meno macchiettoso del solito, anzi piuttosto efficace nel ruolo del direttore omosessuale, e pure la Bellucci risulta gradevole mostrandosi molto più vicina alla sua forma naturale, in un tempo in cui non era la dama di classe che millanta di essere adesso.

"Upside Down" su Il futuro è tornato

Come nel caso della mia recensione del videogioco Braid, segnalo velocemente che sul blog di fantascienza "Il futuro è tornato" compare oggi il mio commento al film Upside Down, uscito poche settimane fa e attualmente ancora in programmazione in alcuni cinema. Magari avete visto il trailer, si tratta di quel film in cui ci sono due mondi "gemelli" uno sopra all'altro, e dei due ragazzi dei due mondi opposti che si innamorano e tentano di portare avanti il loro amore eccetera... L'idea iniziale mi era piaciuta molto, ed ero piuttosto curioso, per cui alla prima occasione sono andato a vedere il film. Col senno di poi, forse era meglio Educazione siberiana... ma vi lascio leggere la recensione per comprendere perché dico questo.




Come nota a margine, faccio presente che non segnalerò tutti i miei "guest post" su blog/piattaforme esterne, ma lo farò solo nel caso in cui si tratti di articoli inediti che ancora non erano comparsi qui. Per esempio giusto la settimana scorsa, proprio su "Il futuro è tornato", è stato riproposto il mio post sulla saga degli Yilanè di Harry Harrison, ma non ve l'ho fatta pesare troppo. Comunque tenete d'occhio quel blog, perché alcune delle mie recensioni degli ultim tempi appariranno anche lì nelle prossime settimane.

Rapporto letture - Febbraio 2013

Cinque libri a febbraio, direi che siamo in media. Che poi febbraio è di per sé più corto, quindi insomma, bisogna sforzarsi di più per sfruttare al meglio quei due-tre giorni che mancano, no? Procediamo.


Più riguardo a GoliathPiù riguardo a Behemoth Intanto, per non lasciare le cose a metà, ho completato la lettura del ciclo di Leviathan di Scott Westerfeld. A gennaio avevo letto appunto Leviathan, dopodiché mi sono tirato giù i seguenti Behemoth e Goliath. La storia della Grande Guerra in questo mondo alternativo diviso tra Darwinisti e Clanker prosegue. Nel secondo libro, che si svolge quasi interamente a Costantinopoli, il principe rinnegato Alek si unisce ai ribelli che cercano di sovvertire il potere del sultano, in modo da evitare il coinvolgimento nella guerra dell'Impero Ottomano a favore dei Clanker. Nell'ultimo libro invece entra in gioco Nikola Tesla in persona, che afferma di aver costruito una macchina (il Goliath del titolo) in grado di fermare la guerra (avete presente Tunguska?), e il Leviathan scorterà lo scienziato dalla Russia agli Stati Uniti, passando per il Giappone e il Messico, fornendo così una carrellata delle diverse nazioni in questo universo alternativo. Nel corso dei viaggi ci sono al solito battaglie e inseguimenti, fughe e scoperte, e verso la metà di Goliath, come ci si poteva aspettare, Deryn rivela la sua identità e il suo rapporto con il principe "sfocia" nella prevedibile affezione amorosa. Tuttavia non c'è niente di melenso, anzi, la storia regge bene e l'ingresso dei nuovi personaggi, dal bizzarro e megalomane scienziato serbo a Bovril, la bestiolina "perspicace" (che ha capito che Deryn era una ragazza prima di chiunque altro) dà colore alla trama. Il tono rimane quello del primo capitolo, fondamentalmente leggero ma con efficaci virate drammatiche. È poi molto interessante scoprire come l'autore ha rielaborato eventi e nozioni dell'epoca utilizzandoli nella sua storia. Assegno al primo un voto 7/10 e al secondo 7.5/10, e complessivamente posso dire che la saga merita di essere letta... se avete a disposizione quei 30 euro che costa il volume completo in italiano edito qualche mese fa (io non li avevo, ma ho preso gli ebook!).


Come intervallo tra i due libri di sopra, mi sono letto Human Take Away, di Massimo Baglione e Alessandro Napolitano, e-book che include il racconto del titolo, menzionato all'ultimo Premio Giulio Verne (dove io sono arrivato secondo). Il racconto medio-lungo narra una delle tante possibili "origini alternative" della vita sulla Terra (dal titolo la si dovrebbe intuire), e le conseguenze del ritorno dei nostri "fattori" che giustamente esigono di poter raccogliere i prodotti della loro semina di qualche milionata di anni prima. Naturalmente le cose non vanno così lisce, e ci sarà da sistemare alcune questioni, ma alla fine tutto si conclude per il meglio, per entrambe le specie. Certo non un capolavoro di originalità, ma una lettura gradevole e a tratti molto spassosa, soprattutto quando interviene la traduzione automatica degli idiomi alieni. Il file contiene anche due racconti dei due autori "da solisti", che tuttavia non raggiungono lo stesso potenziale, uno troppo in stile Sentinella di Fredric Brown, l'altro poco concludente. Tuttavia nel complesso il libro merita, tanto più che si può scaricare grauitamente. Voto: 7/10.


Più riguardo a Quando le radiciQuesto è uno di quei libri che sono un po' in difficoltà a recensire, perché viene presentato ovunque come uno dei massimi della fantascienza italiana, ma... ecco, già parlare di fantascienza mi pare esagerato. Di Lino Aldani avevo già letto alcuni racconti (ricordo Trentasette centigradi e un altro "il labirinto qualcosa" che mi avevano colpito) per cui lo considero un autore valido, e di certo la sua abilità scrittoria non si discute, tuttavia questo romanzo in particolare mi ha lasciato poco. Quando le radici è semplicemente un libro nostalgico, il cui messaggio ultimo è "si stava meglio quando si stava peggio". Il protagonista vive in un mondo moderno disumanizzante e decide di tornare al suo paese di origine, fermo alle tradizioni contadine, e da qui poi "regredisce" ancora unendosi a un gruppo di zingari nomadi. La lettura in sé non è faticosa (a parte certe sezioni più "sperimentali"), ma i contenuti sono alquanto scarsi, o più che altro, emergono già dopo un quarto di libro e poi vengono replicati fino alla fine senza grandi ulteriori rivelazioni. Per cui non riesco a dare a questo romanzo il valore che gli sembra universalmente attribuito, la storia è roba già vista (non so... I Malavoglia?) e a livello di invenzione fantascientifica siamo praticamente a zero, per cui devo fermarmi a un voto: 5/10.


Più riguardo a Lungo una strada pericolosaUltimo del mese è un libro di Dan Simmons, che anni fa ho incautamente acquistato presumendo si trattasse di un romanzo di fantascienza, o comunque "fantastico", e che invece ho scoperto essere semplicemente un thriller/investigativo d'azione. Per questo temo di essere ingiustamente riduttivo, parlando di Lungo una strada pericolosa (originale: Darwin's Blade): probabilmente nel suo genere è un ottimo libro, ma il problema è che non è il mio genere, quindi non riesco a farmelo piacere. Il nucleo della storia è una maxi frode assicurativa basata su incidenti combinati, su cui il protagonista si trova a indagare e in cui rimane coinvolto rischiando la vita per mano delle intrusioni della mafia russa invischiata nella faccenda. Il problema principale è che intanto questo protagonista è veramente odioso: veterano del vietnam, cecchino perfetto, pilota di aliani, giocatore di scacchi, sa tutto e sa fare tutto, non cede mai e tratta chiunque come una merda. Per lo stesso principio per cui preferisco Monk a CSI, non riesco minimamente a empatizzare con uno stronzo del genere, e ho sperato più volte che i mafiosi riuscissero a centrarlo in mezzo agli occhi. La trama in sé è costruita in modo esemplare, con gli indizi raccolti e accumalti, qualche punto oscuro rivelato da flashback, un pizzico di sentimentalismo, alcune sequenze al limite della commedia e così via, ma questo non è bastato ad affascinarmi. Ripeto, problema interamente mio, se a voi piace CSI sicuramente ve lo godete. Io però non posso spingermi oltre la sufficienza. Voto 6/10

Quando piove diluvia (Giornata del Post Banale)


Come tutti i blogger sanno, o come io ho imparato otto minuti fa, il 13 marzo è la Giornata Nazionale del Post Banale. L'iniziativa nasce per esorcizzare la pesante presunzione di questi blogger che si ritengono i nuovi freethinker del web 2.0, e per ricordare che sono anche loro degli stronzi come tutti gli altri. Personalmente avrei preferito una giornata del post banaNe, perché come ci insegna anche il Dottore, le banane sono buone e bisogna sempre portarne una alle feste:



Tuttavia, per quanto apprezzi la bananità, in questo caso mi adatto e partecipo alla diffusione della banalità, che tutto sommato una volta ogni tanto è rigenerante.


E cosa c'è di più banale del tempo? Quello atmosferico, dico, il meteo. Che seccatura che in italiano la parola "tempo" abbia due significati tanto opposti, mi crea sempre un sacco di problemi a farmi capire. Anyway, non so dalle vostre parti, ma qui è quasi una settimana che piove. Ma piove di continuo, eh. Magari non quella pioggia torrenziale scrosciante che ti schiaccia i capelli, ma continua, par d'essere alla base di una cascata, cazzo. Non che la pioggia mi rechi problemi in sé, anzi, amo l'atmosfera grigia e l'odore di ozono e asfalto bagnato dei temporali, ma ecco, quando piove così è una seccatura perché per andare a lavoro sono costretto a prendere la macchina. Solitamente la mattina zompo sulla bici, pedalo dieci minuti e lo tiro in culo al traffico, ai sensi unici e ai parcheggi, ma quando piove come oggi (o come i giorni scorsi) sono costretto a servirmi del motore a scoppio, e la cosa mi irrita. Già che non sono amabile di mattina, poi mi ritrovo anche con questa seccatura in più per cui divento intrattabile. Peraltro in seguito al bilancio dell'anno scorso sto adottando una disciplina di riduzione dei costi, e la voce di spesa che punto a tagliare drasticamente è proprio quella dell'auto, ché se i tempi che seguono sono come i tempi che corrono (ed è probabile che, se non saranno simili, saranno peggiori) avere le quattro ruote sotto il culo mi sa che si renderà del tutto impossibile. Vorrà dire che, nel caso, mi adattero a fare la spesa a km 0, e per il resto mi faccio scarrozzare se ho bisogno. La rivoluzione potrebbe essere acquistare una bicicletta pieghevole, ho visto che con un 200 euro se ne trovano di valide, il problema è reperire prima quei 200 euro. Quindi, per concludere, come se in questa dozzina di righe avessi davvero portato avanti un'argomentazione che adesso cerco di riassumere, fuori piove, ma dentro non è che splenda il sole (in senso letterale: qualche mese fa avevo infiltrazioni d'acqua nel soffitto...). E lamentarsi della propria miseria, per quanto sia appropriato date le circostanze, è estremamente banale. Ve l'ho raccontato che l'altro giorno un tossico mi ha chiesto dei soldi ma poi capendo che ne avevo bisogno quanto lui mi ha fatto gli auguri per il proseguimento? Ecco, dovrebbe rendere l'idea.

Insomma, buona banalità a tutti. E ricordatevi le banane.

Skan Magazine n. 7

Rapidissima segnalazione di una mia nuova pubblicazione. Sul numero di marzo di Skan Magazine (cito: "La rivista multicanale gratuita di narrativa fantastica liofilizzata istantanea") è stato incluso il mio breve racconto Da qualche parte nello spazio, a suo tempo già inserito nell'e-book Il senso della vita. Si tratta forse del racconto più melenso che abbia mai scritto, ma, devo ammettere, mi ha sempre lasciato soddisfatto (il che non significa che debba piacere anche a voi, sia chiaro...), forse perché sotto la scorza dura ho un cuoricino pure io. C'è anche un aneddoto simpatico circa l'origine di questo testo, ma non è il caso di divagare qui, semmai richiedetemelo in privato. Anche se forse in realtà non è poi così simpatico. Peraltro il racconto è stato inserito in una rubrica creata appositamente per ospitare i miei lavori, che non per niente si chiama "Being Piscu", per cui è probabile che nei prossimi numeri sarò di nuovo presente sulle pagine elettroniche della rivista.




Lo Skan Magazine si può scaricare o leggere direttamente dal sito, scoprendo così un'ampia selezione di racconti provenienti da vari concorsi e competizioni online, oltre che a rubriche di critica, approfondimenti e illustrazioni. Un progetto giovane ma vitale, da tenere d'occhio!

Ultimi acquisti - Febbraio 2013 (parte 2)

Seconda parte degli acquisti musicali di febbraio, per completare il pacchetto di nuove acquisizioni. Nel post precedente ho parlato degli album, adesso passiamo alle compilation.


... e mi smentisco subito perché tecnicamente questa non è una compilation. Tuttavia questo Maetrik live at Cocoon Ibiza non si può considerare un album. È appunto la registrazione di una performance live di Maetrik (aka Maceo Plex) del 26/9/2011. Le dieci tracce (che sono dell'autore stesso o suoi remix) sono mixate in un set di grande qualità, grazie proprio all'estrema originialità che questo artista sta mostrando da qualche anno a questa parte. Si tratta "solo" di tech-house, ma Maetrik è sicuramente uno di quelli che stanno maggiormente contribuendo a dare una nuova direzione a questo genere vastissimo. Ottimo ascolto da macchina.


Rimanendo in casa Cocoon, c'è da prendere in considerazione uno degli appuntamenti fissi, anche se quest'anno l'ho acquisito un po' in ritardo: il doppio cd mixato da Sven Vath, arrivato quest'anno al The Sound of the 13th Season. Al solito Sven riunisce nei suoi mix il meglio delle tracce suonate nell'ultima stagione, e qui assistiamo a una certa distinzione tra le due parti. La prima è una techno più dura, testimoniata dalla presenza di pezzi di autori come Ben Sim, Octave One, Planetary Assault Systems. Nel secondo invece c'è più spazio per atmosfere più houseggianti e melodiche, con gente come &Me, Lawrence, Four Tet. Come sempre, il "sound of the season" di Sven Vath è un must, quest'anno tuttavia nel complesso non mi è sembrato di notare grandi capolavori inclusi nella selezione, pur rimanendo fuori discussione la qualità complessiva.


Più ricercata invece questa raccolta del 2010, che riunisce alcuni pezzi di etichette elettroniche sarde. E no, "sardo" non è un termine specifico del gergo techno, intendo proprio "della Sardegna": il titolo Sardinian Electronic Labels Compilation dovrebbe rendere l'idea. I tredici pezzi di autori italiani (beh, di fatto, sardi) si muovo tra techno, house e ambient, e nonostante le aspettative (perché chi è che va a pensare alla scena elettronica sarda?) la qualità si dimostra elevata. Certo si tratta di nomi pressoché sconosciuti, ma alcuni pezzi sono davvero di buon livello, come Je Va a Ser di Nicola Tola o Is Hard to Look at You in that Perspective di Andrea Porcu. Una graditissima sorpresa.



Infine, qualcosa che esula dai miei soliti ascolti: Gimme a Break infatti è un cd che raccoglie una selezione di pezzi funk degli anni '70che hanno fatto la storia del genere. Il sottotitolo chiarisce infatti "70s breakbeats and future samples". Ora, sicuramente non sono un grande esperto di questo genere specifico per cui non posso dire se i brani qui inclusi siano in effetti il top di gamma, ma sicuramente la selezione è interessante, e in quanto precursore, a suo modo, del movimento techno-house che sarebbe nato di lì a un decennio, il fenomeno funk è sicuramente da tenere sott'occhio. Quindi di fatto non so dire quanto questa compilation tenga fede alle sue intenzioni, ma l'ascolto è quanto mano istruttivo.

La guerra alla fine dell'universo

Approfitto spesso di questo blog per autopromuovere le mie varie e più o meno rilevanti pubblicazioni, ma di fatto sfrutto raramente lo spazio per proporre delle vere e proprie opere di mia realizzazione, pur avendo predisposto una rubrica dedicata proprio a contenere i miei racconti. L'ultimo risale ad agosto dell'anno scorso, quindi non penso di peccare di ridondanza se adesso ne pubblico un altro, giusto per dare un po' di colore a questo blog in pigiama*.

Il racconto che segue è un corto di fantascienza hard, sul filo della space opera, con guerre galattiche millenarie e alieni e armi quantiche e... e a questo punto tanto vale che ve lo leggete.



La guerra alla fine dell'universo


Il sergente McAllister prese l’ascensore panoramico per scendere al livello detentivo della navecittà. Attraverso il tubo che lo spediva quattromila chilometri più in basso, vide la Galassia Nana del Compasso estendersi nel nero cosmico, tinta degli anomali colori del blueshift provocato dalla velocità ultraluce dell'astronave. Sarebbero giunti sull’obiettivo in pochi minuti di tempo soggettivo, e una volta lì avrebbero sferrato l'attacco con la nuova arma a disposizione della flotta terrestre. Ma nel frattempo, a lui era stato ordinato di interrogare il prigioniero.
Entrò nella cella in cui era rinchiuso il brùsio. L’alieno semisolido aveva ritirato le membrane che la sua specie utilizzava per planare tra i sistemi stellari, e appariva come una medusa traslucida avvolta in uno strato multiplo di asciugamani gelatinosi.
– Brùsio – lo chiamò. Quelle creature rispondevano al nome affibbiatogli dagli umani millenni prima.
Parla, sergente. Le parole si formavano come un brusìo nella mente di McAllister: i brùsii comunicavano stimolando il cervello dell’interlocutore, pizzicando i neuroni come le corde di un’arpa. Era a questo che dovevano il loro nome.
– Perché eri sulla nave dei delfiani?
I brùsii erano alleati degli umani da più di tredicimila anni standard nell’eterna guerra contro i delfiani, che aveva ormai assunto proporzioni intergalattiche. Le eteree meduse stellari avevano una percezione del tempo non lineare, e la loro coscienza non si limitava al presente, ma abbracciava contemporaneamente tutto l'arco della loro vita, potenzialmente infinita. Per questo erano dei consulenti così validi, e ogni equipaggio terrestre aveva con sé diversi brùsii che fornivano preziosi avvertimenti in battaglia.
Ma questo brùsio era a bordo del ricognitore delfiano che la navecittà aveva abbattuto prima di passare all’ultraluce. Non era prigioniero dei delfiani, collaborava con loro.
Non vuoi conoscere questa risposta, lo ammonì l’alieno.
– Se sei un traditore dobbiamo sapere quali informazioni hai passato al nemico.
Non sono un traditore. Servo il mio scopo. Il vostro scopo. Lo scopo di tutti.
Una sirena annunciò l’abbandono dell’ultraluce. La navecittà si trovava ora a distanza di sicurezza dal nucleo attivo della Galassia completamente occupata dai delfiani. Avrebbero testato la nuova arma a inversione quantica, dirigendola sul buco nero centrale di PGC50779.
– La guerra è finita. Adesso possiamo far implodere intere galassie. I delfiani hanno perso.
La guerra è sempre esistita, è sempre finita.
– Di cosa parli?
La risposta non giunse subito. Era impossibile cogliere le emozioni di un brùsio, anche ammettendo che ne avesse, ma McAllister pensò che la creatura esitasse a rivelargli qualcosa che voleva rimanesse segreta.
Noi vi abbiamo portato alla guerra. Abbiamo suonato le vostre menti perché attaccaste i delfiani. E lo stesso abbiamo fatto con loro.
– Che stai dicendo? Siete voi ad aver provocato il conflitto? Perché?
L’universo deve finire per iniziare. L’universo è sempre iniziato così, è sempre finito così.
McAllister cercò di capire. Le parole del brùsio erano enigmatiche. Ma l'essere parlava in forza della sua coscienza estesa, e vedeva tutto quanto era accaduto nel corso della sua lunghissima vita. E a quanto diceva, quel particolare brùsio conosceva addirittura l'inizio e la fine dell'universo.
– Vuoi dire che la fine dell'univ... – iniziò il sergente, ma fu interrotto da una nuova sirena. Stavolta era quella che annunciava il caricamento dei cannoni a inversione, che avrebbero fatto fuoco per la prima volta su...
E allora McAllister capì.
Le armi a inversione quantica non erano mai state testate su un nucleo galattico. Possibile che quell’arma innescasse una reazione a catena in grado di annichilire l’intero universo? Tutta la materia esistente avrebbe potuto collassare in un unico punto, per poi esplodere di nuovo ed espandersi ancora, in un ciclo infinito? Possibile che il Big Bang derivasse dall’ultimo atto della loro guerra?
Doveva avvertire il comandante. Chiamò in plancia, e prima ancora di sapere con chi stava parlando, gridò: – Fermate i cannoni! Non spar...
Troppo tardi. Le armi stavano già facendo fuoco, e in pochi secondi avrebbero disgregato il nucleo della Nana del Compasso. E dopo di essa, tutte le altre.
È la fine, è l’inizio, è tutto, furono le ultime parole che il brùsio suonò nella sua mente in quell’iterazione dell’universo.


*Lo dico perché mi è stato fatto notare che il colore azzurrino del blog ricorda quello tipico dei pigiamoni dei bambini. Forse, a suo tempo, prenderò in considerazione l'idea di cambiare il tema di colori.

Coppi Night 03/03/2013 - L'aereo più pazzo del mondo

Io mi lamento spesso (quasi sempre) delle traduzioni dei titoli dei film, e ne parlo come di un fenomeno attuale, e quindi presumibilmente recente. In realtà, pare che la sindrome della traduzione a cazzo sia in circolazione già dagli anni '80, perché, per quanto il titolo sia poi entrato nella storia, tradurre Airplane! come L'aereo più pazzo del mondo fa pensare a uno di quei libretti illustrati per bambini. Che poi non è nemmeno così fuori luogo visto che in effetti si tratta di una storiella leggera... sì insomma, è vero, sono io che mi lamento.

Comunque, siamo di fronte a uno di quei casi in cui è poco utile stare a descrivere il film, perché lo conoscete tutti e in trenta e passa anni si è affermato come cult assoluto del genere parodistico/demenziale. Dovrei documentarmi meglio ma credo si tratti in effetti del primo grande successo del trio Zucker/Abrahams/Zucker, ai quali poi hanno fatto seguito le varie pallottole spuntate. Forse questo film nello specifico è invecchiato peggio di altri, perché rispetto ad esempio a Il fuggitivo della missione impossibile (che non è degli stessi registi, ma comunque stesso filone) in alcuni casi presenta gag più difficili da assimilare. Parte della difficoltà è probabilmente data dall'impossibilità di tradurre le battute, basate spesso su pun e giochi di parole pressoché irriportabili se non con soluzioni approssimative (roba alla "lupi ululì" di Frankenstein Junior). Una delle battute passate alla storia per esempio è la seguente:


Tuttavia è chiaro che il gioco di parole "surely/Shirley" non ha senso in italiano. Considerando che questa situazione si ripete decine e decine di volte, si capisce a vederlo tradotto si perde buona parte delle battute.

A questo punto posso confessare che ho furbescamente cercato il modo di infilare un video in questo post in modo da allungarlo, perché come dichiarato all'inizio avevo poco da dire di concreto. Per cui, raggiunto il mio scopo, chiudo qui.

Ultimi acquisti - Febbraio 2013 (parte 1)

Se pure a dicembre ho acquistato e recensito due cd, in realtà era da novembre che non passavo a fare la spesa da Mastelloni. D'altra parte come ho mostrato, la musica è stata una delle mie principali voci di spesa nel 2012, e vorrei mantenere questo trend nel 2013, in culo alla crisi. Per cui ecco i primi nove acquisti del nuovo anno (nemmeno tanti, dai), suddivisi in due parti, album e compilation.


 
Continua la serie delle ristampe degli album di Plastikman, e io non posso fare finta di nulla. Per ora ho acquistato solo Musik, anche se ne erano già disponibili altri, che ho deciso di dilazionare nelle prossime occasioni. Non c'è molto di diverso da dire rispetto algi altri: una techno minimale fino ai limiti dell'essenziale, suoni puri e puliti, pezzi lunghi e riflessivi. Questi lavori dei primi anni 90 di Plastikman (quello che poi avreste conosciuto come Richie Hawtin) sono probabilmente i capisaldi della minimal. Pertanto irrinunciabili.




Si procede con un altro nome comparso di frequente su queste pagine, visto che di Paul Kalkbrenner mi sto ricostruendo pezzo per pezzo la discografia. Icke Wieder è il suo album del 2011, e come altri di cui ho parlato in altri post contiene una serie di pezzi di grande qualità. Se non fosse per i titoli impronunciabili, tutte e dieci le tracce meriterebbero davvero una diffusione maggiore, da Jestrupp a Kleines Bubu. Fortunatamente Kalkbrenner (Paul, non Fritz) è riuscito a sfondare il muro che lo separa dal mainstream, e può contare su un pubblico relativamente ampio. È un bene, perché la sua musica è una delle migliori espressioni della techno più "soft" attualmente in circolazione.


 
Anche Boys Noize, per qualche strana combinazione, è uno (perché è uno solo, nonostante la S di "boys" faccia pensare a un plurale) che ultimamente sta scavallando la nicchia dei seguaci dell'elettronica, e lo dimostra, tanto per dire, la collaborazione con Snoop Dogg per una delle tracce di questo Out of the Black. Come sempr enon voglio fare il trend leader, ma Boys Noize lo seguo da before it was cool, e si può dire che essenzialmente il suo stile è rimasto il solito: musica frenetica, vocal distorti, synth spremuti al massimo. In questo senso, l'ultimo album rimane coerente con la sua tradizione, il che è a suo modo confortante, perché dimostra come, nonostante la crescente popolarità, Alex Ridha (mi pare si chiami così) non abbia ceduto a compromessi per uno stile più marchettabile... a meno che il duetto con Snoop Dogg non sia già di per sé un compromesso.
 


Di Fairmont invece non si può dire che sia popolare (nonostante il successo di Gazebo). Uno degli allievi della Border Community di James Holden, back in the days, era da un po' che non si faceva sentire. Dopo qualche anno di silenzio, è tornato fuori a fine 2012 con questo Automaton, che contiene una decina di tracce del suo particolare e riconoscibile genere. Fairmont, come pochi ma eccellenti altri artisti, riesce a fondere i fondamenti dell'elettronica con una componente pop, creando brani lenti ma densi di significato, spesso arricchiti da testi interpretati da lui stesso. È un'alchimia non facile per tutti, ma che si esprime al meglio in pezzi come Old Ways e Broken Glass. Sicuramente un genere accessibile a chiunque, in grado di far apprezzare la profondità dell'elettronica anche a chi non la segue.



Infine troviamo Starkey, che nemmeno io conoscevo e a cui ho dato fiducia in base ai titoli dei pezzi. Orbits si è rivelato essere un album principalmente dubstep, genere che già mi soddisfaceva poco in origine, ma che a maggior ragione nell'epoca post-Skrillex sta iniziando a diventare irritante (soprattutto per i numerosi tentativi di imitazione, non tanto perché sia fastidioso di per sé... almeno non del tutto). Per questo, non posso dire che l'album mi sia piaciuto più di tanto. Paradossalmente, mi sono sembrati migliori i pezzi puramente strumentali come Crashing Sphere, che sembrano più ispirati, piuttosto che quelli che dovrebbero essere la "portata principale" del disco. Per cui il tutto risulta ascoltabile ma non entusiasmante.