Coppi Night 25/02/2018 - Sicario

Tra Arrival e Blade Runner 2049 ho voluto ripercorrere la filmografia di Denis Villeneuve in modo da arrivare più preparato a un possibile sequel disastroso (spoiler: è andata bene). Ho visto Enemy, Prisoners e Incendies, mi mancano giusto alcune delle sue prime produzioni e fino a qualche giorno fa questo Sicario, film ampiamente acclamato che è stata un po' la rampa di lancio per far decollare la carriera di Villeneuve. Ne avevo già sentito parlare diverse volte quindi avevo delle aspettative piuttosto alte, anche in considerazione degli altri film di Villeneuve che sono riusciti tutti a impressionarmi, magari anche per ragioni diverse.

Per questo, Sicario è stata una mezza delusione. Non è un brutto film, è molto ben concepito e realizzato, dalle scenografie alla regia, dalla recitazione al sonoro, però alla fine dei conti non mi ha impressionati in nessun modo, a differenza degli altri citati. Mi è parso in utlima analisi un film piuttosto ordinario sul traffico di droga, con snodi e scenari che si vedono normalmente in molti show polizieschi o in ben altre tamarrate alla Fast and Furious.

Un merito che si può riconoscere è che le sequenze di azione (inseguimenti, sparatorie, infiltrazioni) sono senza dubbio realistiche, lontane da quei canoni artificiosi a cui il cinema e le serie tv ci hanno abituati negli anni. Niente esplosioni, morti scomposte o spettacolari, piogge di piombo e miracoloso salvataggio dalle pallottole. In compenso però, quella che si svolge sullo schermo è una storia perfettamente ordinaria, pressoché lineare, condita con qualche lieve rivelazione che però non aumenta la posta in gioco.

E un altro grosso problema è che non ho capito ci sia il protagonista. Il punto di vista principale (ma non esclusivo) è quello dell'agente FBI interpretato da Emily Blunt, ma proprio nel climax finale la perdiamo, e l'azione si concentra invece su Benicio Del Toro (che peraltro, a quanto ho capito è proprio il sicario del titolo), che porta a compimento l'operazione e la sua vendetta finale. La Blunt riemerge solo per un'ultima sequenza in cui dimostra di nuovo che niente è cambiato nella sua situazione, e il film finisce. È una storia un po' mozza, un arco narrativo interrotto che non produce la soddisfazione che dovrebbe.

Il film ha avuto un buon successo e anche diverse nomination tra Oscar, Cannes, BAFTA and many more, e la cosa un po' mi stupisce perché onestamente non ci vedo tutto questo materiale da premiare. A meno che: 1) le candidature siano da considerare come un riconoscimento successivo al lavoro di Villeneuve degli anni precedenti, e/o 2) la tematica del traffico di droga tra USA e Mexico sia talmente sentita che basta metterla in scena per far drizzare le orecchie all'Academy. A mio avviso quindi il film più loffio di Villeneuve, che certo con Sicario si può permettere comunque di mangiare in capo alla metà dei registi attualmente in circolazione.

Queste Oscure Materie è anticlericale?

Sta girando in questi giorni la notizia che la saga young adult di Philip Pullman Queste Oscure Materie, composta da La bussola d'oro, La lama sottile e Il cannocchiale d'ambra, è in corso di adattamento per una serie tv prodotta dalla BBC. Qualcuno ci aveva già provato, una decina di anni fa, a portare al cinema La bussola d'oro, con l'intento di completare poi la trilogia: era l'epoca del Signore degli Anelli e delle Cronache di Narnia, si puntava molto sulle ambientazioni fantasyeggianti. Nonostante le aspettative e il cast di alto livello (Nicole Kidman, Daniel Craig, Eva Green), i risultati mediocri del film avevano però messo fine al progetto, fino a quando a distanza di qualche anno lo stesso autore Pullman ammetteva che la prosecuzione della trilogia non era più in lavorazione. Meglio così, visto che la giovane protagonsita (Dakota Blue Richards) nel frattempo era cresciutella come si può vedere qui accanto, e sarebbe stata poco credibile come tomboy ribelle.

Ho letto tutta la serie di recente, a partire da ottobre dell'anno scorso, come si può vedere nei miei rapporti letture dei mesi scorsi, per cui ne ho un ricordo molto fresco e soprattutto non contaminato dalla lente di distorsione delle "letture di quando ero ragazzo". Insomma, avendolo letto a trent'anni, l'ho valutato subito con una prospettiva adulta. Quindi, ora che l'interesse verso questa serie potrebbe iniziare a risalire (anche per via della pubblicazione del primo volume di The Book of Dust, una serie prequel della trilogia originale), mi sembra interessante affrontare un punto che molti evidenziano parlando di questa saga: la tematica anticlericale.

Seguiranno spoiler, in particolare sul terzo libro, che è poi quello in cui si sviluppa maggiormente l'arco narrativo complessivo della serie (con l'aiuto di qualche retcon, visto che nel primo libro alcuni dettagli non solo non sono nominati, ma sembra proprio che non esistano). Per cui evitate di leggere se non volete scoprire di cosa parla, alla fine, Queste Oscure Materie.

Già nel primo libro, l'avversario principale, l'entità contro cui lottano i protagonisti (in particolare Lord Asriel), è il Magisterium, che sostanzialmente consiste in un clero organizzato in modo molto simile alla nostra Chiesa. Anche il culto che professano è molto simile, c'è un Dio unico e supremo, una Creazione, un Inferno... apparentemente però nessun Gesù si è incarnato in quel mondo. Successivamente, quando la mitologia della saga si espande (per lo più nell'ultimo libro), apprendiamo che il Magisterium è solo una delle emanazioni del Dio, chiamato Autorità (e del suo secondo in comando, Metatron), e che l'obiettivo finale di Autorità è quello di reprimere l'iniziativa individuale, assoggettare tutti i viventi a una volontà unica e immutabile, conformare ogni mondo. La battaglia finale di Lord Asriel e dei suoi alleati è quindi contro Dio stesso, ed esprime la volontà delle creature pensanti di mantenere la propria autonomia.

Tutto questo è stato interpretato da molti lettori e recensori come anticlericalismo. E certamente lo è, nel senso in cui si oppone a un sistema di potere gerarchizzato. Tuttavia a mio avviso questa è una visione superficiale della questione. È vero che Pullman parla di un dio monoteista e del suo schieramento di servitori (umani e angelici), ma la religione in questo caso non è il vero punto focale della tesi.

C'è un motivo se l'entità primaria non ha il nome di un dio ma si chiama Autorità. Perché è proprio questo il nemico che l'autore vuole spingere a combattere. Non si tratta di eliminare la religione in sé, tant'è che in molte altre occasioni viene esaltata una visione del mondo "mistica" e oltre il razionale (in verità per tutta la saga permane una sorta di dualità materia/spirito, corpo/anima, ecc). Ciò a cui Pullmann si oppone è qualunque forza cerchi di omologare, schiacciando l'identità e l'iniziativa, appiattendo la personalità e l'entusiasmo, rendendoci tutti uguali. Quell'Autorità può venire dal clero (come spesso accade), ma può venire anche dal parlamento, dalla scuola, dal mercato, dalla burocraziae così via.

In questo senso, Queste Oscure Materie è anticlericale nello stesso modo in cui un vegano è anche vegetariano. L'anticlericalismo è una componente della sua concezione di base, ma solo perché la Chiesa (e non solo quella cristiana) è uno di quegli organi che da sempre hanno esercitato questo potere di soggiogazione.

In alcuni paesi, certe parti dei romanzi in alcuni paesi sono state censurate. Si parla soprattutto delle scene finali in cui Lyra e Will scoprono i loro sentimenti e iniziano ad amoreggiare. L'accusa non era di balsfemia, ma una più sottile "inappropriatezza" dei contenuti al pubblico perlopiù giovanile che avrebbe letto i libri... ma sempre dell'intervento di un'autorità stiamo parlando, qualcuno che decide cosa è appropriato in modo che gli altri possano omologarsi. Già da qualche anno, le serie tv hanno sdoganato un linguaggio molto più diretto, per cui possiamo sperare che questo adattamento non subirà lo stesso tipo di censura. Anche se il rischio di una trattazione superficiale e un generale imblandimento dei temi più profondi della saga è molto alto.

Coppi Night 11/02/2018 - The Good Dinosaur / Il viaggio di Arlo

In questo caso mi permetto di mantenere anche il titolo originale, perché a mio avviso quello italiano è di una genericità scoraggiante. Voglio dire, hai un film con i dinosauri o li togli dal titolo?

Avevo già visto il film al cinema e ne avevo ricavato delle buone impressioni, rivederlo le ha più o meno confermate. The Good Dinosaur si può per certi versi definire Il Re Leone con i dinosauri e senza dinastie. Ci sono molte affinità tra la storia di Arlo e quella di Simba: il rapporto reverenziale con il padre, la sua morte (scivolato da una rupe e travolto), l'esilio volontario e il viaggio per ritrovare la via di casa con una nuova consapevolezza. Le affinità sono anche visive, in alcuni casi sembrano delle vere e proprie citazioni: la già citata morte del padre, la fuga della mandria di bisonti, la visione del padre scomparso, l'incontro con i velociraptor molto simili per atteggiamento alle iene. La differenza principale tra i due personaggi è il loro approccio alla paura: il leoncino era pronto ad avventurarsi fingendo un coraggio che non aveva, l'apatosaurino (la specie deriva dalla descrizione del film, la versione estremamente cartoonizzata dell'animale è impossibile da riconoscere) è un fifone dichiarato che vuole invece superare le sue paure.

La lezione imparata da Arlo è che la paura non è una debolezza da evitare, ma un'emozione preziosa a cui dare ascolto, per poi decidere come agire. Anche i tirannosauri-cowboy (comicamente sproporzionati), che pure vanno orgogliosi delle loro cicatrici, conoscono il valore della paura, ed è questa rivelazione a far guadagnare ad Arlo la sicurezza di cui aveva bisogno. Quando alla fine Arlo parte per salvare Spot dagli pterodattili, non lo fa privo di paura, ma consapevole che la necessità di salvare il suo amico è superiore alla paura che prova. Fear is like a companion, verrebbe da dire, citando uno dei migliori episodi di Doctor Who degli ultimi anni.

Come quasi tutti i film Pixar, il film riesce a essere divertente nei momenti opportuni senza sminuire i momento più drammatici ed emotivi, che a loro volta non sconfinano mai nello stucchevole. Personalmente sono stato distrutto dalla scena in cui Arlo e Spot si raccontano delle rispettive famiglie e perdite usando i bastoncini. So di avere un nervo scoperto su questo argomento quindi forse la mia è una reazione esagerata, ma in generale penso che si possa apprezzare davvero il modo in cui il legame tra i due protagonisti sia stato costruito in modo interamente non verbale. E anche il momento della loro separazione, a dire la verità, è bello tosto, proprio perché dice tutto senza usare una parola.

Un altro aspetto notevole è la cura con cui l'ambientazione è stata animata. La regia indugia spesso su dettagli come foglie, nuvole, neve, acqua. Il livello di definizione delle particelle è straordinario e sembra di vedere immagini reali. Questo introduce un contrasto netto tra l'ambientazione iperrealistica e i personaggi, volutamente "pupazzosi". Una scelta precisa, che a mio avviso contribuisce a dare una connotazione precisa alla storia: questo è il tuo stesso mondo, ma non è esattamente come lo conosci. In considerazione di questo ha poco senso parlare del design dei dinosauri, perché appunto è fumettistico in modo palese. Avrei apprezzato di più se si fosse andati full-feather e i velociraptor fossero stati coperti del piumaggio che meritano, invece di qualche sparuta penna sulla testa e la coda. Anche i tirannosauri ne avrebbero beneficiato, ma forse avrebbero perso il loro appeal per il pubblico. Certo questo peccato si perdona più volentieri a un prodotto del genere che a un Jurassic World...

Ci sarebbe da interrogarsi qualche minuto sul percorso evolutivo seguito dagli animali in questa linea temporale che non ha visto l'estinzione K-T alla fine del cretaceo. Sappiamo che il film è ambientato in un'epoca contemporanea alla nostra perché ci sono degli umani, ma i dinosauri sembrano rimasti sostanzialmente uguali al mesozoico. Contemporaneamente, ci sono uccelli di vario tipo, del tutto simili a quelli che esistono oggi. E gli umani appunto, si sono evoluti in modo completamente identico, nonostante si possa pensare che i primati non abbiano trovato le nicchie ecologiche da poter occupare. Quindi, da dove arrivano questi umani? E soprattutto perché si comportano come cani? Questo stesso problema era stato abilmente glissato anche da Harry Harrison nella sua serie degli Yilanè che vedeva appunto umani contrapposti a una civiltà dinosauriana, dando per scontato che gli uomini potessero essersi evoluti a partire dalle scimmie del nuovo mondo. Ma ecco, anche in questo caso, probabilmente una riflessione del genere, per quanto affascinante, va oltre gli scopi del film.

Rapporto letture - Gennaio 2018

Ho iniziato il 2018 con i racconti. I due libri assimilati questo primo mese dell'anno contengono storie medio/brevi, per un totale di una decina circa. E che, in un mese intero ho letto solo dieci racconti? No, ma dopo aver completato questi mi sono dedicato a qualcosa di decisamente più corposo, che sto finendo proprio adesso ma che finirà per competenza nel rapporto letture del mese prossimo.


La prima raccolta è Nebula, un libretto davvero molto bello da avere per le mani. Si tratta infatti di un'antologia bilingue, e già questo è sempre simpatico, ma nel caso specifico la seconda lingua è il cinese: il curatore Francesco Verso ha preso quattro dei più importanti autori della fantascienza contemporanea cinese e ha messo le loro storie in questo libro, in lingua originale e tradotti in italiano. Gli autori sono quattro: Liu Cixin (già rinomato a livello internazionale per il suo Il problema dei tre corpi), Xia Jia, Chen Quifan e Wu Yan. I racconti sono molto diversi tra loro, ma affrontanto tutti temi molto vicini all'attualità, con uno sguardo molto ravvicinato al futuro prossimo che ci aspetta. Si parla di crisi ambientali, invecchiamento della popolazione, robotica, stampa 3D, app virali e programmazione. Non è sempre facile entrare in sintonia con lo stile degli autori, forse perché la concezione di "racconto" non è del tutto sovrapponibile a quella a cui siamo abituati, come narrazione di fatti vissuti da un protagonista. In particolare in Buddhagram e Stampare un mondo nuovo la struttura si discosta dai canoni classici e può creare in alcune parti smarrimento. Questa iniziale difficoltà però è parte integrante del gusto di leggere queste storie e cercare di capire non solo cosa gli autori raccontano, ma come vedono e vivono il loro mondo. È un percorso senza dubbio affascinante, e inoltre un validissimo punto di contatto con una realtà (quella della fantascienza cinese) che si sta affermando sempre di più. Il libro è arricchito anche di quattro illustrazioni dedicate a ognuno dei racconti, scelte tramite un concorso tra gli studenti della Scuola Internazionale di Comics. Per tutte queste ragioni dicevo all'inzio che è proprio un bel libro da avere sullo scaffale, provvedete se vi manca.


A seguire sono andato a recuperare Robot n. 80, a distanza di quasi un anno dalla sua uscita (lo so, arrivo sempre in ritardo). Nell'insieme devo ammettere che è uno dei numeri meno memorabili che ho letto di recente. La parte di saggistica/articoli non dice niente di nuovo e comprende dei pezzi su Alien e Star Wars che si possono trovare su centinaia di portali geek e non avevano certo bisogno di occupare spazio sulle pagine di una rivista specializzata in fantascienza. I racconti fanno un po' lo stesso effetto: simpatico il primo di Naomi Kritzer (vincitore del Nebula), ma per il resto una generale carenza di spunti. Tra tutti spicca forse quello di Paolo Aresi, che racconta di un futuro di solitudine su un pianeta quasi spopolato, che ricorda per molti versi certe storie di Simak... forse anche troppo. Gli altri, compreso quello finale di Paul Di Filippo, mi sono sembrati vaghi nelle idee e confusi nell'esecuzione. Ovviamente si sa che in una raccolta di racconti ci possono sempre essere alti e bassi, stavolta però mi sono ritrovato sempre a quota sempre ridotta.

Coppi Night 04/02/2018 - Oltre il guado

Film comparso qualche settimana fa su Netflix e che era già stato occasionalmente proposto, e sulle prime avevo ignorato, poco attratto dalla sinossi (ma si sa che le descrizioni di Netflix non sono affidabili). In seguito ho scoperto che si tratta di un film italiano, e l'interesse si è risollevato, perché i film horror italiani (contemporanei) sono rari almeno quanto i film italiani di fantascienza. In più qualche commento positivo colto qua e là mi ha incoraggiato a provarlo, e alla fine è passato.

Il mio commento complessivo è un deciso "forse". Oltre il guado si presente bene all'inizio, con un protagonista silenzioso, un ricercatore che studia il comportamento degli animali nei boschi, in quella che si scoprirà essere la montagna friulana, al confine con la Slovenia. Il nostro etologo è esperto e competente, ben attrezzato: visori e telecamere a infrarossi, registratori audio e video, localizzatori satellitari, camper, luci, batterie ecc: l'armamentario di chi sa come cavarasela da solo, lontano dalla civiltà. Ed è questo che mi ha portato a tifare per lui: quando i primi fenomeni paranormali si presentano, lui affronta la cosa con sano spirito scientifico e pragmatico: ascolta, registra, riguarda. Capisci. A questo punto non dispiace nemmeno una piccola dose di found footage mediata dalle telecamere sugli animali, e le reazioni delle stesse bestie selvatiche alle apparizioni soprannaturali: un twist interessante a un trope che ormai è ampiamente superato.

Poi però la storia si annacqua, letteralmente. Il protagonista zampetta avanti e indietro per il villaggio abbandonato, torna continuamente negli stessi posti anche quando le evidenze di attività inspiegabili sono innegabili. Passa il tempo a dormire e bere invece di cercare una possibile, per quanto disperata, via di fuga. Gli ultimi quaranta minuti scorrono senza una sua vera e propria azione ragionata, al di là del ciondolare da un ambiente all'altro. Quello che inizialmente mi era sembrato l'eroe razionale finito in una ghost story a cui non voleva partecipare, diventa pedina e vittima designata.

Non aiuta a immedesimarsi una backstory generica e poco incisiva: crimini compiuti dai partigiani italiani, gemelle ostracizzate dal villaggio, roghi e annegamenti. Non è chiaro se ci sia un valore metaforico dietro la manifestazione di queste entità, e comunque non c'è tempo di pensarci. Quando (a loro giudizio) il tempo sta per scadere, fanno quello che devono fare, tanto al protagonista che ai suoi soccorritori. Peraltro, come purtroppo accade spesso in questo tipo di film, non si riesce a capire con esattezza quali siano i "poteri" delle entità.

Con la sofferenza della seconda parte del film, la fine è quasi un sollievo, ma rimane una sensazione di incompiuto, per una prova con tutte le migliori premesse che fallisce poi nell'esecuzione, apparentemente non per mancanza di mezzi. Bisogna ammettere che il film è capace per tutta la durata di mantenere un livello di ansia percepibile, anche grazie all'uso accurato del suono e la quasi totale assenza di musica. Nessun jumpscare, grazie a dio, ma nemmeno niente che faccia seriamente contorcere le viscere.