Spore live @ Volta Pagina - Pisa, 10 maggio

Probabilmente pensavate che essendo uscito a novembre ci fosse rimasto ormai poco da dire su Spore. E invece dopo la soundtrack e il contest, oggi arrivo ad annunciarvi il primo di una serie di appuntamenti live che si terranno nei prossimi mesi, di cui naturalmente sarete avvisati per tempo.

Spore verrà presentato per la prima volta in pubblico sabato 10 maggio, al Caffè Letterario Volta Pagina di Pisa. Siete quindi tutti invitati dalle ore 18 in poi a partecipare per ascoltare due chiacchiere sui temi dei miei racconti, fare le domande che non avete mai osato porre, e naturalmente per chi non l'ha ancora fatto (mannaggia a voi!) acquistare il libro. Senza contare la possibilità di passare un pomeriggio in compagnia di tanta bella gente, bere una birra artigianale, gustarsi un aperitivo in un locale davvero delizioso.

A dirigere la presentazione sarà Alberto Fanfani, che sarà relatore e moderatore. Oltre a lui avremo la collaborazione tecnica di altri autori della Factory Editoriale e le letture di alcuni brani di Alessandra Favilli e Matteo Panerai. Trovate tutto sulla locandina, che potete liberamente diffondere:




Via San Martino è nel centro di Pisa, e facilmente raggiungibile anche dalla stazione se venite in treno. Purtroppo non si può parcheggiare direttamente sulla strada, e il traffico in quella zona non è molto agevole (ZTL e infamie simili) per cui se siete in macchina consiglio di cercare un posto nei parcheggi di Via Paparelli, Lungarno Guadalongo o Giardino Scotto, tutti abbastanza vicini per poter poi raggiungere il locale a piedi.

Potete seguire tutti gli aggiornamenti tramite la pagina facebook del Volta Pagina o de I Sognatori, e ovviamente potete contattare me per tutte le informazioni in merito. Quindi, a questo punto, ci vediamo lì!

Lost in Lost #19 - Ep. 4x05-4x06

Quando ho detto che la quarta stagione è la mia preferita di Lost, lo intendevo per la presenza di episodi come The Constant, assolutamente geniali e sconvolgenti. Credo che questa puntata Demond-centrica sia in assoluto la migliore come storia a sé stante (cioè slegata dalla trama complessiva della serie). I lmodo in cui Desmond "viaggia nel tempo", con la sua sola coscienza che salta da un'epoca all'altra della sua vita, incapace di rimettere insieme i pezzi della sua memoria, è originale ed estremamente drammatico, e vede forse per la prima volta apparire un'idea palesemente fantascientifica come nucleo della storia. Con l'occasione abbiamo anche modo di iniziare a conoscere l'equipaggio della nave ancorata al largo dell'isola, scoprire che sono isolati dalle comunicazioni e bloccati per via di un sabotatore (chiaramente l'agente di Ben). L'occhio cade subito su un paio di personaggi che sembrano poco raccomandabili, e scopriamo anche chi è Minkowski, l'uomo che ha risposto alla chiamata di Jack alla fine della terza stagione. Nell'episodio successivo, The Other Woman, torniamo a un flashback tradizionale, che ci mostra qualche altro particolare della vita di Juliet sull'isola, e del suo tormentato rapporto con Ben. Per la verità questo episodio non aggiunge molto, se non (per chi crede in queste cose) il bacio tra Juliet e Jack, che è chiaro essere solo una componente del triangolo quadrilatero amoroso Jack-Kate-Sawyer-Juliet.

Nonostante la mia cavia abbia trovato un po' sdolcinato il finale di The Constant, c'è anche da ammettere che in casi come questo la smielatezza paga: l'incontro tra Penelope e Desmond è qualcosa per cui siamo stati preparati fino dalla fine della seconda stagione, e che anche in occasione della morte di Charlie era stato suggerito ma non realizzato. Vedere i due che finalmente entrano in contatto è liberatorio e confortante, e lo è ancora di pù se si pensa che la loro potenziale riunione (che peraltro deve ancora compiersi) non ha nessun collegamento diretto con l'isola: a Desmond non importa niente di quel posto, non ha nessun ruolo nella battaglia che si sta compiendo per impossessarsi dell'isola, per cui la sua è una spinta del tutto personale. È stato interessante anche vedere Faraday nel contesto delle sue ricerche, diversi anni nel passato, e scoprire che le sue teorie su radiazioni e viaggi nel tempo (con un esperimento che ricorda molto Fiori per Algernon) sono probabilmente la causa dei difetti di memoria che ha già mostrato. Anche la sua teoria su come risolvere lo "strappo" temporale (unstuck in time, dice, come lo è il protagonista di Mattatoio n. 5) ha un suo fascino, e se anche non appare rigorosamente scientifica è sicuramente d'effetto a livello emotivo: trovare la propria costante per poter rimanere sani (e vivi), il bisogno fisico di qualcosa di stabile e riconoscibile per tutto il corso della propria vita. È anche chiaro, secondo quanto dice Minkowski, che questa strana patologia ha già colpito altri sulla nave, quindi viene confermato che avvicinare l'isola non è facile né sicuro: la sola vicinanza può provocare strani effetti di questo tipo, e a lungo andare la morte. Degli eventi di The Other Woman forse il più interessante è la scoperta dell'antagonista di Ben: Charles Widmore, il padre di Penny, cosa che spiegherebbe perché Naomi aveva una foto di Desmond con sé, e perché fingesse di essere stata mandata proprio da lei. A questo punto quindi il collegamento tra i personaggi si infittisce, e forse anche la presenza di Desmond sull'isola è meno casuale di quanto si potesse pensare (anche considerando che è stato lui a far precipitare il volo 815). Interessante riscontrare come Faraday e la rossa abbiano evidentemente un piano d'azione di quello che devono compiere sull'isola, anche se sul fatto di dover rilasciare il gas mortale bisogna prenderli in parola (nonostante pare che già in un'altra occasione quest'arma estrema sia stata usata proprio da Ben).

Le previsioni per i prossimi episodi riguardano soprattutto ciò che avverrà sulla nave, che sembra diventata il vero centro dell'azione e delle rivelazioni: con Desmond "ricomposto", e la scoperta che quella gente è stata inviata da suo suocero, le cose hanno il potenziale per accelerare drasticamente, anche perché di solito dove c'è Sayid capita sempre qualche scazzottata. Desmond è in cerca di risposte, e forse sarà la talpa di Ben a fornirgliele: difficile dire cosa può sucedere quando scoprirà che quella non è Penny's boat, ma Penny's father's boat. Sull'isola invece per ora non sembrano esserci i presupposti per eccezionali rivelazioni, con i due gruppi ancora separati e nessuno sconvolgimento in vista, ma si sa che la situazione può sempre ribaltarsi molto in fretta.

Tutori della Scienza: Perché non discendiamo dalle scimmie


Questo post si inserisce nel contesto dell'iniziativa "Tutori della Scienza" lanciata da Gianluca Santini sul suo blog, e che invita i blogger a farsi appunto "tutori" e dedicare uno o più post a un argomento scientifico da divulgare ai loro lettori. Per la verità mi è già capitato in passato di scrivere post inquadrabili nel filone divulgativo, ad esempio quello sul Principio di Fermat e sui dinosauri piumati. Tuttavia l'iniziativa è sicuramente lodevole, e mi sento di appoggiarla sia passivamente che attivamente, aggiungendo quindi questo post alla lista di quelli diffusi dagli altri tutori.

Come si deduce dal titolo, l'argomento che tratterò è da sempre uno dei miei più cari: l'evoluzione, e nello specifico l'evoluzione della specie umana. Si tratta di un tema che affronto spesso, e che si ritrova in una forma o nell'altra in diversi miei lavori (avete letto La staffetta o Il raccolto, per esempio?). Ora voglio parlare proprio di come l'uomo è capitato su questo pianeta, o meglio ancora di come non lo ha fatto, e lo farò partendo col dirvi che quello che vi hanno insegnato è errato.

Ok, facciamo un passo indietro: in realtà siete già abbastanza fortunati che vi sia stato insegnato che l'evoluzione esiste (non state a sentire quelli che dicono "l'evoluzione è solo una teoria", anche l'elettromagnetismo è una teoria: nel lessico scientifico teoria non è sinonimo di ipotesi), ma è probabile che il modello che avete appreso si riassuma in una storiella che parte da una singola cellula nell'acqua, diventa un globulo di cellule, poi un pesce, esce dall'acqua, inizia a camminare sulle pinne, poi mette su due zampe robuste, poi altre due, gli crescono i peli le inizia ad alzarsi sulle zampe posteriori, e infine, eccolo, è un uomo! Praticamente questa cosa qui:


Magari ricordate distintamente quell'immagine sul libro di scienze delle medie con quegli ominidi messi in fila, a sinistra una scimmia curva, poi via via un bipede sempre più eretto, qualcuno con un pezzo di pelle addosso, poi con una lancia in mano, con sempre meno peli, fino al glabro e distinto Uomo Moderno. Ecco: questo è sbagliato.

Infatti immaginare un percorso lineare che dalle prime forme di vita conduca all'Homo Sapiens di cui studiamo la storia a scuola è un errore logico, un fraintendimento che deriva da un'interpretazione superficiale dei meccanismi dell'evoluzione. Perché l'evoluzione, appunto, non è un tracciato chiaro e diretto da un punto di partenza a un punto di arrivo, anzi, non ha nessun punto di arrivo (e anche sul punto di partenza non è che si possa essere così sicuri). La specie a cui apparteniamo non è il culmine di un processo iniziato miliardi di anni fa, ma solo una delle tante istanze che si sono venute a originare a causa della combinazione di migliaia di fattori in migliaia di secoli. Per questo è errato dire che "l'uomo discende dalle scimmie": le scimmie (per quanto questa stessa definizione sia generica) non sono un gradino inferiore della scala evolutiva, perché altrimenti avrebbero ragione quei creazionisti che affermano che crederanno all'evoluzione solo dopo aver visto una scimmia che partorisce un uomo. Le scimmie sono un ramo parallelo al nostro di quello stesso albero di cui probabilmente condividiamo il fusto, ma affermare che sono i nostri antenati è falso. È chiaro che esistono organismi più e meno complessi, creature che sono la "base" da cui se ne sono sviluppate altre, ma formare una scala che implicitamente attribuisce un valore a ognuna di esse è un approccio errato. Non esistono punteggi evolutivi, che che ne dicano i videogiochi dei Pokemon, non ha senso quindi ritenere una specie superiore all'altra in termini di evoluzione.

Il comune fraintendimento non è solo di un errore logico, ma anche etico. Questa concezione infatti non è altro che l'adattamento del più ottuso antropocentrismo alle moderne teorie evoluzionistiche. L'idea che l'essere umano sia l'obiettivo finale anche in un processo disordinato e imprevedibile, è palesemente una distorsione egocentrica di qualcosa di estremamente complesso e per certi versi incomprensibile. Per capire come l'Homo Sapiens non sia la punta di diamante dell'evoluzione basta pensare che, nel corso della storia, più specie di ominidi hanno convissuto: è il caso noto dei Sapiens e Neanderthal, ma anche in epoche ancora più remote è probabile che più "versioni" dell'uomo si siano trovate a vivere contemporaneamente sul pianeta.


Concludo la piccola lezione ammettendo che questo stesso pezzo non è scritto in termini rigorosamente scientifici, che il tema è complesso e che ci sarebbero centinaia di sfumature e teorie da includere in questo discorso, ma l'intento non era certo quello di fornire un valido supporto di tipo scientifico, quanto dare uno spunto iniziale per far consocere qualcosa che forse troppo spesso diamo per scontato, e magari far scoppiare quella scintilla di curiosità che vi farà venire voglia di scoprirne di più.

Coppi Night Special 20/03/14 - Transcendence

Come accade ogni tanto, per la sera di Pasqua invece della classica pizzefilm casalinga il Coppi Club ha deciso di fare una sessione in esterna, anche perché le pizzerie sono chiuse. E con la prospettiva di vedere The Winter Soldier o Transcendence, alla fine è stato scelto questo. Era un film di cui avevo sentito parlare, di chiaro stampo fantascientifico, e ritenevo che la storia potesse essere interessante.

Sbagliavo.

Provo a riassumere, e da qui in poi non avrò riguardo per gli spoiler, quindi beware. Johnny Depp è Will Caster, un programmatore che ha dedicato anni della sua ricerca alla creazione di un'intelligenza (e una coscienza) artificiale. Questo gli ha attirato le antipatie di alcuni gruppi neoluddisti (praticamente quello che succede quando la gente che scrive su Facebook "get a life, the world is out there" si organizza) che infatti a una conferenza gli sparano con proiettili radioattivi (mica male per dei luddisti!) e ne determinano quindi una morte prevista nel giro di qualche settimana. Con questa prospettiva, Caster assistito dalla moglie (anch'essa programmatrice, a quanto ci viene detto, anche se non si capisce quale sia il suo apporto alla ricerca) e da un amico/collega, decide che vale la pena provare a trascrivere la propria personalità all'interno del gigantesco computer autocosciente che già hanno progettato (sì, appunto, un'AI ce l'avevano già). L'operazione riesce, e così Caster si ritrova "scritto" dentro un server quantistico. Con l'aiuto della moglie, e nonostante i neoluddisti lo stiano ancora cercando, riesce a diffondersi in rete ed accedere praticamente a qualunque computer, network e server del globo. Da qui le sue possibilità diventano quindi infinite, e infatti dopo aver risolto la sua prima priorità (i soldi!), progetta un'intera città da lui controllata in cui condurre le sue ricerche, che includono straordinari avanzamenti nanotecnologici, superfertilizzanti e innesti cibernetici wireless. Caster si sta quindi creando un esercito, dicono i luddisti e l'FBI, così per buona norma iniziano a bombardarlo, e la guerra esplode tra le fazioni, se non che il nuovo dio-computer ha praticamente il controllo di un plotone di T1000 (umani velocissimi e fortissimi che si rigenerano dalle ferite). I suoi vecchi amici, sua moglie inclusa, comprendono che ormai Will è "andato troppo oltre", quindi progettano un virus per annientarlo, e ci riescono, con pesanti conseguenze per tutta la civiltà.

La storia può sembrare anche interessante, il problema è che presenta dei plot hole e delle incoerenze mostruose. Intanto, appunto, un'AI esisteva già prima dell'upload di Caster. Ma anche ammettendo che quel supercomputer non avesse le "emozioni" necessarie a renderlo abbastanza intelligente, e che solo la tracrizione di un essere umano potevano dargli, il risultato dell'operazione non è affatto una trascendenza: la singolarità tecnologica infatti (che viene esplicitamente nominata all'inizio del film) non ha niente di trascendente, perché il potere del Caster digitalizzato non sta nel suo immenso potere di calcolo e nella capacità di pensiero che trascende interamente quelle umane, ma si manifesta in maniera strettamente fisica, grazie alla conveniente invenzione delle nanomacchine che gli permettono di ridare la vista ai ciechi, far camminare gli storpi e controllarli a suo piacimento. Quello che vediamo non è quindi un umano trasceso, ma un computer parecchio attaccato alle sue componenti materiali, tanto da farsi ricrescere alla fine un corpo nel quale muoversi. Il concetto stesso di singolarità è banalizzato e ridotto a una dimensione che fa pensare molto più a Skynet che a Vernor Vinge. C'è molta più coerenza (e drammatcità), in questo ambito, nel Bender di Overclockwise, che trascende le sue capacità e si allontana completamente dalla sua precedente natura, arrivando a prevedere il futuro ed estraniandosi dal mondo e dalle persone che conosceva prima.

Inoltre ci sono tutta un'altra serie di dettagli che non quadrano. A poche ore dal suo upload, Caster è in grado di localizzare tutti i componenti del gruppo neoluddista e farli arrestare, dimostrando il suo completo controllo delle banche dati di tutto il mondo, ma questo non gli permette di prevedere i successivi attacchi, nonostante dovesse sapere con largo anticipo che dalla base X un plotone di Y soldati stava per partire con Z mezzi per assaltarlo. Inoltre, una superintelligenza come la sua avrebbe dovuto senz'altro prevedere che sarebbe stato mira di attacchi (tanto più che ne aveva subiti già quando era solo umano), e questo avrebbe dovuto far salire tra le sue priorità la realizzazione di un impenetrabile sistema di difesa, che data la tecnologia a sua disposizione era perfettamente realizzabile. Questo è lo stesso problema che avevo riscontrato anche in Limitless: la superintelligenza che non pensa come prima cosa alla sua preservazione non è superingelligente. Caster poi, una volta iniziato l'upgrade dei suoi dipendenti, dimostra di poterne in pratica ricostruire e migliorare qualunque parte del corpo. Cionondimeno continua a "reclutare" persone, quando è chiaro che potrebbe in pratica creare dal nulla degli automi completamente composti di nanomacchine, come in effetti farà in seguito per ricreare se stesso. C'è anche qualche serio dubbio sulle modalità per cui un virus inoculato nel sangue di sua moglie possa in effetti contaminare il suo codice, e solo una volta entrato in contatto con il suo avatar fisico, che appunto dovrebbe essere solo una manifestazione, ma non la sua reale natura né il fulcro essenziale del suo essere, che risiede nei server quantistici venti piani sottoterra. Ah, giusto, il tutto viene ospitato su server quantistici, perché per far capire che sono computer più potenti di quelli attuali bisognava pur metterci una parola che significa tutto e niente, non si abbia a pensare che un'AI possa girare su Linux. E tutto questo anche senza considerare i mogi orpelli tecnici con cui la trascendenza è mostrata, con Will che una volta scritto nel comptuer ha la necessità di comporre la sua immagine sullo schermo per parlare con sua moglie, con tanto di stringhe di codice inutili che scorrono ai lati del suo volto. Perché, viene da chiedersi, se sei un'AI onnipotente, dovresti preoccuparti di far scorrere queste linee di testo ai margini della tua vecchia immagine umana, che comunque stai proiettando presumibilmente a solo beneficio delle persone con cui stai parlando?

Tutti questi elementi rendono la trama estremamente superficiale e qualunquista. A differenza di Her (che forse vi è sfuggito ma avevo recensito si Il Futuro è Tornato), con il quale il paragone viene abbastanza facile, qui lo sviluppo dell'intelligenza artificiale è tuttaltro che imprevedibile ed esponenziale, perché in realtà tutto quello che digi-Caster fa è mettere a punto due o tre tecnologie che lo legano ancora di più alla dimensione umana, piuttosto che affrancarlo da essa. Il messaggio che ne emerge poi è la solita morale dei limiti che non possono essere superati, dell'uomo che vuole sostituirsi a dio (come fa notare uno dei terroristi nelle prime scene, e diamine, aveva ragione lui!), e la constatazione che se sei superintelligente diventi anche superstronzo, che i sentimenti umani sono la cosa più importante e che la cosa che più di tutte deve essere salvaguardata è la propria natura fisica. Cuore batte cervello, nerds! Sarebbe questa la trascendenza?

Coppi Night 13/04/2014 - Dagon

È sempre un piacere accogliere uno di queli film sobaditsgood, che di solito sono horror rabberciati prodotti in Paesi poco riconosciuti per le loro abilità cinematografiche. Il caso precedente infatti era Troll 2, produzione italiana che ha segnato la storia come "best worst movie ever". In questo caso invece ad adattare il racconto di Lovecraft (!!!) ci pensa un'equipe spagnola, e i risultati non si fanno attendere.

Non voglio rovinare la visione, ma non c'è nessun pericolo nel rivelare che la storia è il classico "villaggio corrotto", in cui gli abitanti nascondono un segreto, che (come si scopre presto) è il culto verso una divinità pagana (il Dagon del titolo) che promette a tutti la vita eterna nell'oceano, che per essere ottenuta richiede necessariamente la lenta tramutazione in pesci. Abbiamo così i nostri sprovveduti eroi (che dovrebbero essere americani, ma lo sono solo perché lo dicono loro stessi) che si trovano isolati proprio in questo buco di mondo e si accorgono troppo tardi che qualcosa non va, quando ormai hanno contro tutta la deforme e afasica popolazione. Il finale mi è sembrato lo stesso della serie Mario, ma bisogna riconoscere che sia il racconto di Lovecraft sia questo film gli sono antecedenti, quindi o si tratta di un finale banale o il team di Maccio Capatonda ha pescato a piene mani negli archetipi dell'orrore.

Ora, la storia in sé ha sicuramente dei risvolti inquietanti, se la si pensa per come può averla pensata e scritta Lovecraft: gli umani semimutati, goffi e viscidi, che venerano un dio del mare (peraltro molto più pragmatico delle divinità cristiane), e scuoiano gli sparuti visitatori che gli capitano a tiro, può causare un brivido o due. Lo farebbe se il film, in ogni sua parte, non risultasse involontariamente comico, quasi parodistico. Dai dialoghi forzati, alle sequenze inutili, ai comportamenti improbabili, le inquadrature dubbie: tutto concorre per screditare a ogni minuto il presunto terrore che il film dovrebbe suscitare. Eppure questo è anche il punto di forza del film, perché proprio grazie a questa continua corsa agli armamenti di ridicolezza si è continuamente stimolati (a colpi di risate) a seguire con attenzione il film, e arrivati alla fine ci si può ritenere soddisfatti. La componente splatter non è determinante, anche se la scena dello scuoiamento del vecchio (che a quanto pare è morto davvero, visto che il film è dedicato a lui) è abbastanza forte, per il livello medio di quello che si vede prima.

C'è un altro particolare piuttosto insolito degno di nota: io ho visto la versione italiana, quindi non so se l'originale (in inglese o spagnolo che fosse) fosse stato concepito diversamente, ma alcuni personaggi parlano unicamente in spagnolo, senza alcun tipo di sostegno alla comprensione (sottotitoli, altri personaggi che fanno da interprete, ecc). E non mi riferisco al tizio casuale che passa per la strada e saluta il vicino di casa, ma a personaggi che parlano per far progredire la storia, e che quindi è cruciale poter comprendere. Mi chiedo come mai non siano stati doppiati o tradotti: se il film è girato in spagnolo, in effetti tutti parlano la stessa lingua, ma se invece è in inglese, questi parlano ugualmente in spagnolo, e pertanto non sono stati tradotti? Ma perché fare un ascelta del genere, soprattutto se il film si rivolge a un target internazionale (un anglofono capisce molto meno lo spagnolo di un italiano)? Altri misteri di cui solo i Grandi Antichi  conoscon la risposta...

Futurama 7x22 - Leela and the Genestalk / Leela e l'ingegneria genetica

Da quando si è scoperto che Leela non è un'aliena, ma un'umana mutata discendente dai mostri che abitano nella sub-New York delle fogne, il suo personaggio ha guadagnato tutta una serie di nuovi scenari verso cui svilupparsi, dall'impossibilità di vivere coi genitori alla causa per la liberazione della sua gente (culminata nel memorabile 100° episoio), fino alla scoperta di sue nuove disgustose mutazioni tenute nascoste. In questo episodio la situazione di partenza è ancora quella, perché Leela scopre di essere affetta da squidification, una malattia gentica (evidentemente derivante dalla madre) che porta il suo corpo a sviluppare una serie di tentacoli. La malattia è irreversibile e incurabile, per cui dopo la diagnosi Leela è costretta ad abituarsi all'idea di "seppizzarsi" completamente e perdere per sempre quel collegamento pur traballante che la faceva ancora considerare umana. Non si rassegna però Fry, che deciso a non lasciar trasformare la sua adorata in un mostro, va alla ricerca di una cura miracolosa, e se ne torna in effetti con dei fagioli magici. Ovviamente tutti lo redarguiscono per la sua ingenuità, per essersi fatto fregare ancora una volta, ma una volta gettati via i fagioli giganti iniziano effettivamente a germinare, e questo conduce quindi alla storia vera e propria, che si svolge in una inedita fortezza voltante della Momsanto, la divisione di ingegneria genetica dell'impero industriale di Mamma.

Il parallelismo con la favola della pianta di fagioli magici è evidente fin dal titolo, quindi non bisogna stupirsi di vedere la storia che si svolge in un castello tra le nuvole, e che comprende un gigante con la sua abitazione delle dovute proporzioni. A prima vista ci si trova davanti a fenomeni descrivibili come "magici", ma bisogna ricordare che Futurama è una serie di fantascienza, per cui applicando la Terza Legge di Clarke si ottiene che ciò che sembra magia è in realtà una tecnologia sufficientemente avanzata, e così si dimostra anche in questo caso. Da notare che "il tentacolo" si manifesta ancora, e si conferma così uno degli accessori anatomici preferito dagli autori, tanto che lo si vede davvero spesso: da Zoidberg a Yivo, da H.G. Blob a Munda Turanga. Dal punto di vista dello humor si hanno alti e bassi, e le sequenze più divertenti sono probabilmente nell'introduzione (soprattutto quando Fry si reca al mercato rionale), ma come un po' tutte le storie incentrate su Leela non ci sono situazioni estremamente assurde e diverenti, né idee di fondo particolarmente intriganti.

In realtà la puntata cerca di calcare l'accento sul tema dell'ingegneria genetica, e sulla possibilità di stabilire un confine tra come e quanto è lecito intervenire nel codice della vita, se l'uomo può "giocare a fare dio" eccetera. Il problema è che in effetti questo argomento emerge solo nella brevissima sequenza di chiusura che vede il confronto finale tra Leela e Mamma, mentre il resto dell'episodio si è soprattutto concentrato sulla parte avventurosa/favolistica. L'equilibrio quindi non è perfetto, e il messaggio finale ne esce privo di parte del suo valore. Ma quello che forse manca maggiormente è qualche forte motivazione dei personaggi. Leela infatti, profondamente turbata dalla sua trasformazione, non esita ad avventurarsi sulla pianta magica, così come Mamma, da sempre antagonista perfido e vendicativo, sembra qui muoversi a metà tra il capitalismo e la filantropia, mostrandosi fin troppo disponibile ad aiutare il prossimo senza un immediato ritorno personale (tranne, forse, il solo gusto di avere ragione). L'unico a suo modo coerente è Fry, che preoccupato per la sua compagna non perde tempo a lanciarsi al suo inseguimento, pur non sapendo niente di quanto le è successo. Ma, beh, lui è Fry, è normale che agisca così. L'episodio quindi manca il bersaglio, esprimendo il suo senso più profondo solo come chiosa finale, invece di svilupparlo, e tratta i suoi protagonisti con una certa superficialità. Per questo credo di non potergli assegnare più di un voto 5/10.

Rapporto letture - Marzo 2014

Altra mesata dedicata quasi interamente alla fantascienza, seppur declinata in varie forme e contaminata con tematiche differenti, più o meno equamente divisa tra autori italiani e stranieri.

Più riguardo a Millemondi Estate 2013: Il fantasma di LaikaIl primo libro del mese è una delle periodiche raccolte di David G. Hartwell, lo Year's Best SF 17, trasposto in Italia da Urania con il titolo Il fantasma di Laika. Come sempre questa raccolta annuale offre una serie di racconti di buon livello (come è giusto aspettarsi da un best of) di autori più o meno noti. Tra questi poi non sono in molti a spiccare, visto che non si trovano idee eccezionalmente originali o storie assolutamente sconvolgenti. Da segnalare in questo lotto sono probabilmente La cosa più vicina, un racconto lungo che tratta in modo profondo (ma alquanto ambiguo) il tema della progettazione di un IA, mentre diverse altre storie interessanti trattano della civilità successiva al tracollo ambientale. Un particolare da notare è come molti dei racconti qui inclusi sono stati originariamente pubblicati solo online, e la loro inclusione nello Year's Best è di fatto la prima versione cartacea. Fa riflettere il fatto che nel campo della letteratura internazionale lavori usciti online o in cartaceo siano sostanzialmente equiparati, mentre qui da noi, ogni volta che si pensa a un premio o una menzione, un'opera online (ma anche un e-book vero e proprio) sia di fatto considerato inesistente. Eppure a quanto pare, un buon numero di ciò che compare sulle testate digitali poi finisce nel meglio dell'anno: vorrà dire qualcosa? Voto: 7.5/10

E visto che si parla di editoria (solo) digitale, tra un tomo e l'altro ho infilato pure due e-book di autori italiani. Il primo è I Robot di La Marmora, primo capitolo di una trilogia di Alessandro Girola, blogger e selfpublisher piuttosto noto per essere stato nominato tra i 10 più interessanti secondo il sondaggio di Wired Italia. Si tratta di una storia ucronico/steampunk, in cui la divergenza storica sta nell'atterraggio di un contingente di alieni (i Nekton) in Europa alla fine del 1800. Le nazioni europee già in lotta tra loro hanno così attinto dalle tecnologie messe a disposizione dagli alieni, aggiungendo al loro arsenale potenti macchine da guerra tra le quali mecha chiaramente ispirati agli anime classici (io non li conosco granché, ma quella roba tipo Gundam e Goldrake, capito?). La storia è ben contestualizzata, con parecchi riferimenti a fatti e personaggi dell'epoca (illustrati nelle note), tuttavia sembra mancare qualcosa, al di là degli epici scontri tra mecha e creature aliene. Inoltre mi sono trovato a cogliere fin troppe affinità con la serie di Leviathan di Scott Westerfeld. Non sto parlando di plagio, anche perché l'autore chiarisce fin da subito le influenze riversate nel libro (da Invasione di Turtledove a Pacific Rim), tuttavia quando di scopre che le due fazioni di alieni si dividono in quelli che usano tecnologie meccaniche e biologiche sembra proprio di trovarsi di fronte a Darwinisti e Clanker. La cosa emerge ancora di più quando gli alieni attaccano a bordo di un'ammiraglia che è una grossa balena, e in una frase questa viene chiamata "il leviatano"! Westerfeld non è stato citato nelle influenze, quindi non credo che l'autore conoscesse Leviathan (che poi è ambientato all'epoca della Grande Guerra, quindi sono sotanzialmente contemporanei), però trovare così tanto coincidenze ha smorzato parecchio il gusto della lettura. Voto: 6.5/10

Il secondo e-book italiano è La polvere del tempo di Daniele Picciuti, pubblicato dal nuovo e agguerrito e-editore La Mela Avvelenata. Si tratta di un racconto di media lunghezza ambientato in una Roma postapocalittica, anche se, a dirla tutta, non ho capito di preciso di che entità fosse l'apocalisse in questione. La storia segue la giovane protagonista nel suo quotidiano percorso di sopravvivenza, che comprende sciacallaggio, fughe e resistenza ad aggressioni e tentativi di stupro. Tutto regolare fino a quando non si decide a scappare dalla città, e si stabilisce sulla spiaggia dove fa una scoperta sconvolgente. Ora, per la verità, io non ho capito così bene in che cosa sia rivoluzionaria questa scoperta finale. O meglio, si intuisce qualcosa, ma mi sembra che tutto sia lasciato piuttosto nel vago, quasi nel mistico, e avendo da poco finito di vedere Battlestar Galactica mi viene quasi spontaneo fare dei parallelismi. Insomma, alla fine sembra che manchi qualcosa, che la storia lasci fin troppi particolari sottintesi, quasi come se un racconto molto più ampio fosse stato pesantemente sforbiciato per ottenere questo. Voto: 6/10

Più riguardo a XeeleeTorniamo quindi all'appuntamento con Stephen Baxter e la sua saga degli Xeelee. Il terzo romanzo dell'omnibus è Flux, che come Raft è una storia a sé stante, parallela a quella principale dello scontro universale tra Xeelee, umani, photino birds e tutte le altre specie senzienti. I protagonisti di Flux sono delle creature che si autodefiniscono umani, ma sono versioni in scala microscopica (in senso letterale, un uomo è alto 10 micron) adattati per vivere sulla superficie di una stella. La stella in sé ha tutto un suo ecosistema, con flora, fauna e cicli ecologici, nel quale gli umani sono stati inseriti a forza per uno scopo preciso. Questo scopo però è stato dimenticato, ed è solo quando i glitch della stella minacciano di destabilizzare il delicato campo magnetico che permette la vita degli umani che qualcuno inizierà a cercare una risposta e una soluzione, scoprendo così il ruolo di questi microumani nella guerra con gli Xeelee. La storia in alcuni tratti si dilunga forse un po' troppo nel descrivere la biologia e la società di questa specie artificiale, mettendo in secondo piano la storia principale. È sicuramente interessante scoprire come Baxter sia riuscito a inventarsi un modo per sostenere la vita in un ambiente e su una scala del genere, tuttavia sembra che si sia compiaciuto anche troppo della sua immaginazione. In ogni caso niente che risulti sgradevole, soltanto qualche piccolo inceppamento nel ritmo della narrazione. Rispetto a Raft inoltre questa storia ha collegamenti anche più diretti con il contesto complessivo, per cui si incasella meglio nella saga. Voto: 7.5/10

Più riguardo a NarakaInfine si torna agli e-book italiani, con Naraka di Caleb Battiago (pseudonimo di qualche autore probabilmente già noto nell'ambiente), pubblicato da Mezzotints e pompato con intense campagne di hype, proclamato come rivoluzionario e destrutturante e inclassificabile eccetera. Allora, per quanto mi riguarda devo dire che non mi è dispiaciuto, perché la storia di fondo, pur intrecciata e non originalissima (uno dei temi principali è l'allevamento di umani da carne: soylent green, anyone?) ha comunque degli spunti interessanti, soprattutto per come riesce a mostrare un'umanità marcia, autodistruttiva, irredimibile, nella quale l'industria del cannibalismo non è che un sintomo del totale dissesto sociale. Tuttavia questo argomento di fondo viene fin troppo esasperato, e l'autore sembra spesso dimenticarsi di stare raccontando una storia per la voglia di colpire, presumibilmente scandalizzare con la descrizione accurata di sordide scene di sesso violento (anche letale) e un linguaggio esplicito e sboccato. Ora, non che a me disturbi leggere in continuazione cazzo-fica-culo-troia-sperma, ma qui sembra che il linguaggio e i temi siano forzatamente esagerati proprio per suscitare reazioni viscerali, quando appunto, a me lettore del 2014, non è certo leggendo di frullini infilati nel culo che mi sale lo sturbo. C'è quindi del potenziale, ma se non si fossero perse così tante energie a rendere il tutto "cattivo" probabilmente ne sarebbe uscito un prodotto migliore. Voto 7/10

Coppi Night 06/04/2014 - Kiss Kiss Bang Bang

Non so se esiste una definizione precisa per quel genere di film azione/thriller con un mistero arzigogolato alla base e una serie di situazioni paradossali, grottesche, e tanto dark humor. Mi riferisco a roba come The Snatch, Slevin, In Bruges, e anche se in senso quasi parodistico Hot Fuzz. Dico che non so se ha una definizione perché se la conoscessi userei direttamente quella come chiave di ricerca per nuovi film da guardare. Infatti questo è l'unico sottogenere della famiglia "azione" che mi convince davvero, perché spesso i film seri si perdono troppo dietro l'idea di voler essere drammatici e cupi, finendo per cadere nel banale o anche nel ridicolo.

In questo film abbiamo un Robert Downey Jr. che interpreta il classico personaggio da RDJ: nichilista, opportunista, ladro (di professione). Trovandosi per caso a essere un attore, viene convinto dal suo agente ad affiancarsi a un detective (Val Kilmer) per capirne i metodi ed "entrare nella parte", salvo poi rimanere in effetti invischiato in una serie di omicidi, aggressioni e inseguimenti che nonostante gli sforzi per farsi da parte continuano a inseguire i due, e la appena ritrovata amore adolescenziale del protagonista. Senza entrare nei dettagli, che è gustoso scoprire seguendo la storia, si può dire che tutto funziona bene, e anche se la soluzione non è propriamente intuitiva, non si può ritenere che sia stata forzata (come invece era il caso della settimana scorsa). Non c'è nemmeno un vero e proprio lieto fine, e in effetti neanche una chiusura "poetica" della vicenda, con l'ultimo colpevole che ottiene quello che si merita, e in questo si vede di nuovo come la trama sia stata costruita coi piedi ben piantati per terra.

A livello di struttura, la storia punta tanto sull'humor nero, di cui RDJ è il soggetto principale, essendo un detective improvvisato che non sa come muoversi nel mondo dei delitti, mentre Val Kilmer, in quanto professionsita serio ma gay, si presta per squisite battute omofobe. Questo però non fa passare in secondo piano lo sviluppo della vicenda, che rimane sempre coerente. C'è anche da registrare un'interessante infrazione del quarto muro, in particolare all'inizio del film, quando RDJ si rivolge in prima persona al pubblico, e non lo fa solo da narratore esterno, ma proprio da attore che sta per mostrare il film in cui ha recitato. All'inizio la cosa è spiazzante, ma aiuta a focalizzare l'attenzione, e ci se ne dimentica per il resto del film... fino a quando la cosa non si ripete per l'ultima scena.

Film come questo riescono a dimostrare come per creare una storia convincente non sia necessario andarsi a inventare chissà quali storie complesse e altissime poste in gioco: bastano le aspirazioni di pochi personaggi centrali, ben calibrate per incrociarsi e definire un percorso anche non lineare ma solido.

Lost in Lost #18 - Ep. 4x03-4x04

Dopo l'inizio dell quarta stagione prosegue il gioco "Indovina gli Oceanic Six", con un episodio che rivela subito che anche Sayid è tra i sopravvissuti del volo. Non solo, ma mentre sull'isola l'iracheno si impegna a scambiare un prigioniero con l'altro (perché Lapidus si impunta che non farà ripartire l'elicottero finché non avrà visto Charlotte viva e in salute), nel suo flashforward scopriamo che uccide le persone da una lista di nomi fornitagli da Ben, che a quanto pare a sua volta ha lasciato l'isola. Nell'episodio successivo invece viene ripresa una sottotrama che era rimasta da parte: Kate con la sua sfilza di condanne, e il processo che dopo il ritorno alla civiltà dell'imputata riprende il suo corso (che lei fosse tra i Six lo sapevamo da prima di sapere che erano sei). Sull'isola Kate ce la mette tutta per scoprire da Miles se la sua identità è riconosciuta, e lui dimostra di avere a sua volta una certa conoscenza di come vanno le cose, chiedendo di parlare con Ben, al quale offre di nasconderlo a chi lo sta cercando per la modica cifra di 3.2 milioni di dollari. Mossa azzardata da parte di Miles, che alla fine si trova legato con una granata in bocca per mano di Locke, che sta già avendo problemi a gestire la sua piccola comunità di rifugiati alle baracche Dharma.

Sono anche questi episodi interessanti, pieni di contenuto. Sia la storia sull'isola che i flash si rivelano significativi, aggiungendo nozioni (e come sempre, nuove domande) alla trama principale, e la forza di questa nuova combinazione emerge quando anche l'episodio incentrato su Kate assume un degno significato, al contrari di quanto successo con lei già dalla seconda stagione in poi. I pezzi mostrati nei flashforward infatti portano a chiedersi come si sia arrivati all'assurda situazione, ai collegamenti improbabili cui assistiamo: Sayid che lavora per Ben, Aaron cresciuto da Kate? È chiaro che prima o poi ci verrà mostrato come le cose sono andate, ma l'effetto-prequel derivante da questo nuovo sistema di narrazione rinnova decisamente la serie. Inoltre si cominciano a conoscere meglio anche i nuovi arrivati, e in particolare Faraday e Miles iniziano a farsi interessanti, il primo con i suoi esperimenti (ha forse dimostrato che il tempo sull'isola scorre in modo diverso?), l'altro con la sua evidente conoscenza di qualcosa a proposito di Ben e delle forze in gioco.

Le previsioni della mia cavia sono che presto Locke sarà di nuovo infinocchiato da Ben a fare qualcosa per conto suo (perché già se lo sta rigirando come faceva fin dai tempi in cui era Henry Gale), mentre Sayid e Desmond sulla nave scopriranno qualcosa di più concreto sul conto di coloro che sono venuti a recuperare i naufraghi, sempre posto che sia davvero così, il che non sembra. Inoltre sulla nave dovrebbero anche incontrare la talpa di Ben, per cui si potrebbe anche pensare che insieme (considerata la presenza di Sayid) riescano a prendere controllo del mezzo. Ma servirebbe a qualcosa, visto che a quanto pare tutti i mezzi possibili non sono finora stati in grado di lasciare l'isola?

Il mio bilancio 2013

Circa un anno fa ho stupito tutti caricando su un post il prospetto delle mie spese dell'anno 2012. Alcuni si sono meravigliati che rendessi pubblici dati "riservati" di questa entità, qualcun altro non ha creduto che potessi veramente aver tenuto traccia di tutte le spese. A entrambi devo confermare che non solo è tutto vero, ma che per il 2013 ho fatto la stessa cosa!

Quello che segue è proprio il mio bilancio delle spese 2013. Prima che mi ripetiate che così facendo mi metto nelle mani di spietati ad-killers, faccio notare che non parlo di valori, ma solo di proporzioni, e che comunque si tratta solo delle mie uscite, non accenno niente delle entrate. Il tutto è stato ottenuto semplicemente appuntando le spese sostenute (precise al decimo di euro, non al centesimo) in via preventiva sul blocco note del telefono, e in seguito riportando il tutto su un normalissimo file excel dal quale proviene poi l'elaborazione successiva. La parte più noiosa è sicuramente quella di suddividere le singole spese nelle categorie di appartenenza, ma per il resto il procedimento non è così faticoso. Bisogna anche sottolineare che in realtà il prospetto non copre un anno solare esatto, ma parte dal febbraio 2013 e arriva a gennaio 2014, sfasamento dovuto al mese in cui ho iniziato a tenere traccia delle spese. Tuttavia si può tranquillamente semplificare dicendo che si tratta delle spese del 2013.




Non mi metto a spiegare di nuovo tutte le voci di spesa, visto che l'avevo già fatto l'anno scorso. Segnalo soltanto che quest'anno se ne è aggiunta una, "abbigliamento", per la banale ragione che ero riuscito a sopravvivere per tutto il 2012 senza acquistare vestiti, scarpe e accessori vari. Nel 2013 invece ho dovuto provvedere anche a questo

L'andamento generale è abbastanza simile rispetto al 2012. Le spese fisse sono le stesse, e le variazioni si aggirano mediamente tra il 15% e il 50%. Ad aver subito incrementi notevoli sono le spese "mediche", ma solo per il fatto che ho acquistato un nuovo paio di occhiali (e costa, quella roba...) e quelle "varie", che ripercorrendo lo storico ho scoperto essere principalmente legate a regali fatti ad amici, colleghi e parenti (segnatevelo, conviene essere miei amici!). Dal quadro che emerge viene confermato il fatto che a parte le spese che sono più o meno costretto a sostenere (fisse, cibo, bollette, automobile), il grosso delle mie risorse se ne va per svago e musica. Insomma, che sono un gran cazzone. Nel complesso però le spese totali dell'anno sono diminuite di un incoraggiante 1.19%, Speriamo di mantenere il trend anche nel 2014, anche se questi primi mesi mi fanno supporre diversamente.

Se siete interessati a redigere il vostro bilancio dell'anno, non esitate a contattarmi, potrò fornirvi utili dettagli su come ottenere un prospetto puntuale come il mio!




Dj set: In a Gadda da Stonu

È passato fin troppo tempo da quando vi ho messo a disposizione un nuovo dj set. Ecco allora che per animare il weekend incombente arrivo in vostro soccorso con una nuovo mix!

Non mi chiedete di spiegare il titolo, ma vi assicuro che ha un senso (come sempre). E come sempre il genere varia, perché si passa da pezzi presi direttamente dall'ultima Cocoon Compilation, fino alle elettroballate di Fritz Kalkbrenner, e alle ninnenanne di Ruede Hagelstein. Si passa dai classici degli Underworld fino ai successi contemporanei di Avicii; dalla trance di Giuseppe Ottaviani all'electro di Anthony Rother, all'IDM dei Moderat.

Al solito, per chi ne avesse voglia, ho a disposizione anche la versione editata per gli 80 minuti di un cd, da ascoltare agilmente in macchina. E vi ricordo che sul mio Mixcloud trovate anche gli altri set (più di una decina) finora caricati. Buon ascolto!




Coppi Night 30/03/2014 - The Ward

Io confondo sempre Cronenberg e Carpenter, penso per semplice assonanza, e anche perché in generale i film di entrambi mi piacciono, anche se su livelli diversi. Cronenberg mi piace per la sua complessità e chiusura (roba come Il pasto nudo o anche eXistenZ), Carpenter perché è uno che sa fare un bel film di genere senza perdersi dietro alle mode del momento (La cosa, Fantasmi da Marte). In questo caso però Cronenberg non c'entra nulla, perché The Ward è un film di Carpenter. E fin qui ci siamo.

The Ward è un film decisamente horror che riprende alcuni dei topoi del genere sfruttandoli per creare un'atmosfera efficacemente inquietante. Abbiamo una clinica di igiene mentale (leggi: manicomio) che ospita in un reparto speciale diverse ragazze (solo ragazze), ognuna caratterizzata in modo quasi macchiettistico, con infermieri cattivi e insensibili, un direttore moderato ma inflessibile, strane presenze che si aggirano di notte, sparizioni e segreti. Elementi che combinati tra di loro riescono a tenere alta la tensione, perché lo spettatore è portato a cercare gli indizi che possono fornire la soluzione della vicenda. La storia quindi funziona modestamente fino a che... beh, fino a che non si ottiene proprio quella soluzione.

Qui vado leggermente nello spoiler, senza citare i particolari ma parlando comunque della rivelazione finale, quindi evitate se credete. Il fatto è che la soluzione "il protagonista è pazzo" è una scappatoia troppo facile, con la quale si riesce a spiegare qualunque cosa, quasi alla pari del "era tutto un sogno". In questo caso specifico la dinamica è più complessa, tuttavia a mancare sono anche gli indizi opportunamente disseminati per consentire allo spettatore di trovare la soluzione prima che gli venga spiattellata davanti con lo spiegone del medico curante. È anche questa modalità finale a rendere il tutto poco elegante, e far pericolosamente ondeggiare la storia sull'orlo del banale. È mia opinione infatti che una storia "misteriosa" (con il che non intendo una storia "del mistero", ma una in cui ci sia un mistero di fondo da scoprire) per funzionare debba concedere al suo pubblico gli elementi che possano portarlo alla soluzione, e che visti in retrospettiva provochino la folgorante reazione "Ah, ma certo, ora torna tutto!". In questa storia purtroppo non è così, perché da quello che viene descritto nella prima parte del film non c'è modo di ricavare la soluzione che alla fine verrà presentata. Al di là di questo il film è ben realizzato, capace di suscitare qualche brivido e con una sana dose di violenza esplicita. Il "mostro" forse ricorda un po' troppo qualcosa già visto in The Ring, e in certi casi si arriva pericolosamente vicino alla parodia di uno Scary Movie (non ricordo quale), ma non basta a distruggere il clima claustrofobico che si respira per tutta la durata.

Un film quindi piacevole, che maneggia abilmente gli schemi tipici del genere senza per questo diventare scontato, perché c'è differenza tra sfruttare un topos e ricalcare il già visto. Allo stesso tempo però la soddisfazione non è piena, perché tutta questa magistrale costruzione crolla al momento della risoluzione della trama, che invece lascia diverse perplessità per il significato e le modalità.