Coppi Night 24/11/2013 - Wolverine l'immortale

Per quanto generalmente non sia un appassionato dei film supereroistici, devo ammettere che la serie degli X-Men mi piace abbastanza. Un po' proprio perché trovo gustosa la varietà e versatilità dei diversi poteri dei mutanti, i tre film (finora) della serie, più Wolverine più Prime Class mi sono piaciuti, e ho buone aspettative per Days of Future Past. Ma questo film in particolare è una ciofeca incredibile.

Il problema è che l'idea da cui parte è potenzialmente interessante: Wolverine, con i suoi poteri rigenerativi, è praticamente immortale, e qualcuno pensa che lui abbia voglia di rinunciare a questa capacità. In effetti lui è combattutto, anche perché turbato dagli eventi di Last Stand. Ma poi la storia toppa alla grande, spostando Logan in giappone, a visitare un suo vecchio sensei (convenientemente miliardario), e mettendosi a proteggere la sua spocchiosa e viziata nipote che dovrebbe ereditare il suo patrimonio, affrontando yakuza, ninja e Poison Ivy. No, cioè, non è quella di Batman, ma è un mutante con praticamente gli stessi poteri. Se a questo ci si aggiunge che il boss finale è la versione nipponica di Iron Man, il mash-up tra fumetti risulta quasi comico, e il tutto perde di credibilità. In particolare però è frustrante il fatto che quando Wolverine perde la sua capacità rigenerativa, rendendolo solo un tizio con gli unghioni che può essere ferito e ucciso come chiunque, tutta la menata sul senso della vita e il valore della morte viene dimenticato, e dieci minuti dopo si opera da solo e ritorna immortale, e allora l'unico spunto valido del film svanisce nel nulla.

È anche da rilevare che, nonostante si tratti di un film con mutanti e robot e ninja, i combattimenti sono scarsi e poco intensi, quasi meccanici. Quindi anche sul versante più squisistamente blockbuster non si ottiene nulla di valido. Bocciato in pieno, e mi dispiace doverlo dire perché finora li ho apprezzati tutti e adoro Hugh Jackman nel ruolo di mutante.

Da notare che verso la fine del film Wolverine perde gli artigli di adamantio e gli ricrescono quelli d'osso che si vedono all'inizio di Wolverine. Vediamo se nei film successivi (che ci saranno) si ricorderanno di questo elemento della continuity.

Spore Official Soundtrack

Sono passate già due settimane da quando Spore è diventato available worldwide, e ricevo notizie di acquisti dalle più variegate coordinate geografiche. Tu che stai leggendo questo post forse lo hai preso, forse no, forse lo prenderai o forse non ti interessa, forse lo hai già letto o forse scopri adesso che esiste (nel qual caso, clicca su quel bel bannerone in alto, come hai fatto a non vederlo prima?). In qualunque di queste categorie rientri, ho pensato che fosse una buona idea offrirti una valida soundtrack per accompagnare (o ispirare) la lettura dei miei racconti.

Nove racconti, nove pezzi. Ognuno scelto con uno specifico criterio, ovviamente, che può andare dalla evidente attinenza del titolo (che può essere un plus ma non è determinante), al significato del testo (quando è presente), ma che nella maggior parte dei casi è un legame più etereo, un'affinità di suggestioni che riesce a inquadrare bene, con un mezzo diverso dalla parola scritta, quello che il testo dovrebbe trasmettere. Ah, chiaramente, si tratta di pezzi di quella musica dannata che ascolto io, quindi se non avete l'orecchio allenato potreste anche accusare spiacevoli effetti collaterali. Ma se invece ascoltate queste tracce durante o dopo la lettura dei relativi racconti, dovreste riuscire a capire meglio. Capire meglio entrambi, intendo.


Spore: Dominik Eulberg - Teddy Tausendtod



Uno dei pezzi migliori (ma la classifica è difficile) dell'album Diorama. Naturalmente Eulberg, che con la sua fissazione con la biologia, la flora e la fauna, è già di per sé il più adatto a fornire la OST di un racconto incentrato proprio su un tema del genere. Inoltre, le "mille morti" del titolo hanno più che un senso, nel contesto della storia eponima della raccolta.


Il giorno più importante: Merveille & Crosson - The Day You Left



Difficile riuscire ad esprimere l'attinenza di questo pezzo al testo senza finire nello spoiler. Ma già il titolo ci parla comunque di un "giorno" a suo modo fondamentale. E l'atmosfera è sicuramente quella che si respira nel racconto stesso.


Natura morta: Cygnus X - Superstring



Qualcosa di più movimentato e allegro (e anche un pezzo storico) per il testo sicuramente più leggero della raccolta. Ma le superstringhe forse c'entrano qualcosa, in quello strano fenomeno che sembra contorcere lo spazio tempo intorno alla frutta dei protagonisti?


Il Dottipardo: Mathew Jonson - Marionette



A mio avviso una delle tracce che riassume in sé i paradigmi della techno, ma questo è un altro discorso. Le marionette ci sono, nel racconto, e quella melodia in loop continuo dall'inizio alla fine dovrebbe rendere bene l'idea di un ciclo ininterrotto che può essere spezzato solo con estremo coraggio.


Cattivi genitori: Oliver Huntemann - Rotten



Marcio. Parola rude ma perfetta per esprimere quello che c'è sotto e dietro a questo racconto. E anche un testo che si adatta al tema, che parla di un futuro che non esiste per chi non ha più niente da perdere o da sognare. Tratto dall'ottimo album Paranoia.


Il guardiano del faro: Johannes Heil - Aquarius



Non c'è niente di acquatico in questo racconto, ma l'atmosfera è proprio quella che si dovrebbe respirare, se qualcuno potesse farlo, su quel faro di cui il protagonista della storia è il guardiano inconsapevole. Suoni flebili, ritmati, derive elettriche, pochi minuti di tensione e poi torna la calma.


Stelle cadenti: The Analog Roland Orchestra - Reset



Pezzo veloce, cangiante, che starebbe bene come sottofondo alla guerra in cui si trova coinvolto il giovane e sprovveduto protagonista della storia. Dopo metà il ritmo sale, si intrufolano suoni distorti che si potrebbero associare al nucleo warp dell'astronave, e poi il reset, c'è anche quello, ma non posso dire altro, spoilers!


Sinestesia: Mogwai - The Sun Smells Too Loud (Holden remix)



Il titolo parla da sé: "il sole odora troppo alto", quale altro scambio di sensi volete? E James Holden come sempre è un maestro nel manipolare i suoni per creare melodie distorte, asimettriche, che sembrano infrangere tutti i parametri a cui siamo abituati, invitandoci a sovvertire i nostri schemi di pensiero.


La staffetta: Moderat - Bad Kingdom



Un "cattivo regno" è proprio quello che si trova in questo racconto. E le parole, oltre alle immagini del video, suggeriscono proprio l'idea di un mondo squilibrato, dominato e sfruttato da pochi a svantaggio di molti. Anche se forse "this is not what you wanted".


Non so quanti, dopo aver letto i miei suggerimenti di ascolto, saranno invogliati ad acquistare Spore se prima non lo erano. Ma anche se il post fallisse in questo intento, per lo meno sono riuscito a farvi ascoltare della buona musica, di quella che non trovate in radio, e questo già mi basta.

An Adventure in Space and Time: le origini di Doctor Who

Sì, lo so che in questi giorni parlare di Doctor Who equivale a parlare di The Day of the Doctor, l'episodio speciale per celebrare il cinquantesimo anniversario della serie. Ovviamente l'ho visto, e ne avrei molte da dire in proposito, soprattutto in conseguenza del fatto che a suo tempo parlai proprio della conclusione della stagione 7 e di come questa rimescolasse astutamente le carte in tavola. Ma non lo farò. Un po' perché appunto ci saranno molti altri a parlarne, e non aggiungerei niente alle loro parole, un po' perché l'ho già fatto tra forum, social e portali vari e non me la sento di ripetermi ancora. Voglio piuttosto spostare l'attenzione su un altro "episodio speciale" andato in onda per celebrare le nozze d'oro, che forse è passato in secondo piano rispetto a questo: An Adventure in Space and Time.

AAISAT (consentitemi l'acronimo, sennò facciamo notte a ripeterlo ogni volta), per chi non avesse seguito i promo della BBC degli ultimi mesi, non è una puntata della serie, ma un prodotto diverso che loro chiamano semplicemente "drama", e che noi potremmo definire docu-film, nel senso che è di fatto un film, ma con intenti documentaristici: portare su schermo le vicende e i protagonisti che hanno dato origine alla storia pentadecennale di Doctor Who. Preferisco parlare di questo perché se The Day of the Doctor serve a proseguire e rinnovare la storia, preparando il terreno per le future (e speriamo numerose) stagioni, AAISAT guarda invece al passato, a come tutto è iniziato, e in tal modo è forse ancor più celebrativo dell'altro. Inoltre, a differenza di molti dei fan odierni (soprattutto quelli italiani), io negli ultimi anni sto lentamente recuperando la visione della serie classica di DW, e sono arrivato alla seconda stagione di Tom Baker/Quarto Dottore (quel simpatico vecchietto che si vede alla fine dell'episodio speciale, nda), e mi sento pertanto qualificato a parlare di questo più di molti altri.

AAISAT segue in pratica gli anni di William Hartnell, il mitico e indimenticabile Primo Dottore, negli anni tra il 1963 e il 1966. Hartnell (interpretato da David Bradley) è sicuramente il protagonista della storia, ma oltre a lui seguiamo anche altri personaggi: Verity Lambert, la giovane produttrice incaricata di portare avanti la serie ai suoi inizi, Sydney Newman, l'autore della BBC che ha ideato lo show nella sua concezione iniziale, e Waris Hussein, il regista delle prime serie. Sulle prime Hartnell non è nemmeno presente, in quanto la produzione della serie inizia prima di trovare l'attore che interpreterà questo "dottore", pensato proprio come un anziano burbero ma di buon cuore. Qui dobbiamo fare atto di fede e credere davvero che Doctor Who sia nato in queste circostanze del tutto incerte, andato in onda con la series première (come si dice oggi) il giorno dopo l'assassinio di Kennedy, ma è stato assicurato che l'autore di AAISAT si è documentato accuratamente, coinvolgendo tutti i testimoni a disposizione, per poter portare in scena una storia fedele quanto possibile alla realtà dei fatti.

La trama segue quindi l'origine della serie, l'inaspettato successo, il progressivo coinvolgimento di un Hartnell inizialmente scettico, e in seguito la partenza di alcuni personaggi chiave: l'attrice che interpretava Susan (la nipote del Dottore), i vari companion che si succedono, Waris e Verity. Il gruppo iniziale inizia così a sfaldarsi, e la "famiglia" di Doctor Who si perde, finché lo stesso Hartnell, nonostante tutta la dedizione possibile viene lentamente consumato dalla malattia che gli rende sempre più difficile recitare e riuscire a memorizzare le sue parti, è costretto ad abbandonare lo show, che proseguirà senza colui che fino a quel momento era il Dottore. La forza di AAISAT è proprio quella di non mostrare i personaggi, ma le persone che stavano dietro ad essi, che non dovevano affrontare Dalek e nemici vari ma mostri più comuni, anche se non per questo meno pericolosi: l'età, i dubbi, la malattia, il successo, il pubblico, i meccanismi televisivi e così via.

Al di là delle vicende portate in scena, è comunque notevole il lavoro di ricostruzione dell'epoca, con la resa di una Londra anni 60 davvero efficace, così come la strumentazione e gli studi BBC (dove tutti fumavano in ufficio, bei tempi!). Anche le interpretazioni sono buone (in particolare i primi companion: Susan, Ian e Barbara), e quella di Bradley è chiaramente di spicco. L'attore infatti non interpreta solo William Hartnell, ma interpreta anche William Hartnell sul set che interpreta il Dottore, raddoppiando così la profondità del suo ruolo. Ed in questo è eccezionale, perché anche se la fisionomia non è identica (ma sufficiente a rendere la somiglianza), l'atteggiamento, l'accento, la calata, la gestualità sono davvero una copia dell'originale, o almeno di quello che si vedeva sullo schermo... solo a colori, invece che in bianco e nero.

Infine, anche per chi non conoscesse la storia della serie classica e non avesse mai visto una puntata con William Hartnell, sarebbe impossibile non commuoversi nelle sue ultime scene, quando riceve la notizia che il suo personaggio sarà sostituito e si fa scappare un "I don't wanna go" che ricorda in modo straziante quello di David Tennant alla fine del suo percorso come Decimo Dottore. La storia si conclude sul set di The Tenth Planet, l'ultima puntata del Primo Dottore (e la prima con i Cyberman), dove Hartnell fa la conoscenza del suo successore Patrick Troughton (secondo me interpretato da un attore fin troppo giovane). Ed è qui che, con un'ultima visione del futuro che lui ha contribuito a creare, Mr. Hartnell ci saluta, ripetendo le toccanti parole del suo commiato alla nipote:


An Adventure in Time and Space è quindi molto diverso da The Day of the Doctor, al punto che non è possibile confrontare i due prodotti. Ma tra i due questo è probabilmente quello che maggiormente riesce a raggiungere il cuore, e rendere lo spettatore partecipe di una grande (e longeva) storia che non è fatta solo di avventure e battaglie degli eroi, ma anche di coraggio e passione delle persone comuni.

Lost in Lost #11 - Ep. 3x01-3x06

Forse non tutti se lo ricordano, o forse non l'hanno proprio saputo se non hanno seguito Lost quando veniva trasmesso per la prima volta, ma la terza stagione venne divisa in due segmenti: questi primi sei episodi, una sorta di "mini-stagione" che fa da lunga introduzione, e poi il resto. Ma il fatto che si tratti di una mini-stagione non vuol dire che non sia significativa. Ci eravamo lasciati alla fine della seconda serie con una buona lista di interrogativi: l'implosione della botola, il rapimento di tre del gruppo, la partenza di Michael e figlio, la sparizione di Eko e Locke. In questo primo segmento tutte le questioni vengono più o meno affrontate.

La prima cosa che scopriamo nella terza stagione è che, come si iniziava a sospettare verso la fine della seconda, gli Altri sono tutt'altro che selvaggi, ma vivono in deliziosi cottage in un villaggio turistico dotato di tutti i comfort. Conosciamo da subito anche un nuovo personaggio, Juliet, che avrà fin da subito la sua parte confrontandosi con Jack, mentre Kate e Sawyer se ne stanno nelle gabbie e vengono costretti ai lavori forzati. Qui poi c'è anche tutta la digressione romantica, ché si sà che le sventure comuni avvicinano, tanto più quando Sawyer crede di essere in procinto di morire, e la ragazza si sente in dovere di dargliela per allietargli l'ultima notte sull'isola... ma di questo ci importa relativamente. Ci importa anche relativamente del flashback di Locke, che si induce una sorta di trance come quella che aveva provocato a Boone per scoprire dove è finito Eko e salvarlo dall'orso. Lo stesso Eko ci saluterà poco dopo, in uno degli episodi a mio avviso più memorabili dell'intera serie, cone il "prete" nigeriano che si confronta senza paura con il Mostro (che ha assunto le sembianze di suo fratello) per poi essere giudicato colpevole e venire terminato. Back on the Hydra island (perché si scopre anche che i tre rapiti sono stati portati sull'isola secondaria), apprendiamo anche il motivo per cui Jack (e con lui Kate e Sawyer) sono stati appunto rapiti, e Jack finalmente mostra gli attributi ricattando Ben durante l'operazione, minacciando di lasciarlo morire se i suoi due compagni non vengono liberati. La frase che chiude la mini-stagione è: "Kate, dammit, run!"

Se si escludono alcuni flashback piuttosto inconsistenti (una tendenza che si consolida da metà della stagione precedente, quando la storia "passata" dei personaggi inizia a perdere di spunti interessanti) come quelli di Jack, Sun, Kate, Sawyer e Locke (praticamente tutti tranne quello di Eko), la storia sull'isola ora continua ad assumere una dimensione più ampia. Vedere Ben (il nostro ex Henry Gale) impersonare il leader degli altri, sentir nominare Jacob e le liste, apprendere che esssi sono in grado di andare e venire dall'isola, comincia a far pensare che ci sia molto, molto altro da scoprire sulla storia di questo posto, e si aggiunge così al mistero e alla mitologia che pian piano si va accumulando. E questo è bene. Quello che è meno bene è appunto la gestione dei personaggi, che purtroppo, dopo due anni e mezzo, iniziano a perdere di interesse, visto che le loro azioni sull'isola non trovano più una corrisponenza con i flashback relativi. Questo è evidentemente un problema che gli autori hanno riscontrato, e a cui hanno trovatopoi una soluzione, ma per il momento ci si sente vagamente frustrati da questa mancanza di signficato in uno show che fin dall'inizio ha educato i suoi aspettatori all'attenzione massima per ogni particolare. La mia cavia in particolare è mediamente soddisfatta, ed è stato difficile in alcune occasione impedirle di guardare quattro-cinque episodi di fila.

E veniamo alle previsioni per il futuro. Kate e Sawyer sembrano essere ormai in partenza, e abbandoneranno il dottore che compirà come promesso l'operazione. Ma Jack non può sparire dallo show, quindi anche se Ben davvero rispetterà il suo patto di rimandarlo a casa, deve succedere qualcosa nel frattempo a impedirlo. Interessante anche notare come Desmond, visto in un paio di occasioni, sembra aver acquisito poteri di premonizione, e la sua è la storia che più di tutte sembra promettere bene. Locke come nuovo leader del gruppo non può durare, perché la sua totale fede nell'isola e in sogni, visioni e simili (vedi il bastone di Eko) non può farlo rimanere credibile per molto. E il tizio con la benda, che si vede negli schermi della Perla, è probabilmente un soggetto interessante, di cui presto scopriremo qualcosa.

Rapporto letture - Ottobre 2013

Credevo che un rapporto letture con un solo libro da commentare sarebbe capitato una sola volta, invece devo di nuovo mostrarmi con questo imbarazzante risultato, che per conto mio è come una specie di cilecca. Anche stavolta però ho una buona giustificazione: il "problema" è che da fine settembre sto leggendo Reamde di Neal Stephenson, versione ebook in lingua originale, un libro che raggiunge quasi le mille pagine e che quindi mi ha impegnato parecchio tempo. A metà tra la prima e la seconda parte mi sono quindi preso una pausa e ho letto in un paio di giorni il libro seguente.


Più riguardo a Il carnevale dell'uomo cervoSi tratta della raccolta Il carnevale dell'uomo cervo e altri racconti, l'antologia che raccoglie il meglio dal XVIII Trofeo RiLL, concorso che mi avete sentito nominare anche di recente, per l'uscita del libro Perché nulla vada perduto e altri racconti, che contiene il mio La conquista/Pace e morte. Il libro contiene il racconto vincitore eponimo di Luigi Musolino, e i tre successivi classificati, oltre ai vincitori del concorso parallelo SFIDA, alcuni lavori dei giurati del Trofeo, e i tre vincitori di "Un racconto in mostra", concorso indetto in occasione del ventennale del Lucca Comics & Games. In quest'edizione pare che che siano stati premiati soprattutto i riferimenti al folklore, tra carnevali, demoni del bosco e fate. Come spesso si può notare nei volumi di questa collana, i lavori dei giurati sembrano meno "ispirati", addirittura uno è il brano di un romanzo che di per sé non dice niente... al contrario i finalisti del concorso hanno un buon impatto, mentre nella sezione dedicata a SFIDA troviamo racconti con Ulisse come protagonista, ed è interessante vedere questo personaggio interpretato e declinato secondo prospettive diverse. Brevi ma gustosi anche gli ultimi tre brevi racconti, soprattutto il surreale L'unica chiave che apre. Voto: 7/10


Per la verità, a ottobre forse non ho solo avuto da leggere un bel tomo, ma mi sono impegnato parecchio anche dall'altro lato, con la scrittura: mi sono infatti dedicato ai miei progetti attualmente in corso, uno dei quali ha visto la luce in questi giorni, e ne approfitto quindi per ricordarvi che Spore è lì che vi aspetta!

Coppi Night 17/11/2013 - Jack Reacher

Che cosa ho detto un paio di mesi fa a proposito di Tom Cruise? Che lo odio, che è un attore vanitoso e incosistente, che riesce ad appiattire qualunque ruolo e sicuramente è pure antipatico e stronzo, che sono requisiti essenziali per essere l'evil mastermind di scientology. Con questa premessa, vi stupisce che in finale avessi votato per vedere Pierino la peste alla riscossa (quello con Giorgio Ariani, non Alvaro Vitali) piuttosto che questo film? Ma il mio voto era nella minoranza, quindi me lo sono dovuto sorbire. E diosanto, dieci cento mille Giorgio Ariani!

Dico questo perché Jack Reacher è un film di e per Tom Cruise. Nel senso che si vede che se l'è prodotto apposta per farsi vedere. Come la gente normale si fa le foto in discoteca per pubblicarlesu facebook, lui che pensa su scala più grande si fa un film in cui taggarsi. La storia ha di per sé poca importanza, anche se può indurre un minimo di curiosità, nonostante clamorosi plot hole che esporrò tra poco. Il problema è che il perno del film è proprio lui, e poco importa che il suo personaggio porti il nome del film, perché trasuda Tomcruiseness da tutti i capelli, con inquadrature che ricordano video del prediciottesimo, e scene in cui Tommy si aggira per i fatti suoi ma viene invariabilmente abbordato da qualunque femmina gli passi a meno di sei metri di distanza (un'idea chiaramente ripresa da Segni particolari bellissimo di Celentano). Se non avete presente, è roba tipo questa (musica a parte, e non sto scherzando):


La storia del film parte con un cecchino che ammazza cinque tizi qualunque, viene beccato subito e per difendersi si appella appunto a questo Jack Reacher, che si scopre essere un veterano degli ultimi vent'anni di guerre USA, ha combattuto ovunque e ammazzato cento persone in ogni continente, ma è anche un brillante investigatore infatti capisce subito che qualocsa non quadra. Lui ovviamente non segue il filo canonico dell'indagine ma fa comunella con l'avvocata dell'assassino e investiga a modo suo (e il "modo suo" comprende furti, risse, inseguimenti, sparatorie, petto nudo e ogni genere classificato di sboronata). A me fin dal primo minuto è venuto il dubbio di che c'azzecchi lui nella storia. Nel senso, la situazione iniziale è questa: questo tizio ammazza cinque persone sparando sulla folla, viene subito beccato, le prove sono schiaccianti, lui non confessa ma dice "Portatemi questo qui". Io, magistrato in carica, che faccio, dico "Eh sì, mi sa proprio che dovremmo fare quello che dice lui"? Ma col cazzo! Io dico all'accusato: "Senti ciccio, forse non ti rendi conto che sei nella merda fino alle orecchie e qui le richieste le faccio io. Se confessi magari non vai al patibolo, ma guarda che l'ergastolo non te lo risparmia nessuno e fai poco il guappo." In qualunque democrazia della storia sarebbe andata così, ma invece questa gente si preoccupa davvero di ascoltare questo Reacher, che peraltro non sa niente di tutta la vicenda, quindi anche una volta arrivato potrebbero dirgli "Dai, vabbè, piacere di averti conosciuto ma qui abbiamo da lavorare".

Questo è solo il primo clamoroso buco nella trama. Ma ce ne sono altri simili, e sproporzioni immani. Perché alla fine si scopre (sì, è uno spoiler ma meglio che ve la racconti io) che tutto questo piano era stato tirato su per ammazzare una donna a capo di un'agenzia immobiliare che non voleva vendere la sua società a una multinazionale che prende gli appalti e poi si intasca i soldi. Questa multinazionale fa capo a un russo senza dita di cui tutti hanno paura, e io non capisco come si possa farsi intimorire da uno che non può né prenderti a cazzotti né pugnalarti né spararti, e che se gli tiri un calci nelle palle non può nemmeno chiamare il 118. Insomma, un complotto internazionale con cinque morti di mezzo per una truffarella edilizia! Poi ci sono altre parti che hanno poco senso, e si possono spiegare solo come coincidenze estremamente e improbabilmente fortuite o completa idiozia dei personaggi in gioco.

A tutto ciò aggiungamo scene di una prevedibilità imbarazzante (in due occasioni ho anticipato alla lettera la badass line di Cruise prima che la dicesse), una morale di fondo irritante (quella della giustizia che bisogna ottenersi da sé, della forza che deriva dalle armi da fuoco, dell'onore dei soldati che combattono per la patria), e quella patina da paladino che il protagonista si porta addosso, infallibile, irresistibile e incorruttibile, che ti fa sperare che se proprio non può morire almeno pesti una merda. Infine, c'è quella scena in cui Cruise viene aggredito in casa di un sospettato da due ragazzotti, e questi invece di colpire lui si tirano mazzate a vicenda, in una serie di mosse alla Stanlio e Olio che lasciano davvero basiti. Ma siccome lo so che pensate che io esagero, ve la faccio vedere e chiudo con questo video, lasciando a voi le riflessioni:



The Nomad Soul

È passato più tempo del previsto da quando ho annunciato la nascita della rubrica "dimenticatoio" e questo primo post inaugurale... ma nel periodo tardoestivo-autunnale ho avuto parecchio da scrivere (e mica ho finiti!), e non sono riucito fino a dedicargli l'attenzione che ritenevo adeguata. Adesso però sono riuscito a ritaglarmi una mattinata pressoché libera, quindi battezzo la nuova rubrica parlando di The Nomad Soul.

The Nomad Soul, aka Omikron, è un videogioco sviluppato dalla Eidos Interactive e lanciato nel 1999. Si tratta, per farla breve di un adventure/puzzle game, ma in effetti mescola elementi di molte tipologie di gioco, dal gioco di ruolo ai FPS, dalle arti marziali agli investigativi, in un'ambientazione a sua volta mix di fantascientifico e horror. Pur non potendolo considerare un gioco perfetto sotto tutti i punti di vista, ha sicuramente lasciato il segno, almeno in chi lo ha scoperto, per una serie di elementi peculiari che lo elevano al di sopra dei videogame dell'epoca (e anche di molti di quelli attuali).

Per capire meglio di cosa sto parlando sono costretto a rivelare alcuni aspetti della trama, quindi nel paragrafo che segue troverete qualche spoiler, ma cercherò di non essere troppo pesante. Il gioco inizia con la comparsa di un personaggio (che si suppone essere il protagonista) che fuoriesce da una sorta di vortice. L'uomo si presenta come Kay'l 669, agente di polizia in una dimensione parallela a quella del giocatore, al quale si rivolge per ottenere aiuto in una serie di omicidi violenti e inspiegabili, di cui teme di diventare presto vittima lui stesso. Kay'l propone al giocatore di effettuare un "trasferimento di anima": se accetta, il giocatore trasferirà l'anima nel suo corpo, e sarà così in grado di controllarlo attraverso il monitor del suo computer mentre si muove nel mondo di Omikron. Il tempo stringe, e non può fornirgli altri indizi, ma la prima cosa che dovrà fare sarà recarsi a casa sua, e da qui proseguire con le indagini. Una volta attraversato il vortice dimensionale (che simbolegga appunto il trasferimento dell'anima nel corpo del poliziotto), il giocatore si trova in un antro buio, nel quale viene subito attaccato da una creatura mostruosa: l'essere sta per uccidere il protagonista (che poi è il giocatore), ma viene interrotto da un grosso robot che entra nel vicolo, ed è costretto a fuggire. Qualche attimo di straniamento, poi Kay'l può uscire in strada e parte la sigla. Ma forse facevo prima a mettervi direttamente un video dell'intro:


Quello che succede dopo questa introduzione dipende molto dalle intenzioni del giocatore. Perché The Nomad Soul si presenta da subito come un gioco estremamente plastico: ci si può lanciare per strada e girare per ore, entrando in negozi (supermarket, farmacie, librerie, ristoranti, armerie...) e abitazioni (almeno finché non si trovano altri "mostri") senza tenere conto della storia principale. Poi sicuramente dopo un po' ci si annoia di vagare senza meta e allora si parte con l'indagine, ma il mondo di Omikron rimane comunque a disposizione, non infinito ma molto vasto per un gioco degli anni '90.

Se decidiamo di proseguire l'investigazione abbandonata da Kay'l, si arriva in casa sua, dove conosciamo sua moglie Telis e apprendiamo cosa ha fatto nelle ultime settimane insieme al suo collega Den. Da qui si arriva alla stazione di polizia, visitiamo il suo ufficio e quello degli altri agenti, ci viene affidata qualche missione mentre cerchiamo di mettere insieme i pezzi della serie di omicidi sospetti. Lentamente, tra autopsie, interrogatori e sparatorie, si viene a scoprire che non si tratta di semplici atti violenti, ma di attacchi da parte di demoni, esseri mostruosi che si nutrono delle anime delle persone... proprio come quello che ci ha aggredito all'inizio. E a questo punto si copre quindi che i demoni vogliono la nostra anima, ovvero quella del giocatore, seduto alla scrivania, che ignaro di tutto ha accettato di trasferirla nel corpo di Kay'l, ovvero nella dimensione di Omikron. L'appello di Kay'l era quindi una trappola, studiata appositamente dai demoni per nutrirsi delle anime del nostro mondo, e al giocatore ora rimane una sola possibilità per salvare la propria anima (e quella di tutti gli esseri umani sulla Terra): sconfiggere il capo dei demoni. Il problema è che i demoni possono assumere forma umana, e molti di loro lavorano quindi da infiltrati, anche all'interno della polizia, per raggiungere il loro obiettivo di assorbire le anime della Terra.

Tuttavia il giocatore ha a sua volta un vantaggio: visto che la sua anima non appartiene a Omikron, è in grado di trasferirla da un corpo all'altro, e anzi questa si sposta da sola nel primo corpo con cui viene a contatto se quello che occupa viene ucciso (a meno che a farlo non sia un demone, che invece si nutrirebbe dell'anima stessa). Si introduce così una dinamica fondamentale del gioco, che è appunto l'"anima nomade": quello di Kay'l 669 non è l'unico corpo che il giocatore può utilizzare, ma ce ne sono decine di altri, che può scegliere di occupare con un particolare rito. In diverse occasioni anzi il giocatore sarà costretto a prendere possesso di un corpo specifico per poter proseguire, mentre altre volte sarà una sua libera scelta.

Dopo la scoperta dei demoni il focus del gioco si sposta, e entreremo a far parte di un'organizzazione che è a conoscenza della minaccia dei demoni e li combatte, eseguendo al tempo stesso una serie di atti dimostrativi/terroristi per "risvegliare" anche gli altri omikroniani (da non confondersi con gli omicroniani di Futurama!). Il percorso per arrivare al confronto con Astaroth, il demone supremo, sarà lungo e lastricato di scontri, rivelazioni, enigmi, personagi e location. Riassumere il plot sarebbe difficile, ma ovviamente la cosa migliore è scoprirlo giocando. Alcune parti sono piuttosto difficili, a volte per la presenza di enigmi piuttosto arzigogolati, che richiedono lo studio di libri specifici, altre per combattimenti che richiedono massima abilità.

Ed è qui che si manifesta un altro degli aspetti unici del gioco: in The Nomad Soul si alternano quattro attività essenziali: l'esplorazione, la soluzione di puzzle, il combattimento corpo a corpo, e il combattimento con armi da fuoco. L'esplorazione, che possiamo compiere per curiosità o quando è necesario ai fini del gioco, ci porta a scoprire i quattro quartieri principali di Omikron, e ad apprenderne la storia: il pianeta sta attraversando un'era glaciale, e l'umanità si è rifugiata sotto un'enorme cupola protettiva nella quale riesce a sopravvivere. Si tratta di un mondo con un livello tecnologico superiore al nostro, dimostrato dalla presenza di oggetti come lo sneak, le mecaguardie, il multiplan, gli innesti cibernetici di vario genere, e la presenza di mutanti vari. Anche l'organizzazione politica viene resa nota, con un Legatario che detiene il potere di un ogverno regolato dalle previsioni del supercomputer Ix, e due Corporazioni avversarie che producono tutti i beni in circolazione. Al di sotto di quella attuale esiste però una storia che risale agli albori del mondo, una mitologia che comprende divinità e magia, arti che il giocatore stesso dovrà apprendere. Ogni settore ha un suo tema: da quello residenziale al quartiere malfamato pieno di bische e night club, dal borgo esotico con giardini e palme a una sorta di Venezia con ponti e calli. A questi si aggiungono anche un vasto parco naturale disabitato, e un mondo sotterraneo abitato da subumani che sorvegliano la necropoli degli stregoni, tanto per dirne una. Gli ambienti visitati sono davvero tanti: la centrale di polizia, gli arhivi, l'obitorio, il porto, la fabbrica robotica, la prigione, la biblioteca, le catacombe della città. La vastità dell'universo (e intendo soprattutto l'universo narrativo) di The Nomad Soul è impressionante, e lo diventa ancora di più se si considera che ogni personaggio "giocabile" ha una sua casa, una sua storia, libri e musica di cui si può usufruire, e che messi insieme riescono a fornire un contesto complessivo davvero affascinante, che darebbe spazio per un'infinità di storie ambientate al suo interno.

La soluzione di enigmi inizia da subito con l'indagine di Kay'l, ma più avanti si fa sempre più complessa, richiedendo notevole abilità d'interpretazione di testi antichi, che affondano nella mitologia di Omikron, lo studio di mappe che rivelano la posizione di importanti artefatti, e la capacità di capire quando e come approfittare della possibilità di cambiare corpo.

Il combattimento si divide opportunamente in due categorie: il corpo a corpo, che si svolge come in un gioco di arti marziali, con una serie di mosse e di combo che consentono di sferzare colpi più potenti, con il quale siamo in grado di abbattere solitamente di emoni; e l'arma da fuoco, in prima persona, modalità in cui si entra per compiere le missioni più importanti, anche qui potendo scegliere da un'ampia gamma di armi (che ci dobbiamo procurare). Entrambe presentano difficoltà specifiche, e lo scontro con Astaroth, il boss finale, è di una difficoltà impressionante (sono riuscito a batterlo solo una volta!), soprattutto per un gioco che non prevede cheats!


Un discorso a parte merita la colonna sonora, che contiene canzoni originali di David Bowie, composte appositamente per il gioco. Una è quella che potete sentire verso la fine del video sopra e che fa da sigla, le altre sono sparse come "easter egg" nel gioco. Per essere precisi, in Omikron è presente un alter ego di Bowie, che si esibisce in concerti clandestini a cui possiamo assistere, se troviamo in giro gli specifici volantini e ci rechiamo nei posti indicati. Questa è una dei tanti extra del gioco, subplot del tutto accessori ma che conferiscono profondità al mondo, come il torneo di arti marziali, i peep show, lo studio di incantesimi. Non si tratta tanto di quest che portano a risultati bonus, come avviene in alcuni RPG, ma semplicemente di elementi accessori alla trama principale che ampliano il contesto del gioco.

Non si può dire che The Nomad Soul sia un videogame completamente interattivo: il percorso per giungere ad affrontare Astaroth è ben definito e prevede una serie di passaggi obbligati, ma molti di questi consentono soluzioni alternative, e la possibilità di cambiare corpo (ognuno con caratteristiche e attitudini specifiche) conferisce ulteriore dinamicità. Forse la grafica non è eccelente, perché i modelli poligonali appaiono obsoleti anche per l'epoca dell'uscita del gioco, ma probabilmente lo sviluppo ha richiesto così tanto tempo che una volta pronto la tecnologia era già superata. Tuttavia, nonostante qualche glitch, solitamente si è talmente presi dalla trama, o dalla voglia di scoprire "qualcosa" nel vastissimo Omikron, che non si fa caso ai polpacci squadrati del nostro protagonista.

The Nomad Soul è quindi un gioco davvero eccellente, purtroppo misconosciuto, ma che merita di essere ripescato dal dimenticatoio e fatto girare sui computer moderni.

Futurama 7x19 - Saturday Morning Fun Pit / Il divertimento del sabato mattina

A partire dalla sesta stagione gli autori di Futurama hanno inserito un episodio "out-of-canon" a chiusura di ogni tredicina di episodi. Di solito si tratta di puntate suddivise in tre miniepisodi, ognuno con una storia separata e indipendente. Abbiamo avuto infatti The Futurama Hoiday Spectacular (quello che purtroppo reputo il più brutto episodio ever) e Reincarnation nella sesta stagione, e Naturama nella prima parte della stagione 7. L'episodio non canonico della stagione 7b è invece questo Saturday Morning Fun Pit, che però non è stato come negli altri casi trasmesso alla fine delle puntate regolari, forse per dare più risalto al finale definitivo (?) della serie.

SMFP (fatemi usare un acronimo, gli americani li adorano e tutte le volte che vado a leggere i forum devo strizzarmi il cervello per capire a quale episodio si riferiscono) trasporta i personaggi della serie in tre diversi cartoni di tipo "classico": Scooby Doo (che diventa Bendy Boo), Strawberry Shortcake (Purpleberry Pond), e G.I. Joe (G.I. Zapp). In realtà i tre cartoni si inseriscono a loro volta nel contesto della serie, mostrando Nixon che si sveglia il sabato mattina per guardare i cartoni, e deve poi modificare la programmazione per assecondare le proteste dei cittadini.

Nel segmento Scooby Doo il gruppo investiga sul mistero di un fantasma che infesta un teatro kabuki (tenuto da George Takei che si presenta ancora come guest star dello show), riprendendo tutte le situazioni tipiche ed esasperando le assurdità della serie. In Purpleberry Pond i leziosi personaggi esortano i bambini ad acquistare i loro prodotti per la colazione, salutando con un evidente buy-buy. In G.I. Zapp la squadra di eroi deve combattere invasori alieni, ma Nixon effettua delle modifiche in diretta per far apparire il cartone privo di violenza (nonostante sbudellamenti, esplosioni e morti).

Dei tre segmenti forse il primo è quello più efficace, innanzitutto perché è l'unico ad avere una pur semplice trama. Inoltre la trasposizione dei personaggi di Futurama in quelli di Scooby Doo funziona, e la coppia Fry-Bender (anche se quest'ultimo è diventato un cane) riesce a essere divertente quanto la sua controparte. In questo caso è ovvio che non si tratta tanto di una parodia quanto di un omaggio al cartone originale, mentre in Purpleberry Pond e G.I. Zapp l'intenzione satirica è più marcata, visto che questi vengono trasmessi in risposta ai comitati dei genitori che protestano per l'educazione che i cartoni impongono ai bambini. Purpleberry Pond risulta per la verità leggermente noioso, una volta capito il messaggio di fondo che viene ripetuto più volte, mentre G.I Zapp con la trovata delle correzioni per rattoppare l'esplicita violenza risulta più spassoso di quanto sarebbe stato altrimenti.

Ne risulta quindi una puntata divertente, che come tutte quelle fuori canone non ha lo stesso "valore" di una normale, ma che rappresenta un valido interludio. Bisogna comunque ammettere che dalla sesta serie il tiro per questi miniepisodi è stato aggiustato, considerando che anche Naturama era molto divertente. Voto: 7/10

Spore

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Disclaimer: non è facile scrivere questo post, separando la componente puramente informativa da quella emotiva che la accompagna. Cercherò di essere il più "professionale" possibile, ma so che qualche schizzo da fanboy potrebbe scapparmi. Chiedo scusa se non mi mostrerò all'altezza dell'occasione.
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Potreste averne già sentito parlare. Se siamo amici su facebook, se siete iscritti alla pagina del blog, se mi seguite su twitter (con l'hashtag #spore, appunto): in questi casi potreste aver avuto nei giorni scorsi anticipazioni, che vanno da brani di testo a immagini. Per cui mi levo subito d'impiccio e comincio col mostrarvi la copertina che potreste già aver visto:


http://www.casadeisognatori.com/spore.html

Non ho la competenza tecnica per parlare dell'illustrazione di Francesca Santamaria, che disegna tutte le copertine de I Sognatori, ma mi permetto di dire che quando l'ho vista mi è salito una specie di magone, ma non di quelli che ti rendono triste, piuttosto quell'inesprimibile sensazione di quando stai cercando di dire qualcosa e un'altra persona lo dice al tuo posto meglio di te, usando le parole che non riuscivi a trovare. In quest'immagine, pur senza riferimenti diretti ai contenuti del libro, c'è tutto.

Passiamo alle scritte: autore e titolo. Il nome "Andrea Viscusi" per la prima volta appare da solo sulla copertina di un libro realizzato da altri. Certo lo si trovava sui miei ebook autoprodotti, ma questa è un'altra cosa: qui attesta il lavoro che altri hanno svolto sulla mia opera, dandole una confezione e un'opportunità di raggiungere il mondo esterno. Il titolo è Spore, parola dal suono duro e immediato, che da sola racchiude una varietà di suggestioni contrastanti: la nascita, la contaminazione, la diffusione, la quantità, la minutezza. Tutti concetti che a loro modo si adattano a quello che sfogliando il libro si può trovare.

Che cos'è Spore?

Spore è una raccolta di racconti: nove storie di fantascienza, di lunghezza variabile ma sempre medio-breve. Non tutti i lavori sono inediti, infatti sono stati selezionati all'interno del materiale scritto in questi anni di produzione, ma per la prima volta si trovano riuniti in un unico libro, interamente mio. Racconti tutti classificabili come fantascienza, sì, ma con stili, tematiche e approcci diversi.


Nello specifico, i racconti sono (constrassegno con un asterisco quelli inediti):

  • Spore*: un uomo decide di farsi seppellire all'interno di una speciale tuta nella quale sono contenute spore di funghi che ricicleranno il suo corpo. Dopo di lui l'intera umanità prenderà una strada completamente diversa (ispirato all'Infinity Burial Project).
  • Il giorno più importante: sul finire dell'anno 2012, il protagonista si sveglia il giorno del suo matrimonio. Deve raggiungere la sua futura sposa, ma c'è qualcosa di estremamente strano, quella mattina, e il tragitto si rivela pericoloso (pubblicato nell'ebook Quattro Apocalissi).
  • Natura morta*: nell'appartamento di due universitari la frutta marcisce con insolita velocità. Potrebbe essere semplice incuria degli inquilini, ma anche qualche insolito fenomeno fisico/biologico...
  • Il Dottipardo*: una società composta interamente da uomini, e regolata dalle disposizioni dogmatiche di un Libro. Almeno finché qualcuno non inizia a porsi delle domande.
  • Cattivi genitori*: in un istituto speciale che cura la formazione di un ristretto numero di ragazzi, gli studenti scoprono gradualmente quali sono le loro origini, e lo scopo a cui i loro tutori li hanno destinati.
  • Il guardiano del faro: un'entità artificiale acquista capacità di pensiero, analizzando i dati a sua disposizione si interroga sulla sua natura e funzione.
  • Stelle cadenti: un remoto pianeta viene attaccato dall'avanguardia di un potente impero interstellare. L'unica possibilità di respingere l'occupazione è nelle mani di un giovane miliziano che non sa niente di come si combatte una guerra.
  • Sinestesia*: in seguito a un incidente sul lavoro, un ragazzo scopre di avere un cervello minuscolo, e poco dopo tenta di uccidere la donna di cui è innamorato. O almeno così sembra, ma le sue intenzioni sono ben diverse.
  • La staffetta: in un futuro remoto, la popolazione terrestre si è ridotta a un numero esiguo di individui immortali. Ma sono davvero gli unici essere intelligenti sul pianeta?

Questi racconti, scritti in momenti e con obiettivi diversi, racchiudono in sé quelli che sono i temi che da sempre si ritrovano nella mia produzione (non che io pensi coscientemente di inserirceli, ma a posteriori è facile riconoscerli): l'evoluzione, l'intelligenza (naturale o artificiale che sia), la religione, la libertà di scelta, l'amore. E sono presenti alcuni dei topoi tipici della fantascienza: la fine del mondo, la clonazione, il viaggio nel tempo, lo scontro tra civiltà, la mutazione. Non sta a me fornire un'analisi critica dei testi, ma penso che si possano tutti inquadrare nel filone della "fantascienza classica": storie con un'idea di fondo forte, e una trama che si sviluppa intorno a questo nucleo narrativo senza perdersi troppo in divagazioni. Che poi è fondamentalmente il modo in cui mi piace scrivere (e leggere!).

Aggiungo qualche considerazione personale sui testi: il racconto eponimo della raccolta è forse uno dei più significativi da me scritti, perché accompagna il lettore dal presente lungo la storia dell'umanità, fino a una conclusione sconvolgente e romantica al tempo stesso; Natura morta è a suo modo uno spaccato della vita quotidiana di uno studente di oggi; Sinestesia mi piace considerarlo il mio Fiori per Algernon (senza pretendere che abbia la stessa profondità!); Cattivi genitori racchiude anche un "messaggio" sociale piuttosto forte, cosa del tutto atipica nei miei lavori; La staffetta è forse il racconto che riassume in modo più esplicito quello che ritengo sia "il senso della vita" (nonostante abbia scritto un altro racconto proprio con questo titolo).

E probabilmente ho già blaterato abbastanza, ma come dicevo all'inizio non è facile rimanere distaccati. Perché Spore è, tra le altre cose, il mio primo libro, intendendo questa definizione nel senso più tradizionale. E per me è un'estrema soddisfazione poter dire che il mio primo libro è una raccolta di racconti, perché sono convinto che non ci sia mezzo più efficace per diffondere e far apprezzare la fantascienza.

Spore è anche un triplo esordio: rientra infatti nei tre libri che inaugurano la Factory Editoriale I Sognatori, insieme a La morte è un'opzione accettabile di Gabriella Grieco e Mara conta i passi di Valentina Morelli; è l'esordio della collana "Stazioni orbitali", che all'interno della Factory ospiterà i libri di fantascienza; ed è appunto il mio esordio, perché per la prima volta mi presento con il mio nome sulla copertina di un libro edito e distribuito da una casa editrice. Non è questa la sede per parlare della Factory Editoriale alla quale mi sono unito questa estate, ma posso dire che il lavoro svolto finora fa presagire che questo progetto si svilupperà con entusiasmo in direzioni nuove, e pertanto è per me un onore (oltre che una grande responsabilità) fare da portabandiera di tutto il gruppo. Vi invito quindi a seguire le news e iscrivervi alla pagina facebook per conoscere tutte le attività della Factory.

Spore uscirà nel corso di questa settimana e salvo imprevisti tecnici sarà disponibile nei prossimi giorni. Il libro è acquistabile al prezzo di copertina di 13,90 €, ma ordinandolo direttamente sul sito si può avere a 9,90, il che equivale pressoché a un euro a racconto, che tutto sommato penso di meritarli. Per il momento è prevista solo la versione cartacea, ma la Factory sta lavorando anche al settore digitale e presto potrebbe arrivare anche in e-book. E stavolta mi vengono corrisposti i diritti d'autore, per cui ogni copia da voi acquistata contribuisce al mio sostentamento, quindi si può considerare anche una buona causa! Ma spero che, sopra ogni altra, la vostra ragione per comprare Spore sia che vogliate leggermi. Attendo con ansia i vostri responsi, e ringrazio tutti quelli che coscientemente o meno mi hanno aiutato ad arrivare a questo punto. Che come si dice sempre in questi casi, non è un traguardo, ma solo una tappa.

Le spore partono da qui, ma di certo non si fermeranno.

Immagine # 31

Attaccato alla fine di un laccio appeso a un cartello stradale c'è un mazzo di chiavi.


Tengo a precisare che la cosa non è successa a Celestopoli, dove la gente può andare a letto con il portone aperto e le case non hanno cancelli e la spazzatura viene portata via ogni giorno. Queste chiavi lasciate per strada (erano appese a un cartello che spiegava le varie fasce di prezzo dei parcheggi con strisce blu) le ho trovate nella città in cui vivo, Montecatini Terme, che pure non sarà Bogotà quanto a popolazione e tasso di criminalità, ma tra quartieri etnici e matti assortiti non è nemmeno il Comune più vivibile d'Italia.

Stupisce quindi che qualcuno abbia avuto l'ardire di lasciare le chiavi (che dall'aspetto erano proprio le chiavi di un portone di casa) così in bella vista, su una strada del centro mediamente trafficata, a tarda ora. E se si è trattato, chessò, di uno scherzo fatto dagli amici a una coppia di neosposini, allora credo che la loro prima notte di nozze sarà davvero memorabile.

Coppi Night 03/11/2013 - Snatch

Appena un paio di Coppi Night fa mi lamentavo dei gangster movie senza gangster, e forse per questo qualcuno ha pensato bene di riscattare questa rispettabile categoria promuovendo un film di tutto rispetto. Che, se non lo sapete, è diretto da GUY RITCHIE! Peraltro è piuttosto ironico che in questo film si trovi di nuovo Brad Pitt, che al contrario di Killing Them Softly qui ha una parte decisamente attiva. Cioè, forse non è nemmeno tanto merito suo, è proprio il film che procede su tutt'altra strada... forse perché è un film di GUY RITCHIE!

Non so in realtà se si può parlare di "gangster movie" perché il tiro qui è un po' diverso. Forse è più un "mob movie", perché ci troviamo di fronte personaggi di varia estrazione e caratterizzazione, ma tutti in qualche modo coinvolti in attività illecite: dalle rapine alle scommesse clandestine, dall'omicidio al contrabbando di armi, e così via. Parlare di criminalità organizzata però è fuori luogo, anzi, c'è ben poca organizzazione visto che i protagonisti riescono a perdere un diamante da X carati (dove X è un numero parecchio notevole se inteso come misura di un diamante, ma io non ho mai capito cosa misura il "carato") e per tutto il film (che è stato anche scritto da GUY RITCHIE!) si rincorrono l'un l'altro per trovarlo. La storia bene o male si riassume in una sequenza di equivoci e cazzate da parte dei vari interlocutori, e per quanto queste possano apparire divertenti la differenza la fanno proprio le interpretazioni degli attori: da Brad Pitt in versione zingaro (e mi sarebbe piaciuto sentire la sua parlata in lingua originale) a un valido ma fin troppo riflessivo Jason Statham, con un contorno di vari altri cazzoni assortiti.

Il film quindi procede da un parte conformandosi ai classici stereotipi del genere, e affondando parecchio anche in quelli razziali, con un'efficace contrapposizione di zinagari, ebrei, neri e russi, dall'altro puntando sulle incompetenze e superficialità dei personaggi, ognuno dei quali fallisce, a modo suo, in quelli che sono i suoi obiettivi, in una reazione a catena che trascina tutti nel baratro (e qualcuno verso la morte). Il ritmo è sempre alto e se all'inizio ci si può confondere, tra nomi, nazionalità e relazioni, man mano si prende confidenza e si riesce a godersi il dipanarsi degli eventi. D'altra parte vi aspettavate altro da un film di GUY RITCHIE?

Un'ultima nota: i titoli di apertura sono parecchio lunghi, soprattutto perché dopo i titoli veri e propri c'è una carrellata dei personaggi con nomi e nickname, ma tutto questo serve a evidenziare che è un film di GUY RITCHIE, quindi ne vale la pena.

Lost in Lost #10 - Ep 2x23-2x24

E con questa arriviamo alla fine della seconda stagione. Il doppio episodio finale si pone in maniera piuttosto diversa rispetto al season finale della prima stagione. Mentre infatti lì vedevamo le storie multiple di tutti i passeggeri dell'Oceanic 815, qui al contrario ci concentriamo tutto il tempo sulla storia di Desmond, personaggio finora secondario che era apparso solo nei primi episodi, e dava l'impressione di essere scomparso per sempre. Desmond David Hume (e se sentite profumo di cuoricini quando leggete il nome, sì, lo ammetto, è il mio preferito), che si è scoperto essere l'occupante della barca avvistata alla fine dell'episodio 22, è il primo personaggio ad avere un doppio episodio interamente dedicato a lui, e la cosa è più che giustificata col senno di poi, visto quanto il suo ruolo e le sue conoscenze diventeranno centrali... ma questo in realtà non dovrei saperlo, devo attenermi a quanto ha appreso finora la mia cavia.

Assistendo ai trascorsi di Desmond conosciamo Penny, Charles Widmore, Kelvin Inman, forse uno degli ultimi membri della Dharma, sentiamo parlare di Radzinsky e scopriamo diverse cose interessanti sulla botola e il computer (ad esempio, vediamo chi ha disegnato la mappa, anche se non sappiamo perché...). Nel frattempo, sull'isola esplode il conflitto tra Eko e Locke per questioni di "fede nell'isola", e il bianco dei due riesce a incastrare il nero con l'aiuto proprio di Desmond. Intanto il team guidato da Michael parte per il presunto attacco agli Altri, anche se Jack è stato convinto da Sayid del tradimento del loro compagno, e i due hanno così stabilito un piano di riserva. Sayid circumnaviga l'isola con la barca di Desmond per raggiungere il campo degli Altri, avvistando lungo il percorso il piede a quattro dita della statua e trovando un campo finto, con tanto di stazione Dharma farlocca. Nonostante i buoni propositi il gruppo di Jack viene catturato, e i cinque vengono portati al molo dove "Henry Gale" si mostra piuttosto sorridente e in forma, e come promesso lascia partire Michael con suo figlio. Hurley viene a sua volta liberato, ma solo per tornare al campo e avvertire gli altri naufraghi di non avvicinarsi agli Altri. Kate, Jack e Sawyer vengon invece incappucciati e portati non si sa dove. Ma il casino vero succede nella botola, dove Desmond cambia idea e capisce che il computer non è solo un test, e che probabilmente è stato il suo ritardo nel premere il pulsante ad aver fatto precipitare il volo 815. Locke però non gli dà retta e distrugge il computer, forzando così lo scozzese (se lo ascoltate in lingua originale è evidente il suo accento) a usare il failsafe, girando una chiave che fa... boh, implodere la stazione? Non si sa bene, ma il cielo diventa bianco, tutto vibra, e pezzi della botola iniziano a volare dappertutto. Non si sa bene che fine abbiano fatto Desmond, Locke ed Eko che erano lì dentro; l'unico a tornare intero (anche se mezzo assordato) è Charlie.

E poi c'è la scena finale. Quella dei due tizi portoghesi in mezzo alla neve che giocano a scacchi, poi vedono un alert sul computer e chiamano Penny per dirle "L'abbiamo trovato". Ecco, ricordo che all'epoca questa scena fu definita un game changer: perché per la prima volta dall'inizio di Lost viene mostrata una scena al di fuori dell'isola ma contemporanea, ovvero non un flashback dei protagonisti. Questa è la prima dimostrazione che un mondo al di là dell'isola effettivament esiste, e scardina quindi tutte le ipotesi di purgatorio/oltretomba che erano volate fin dall'inizio.

Arrivati al finale di stagione, la cosa più ragionevole da fare è chiedersi cosa succederà nella prossima. Rispetto alla prima, questa seconda stagione finisce con un cliffhanger molto più deciso, perché mentre nell'altra l'unico mistero in gioco era sull'interno della botola, qui ne abbiamo diversi: che cosa vogliono gli Altri da Jack/Kate/Sawyer, che fine faranno Michael/Walt, che cosa è successo alla botola dopo il failsafe, dove sono Locke/Eko/Desmond, come e perché Penny ha trovato Desmond? La mia cavia si è posta tutte queste domande e ha azzardato risposte solo parziali basate su quanto visto finora. Innanzitutto: Michael e Walt probabilmente ci hanno lasciato davvero. Sì, il padre ha fatto parecchio lo stronzo, ma alla fine ha avuto quello che voleva, si è compromesso, e merita di essere lasciato in pace. I tre rapiti dagli Altri probabilmente servono a uno scopo specifico, perché a questo punto, scoperto che "Henry" probabilmente è un pezzo grosso, risulta evidente che essi non sono quello che hanno dato a intendere, e che si muovono secondo un piano preciso. E il fatto che Kate, Jack e Sawyer siano i tre lati di un triangolo amoroso non può essere casuale. Di Locke, Eko e Desmond non è detto che avremo altre notizie... pare uno spreco aver narrato la storia di Desmond per poi farlo morire subito dopo, ma potrebbe anche essere. Più difficile che Eko e Locke siano morti, ma nemmeno questo impossibile. Quanto allo strano fenomeno innescato dalla chiave di Desmond, la cosa potrebbe avere a che fare con l'ipotesi dell'universo adiacente, che la mia cavia si porta dietro già da metà della prima serie: forse il failsafe ha "scollegato" l'isola dalla sua dimensione isolata, e questo l'ha resa visibile ai portoghesi che l'hanno quindi trovata per conto di Penny (anche se non si capisce come lei potesse sapere che Desmond era lì).

Insomma, la fine della seconda stagione si rivela molto più intrigante della prima, e la mia cavia non capisce quanto è fortunata a poter cominciare la terza subito, senza dover aspettare nove-dieci mesi come ho dovuto fare io, e tutti quelli che hanno seguito Lost dall'inizio.

Coppi Night 27/10/2013 - Pitch Black

Questa non è una recensione. Nel senso che non ho intenzione di commentare il film in oggetto, riassumendo la trama e traendone i punti chiave. Non lo faccio perché Pitch Black, per me, è diventato talmente un classico che sarebbe come se vi facessi la recensione de I dieci comandamenti. La saga di Riddick è arrivata quest'anno al terzo capitolo (che ho recensito sul "Il futuro è tornato"), se si considerano solo le istanze cinematografiche, mentre siamo ancora più avanti tenendo conto dell'animazione e dei videogiochi. Ma tutto si origina da questo film, Pitch Black, che tutto sommato è soltanto un B-movie sf/horror/pulp. Quindi più che recensirlo, cercherò di esaminare perché questo film ha avuto un così imprevedibile successo.

Un riassunto rapido del plot è comunque necessario, ma anche facile: in un indeterminata epoca futura di viaggi spaziali, un'astronave che trasporta passeggeri civile naufraga su un pianeta disabitato illuminato da tre soli. Tra i sopravvissuti c'è Richard B. Riddick (Vin Diesel), un pericoloso ricercato che era stato catturato per essere riportato dalla prigione da cui è evaso. Cercando un mezzo per lasciare il pianeta, i naufraghi trovano una stazione geologica abbandonata, nella quale scoprono che si sta per preparare un'eclissi che durerà parecchi giorni. Con il buio arrivano anche i "mostri", creature volanti cieche e aggressive, che iniziano subito ad attaccare gli umani, che devono così trovare il modo di imbarcarsi sull'unica navetta disponibile.

La trama quindi non è certo il punto forte del film, visto che percorre una strada standard per un film sci-fi di basso profilo. Gli elementi sfruttati hanno tutti una diffusione piuttosto ampia in opere di vario genere: il pianeta abbandonato, l'eclissi, i mostri che si muovo nell'oscurità, l'ecolocalizzazione: si possono trovare tutte queste componenti un po' ovunque da Futurama ad Asimov (il racconto Nightfall), dai film horror agli episodi di Doctor Who. Quindi, se non è la storia a fare la differenza, che cosa lo ha reso un film cult?

Innanzitutto il protagonista. O meglio, il narratore, perché il personaggio di Vin Diesel non è sempre al centro dell'attenzione, e anzi a volte sembra cedere il ruolo di comprimario al capitano Carolyn Fry. Riddick rimane comunque il personaggio più caratteristico: un feroce assassino che tuttavia uccide per sopravvivenza, e non per perversione, un individuo in stretto contatto con la sua parte "animale" (concetto che nei film seguenti sarà ulteriormente evidenziato), pluricondannato e plurievaso. Riddick fa paura agli altri naufraghi, ma è anche l'unico a essere preparato a combattere un nemico che, al pari di lui, si muove al buio e teme la luce. Il dettagli degli occhi "luminosi" di Riddick, simili a quelli di un felino, è infatti un particolare che affascina fin da subito, e trova il suo posto quando vediamo la sua "visione notturna" nei toni dell'infrarosso.

Bisogna anche sottolineare come non sia stato Vin Diesel a dar rilievo al film. Nel 2000, anno di uscita di Pitch Black, l'attore non era infatti la star che conosciamo oggi. Basta pensare che Fast and Furios, il film che più di tutti lo ha portato al successo, è del 2001, e xXx del 2002. Pitch Black quindi è quasi il film che ha consacrato Diesel, e lui stesso in alcune interviste ha ammesso che il ruolo di protagonista in Fast and Furios gli è stato proposto proprio in vista del successo di questo film. Vin interpeta Riddick con grande trasporto, grazie anche alla sua spiccata fisicità e alla voce tenebrosa (mi riferisco a quella originale, ascoltatela).

Ma oltre a un protagonista azzeccato sia come personaggio che come resa su schermo, Pitch Black ha dalla sua parte tutta una serie di dettagli che dimostrano la sottile cura che l'autore/regista David Twohy ha dedicato al film. Sembra esagerato dire che questo è uno di quei film che si capisce alla seconda visione, ma è anche vero che ci sono una serie di particolari che possono essere colti solo col senno di poi, e che danno un estremo valore a ogni singola scena. Mi riferisco a particolari come (in ordine sparso):
- l'assenza di finestre nella stazione geologica, inutili su un pianeta che non vede mai la notte
- il modo in cui Riddick "testa" le creature gettando loro il suo pugnale, mentre si butta a terra
- Jack che si osserva pensieroso/a la mano attraversata dalla luce, pensando al sangue che sta nascondendo
- Riddick che al pari della creatura viene accecato dal fascio improvviso della torcia
- lo sguardo di Johns quando viene aiutato a montare sul furgone da Riddick
- il modo in cui Riddick si nasconde all'ecolocalizzazione delle creature
... e così via. Ce ne sono davvero molti, di questi particolari che durano lo spazio di qualche fotogramma, ma conferiscono una profondità elevata alla storia, soprattutto rispetto agli standard di questo tipo di flim (e di budget).

Altro discorso interessante è l'universo narrativo in cui si svolge il film. Non viene raccontato molto di come è organizzata la società umana nello spazio, ma ci sono elementi che fanno intuire un contesto abbastanza complesso: i coloni, le prigioni, i mercenari, i pellegrini verso la Nuova Mecca. Tutti i personaggi sopravvissuti al naufragio hanno un loro ruolo specifico, e anche se ci sono un paio di redshirts bisogna ammettere che nessuna morte è gratuita, ma ognuna fa progredire a suo modo la storia.

In tutto questo non va poi dimenticato che Pitch Black è un film d'azione. Già da prima che le creature emergano a milioni dai loro nidi ci sono momenti di tensione che riguadano soprattutto la caccia a Riddick stesso; in seguito all'eclissi poi il ritmo aumenta, il pericolo si fa immediato, e Riddick non è più il nemico ma l'unico in grado di competere coi mostri (e lo fa, in senso letterale: "Non sapevi con chi avevi a che fare!"). Il tutto è reso più colorito anche da efficaci scambi di battuta e catchphrases ricorrenti, ma anche quando si passa all'azione pura nessuna sequenza è un filler, e ogni spostamento, conversazione e decisione del gruppo ha un obiettivo sia per i personaggi che a livello narrativo. E i combattimenti, che siano contro le creature o tra gli uomini, hanno sempre ottime coreografie.

Da questa lunga analisi, si può trarre infine che cosa rende Pitch Black un film così apprezzato anche presso il pubblico non "specializzato": si tratta di un film denso, che non spreca nemmeno un minuto in scene vuote, ma progredisce continuamente, nello sviluppo della storia o dei personaggi. In questo senso, probabilmente questo film è anche superiore ai successivi della serie, The Chronicles of Riddick e Riddick: Rule the Dark. È abbastanza ovvio che ne consiglio la visione, e anzi era praticamente dall'inizio del Coppi Club che cercavo di far passare questo film alle votazioni, per cui sono estremamente soddisfatto di averne finalmente potuto parlare.

Works in progress: Retcon, Pixel, Spore

Lo faccio raramente, ammettetelo. A parte nei casi in cui una pubblicazione viene fuori non vi appesantisco mai con post autopromozionali in cui vi parlo dei miei progetti in corso. Questo perché nella mia concezione Unknown to Millions dovrebbe essere un bloc astorico, i cui post possono essere validi al di là del momento in cui compaiono. Però una volta ogni tanto (come ho fatto per anticipare l'arrivo dei miei due e-book) me lo dovete concedere, d'altronde mi pare di fornirvi abbastanza materiale da potermi permettere un modesto spam due-tre volte l'anno!

Mentre io mi trovo al Lucca Comics per partecipare alla premiazione del XIX Trofeo RiLL e alla presentazione della relativa antologia Perché nulla vada perduto e altri racconti, a fotografare cosplayer nudi e a intrattenere rapporti live con gente con cui di solito ho scambi solo virtuali, vi aggiorno sui miei progetti in corso d'opera o in dirittura d'arrivo, che poi sono quelli dal titolo.

Procediamo in ordine inverso: chi mi segue su twitter potrebbe avermi visto nelle ultime settimane blaterare qualcosa con l'hashtag #retcon. Questo è infatti il titolo del romanzo che sto scrivendo più o meno da metà settembre. Sì, avete letto bene: romanzo! Dopo anni di focus quasi esclusivo su racconti ho deciso che era il caso di cimentarsi sulla lunga distanza, e così mi sono messo al lavoro. Retcon riprende un'idea che ho sfruttato in un racconto molto breve, ampliandola in più direzione e integrandola con un'altra che mi riservavo per un'altra storia che di per sé richiedeva un notevole sviluppo. Si tratta di fantascienza ovviamente, qualcosa che ha a che fare con i viaggi spaziali, i sogni e l'intelletto. Volendo trovare punti di contatto/ispirazione credo di poter citare La falce dei cieli di Urusla Le Guin, la trilogia del Vuoto di Peter F. Hamilton e anche Malapunta di Morgan Perdinka/Danilo Arona. Ho già completato la prima parte, probabilmente la più difficile, una settimana in anticipo rispetto alla tabella di marcia, quindi credo di avere buone possibilità di finire la stesura entro dicembre, in tempo per la partecipazione a qualche concorso. Questo certo non vuol dire che presto potrete leggerlo, ma prendere questo impegno pubblicamente mi aiuta a concentrarmi, quindi ora mi siete testimoni. E come sneak peek di un libro che forse non leggerete mai posso darvi la prima scaletta che mi sono fatto a mano, tradita più o meno dopo dieci minuti dopo aver iniziato a scrivere. Se vi interessa seguire come procede il lavoro cercate proprio l'hashtag #retcon su twitter, con cui ogni tanto lancio qualche news.


Con Pixel invece tornerò nell'ambito digitale. Dopo Quattro Apocalissi e Mytholofiction ho deciso di autopubblicare un altro titolo direttamente in forma elettronica, il che è anche coerente con la storia narrata, che dovrebbe riuscire a farvi sorgere qualche dubbio sulla concretezza dell'universo in cui vivete. Stavolta però non si tratterà di una raccolta di racconti, ma di un singolo racconto e credo che uscirà esclusivamente sul canale amazon/kindle. Niente di troppo impegnativo quindi, ma una novella che potrà aiutarvi a passare le festività natalizie, visto che il periodo previsto di uscita è proprio nelle ultime settimane dell'anno. E pure la copertina me la faccio da solo a questo giro! Anzi, se volete un assaggio, ecco qui accanto un particolare, giusto per stuzzicarvi la curiosità e alzare l'aspettativa sulle mie competenze grafiche.


Ma la novità più corposa forse è proprio Spore. Vi ricordate qualche mese fa quando vi ho spiegato della nascita della Factory Editoriale I Sognatori e di come e perché sono entrato a farne parte? Ecco, in quel post anticipavo che presto dalla factory sarebbe emerso qualcosa, e quel qualcosa mi riguarda direttamente. Nel tris di pubblicazioni che inaugurano la Factory infatti è inclusa una mia raccolta. Spore è una raccolta di racconti che riunisce alcuni miei lavori degli ultimi anni, sia inediti che già comparsi altrove. E si tratta di fatto di un "libro vero", la mia prima antologia personale! Questa è solo un'anticipazione quindi non mi prendo troppo spazio per parlare a fondo del progetto in corso, ma posso dirvi che vedrà la luce molto presto, probabilmente già nel corso di questo mese. E anche qui vi lascio un assaggino della copertina, che a suo tempo svelerò interamente. Seguiranno corposi dettagli nelle prossime settimane, quindi ricordatevi di passare di qua. E non credete che non vi sommergerò di spam.