Coppi Night 21/02/2016 - Matrimoni e pregiudizi

Ok, tecnicamente questa non è stata proprio una serata del Coppi Club, non per me. Costretto in casa da un'influenza particolarmente accanita, mi sono comunque arreso all'abitudine e ho comunque voluto guardare un film. E siccome in casa c'era il desiderio inespresso di vedersi qualcosa di bollywoodiano, dopo aver scartato kolossal come La sposa dell'imperatore in quanto di durata superiore ai 200 minuti, alla fine siamo finiti su un rappresentate meticcio di questo genere.

Mi sono fatto irretire dal titolo originale: Bride and Prejudice, che in un mumento di recrudescenza Austeniana dovuto agli zombie mi è sembrato particolarmente appropriato. Aggiungiamoci il fatto che nel cast c'è Naveen Andrews, che ho visto torturare a ammazzare gente sull'isola di Lost per sei anni, e il danno è fatto.

Parlo di danno perché, a conti fatti, questo film risulta davvero insipido. Non ho letto il romanzo della Austen, ma so più o meno la storia, e questo dovrebbe esserne l'adattamento contemporaneo e in salsa indiana. Il problema è che il film in realtà è americano, e destinato a un pubblico diverso da quello delle produzioni di Bollywood, per cui la componente tipica di questo tipo di film è molto marginale: giusto tre balletti, di cui due cantati in inglese, tutti nella prima metà del film, e per il resto ce ne stiamo a seguire la storia di questa affinità impossibile tra la giovane indiana e il rampollo americano, tra i quali è palese che non esista nessuna chimica e la cui unione non si capisce chi possa rendere felice (a parte la famiglia di lei, che diventa di conseguenza infinitamente ricca). Inoltre per essere una storia che punta molto sugli stereotipi che un occidentale può avere nei confronti di un indiano, non fa molto per liberarsi di questa patina di superficialità.

Senza la frivolezza e il colore che mi aspettavo da qualcosa di veramente bollywoodiano, rimane una commedia romantica come ne potete trovare tante con quegli attoretti di medio livello che di solito fanno da spalla a Vince Vaughn. A posteriori penso che avrei sopportato molto meglio i 201 minuti di Jodhaa Akbar.

Candidature al Premio Italia 2016

Se siete di quelli che bazzicano il sottobosco della fantascienza italiana (e se non lo siete, che ci fate qui?), probailmente sapete che sono aperte in queste giorni le candidature per il Premio Italia 2016. Il Premio Italia è il riconoscimento assegnato annualmente dalla sezione italiana della WorldSF, riservato a tutti gli operatori del settore (autori, curatori, illustratori, e così via), la cui premiazione avviene nel corso dell'Italcon (o comunque si chiami ora). Il Premio prevede numerose categorie, dal romanzo all'antologia, dalla collana alla serie tv, dalla fanzine al saggio. Le votazioni si svolgono in due fasi, con un primo round di segnalazioni e una successiva votazione sui finalisti che hanno ricevuto più nomination.

Viste le mie attività, è da qualche anno che da un verso o dall'altro rientro tra i candidabili, e anche nel 2015 ho segnato qualche punto. Dato che la fase di segnalazione è iniziata pochi giorni fa, mi permetto di indicare le categorie nelle quali ritengo di essere nominabile.



Naturalmente, il 2015 è stato l'anno in cui è uscito Dimenticami Trovami Sognami, il mio primo romanzo pubblicato da Zona42, che ha riscontrato un discreto successo, almeno a giudicare dalla recension comparse negli ultimi mesi. DTS è candidabile come miglior romanzo italiano di fantascienza. Di DTS, volendo, potete anche votare la copertina come migliore illustrazione.





Se interpreto bene il regolamento, ci sono anche alcuni racconti usciti nel corso dell'anno che rispettano i criteri di candidabilità. Miriferisco a:
  •  Pixel, pubblicato sul numero 5 della rivista Futuri 
  • La muta, pubblicato su Parallàxis n. 4
  • Placebo uscito per Delos Digital
  • Lamarckia, incluso nella raccolta Aspettando Mondi Incantati 2015 (RiLL)
Tutti questi dovrebbero rientrare nella categoria miglior racconto su pubblicazione professionale. Dico dovrebbero perché non sono del tutto sicuro che queste pubblicazioni siano tutte considerabili professionali. A mio avviso sì, e in ogni caso il regolamento ha una certa fluidità. In alternativa si può comunque optare anche per la categoria miglior racconto su pubblicazione amatariole.



Infine, probabilmente potreste segnalare anche Unknown to Millions, cioè questo stesso blog, nella sezione sito web amatoriale. Presumo che un blog sia a pieno titolo considerabile un sito web, per cui se ritenete che la fantascienza sia ben argomentata qui dentro, fatelo presente.

Le votazioni del Premio Italia sono aperte a tutti gli iscritta della WorldSF Italia e a chi ha partecipato ad almeno una Italcon negli ultimi anni. Ma la novità di quest'anno è che il voto è esteso anche a tutti coloro che hanno partecipato al festival Stranimondi ad ottobre, e visto che di gente ce n'era, questo dovrebbe ampliare la base di voto.

Facendo un ragionamento terra-terra e obiettivo, mi aspetto che DTS rientri per lo meno tra i candidati finali, perché si è trattato sicuramente di uno dei titoli di cui si è parlato di più nell'ultimo anno. Purtroppo l'equivalenza tra lettori e abilitati al voto per il Premio Italia non è perfetta, per cui è possibile che molti di quanti hanno letto e apprezzato il libro, non sappiano, non possano o non vogliano votare.

Certo ogni contributo sarà gradito, quindi se avete ricevuto la mail per la richiesta di voto, ricordatevi che le nomination sono inviabili fino al 15 marzo. Grazie per l'attenzione, e a buon rendere!



Zooerastia for dummies

Se siete ancora su questo post dopo averne letto il titolo significa forse che siete aperti al dialogo su questo tema, o forse che non conoscete il termine. La zooerastia è la pratica del sesso con animali, definibile anche zoofilia, anche se questo termine ha un'accezione più ampia e non sempre include l'aspetto erotico. In questo post parleremo specificamente del sesso tra uomini e animali, considerando i due termini sinonimi per comodità. Pertanto, se non conoscevate la parola zooerastia, siete ancora in tempo ad andarvene.

Il motivo che mi spinge ad affrontare questo tema è che lo reputo molto interessante come punto di partenza per inquadrare il paradigma specista in cui la società umana (pressoché di qualunque epoca e regione) è immersa. E dopo la recensione di Mort(e) e della serie Zoo, mi sembra appropriato inserire a completamenteo questo post, per un'interessante rubrica dei rapporti uomo/animali. Quindi se anche l'idea vi repelle, seguitemi per qualche minuto, perché affronteremo il discorso da un punto di vista squisitamente accademico. Mi rendo conto che è un argomento delicato, che può urtare la sensibilità di molti, quindi cercherò di mantenere un tono neutrale e abbonderò di disclaimer.

La zoofilia è un fenomeno storicamente diffuso e documentato, e non serve andare a pescare ai primordi della civiltà, quando eravamo bruti con la clava, basta pensare alle nobili radici elleniche dell'Occidente, e ai numerosi miti di ibridazione tra uomini, dèi, e bestie. Ma ci sono anche testimonianze più antiche, come il bassorilievo di un tempio indiano che ricordo distintamente da un libro di storia che avevo alle medie. Anche nella Bibbia se ne parla, certo non in termini entusiastici; e tutti sappiamo come passano le giorante i pastori sardi, no? Questo non per fornire un quadro storico completo, che è sicuramente più complesso, ma solo per notare che il sesso con animali è un fatto da sempre esistente e noto. Qualcosa che, come specie, ci portiamo dietro da sempre (il che non vuol dire che sia una cosa giusta e auspicabile, sia chiaro: anche l'omicidio fa da sempre parte della natura umana).

Ora, quello che mi pare interessante, è notare che tecnicamente la zoofilia non è illegale, almeno nella maggior parte delle legislature moderne. Certo rimane una pratica antisociale, uno dei pochi taboo davvero feroci e radicati che in genere mettono d'accordo tutti, come possono essere la pedofilia e la coprofagia (ancora: non sto dando giudizi di merito su queste pratiche, sto solo esponendo aspetti oggettivi). Ma sono poche le Nazioni ad avere leggi specifiche che vietano il sesso tra uomini e animali. La ragione si può comprendere facilmente: a pensarci bene, la copula con un animale di per sé non reca danno a nessuno. Lo stesso discorso che vale ad esempio per il bondage o appunto la coprofagia, se praticate volontariamente.

Ecco però il punto: praticato volontariamente. Infatti, se anche la pratica non è illegale di suo, in tempi recenti episodi di zooerastia sono stati condannati in quanto equiparati a violenza sugli animali. Il cavillo dietro questi giudizi sta proprio nella volontarietà dell'atto. Oggigiorno, il limite di ciò che è sessualmente consentito è dato in pratica dall'unico parametro del consenso: due persone adulte e consenzienti possono fare ciò che vogliono tra di loro. Si considera quindi che l'animale sottoposto ad atti di zoofilia non sia consenziente, ma obbligato a subire una violenza. Pertanto, lo zoofilico non ha compiuto un reato per il fatto specifico di aver penetrato (o essersi fatto penetrare) dalla bestia, ma perché l'ha obbligata a farlo contro la sua volontà, in questo senso usandole violenza, al pari di una bastonata.

Qui però si pongono un paio di problemi. Innanzitutto, rimane tutto da stabilire se è vero che l'animale non sia consenziente all'atto. La zooerastia si esprime in genere con mammiferi, se non altro per la pratica similarità degli apparati riproduttivi. Gli animali "preferiti" sono in genere quelli più vicini all'uomo, domestici o da fattoria: cani, gatti, equini, suini, ovini, bovini e così via. Difficilmente si può praticare sesso con una lucertola o una poiana, per evidenti limiti tecnici. Ne consegue quindi che a subire l'atto sono animali con cui le persone hanno un rapporto di qualche tipo. Siamo davvero sicuri quindi che le bestie siano contrarie al rapporto? D'altra parte la masturbazione è praticata da molti di questi animali, e il cagnolino che si aggrappa alla gamba è così comune da diventare protagonista di tante barzellette. Nel momento in cui il cane, a tutti gli effetti, sta cercando di accoppiarsi con l'umani, si può ancora affermare che da parte sua non ci sia quel consenso che è il requisito essenziale per un rapporto sessuale legale?

Certo, si può obiettare che questi comportamenti siano sfoghi sessuali che niente hanno a che vedere con la reale volontà dell'animale di fare sesso. Ma in questo caso, l'argomentazione stessa del consenso decade, perché non si può pretendere che il cane (o qualunque altro) manifesti il consenso al sesso in un certo modo, ma al tempo stesso non lo stia esprimendo quando è lui a proporlo. In realtà, la definizione stessa di consenso al rapporto perde di chiarezza quando si parla di una creatura che utilizza schemi mentali differenti, e che si presume essere priva di quella malizia che contraddistingue invece la specie (e la civiltà) umana. Per una capra, venire penetrata da un umano può essere qualcosa di totalmente irrilevante, o può rappresentare un efficace metodo di consolidamento del rapporto con il padrone, o addirittura può essere fisicamente piacevole. Non voglio invitarvi a cercare pornogrfia con animali, ma, se esiste, bisogna che il meccanismo funzioni da entrambe le parti...

Quindi, l'idea che l'atto sessuale sia forzato e violento per l'animale è difficilmente dimostrabile. Ma anche se questo fosse accertato, c'è un'altra questione che si pone, più subdola ma decisamente più rilevante. Infatti, se il nodo da sciogliere è quello della coercizione, allora è necessario mettere in discussione praticamente tutti i rapporti esistenti tra uomo e animale. Si può infatti dubitare che un maiale abbia espresso il suo consenso a diventare mortadella, che una vacca sia favorevole ad essere munta, che un cane non muova obiezioni a essere castrato. È facile riconoscere la violenza del mattatoio o della pellicceria, ed è vero che ultimamente si sono fatti tanti progressi per rendere anche questi luoghi "più umani", ma anche se si parla degli animali d'affezione il discorso non è tanto migliore. Se il trattamento amorevole riservato a un gatto d'appartamento fosse riproposto a una persona, il "padrone" sarebbe indubbiamente condannato per aver recluso l'altro contro la sua volontà. In che altro modo si potrebbe giudicare il fatto che l'"ospite" sia obbligato a rimanere in casa, forse addirittura all'oscuro dell'esistenza di un mondo oltre le mura? Quando si è manifestato il consenso del gatto a questo tipo di vita? Eppure diamo per scontato che sia un trattamento degno e apprezzato dall'animale. E forse lo è davvero, ma non abbiamo modo di saperlo con certezza. Pertanto lo stesso ragionamento andrebbe applicato anche agli atti sessuali, e la presunzione di innocenza dovrebe risolvere la questione.

Il paradosso sta nel fatto che è proprio con la recente crescita della sensibilità nei confronti degli animali che il problema è emerso con maggiore forza, perché siamo portati a ritenere che la violenza subìta dalla creatura sia ingiusta e vada punita. Ma in realtà, è nel definire questa violenza che stiamo praticando un atto di insensibilità verso la creatura non umana, antropomorfizzandone sensazioni e pensieri. Quarant'anni fa era socialmente accettabile dire di aver affogato i gattini non voluti trovati davanti casa, oggi è un reato; allo stesso modo, in passato probabilmente qualche scappatella con la pecora non era degna di nota, oggi è imperdonabile. Ma questo cambio nella percezione comune non è realmente motivato da una maggiore considerazione delle bestie, quanto, a ben vedere, da una errata equiparazione tra queste e l'uomo.

Alla fine dei conti, ciò che fa della zooerastia un taboo non è né l'atto in sé né la presunta violenza perpetrata sull'animale. Si tratta di uno strascico di quel paradigma specista che ci porta a ritenere l'uomo il culmine dell'evoluzione (o della creazione, a seconda delle interpretazioni), per cui il mescolamento agli altri animali in una pratica così intima (e generatrice di vita) è reputato degradante per l'uomo, non per l'animale. Ovviamente le religioni e i codici morali sono interventi nel corso della storia, acuendo questa idea. E così anche oggi, quando pensiamo di mostrare un maggior riguardo verso le altre specie, stiamo in effetti continuando ad affermare che siamo loro superiori.

Con tutto questo non voglio incitare alla zoofilia, né sto invocando l'utopia dell'amore libero interspecifico. Ma se mi trovassi di fronte a uno zooerasta convinto (che io sappia non mi è mai capitato), probabilmente nonostante una certa diffidenza iniziale, mi sentirei in difficoltà a condannarlo come un mostro quale comunemente sarebbe considerato. Naturalmente l'argomento è aperto alla discussione, e per quanto ci siano benaltri problemi, lo reputo un punto di partenza interessante per una riflessione sul ruolo dell'uomo su questo pianeta.

Rapporto letture - Gennaio 2016

Iniziamo con la cronistoria delle letture del 2016. Quattro libri consumati a gennaio, stavolta tutti facilmente inquadrabili nella fantascienza.


Il libro con cui ho inaugurato l'anno è Mort(e), di Robert Repino. In questo caso ho voluto dedicare un post apposito al libro, quindi non mi ripeto e vi rimando a quello. Giusto per darvi idea di cosa si parla, Mort(e) racconta della guerra scatenata dalle formiche contro l'umanità, durante la quale gli animali domestici vengono elevati a creature intelligenti e usate come soldati. Mort(e) è appunto un gatto domestico, eroe di guerra, che però non è così convinto degli ideali della guerra a cui le formiche li stanno educando. Le premesse possono sembrare scontate e sciocche, ma il libro si sviluppa verso temi molto profondi, con le storie di Mort(e) e molti altri personaggi che si stratificano a formare un quadro molto complesso. Voto: 9/10


Dopo Repino sono passato a un autore italiano, anzi, nello specifico autrice. Serena M. Barbacetto (mi fa un po' strano trovare l'iniziale puntata in nome italiano, ma così si trova scritto), scrittrice che potremmo definire esordiente, che conta qualche racconto pubblicato in digitale e alcune autoproduzioni. Overclock è una raccolta di racconti nei quali si può individuare un sottile filo conduttore nel tema della capacità di calcolo. Le prime due storie sono buone, partono da un'idea valida ma a mio avviso soffrono nello sviluppo, che non coinvolge abbastanza, al punto che, pur apprezzando il nucleo della vicenda, in realtà non avevo particolarmente a cuore la sorte dei personaggi. Il terzo racconto è più confuso e meno originale, e non riesce a costruire in modo efficace la tensione che dovrebbe. In generale quindi non una brutta lettura, ma nonostante gli spunti interessanti non del tutto soddisfacente. Voto: 6.5/10


Il primo autore nigeriano che abbia mai letto in vita mia è Efe Tobunko, portato in Italia da Future Fiction con il suo Risoluzione 23. Volendo sintetizzare al massimo, si potrebbe definire questo romanzo breve una storia cyberpunk, perché molti degli ingredienti di base del genere sono presenti: l'interconnessione, l'affermazione dei diritti, l'intelligenza artificiale. Questi stessi argomenti sono però declinati sulla base delle tendenze più recenti, con lavoro di estrapolazione che fa di Risoluzione 23 un ottimo esempio di narrativa d'anticipazione. Non è facile capire chi sia "il nemico" in questa storia, se il pericolo arrivi dalle IA, dai governi, dai terroristi, dalle corporazioni... gli stessi protagonisti non arrivano a una conclusione, ed è forse questo il messaggio più importante che deriva dal testo, l'impossibilità di definire i ruoli in un mondo ormai avviato in un loop continuo di accelerazione da cui è impossibile tirarsi fuori. Voto: 7.5/10


Concludiamo  con un altro autore italiano, anche questo classificabile come "esordiente". So che è difficile restare seri parlando di un libro dal titolo Alieni Coprofagi dallo Spazio Profondo, soprattutto se si considera che sì, il romanzo di Marco Crescizz parla proprio di alieni che mangiano merda. Tuttavia non si tratta di bizarro fiction, e per quanto l'idea possa apparire assurda, a pensarci bene non c'è nessuna ragione per cui gli alieni non dovrebbero essere così appassionati di feci umane da rapirci per usarci come "mucche da merda" (d'altra parte noi facciamo lo stesso, se non con il latte, pensate alla melata). Il protagonista di Alieni Coprofagi è Nunzio, giovane ragazzo gravemente obeso e socialmente inetto, tanto misero da conversare abitualmente con la visione di Arnold Schwarzenegger, modello di machismo e determinazione. Nunzio vorrebbe migliorare la sua vita, ma proprio non ce la fa, e anzi finisce su una delle astronavi degli alieni (superfans di Star Wars) che lo rimpinzano in modo da estrarre i suoi escrementi di prima qualità. Quindi sì, la storia di questo romanzo è decisamente sopra le righe, ma non si tratta di un'accozzaglia di gag e volgarità gratuite. La parabola di Nunzio è edificante e più profonda di quanto sembrerebbe, perché non è affatto sicuro che le cose sarebbero andate diversamente senza gli alieni mangiamerda. Forse un po' semplicistico e affrettato nel finale (che mi ha ricordate alcune scene di Dodgeball), ma nel complesso risulta un buon libro, in grado di sorprendere in più di un'occasione. Voto: 7/10

Coppi Night 07/02/2016 - The Last Witch Hunter

Se questo fosse un blog di tipo diverso da quello che è, inizierei il post dicendo che questa è la prima Coppi Night che si è svolta nella mia CASA NUOVA, che pur richiedendo ancora qualche lavoro di messa in ordine, è dalla settimana scorsa abitabile e abitata, il che non è cosa da poco visto lo sbattimento degli ultimi mesi. Ma questo non è un blog di quel tipo, quindi parliamo del film.

Per quanto mi riguarda ho istintiva adorazione per Vin Diesel, probabilmente dovuta all'amore totale per Pitch Black (e in misura minore, per i seguiti). Mi rammarico solo che l'attore dedichi buona parte del suo tempo alla serie di Fast and Furious, perché i film che puntano sui motori proprio non riescono ad appassionarmi (con poche notabili eccezioni). Ma quando ho saputo che stava uscendo un altro suo film, slegato da entrambi i personaggi di Riddick e Toretto, sono rimasto fiocamente incuriosito.

Il film non si presenta male, con una premessa intrigante: il protagonista viene "maledetto con la vita", condannato all'immortalità, e per questo diventa l'unico e definitivo cacciatore di streghe in grado da solo di tenere a bada l'intera sottopopolazione di creature dotate di poteri magici. Poi chiaramente le cose si complicano, ed emerge una minaccia che il buon Vin (non mi ricordo il nome del personaggio) credeva di aver eliminato, che potrebbe annientare l'umanità e blabla, solite cose, pretesto per qualche scena d'azione.

Ma non tutto funziona perfettamente in The Last Witch Hunter. La prima cosa che a mio avviso stride sono le controparti del protagonista, che non dimostrano in nessun modo il carisma necessario per potersi affiancare alla pari a uno che per svariati secoli ha distrutto a randellate le streghe. L'alchimia tra lui e la ragazza (la Ygritte di Game of Thrones, ma anche, più memorabilmente, la protagonista di Honeymoon) appare imposta e artificiosa, per cui quando lui si preoccupa della sua sorte non c'è in realtà nessuna tensione. In effetti l'unico comprimario che poteva reggere il ruolo era Michael Caine (vabbè, hai detto nulla), ma probabilmente non potevano permettersi pagarlo per tutta la durata del film per cui la sua parte è quasi marginale. Anche lo scontro finale me lo aspettavo più epico, invece sembra concludersi in pochi minuti, anzi sembra quasi che qualcosa sia stato tagliato nella versione finale.

Infine ho trovato parecchio fastidiosi gli espliciti rimandi ai possibili seguiti, sulla linea di "ho visto cose terribili che ci aspettano", e la nuova squadra che si prepara nelle ultime scene, come a dire che sì, ehi, ci vedrete ancora, tornate presto!

Insomma, un film nel complesso godibile ma che avrebbe potuto essere molto meglio, soprattutto se doveva convincermi a vedere eventuali seguiti, ancora non confermati, per i quali al momento sarei in dubbio. Ma so che poi mi farò di nuovo convincere da Vin Diesel, soprattutto se si fa ricrescere la barba.

Zoo (stagione 1)

Un paio di post fa parlavamo di Mort(e) di Robert Repino, romanzo il cui antefatto è un'aperta guerra tra umani e le altre specie animali, seppur "elevate" e indirizzate dalle formiche. Questo mi ha fatto tornare in mente una serie tv vista un paio di mesi fa, che ha più o meno lo stesso tema, e di cui non mi dispiace scrivere due righe.

Zoo è una serie americana del 2015, basata sul romanzo di James Patterson e Michael Lewidge, andata in onda a metà dell'anno scorso e approdata poco dopo anche in Italia. Mi sono infatti imbattuto per caso nel primio episodio, trasmesso la domenica pomeriggio sui Rai4, e ne sono rimasto abbastanza incuriosito da continuarne la visione. La trama di base della serie è proprio l'inizio di una "ribellione" degli animali nei confronti dell'uomo, dapprima con attacchi inusuali ma sporadici, poi con azioni sempre più coordinate e mirate, strategicamente efficaci. La rivoluzione coinvolge ipoteticamente tutti gli animali, ma nella serie (o almeno, nella prima stagione, unica trasmessa finora) la vediamo messa in atto da mammiferi e uccelli: leoni, gatti, cani, orsi, pipistrelli, corvi, passeri e così via. I protagonisti della serie fanno parte di una squadra messa insieme appunto per studiare il fenomeno e cercare una possibile soluzione, analizzando i casi noti e intervenendo sul posto.

Di fatto, buona parte della serie consiste nel seguire il gruppo (un etologo, una guida di safari, una giornalista investigativa, un veterinario, un'agente dei servizi segreti) che saltella da una località all'altra del mondo sulle tracce delle ultime aggressioni documentate, e tenta di ricostruire quanto avvenuto per trovare indizi su come la rivolta si sta diffondendo. Naturalmente, la loro è una squadra che agisce in segreto, senza coperture ufficiali, perché la potenziale crisi non può essere resa pubblica, quindi non hanno le giornate facili.

Il fatto che parli di questa serie non significa necessariamente che mi sia piaciuta, o almeno non nel senso straordinario. Zoo è una produzione di medio livello, che soffre palesemente di qualche problema di sceneggiatura e di budget. Ma riesce a raggiungere dei notevoli momenti di assurdità che la fanno quasi tendere al so bad it's good. Faccio un solo esempio su tutti, citando la sequenza in cui, per rilevare se un animale era stato contaminato, il veterinario crea un cervello simulato usando latte di cocco perché, a suo dire, è il liquido più simile a quello contenuto nel cervello, e scaldandolo se ne ottiene una replica efficace, e quando l'ampolla scoppia hanno la prova che l'animale era infetto. Ma oltre a questo, in tutte le puntate c'è un momento di intensa drammaticità quando gli animali si organizzano per un attacco, come i gatti sugli alberi davanti all'asilo, o gli orsi che vanno in letargo per sviluppare la corazza. D'altra parte già la sigla è abbastanza eloquente (perché, ammettetelo, avete mai visto qualcosa di più inquietante di un occhio di zebra?):


Questa involontaria tendenza al comico rende la visione leggera e scorrevole, e tutto sommato anche i twist che si succedono, e concludono pressoché ogni episodio, contribuiscono a rendere la storia avvincente, nonostante le assurdità di fondo.

Per la verità non sarei in grado di riassumere di preciso cosa è successo in questa prima stagione (seguono lievi spoiler), perché non si capisce bene se gli animali si stiano evolvendo tutti insieme, o se il loro comportamento anomalo (rivelabile quando gli animali manifestano la pupilla indomita, gli si legge negli occhi!) è dovuto alla contaminazione da parte di una "cellula madre" diffusa in tutti i prodotti di una multinazionale, che infatti cerca di mettere a tacere la task force dei protagonisti. Ma devo anche ammettere che l'ultimo episodio (spoiler un po' più pesanti!) in cui la ribellione delle bestie è ormai un fatto noto e accettato, e le persone devono stare attente a uscire di casa, ha un suo fascino come ambientazione postapocalittica.

La stagione uno si conclude con un ulteriore cliffhanger, e la seconda è attualmente in produzione, quindi presto potremo sapere come prosegue la vicenda. E, nonostante sia cosciente che non si tratta della serie dell'anno, sono effettivamente curioso di proseguire.

Coppi Night 24/01/2016 - Dead Snow

Nazisti zombie! No, cioè, non so se avete capito: nazisti ZOMBIE!!! Questo è il modo in cui si presenta questo film, e uno che lo approccia ha la comprensibile pretesa di trovarsi davanti qualcosa di eclatante, esagerato, pirotecnico. E invece quello che ottiene è solo meh.

È già insolito vedere un film norvegese, quindi non si sa bene cosa aspettarsi, ma attribuire la generale fiacchezza e improvvisazione di questo film alla sua nazionalità sarebbe una scappatoia. La storia si apre nel più classico stile horror, con il gruppo di amici in vacanza che si reca in una capanna nel bosco in mezzo al niente per trascorrere alcuni giorni di baldoria. Si potrebbe aprire un capitolo a parte sul modo in cui questi ragazzi intendono la "baldoria", ma questo, forse, si può davvero attribuire a differenze culturali, quindi sorvoliamo. Nel pieno del loro divertimento, vengono prima visitati da un indigeno che gli racconta delle leggende sui nazisti, e poi attaccati dai non-morti. Questo avviene ben oltre metà film, quando abbiamo già perso abbastanza tempo a vedere sequenze inutili di interazioni all'interno del gruppo.

Quando poi la mattanza inizia, uno pensa di potersi finalmente gustare qualche bella scena di azione, ma anche qui Dead Snow scarseggia, mancando di coraggio e carisma. Le sequenze splatter ci sono (molte delle quali incentrate sullo srotolamento degli intestini), ma appaiono piatte e senza brio, come se nemmeno dei nazisti zombie si divertissero a sviscerare le vittime. E comunque tutto lo splatter del mondo non potrà mai eguagliare lo schifo di una scena in cui due ragazzi scopano mentre lui è sulla tazza del cesso a cacare. Ci sono anche diversi problemi di coerenza interna, ma a un certo punto passando in secondo piano rispetto alla noia e comunque niente che non si veda normalmente in your average horror movie.

Il tutto si svolge senza un criterio preciso, con il peccato imperdonabile di non identificare un protagonista, facendo occasionalmente baluginare uno dei personaggi per poi rispegnerlo poco dopo. E non si tratta di quelle furbizie del tipo "pensavi fosse il protagonista, invece muore!" che ogni tanto certi sceneggiatori riescono ad azzeccare, qui è proprio una sequenza casuale di cose che accadono a persone. La recitazione appare monocorde e impersonale, ma qui sono disposto a credere che una buona dose di colpa sia del doppiaggio, che a sua volta forse soffre di problemi di lip sync. Ma anche con tutte le attenuanti del caso, il risultato è pessimo.

Ho scoperto che è in produzione un Dead Snow 2, e se volete il mio consiglio, statene lontani come da un nazista zombie.

Robert Repino - Mort(e)

Prima di scegliersi il suo nome, Mort(e) si chiamava Sebastian. Sebastian viveva con la famiglia Martini, una coppia con due figli e qualche problema di relazione, ma lui non lo sapeva. Passava tutto il suo tempo in casa, osservando l'esterno solo dalle finestre. Aveva un'amica, Sheba, che veniva a trovarlo occasionalmente, e con cui condivideva i suoi posti segreti, dormendo l'uno accanto all'altra. Ma dopo lo scoppio della Guerra Senza Nome, le cose sono cambiate. Sebastian si è svegliato, ha iniziato a capire, i Martini sono scappati, lasciandolo da solo, Sheba è scomparsa. Allora Sebastian ha abbandonato il suo nome da schiavo, e dopo essersi unito a uno squadrone di altri soldati, ha scelto il suo nuovo nome: Mort(e).

Mort(e), e Seastian prima di lui, è un gatto. Come tutti gli animali è rimasto coinvolto nella Guerra, quella che le formiche hanno scatenato contro l'umanità, dopo millenni di pianificazione. Uno dei loro primi atti è stato quello di diffondere un ormone in grado di elevare l'intelligenza delle bestie, quelle più comuni e vicine all'uomo, donando loro la consapevolezza del loro stato di schiavitù, e impiegandole come esercito. Gli animali cambiano nel corpo e nella mente, diventano bipedi e crescono, sviluppano il pollice opponibile, acquisiscono memoria, intelletto e coscienza. Il messaggio della Regina è diffuso chiaramente a tutti: ribellatevi, eliminate i padroni. E per i padroni, gli umani, non c'è niente da fare. La Guerra Senza Nome è rapida e devastante, e nonostante poche sacche di resistenza, della civiltà umana rimane poco, sostituita gradualmente dalla zootopia degli animali di specie diverse che convivono pacificamente.

In tutto questo, Mort(e) è il personaggio centrale per entrambe le fazioni: eroe di guerra per gli animali, messia per gli uomini sopravvissuti. Mort(e) compie il suo dovere, ma non è convinto dagli ideali della guerra agli umani. Il suo unico obiettivo è ritrovare Sheba, portare a compimento quella promessa che le aveva fatto di proteggerla sempre. C'è in questo una traccia di nostalgia dei tempi andati, quando il mondo era piccolo e lui ne capiva così poco. Ma c'è anche dell'altro: Mort(e) capisce che la liberazione degli animali è solo uno strumento, forse un esperimento della Regina, e che le sue promesse non saranno mai mantenute. L'EMSAH, il virus diffuso dagli umani che fa impazzire gli animali, non è quello che sembra, perché lui lo ha visto. Lui sa. E la Regina sa che lui sa, perché la Regina vede tutto.

Questa è in sostanza la trama di Mort(e), romanzo d'esordio di Robert Repino, autore di cui non avevo mai sentito parlare prima, e in cui mi sono imbattuto tra le segnalazioni di testi di fantascienza più interessanti dell'anno scorso. Vista così sembra una storia scontata e sconclusionata: animali parlanti e la natura che si ribella, gli uomini puniti per la loro arroganza. Niente che non si sia già visto nei post dei gruppi vegani estremisti. Tuttavia, questa è solo la superficie. Mort(e) è un romanzo complesso e profondo, che parte dalla guerra tra uomini e animali per affrontare temi vasti e articolati. In effetti, la guerra non è l'evento centrale della storia, e si conclude nei primi capitoli, portando presto l'attenzione sul seguito, quando la popolazione umana è ormai decimata e gli animali stanno prendendo il loro posto in superficie, sotto la guida onnipresente della Regina dal sottosuolo.

I personaggi che affiancano Mort(e) nella narrazione sono delle specie più varie, e di ognuno di questi conosciamo la storia, a un certo punto: Culdesac la lince, Wawa il cane, Bonaparte il maiale, Imenoptera Unus la formica regina. Questi tasselli compongono la storia vista da una pluralità di voci, rendendola tridimensionale e di interpretazione non così immediata. Ne deriva che Mort(e) non è, come ci si potrebbe aspettare, un romanzo sul rispetto della Natura, ma nemmeno una distopia alla Fattoria degli animali. Gli animali antropomorfi che popolano il romanzo sono fin troppo simili a noi per non poterci riconoscere: degli uomini mostrano le stesse incertezze e debolezze, e a volte loro stessi se ne rendono conto. C'è sicuramente un messagio anti-specista in questo libro, ma non è l'unico. C'è anche una riflessione su cosa ci differenzia gli uni dagli altri, e cosa invece ci rende affini. Si parla di religione, che può salvare o può distruggere, e che spesso sono le singole persone (inteso in senso ampio: persone umane e non) a seguire su una delle due strade. Si parla anche di amore, quello che la Regina cerca di comprendere, e di dedizione, quella che spinge Mort(e) a cercare Sheba fino all'ultimo, pur non sapendo se sia ancora viva, se sia cambiata o rimasta un normale cane quadrupede.

Forse, lo ammetto, Mort(e) mi ha colpito tanto perché l'ho letto in un momento particolare. Da pochi mesi infatti ho acquisito un gatto (vi risparmio La storia di Opel per il momento), e mi sono trovato a immaginare cosa penserebbe di me in una situazione del genere. Mi vedrebbe come il suo schiavista o come un padre benevolo? Pur sapendo di aver fatto tutto il possibile per il suo bene, lo sto di fatto recludendo, e proprio come Sebastian, lo castrerò per rendergli la vita più facile. Mi sono quindi detto che, se un giorno un Opel bipede e antropoide mi puntasse contro un fucile, non credo che potrei biasimarlo. Ma questa è una considerazione personale, che forse mi ha reso più partecipe del romanzo ma non incide sul giudizio complessivo.

Mort(e) è uno dei libri più coinvolgenti che abbia letto negli ultimi mesi. Grazie ai suoi personaggi forti, ben caratterizzati, e a una storia lineare ma incisiva, mi ha tenuto più volte appiccicato al kindle oltre l'orario limite per la lettura. Il che, per un libro con animali parlanti, non è affatto male. Naturalmente, non lo si trova in italiano, ma potete leggerlo in lingua originale, nella sua edizione cartacea e digitale pubblicata da Soho Press.

Gandalf Web Radio 004 - Il mio primo podcast!

Scommetto che questa non ve l'aspettavate. Beh, io non me l'aspettavo, questo è sicuro. La cosa è stata improvvisa e imprevista: qualche settimana fa mi è arrivato l'invito per partecipare a un podcast, da parte di Federico Galdi, autore fantasy che ha iniziato con Nytrya una saga pubblicata da Plesio.

Federico ha da alcuni mesi aggiunto sul suo blog la rubrica Gandalf Web Radio, un podcast dedicato ad argomenti tipici del fantasy e della narrativa. Ma, oh, aspè, si parla di fantasy, checcestoaffà io? No, ecco, nello specifico, questa puntata era dedicata a un tema un po' diverso: Lo Zen e l'arte della fantascienza italiana.

Gli ospiti della puntata, oltre a me, sono Stefano Andrea Noventa, autore che conosco e che balzella agilmente tra fantascienza e fantasi, e Sergio Giardo, fumettista di grande rilievo nel panorama italiano. Nel corso della trasmissione abbiamo parlato delle nostre esperienze con la fantascienza, sia da lettori che da autori, del rapporto con il fandom, la percezione del genere... e anche del Risveglio della Forza, sì.

Essendo il mio primo podcast non ero adeguatamente attrezzato, per cui il mio chiaramente è l'audio meno nitido e con più ritorno... comunque probabilmente le cose più interessanti da sentire non sono le mie. Ecco qui i tre quarti d'ora spremuti dalle due ore circa di chiacchiere di un venerdì sera.




Limiti tecnici a parte, mi sono divertito molto e mi auguro che in futuro si possa ripetere qualcosa di simile, ringrazio quindi Federico per l'invito e l'immane lavoro. Buon ascolto, e ricordate di recuperare anche le puntate precedenti del podcast!