Bustina # 23

Quando non vuoi più mangiare qualcosa che ha un buon sapore, puoi sentire il vero sapore di qualsiasi cosa stai mangiando.
 da La rivoluzione del filo di paglia di Masanobu Fukuoka


Non parlo spesso di cucina su questo blog, e non perché sia un argomento che non mi attira (a differenza dei maschi miei coetanei [e anche di molte femmine] cucino con una certa frequenza e cura), ma perché mi pare che sia un tema piuttosto inflazionato, soprattutto negli ultimi anni, con i vari Master Chef e trasmissioni e rubriche e riviste e blog e portali... per cui, come sempre, cerco di mantenere i contenuti del blog quanto più "esclusivi" possibili, e non potendo aggiungere niente di costruttivo, me ne sto zitto.

In questo caso però riporto una citazione che parte proprio dall'arte culinaria ma ha implicazioni ben più profonde. La frase di sopra è tratta dal libro-manifesto dell'agricoltura naturale, o agricoltura del non-fare, teorizzata, ma soprattutto praticata, dal giapponese Masanobu Fukuoka negli anni '80. Questa "dottrina" non si limita a fornire una tecnica per ottenere dei raccolti, ma si propone anche di cambiare l'approccio dell'agricoltore, e dell'uomo in generale, verso il mondo naturale. Mi è parso significativo isolare questa frase contenuta in uno dei capitoli dedicato all'alimentazione perché, al di là del significato immediato, offre una prospettiva interessante.

La ricerca del sapore infatti è un paradigma che io stesso da anni cerco di combattere, innanzitutto il boicottaggio simbolico di sale e zucchero nella mia cucina, di modo che, aboliti i due "insaporitori" essenziali, si torni in grado di avvertire tutte le sfumature che normalmente vengono sovrastate da questi additivi. Per cui, ferma restando la totale libertà alimentare di chiunque, forse un approccio più aperto quando ci si trova davanti ai fornelli può portare qualche gradita sorpresa.

Può sembrare una cosa banale, ma è davvero significativo il cambiamento di mentalità che un'azione semplice come rimuovere il sale dalle proprie ricette può indurre. E se è vero il principio zen per cui cercando una cosa non la si trova mai (che si dimostra quotidianamente quando perdete le chiavi della macchina, i calzini o gli occhiali), allora è smettendo di cercare il sapore che lo si può trovare davvero.

Coppi Night 23/06/2013 - Cosmopolis

La Confederations Cup, il torneo internazionale di calcio più forzato e inutile della storia dello sport, si è sovrapposta al Coppi Club, e poiché tutti i Membri tranne uno* ci tenevano a vedere Italia-Messico, non c'è stato film domenica 17, e siamo saltati direttamente al 23.

E con mio estremo gaudio (e stupore, perché questo tipo di film trionfa raramente), è stato eletto come titolo della serata Cosmopolis, che all'epoca dell'uscita mi ero ripromesso di vedere, e avevo persino contemplato di vedere al cinema. Col senno di poi, posso dire che non mi dispiace aver rispariamto quegli 8 euro. Non perché il film sia brutto, ma sicuramente sarei uscito dalla sala con delle perplessità.

Per farvi capire quanto è difficile valutare questo film, fornisco alcuni elementi di base. Si parte dal fatto che Cosmopolis è stato diretto da Cronenberg: 20 punti assurdità; poi, è basato su un romanzo di Don De Lillo, che io personalmente non ho mai letto, ma a quanto so scriveva roba piuttosto allucinata postmoderna cyberpulp, qualcosa tipo una fusione tra Burroughs e Palahniuk: 30 punti assurdità; e il protagonista è interpretato dall'attore che fa il vampiro metrosessuale di Twilight: 10 punti assurdità; e per finire, il film si svolge praticamente tutto all'interno della limousine di detto protagonista, che viaggia da una parte all'altra di New York per farsi i capelli dal suo barbiere di fiducia, nonostante ci siano in corso attacchi terroristici e rivolte capeggiate dai ratti: 20 punti assurdità. Siamo quindi a un 80/100 sulla scala di assurdità, e il massimo si poteva toccare giusto se la colonna sonora era della Vegetable Orchestra.

Il film è praticamente tutto dialogato, il protagonista, un giovane megamiliardario della finanza internazionale, incontra nella sua macchina/ufficio vari personaggi, dal programmatore al consulente artistico, dal medico alla guardia del corpo, e con loro chiacchiera di... boh, non si capisce bene di cosa cerchi di parlare, perché sembra che butti battute a caso completamente fuori contesto (dando l'idea che non ci sia tutto col cervello), e l'unica che gli tiene testa per tutto il tempo è sua moglie, un'altra ricca industriale dedita alla poesia che ha sposato da poco ma con cui non riesce a consumare, nonostante le sue pressanti insistenze. Non che il sesso gli manchi, perché all'occasione copula con le donne che gli capitano in macchina senza darsi troppa pena. Nel frattempo la città, vista praticamente tramite i finestrini della limousine insonorizzata, pare essere al collasso, con manifestanti che arrivano anche ad assaltare e ridipingere l'auto del miliardario. Alla fine il giovanotto riesce ad arrivare dal barbiere (a notte fonda) e farsi mezzo taglio, poi va in cerca di un tizio che gli stava sparando addosso e passano insieme il resto della nottata, conversando di... boh, sempre stesso discorso, sembra che parlino di qualcosa senza volerlo dire apertamente.

Detta così sembra un film senza un filo logico, e in parte può essere vero, perché la logica e la consequenzialità non sono del tutto valide. Ma al di là di questo, le lunghe riflessioni, i dialoghi e le espressioni dei personaggi, riescono in qualche modo a colpire e far riflettere, introiettando un certo senso di inquietudine e smarrimento, il seme dell'idea che il sistema globale moderno, quello post-capitalistico, possa vacillare e trascinare tutto giù con sé, abbattendo nella caduta tutti i paradigmi su cui abbiamo fondato la nostra esistenza. Ma poi ripensi che è solo un film, e torna il sorriso! :)

*ovviamente, quell'uno ero io.

A breve il mio secondo ebook!

Vi ricordate di Quattro Apocalissi? Sì dai, c'è un banner qui a destra, il primo di tutti, anche per sbaglio ci avrete pure cliccato una volta, no? Rilasciato ai primi del dicembre 2012, si trattava del mio primo ebook autoprodotto, distribuito gratuitamente tramite link diretti e vari portali (ebookgratis, kindle store, ecc), contenente quattro racconti, alcuni dei quali inediti e altri ripescati da vecchie pubblicazioni.

Ora che si avvicina l'estate, e che l'Apocalisse a quanto pare ce la siamo scampata (qualunque ci aspettasse delle quattro che avevo suggerito), ho pensato che fosse il momento di mettere in circolo qualcos'altro. E così, dopo qualche settimana di lavoro, posso preannunciare che a breve arrivera il secondo ebook, anch'esso una raccolta di racconti scritti in momenti e con obiettivi diversi, ma con un tema comune. Saremo ancora nello spazio tra i generi fantascientifico, fantastico e pseudostorico, quindi se vi è piaciuto Quattro Apocalissi dovreste trovarvi bene.

Non rivelo il titolo, ma ecco un primo frammento della copertina, di nuovo realizzata dal mio grafico di fiducia, che a suo tempo riceverà tutti gli onori dovuti.




Rimanete nei paraggi per gli aggiornamenti, nei prossimi giorni lancerò qualche sneak peek via twitter con il tag #myf!

Film che non vedrete mai: Synecdoche, New York

Synecdoche, New York è un film del 2008 scritto e diretto da Charlie Kaufman. Questa prima essenziale proposizione dovrebbe bastare a suscitare attenzione, ma se così non è stato, vedo di spiegarmi meglio. Forse il nome non vi è del tutto familiare, ma di Charlie Kaufman, se seguite un minimo il mondo cinematografico, avete sentito sicuramente parlare, almeno indirettamente. Kaufman è infatti piuttosto noto come sceneggiatore per aver scritto diversi film che, indipendentemente dal successo, si sono rivelati in un modo o nell'altro sorprendenti: a partire dall'iconico Essere John Malkovich del 1999, fino a Adaptation/Il ladro di orchidee, e l'immenso Eternal Sunshine of the Spotless Mind, film preferito in assoluto di chi scrive. Purtroppo, per una radicata stortura del mondo/mercato del cinema, l'autore di un film (soprattutto nel caso di sceneggiature originali) non ha mai una posizione di rilievo quanto i suoi interpreti o il regista. Per questo Kaufman rimane comunque una figura di secondo piano, anche se con registi moderni e innovativi come Michel Gondry e Spike Jonze (sì, quello che faceva le cazzate in Jackass, ma è pure un discreto regista) è riuscito a dare vita a pellicole davvero memorabili. È riuscito, addirittura, a dare spessore a un film diretto da George Clooney (sì: George Clooney regista) che racconta la storia di un autore televisivo, e ha pure avuto la sfacciataggine di scrivere un film con se stesso protagonista che scrive il film (ed è poi stato interpretato da un sorprendentemente valido Nicholas Cage). Tutti i suoi film si muovono in un territorio ambiguo tra il fantastico, il misterioso e il fantascientifico, mostrano a tratti elementi surreali, spesso autoironici, e si concludono con finali circolari o aperti. In tutti i casi, anche quando il tono è più leggero come in Human Nature, sicuramente non lasciano indifferenti. Insomma, non voglio dire che Charlie Kaufman sia il Re Mida contemporeaneo della sceneggiatura, ma penso che sia un ottimo esempio di come l'autore di un film sia determinante per la sua buona riuscita.

In Synecdoche, New York, per la prima volta Kaufman non è solo autore ma anche regista. Questo fa quindi pensare che il film sia l'espressione più genuina della sua "poetica" (non mi piace il termine, ma il senso è quello: il complesso di idee, temi, stili e strumenti comunicativi), e probabilmente è così. Attualmente, nonostante ci siano alcuni progetti in corso, non sono usciti altri suoi film successivi a questo, che non è arrivato in Italia e probabilmente, a questo punto, non arriverà più, renendolo di fatto un film che non vedrete mai. Il titolo è un gioco di parole di Schenectady, New York, località in cui si svolge per lo più la storia (lo scopro grazie a wikipedia, ma io non sono newyorchese e non potevo saperlo), ma, se ricordate le lezioni di letteratura del liceo, riconoscerete anche la parola "sineddoche", che è quella figura retorica con la quale si utilizza la parte di un oggetto per rappresentare il tutto, o viceversa.

La trama è in un certo senso abbastanza semplice da riassumere: il protagonista è Caden Cotard, un regista teatrale (interpretato da Philip Seymour Hoffmann) complessato e depresso, la cui famiglia (la moglie Adele [Catherine Keener], e la figlia Olive) si sta disgregando. Inaspettatamente, Cotard riceve un prestigioso premio che gli permette di mettere insieme un grandioso spettacolo tutto suo, e in cerca dell'idea adatta inizia a ricostruire e riprodurre in un gigantesco studio la sua vita, la sua città, il suo mondo. La "storia" è praticamente solo questa, ma lo svolgimento è estremamente complesso. Infatti, mentre nel "mondo reale" Cotard cerca di rintracciare la figlia, portata a Berlino dalla madre, nel suo spettacolo coinvolge centinaia di persone, come personaggi principali, comparse e "doppi", così che progressivamente il confine tra la realtà e la rappresentazione si assottiglia sempre di più, quando ogni doppio (ne esiste anche uno di Cotard stesso) prende non solo a copiare il suo "originale", ma ad anticiparlo, e richiede a sua volta un doppio (quindi "triplo") che lo interpreti. Lo stesso gigantesco set, che riproduce dapprima solo una strada, poi un quartiere, poi un'intera città, si allarga fino a comprendere un altro set identico a se stesso, che ha all'interno tutti gli stessi elementi del primo... incluso un terzo set. La sineddoche del titolo è quindi evidente, con successive stratificazioni di livelli di "finzione" che devono rappresentare quello adiacente, ma a questo si sovrappongono e intrecciano, andando a costituire così uno strato del tutto autonomo e autentico. In tutto questo, Cotard trascorre anni e decenni, quasi ignaro del passare del tempo, cercando di trovare la giusta storia da inscenare. Lo si vede invechiare durante il film, appassire sempre di più, pur cercando, per quanto possibile (e spesso non lo è, o è troppo tardi) di riappacificarsi col suo tormentato passato.

Questo film, assurdamente, non è tanto facile da descrivere quanto lo è da analizzare. Gli elementi metaforici e simbolici, i riferimenti e le citazioni, sono così frequenti ed evidenti che di fatto costituiscono il messaggio che emerge, la parte che rappresenta il tutto, la sineddoche che l'autore/regista vuole mostrare. Il tema di fondo è, a conti fatti, la vita stessa, e non nel senso in cui qualunque opera, per definizione, discende dalla vita dei suoi autori, ma proprio perché nella complessiva figura retorica che il film rappresenta, ogni parte è il tutto, e le vite dei personaggi/attori/protagonisti, come emerge proprio nelle sequenze finali, sono esse stesse le storie principali: la storia di Cotard non è la sua, ma è quella di tutti, e quella di ognuno è quella di ogni altro, in una sorta di olismo che tuttavia non ha niente della mistica new-age.

Come in tutti i film di Kaufman, ci sono dei dettagli surreali, primo fra tutti l'immenso capannone che fa da set allo spettacolo, capace di contenere a sua volta un capannone che contiene un capannone, in aperta violazione di un preciso criterio dimensionale, ma a favore della solita metafora che deriva dal titolo. Si trova poi la casa in fiamme, che Hazel, l'assistente di Cotard, acquista così com'è, e in cui vive quotidianamente tra fuoco e fumo, accettandoli come fossero soltanto complementi d'arredo. Il tema del cambiamento di scala viene poi riflesso da un lato nel tentativo di Cotard di rimettere in scena tutta la sua realtà, e dall'altro nel lavoro di sua moglie, di fatto principale "antagonista", che dipinge ritratti minuscoli, che rimpiccioliscono sempre di più nel corso del film: mentre lui aumenta di dimensione, andando a includere sempre maggiori particolari e particolari dei particolari, Adele fa l'opposto, riducendo sempre di più, ma non di meno riuscendo a suo modo a mostrare il tutto che ha in mente. Ci sono in effetti decine di altri dettagli, apparentemente marginali, come il rapporto con Olive, la percezione del tempo, la continua mise en abyme (che ricorreva anche in Adaptation) per cui si assiste alla stessa scena più volte, ma riprodotta a diversi livelli da diverse persone con diversi significati, l'auricolare che nell'ultima parte suggerisce ai personaggi come muoversi, e riassume, nel drammatico, devastante finale, quanto fino a quel momento Cotard stesso aveva cercato di capire, e solo all'ultimo istante realizza.

Volendo paragonarlo con uno dei film precedenti, l'affinità maggiore è proprio con Adaptation, in cui Nicholas Cage interpreta lo stesso Kaufman alle prese con la sceneggiatura del film. Come il Kaufman di questo film, Cotard è insicuro, paranoico, quasi ossessivo-compulsivo, socialmente inadatto, sessualmente represso e profondamente depresso. Non è da escludere che questa tipologia di personalità sia quella del "vero" Charlie Kaufman, e che portarla su schermo sia un modo per esorcizzarla, ma non mi voglio spingere fino alle analisi psicologiche che comunque non aggiungerebbero molto. Di certo, il senso finale delle due pellicole è abbastanza diverso, forse perché Adaptation ha una vera e propria svolta dopo la metà, quando Kaufman chiede al suo (inesistente) gemello di scrivere lui il film, cambiando completamente tono alla storia. In Synecdoche, New York non sembra esserci un riscatto finale, e anzi proprio nelle ultime immagini tutto confluisce nel disastro e nella distruzione di quanto affermato, ma questo, d'altra parte, era il significato ultimo, quello che fin dall'inizio l'autore cercava di mostrare, e la lunga sineddoche si riannoda quindi manifestandosi un'ultima volta.

Parlando del lato tecnico, il film è ineccepibile, curato in tutti i dettagli, dalle scenografie (che pure hanno sempre un che di claustrofobico, visto che ogni volta che ci si trova sul set che appare come una città siamo in realtà dentro un capannone) alla colonna sonora di Jon Brion (già compositore per Eternal Sunshine of the Spotless Mind). Gli attori stessi sono ottimi, a partire da Hoffmann fino alla Keener, attrice a quanto pare molto cara a Kaufman, visto che appare in metà dei suoi film. Eccellente è anche il livello di coinvolgimento dei "doppi", che nonostante l'apparenza fisica diversa riescono a interpretare un personaggio che interpreta un personaggio, mantenendo tanto la loro parte quanto quella del loro "originale". Sì, è un discorso contorto, ma deriva da un'opera decisamente non lineare, e non posso esprimermi più chiaramente di così.

Synecdoche, New York, in definitiva, è un film complesso, che richiede una notevole attenzione e trasmette una certa angoscia. Non è un film da guardare una sera qualunque, con due amici o con la fidanzata. Anzi, forse è proprio il tipo di film che è bene guardarsi da soli, in silenzio e al buio, per potersi concentrare su quanto viene detto e quanto viene lasciato intuire. Non sarà facile digerirlo, ma ne vale la pena.

Futurama stagione 7/b in USA + Cofanetti vol. 5 e 6

Il countdown che ha accompaganto i fan di Futurama nelle ultime settimane è terminato, e tra poche ore i nuovi episodi andranno in onda sul canale USA Comedy Central, con una premiere di due puntate e poi una a settimana a seguire, fino alla conclusione dei tredici episodi. Naturalmente, Unknown to Millions (e chi ci sta dietro) seguirà la serie e, a cadenza non programmata, pubblicherà le recensioni dei relativi episodi (me le farò durare qualche mese, ma sarà comunque prima di quando verranno trasmesse in italia).




Con l'occasione faccio anche presente che da un paio di mesi (ma me ne sono accorto solo ora) è disponibile anche in italiano il cofanetto delle stagioni 5 e 6. In realtà questa dicitura è impropria, perché i 4 dvd contengono i 26 episodi della stagione 6, che solo per esigenze di network è stata spezzata in due segmenti. La stagione 5 corrisponderebbe ai 4 lungometraggi, ma probabilmente per rispettare la numerazione dei cofanetti, che finora erano 4, si è deciso di rilasciare questo con i numeri 5-6. Ci è andata tutto sommato anche meglio che in USA, visto che lì la stagione è stata divisa in due cofanetti diversi, il volume 5 (con questa stessa copertina) e volume 6 (con un artwork simile che ritrae Leela).

In ogni caso, i dvd contengono, oltre agli episodi trasmessi in tv, anche due puntate inedite in italia (In a Gadda-da-Leela e Proposition Infinity, probabilmente censurati per gli espliciti riferimenti religiosi e omosessuali, urrà per il medioevo di ritorno!), oltre agli extra e ai sempre spassosi e istruttivi commenti di autori e doppiatori. Potete trovare il cofanetti a circa 30 euro sui maggiori store, da e-bay ad amazon a ibs. Dont'miss it!

Rapporto letture - Maggio 2013

Maggio è stato un mese del tutto in media, con alternanza di ebook in inglese, classici di sf, autori italiani, romanzi e racconti. Nello specifico:


Più riguardo a Un calice di soli, un piatto di pianetiIl primo è una raccolta di racconti di Edizioni Della Vigna, che su questo blog ho già citato in quanto è l'editore di alcuni libri che contengono miei racconti, come Fantaweb 2.0 e Strani nuovi mondi 2012. Un calice di soli, un piatto di pianeti contiene una serie di racconti di "fantascienza culinaria", ovvero storie digenere che hanno come tema o argomento la cucina o il cibo. Almeno, questa è l'intenzione iniziale: in effetti, non tutti i racconti rientrano in questa definizione: alcuni non sono di fantascienza (Tre boccali di birra ottobrina) e altri hanno ben poco di culinario (Il numero non numero). In compenso ce ne sono alcuni interessanti, come Strudel alla viennese di Francesco Troccoli, e i due contributi stranieri di Resnik e Silverberg. Tra gli altri anche un racconto di Massimo Mongai che si inserisce nel conteste delle Memorie di un cuoco di astronave. A fine volume anche due brevi saggi che illustrano il (possibile) collegamento tra la cucina e la fantascienza. Nel complesso un'idea sicuramente originale, ma non realizzata pienamente. Voto: 6/10


Più riguardo a The Final EvolutionA maggio ho anche completato la serie di Avery Cates, antieroe protagonista della pentalogia di Jeff Somers di cui, dopo aver letto anni fa i primi due volumi tradotti su Urania, ho rintracciato di recente i libri seguenti per completare la storia. Ho parlato di The Eternal Prison e The Terminal State nel rapporto letture di aprile, e questo The Final Evolution conclude il ciclo riannodando tutti i fili lasciai sparsi negli episodi precedenti. Tutti i personaggi (almeno quelli vivi) tornano in scena e ci si prepara al confronto finale di Cates con il suo ultimo nemico, con la sua vendetta che si contrappone alla sopravvivenza di tutta l'umanità. Il tono è sempre quello pulp, violento, sanguinoso e volgare, e la conclusione si adatta perfettamente a questa tendenza. Jeff Somers si conferma così un'ottima lettura, e per chi vuole saperne di più rimando al post in cui ho parlato appunto di tutta la serie. Voto: 8/10


Più riguardo a Al servizio del TB IIDi Joe Haldeman comincio a diffidare: se si esclude Guerra eterna, genuino capolavoro, ho letto davvero poco di lui che mi abbia convinto e che mi porti a considerarlo un "Grande Autore". Man mano che leggo le sue storie, mi sembrano sempre di più avventure costruite a tavolino, che partono da idee iniziali anche intriganti ma poi si risolvono nel nulla, come se l'autore stesso non avesse cognizioni (o voglia) di come finirle. Mi riferisco ad esempio al pessimo Missione eterna ("seguito" di Guerra eterna) o a Cronomacchina accidentale e I protomorfi. In questo Al Servizio del TB II (che poi non ho capito bene perché si chiami così) il protagonista è un agente di un servizio segreto interplanetario che svolge le sue missioni assumendo la personalità di individui chiave che gli permettono di infiltrarsi dove richiesto. Le avventure in sé sono anche gustose, ma lasciano ben poco, e non c'è nessun filo conduttore che leghi una storia all'altra. A fine libro si rimane quindi con un certo vuoto, incapaci di capire quali fossero le intenzioni dell'autore. Voto: 6/10


Più riguardo a Universo senza luceQuasi opposto l'approccio di Daniel Francis Galouye: storie affascinanti e cariche di contenuti, per un autore non proprio prolifico. Sono suoi capolavori come Psychon, Stanotte il cielo cadrà e Simulacron 3, dal quale è stato tratto il quasi-celebre film Il tredicesimo piano. Universo senza luce è una storia ambientata in un mondo post-apocalittico, ma la fine della civiltà è quasi un aspetto secondario: dopo l'imprecisata catastrofe, l'umanità si è rifugiata nel sottosuolo, e abita in caverne del tutto oscure, dove ha praticamente perso l'uso della vista. I superstiti vivono quindi immersi nel Buio, che è considerato un'entità malefica, mentre la Luce, fonte di ogni virtù, è un ideale astratto irraggiungibile. Il protagonista è un giovane deciso a scoprire la vera natura di queste parole, e si muove nel mondo orientandosi con l'olfatto e l'udito (tramite una sorta di ecolocalizzazione), combattendo con gli animali che popolano gli abissi e fuggendo dalla comparsa di nuovi "mostri" più pericolosi di quelli mai incontrati prima. La storia è avvincente, e soprattutto molto efficace nel dipingere tutto un mondo a partire da sensazioni non-visive, per quanto la conclusione sia in qualche modo intuibile. Voto: 8.5/10


Più riguardo a La corsa selvaticaUltimo del mese è un romanzo italiano: La corsa selvatica, breve libro pubblicato a suo tempo dalle compiante Edizioni XII. La storia è ambientata in altitalia, a cavallo dell'unificazione del Regno, e tira in causa leggende montane e folklore con stregoneria (anzi: stregheria), evocazioni di animali, negromanzia e antichi "poteri della natura". Un horror "artigianale", quindi, un'interpretazione nostrana del genere che non fa rimpiangere i maestri internazionali. Nella prima parte una serie di brevi racconti da punti di vista diversi forniscono il contesto, ed è poi nell'ultima parte che si sviluppa la storia vera e propria, che vede un villaggio assediato da orde di cani, ratti e corvi che sembrano uccidere senza motivo gli abitanti. La storia in sé potrebbe non sembrare particolarmente originale, ma il contesto e lo stile la rendono davvero affascinante, evocando una dimensione "magica" del nostro paese che spesso sottovalutiamo. La scrittura asciutta di Riccardo Coltri (letto anche in Carnevale) è poi efficacissima nel sollevare l'inquietudine del lettore, e basta a rendere un libro apparentemente innocuo un prodotto impressionante. Voto: 8/10

Skan Magazine n. 10

Ormai è diventato un l'appuntamento mensile fisso: sul numero di giugno di Skan Magazine, rivista elettronica gratuita di racconti di narrativa di genere, nella rubrica "Being Piscu" compare il mio racconto Non sono stato io, una breve distopia noir vista dagli occhi di un ragazzino ansioso e spaventato. Il racconto è stato uno dei primi che ho pubblicato, uscito su N.A.S.F. 4, per cui questa è una buona occasione per rileggerlo o scoprirlo.




Al solito, l'ebook è visualizzabile o scaricabile direttamente dal sito, o reperibile su vari portali e come print-on-demand tramite Lulu. Quindi un modo per procurarvelo che vi aggradi lo trovate di sicuro.

Coppi Night 12/06/2013 - Flight

Dopo l'esclusiva Coppi Night in trasferta siamo tornati alle usuali abitudini con una serata in casa, e seddiovole con un film interessante e di buona qualità. Nonostante l'insipidità del titolo (cioè, fare un film su un piloto intotolandolo "volo" è come fare un film su un pescatore chiamandolo "pesce"... a meno che flight non abbia anche qualche significato alternativo, il che non mi risulta), Flight è una storia interessante, che parte con delle premesse piuttosto buone che però si vanno a perdere nelle fasi finali.

Denzel Washington interpreta un pilota di linea alcolista e tossicodipendente, che si prende una bella ciucca prima (e durante) un regolare volo di un'ora, si tira un paio di strisce di cocaina e poi si mette alla cloche. Il problema è che poi l'aereo ha un problema poco prima dell'atterraggio, e il pilota è costretto a compiere una serie di manovre azzardate e potenzialmente diastrose (tipo rovesciare l'aereo a testa in giù!) per riuscire ad atterrare col minor danno possibile... il che significa la morte di "solo" sei persone sulle cento e passa a bordo. Ora, non so niente di aeronautica quindi non riesco a valutare la credibilità delle manovre mostrate, ma c'è da dire che tutta la sequenza è molto realista e impressionante, e pertanto la prima mezz'ora di film è parecchio adrenalinica. Dopo il disastro, che in realtà avrebbe potuto essere ben peggiore perché il mezzo stava letteralmente precipitando, partono le indagini del caso (visto che ci sono stati dei morti), ed è lì che sorgono i problemi, perché dagli esami di routine si è scoperto che Denzel era ubriaco e fatto di coca, che non è esattamente consigliato ai piloti civili. Il protagonista si ritrova quindi a doversi difendere dalle accuse, pur sapendo che se l'aereo non si è semplicemente schiantato al suolo uccidendo tutti è solo merito della sua competenza, inalterata dalla sua condizione psicofisica.

L'idea è quindi buona, e pone un interrogativo stimolante: è più importante riconoscere la "bravura" di una persona, o incolparla per non aver seguito un regolamento che, comunque, non lo avrebbe salvato? Il pilota infatti viene subito acclamato come eroe dai media, e solo in seguito si diffonde la notizia che era sbronzo: qual è la condotta più nobile in questo caso, salvare la reputazione o ammettere l'errore? Purtroppo è qui che il film va alla deriva, perché quello che avrebbe potuto essere un ottimo legal thriller vira drasticamente sul personale, mostrando la vita del pilota da alcolista pesante, i suoi ripetuti tentativi di smettere, la sua relazione con una donna eroinomane che sta cercando a sua volta di disintossicarsi, la sua rabbia nell'affrontare le accuse. Il film non è noioso, ma per tutta la parte centrale si assiste a una serie di scene che essenzialmente ripetono lo stesso concetto. Il climax avviene nel finale, la notte prima del processo, e vede anche una comparsa semicomica di John Goodman, ma anche qui la soluzione è deludentemente buonista.

Per tutto il film poi si subisce un accento fin troppo marcato sul tema di dio e predestinazione, volontà divina e accettazione umana, il che sembra voler ridurre drasticamente la portata delle azioni (qualunque esse siano) del protagonista, come se il suo ruolo fosse solo quello di spettatore, invece che, come è stato, autore delle gesta "eroiche". Questo aspetto di per sé risulta fastidioso, anche perché non porta a una vera e propria conversione religiosa che potrebbe conferire al pilota una diversa prospettiva. A dirla tutta, anche il rapporto con la donna ex-tossica ha ben poco impatto, nonostante un paio di confronti drammatici, perché alla fine dei conti la sua presenza non influisce in modo determinante sullo sviluppo della vicenda.

In definitiva, Flight è un film interessante, che riesce a catturare nella prima parte, ma che forse per mancanza di convizione da parte degli autori non è altrettanto incisivo nel seguito, e cerca di portare sullo schermo dei temi "profondi" senza però riuscire ad evitare qualche banalità, vista e rivista in qualunque film sulla dipendenza. A paragone, per dire, A Scanner Darkly è di certo di tutt'altro impatto. Forse di una mezz'ora più breve, e con una maggiore attenzione al problema etico/professionale di fondo, sarebbe stato un prodotto decisamente migliore.

Ultimi acquisti - Giugno 2013

A volte mi chiedo come faccio ad andare avanti per interi mesi senza nuova musica da ascoltare. In questo caso era da febbraio che non mi pregiavo di consumare una buona parte delle mie risorse per acquisire nuovi dischi, e non è certo stato facile. In effetti, questa volta gli acquisti sono stati piuttosto limitati, almeno come quantità di pezzi, soprattutto per il fatto che con l'occasione ho acquistato un nuovo paio di cuffie Allen&Heath... ma questa è un'altra storia. Ecco i sei cd acquisiti, tra cui se ne trovano un paio notevoli:


Leviamoci subito il dente e parliamo dei Daft Punk, con il Random Access Memories intorno al quale è stato montato un hype colossale da parecchi mesi prima dell'uscita. Forse proprio questo accento calcatissimo gli si è ritorto contro, perché con tanto clamore le aspettative erano parecchio alte. In realta, RAM non è affatto un brutto album, ma non è nemmeno un disco rivoluzionario e memorabile. D'altra parte i Daft Punk hanno già fatto la storia, ed è difficile che possano ripetersi e segnare di nuovo una pietra miliare dell'elettronica. Eseguendo quindi la tara del nome e delle aspettative, e valutando le tracce di per sé, ci sono sicuramente pezzi notevoli: Contact (nel cui intro è inserita una famosa comunicazione della missione Apollo 17), Instant Crush, Doin' It Right, ma anche la Get Lucky che già si sente in radio da diverso tempo, per quanto facilotta è sicuramente carina. Notevoli anche le collaborazioni, da Touch a Giorgio by Moroder (in cui c'è proprio Giorgio Moroder a raccontare in prima persona la sua carriera musicale). Nel complesso quindi un album validissimo, che spazia dall'electro al synthpop, dalla disco al funk, come il gruppo francese ci aveva già abituato decenni fa, che tuttavia non abbatte nessun paradigma: ascolto facile e canzoni di qualità, e questo basta.


Altra uscita recente (fine 2012) è Guten Tag, ultimo album di Paul Kalkbrenner. In realtà questo album lo avevo già ascoltato perché lo avevo comprato per un amico, ma non lo possedevo ancora, e quindi non lo avevo incluso nelle recensioni. Credo che si possa dire che questo album, dopo Berlin Calling (che però era troppo legato alla sua controparte cinematografica), sia quello che afferma maggiormente l'identità dell'autore. Già la presentazione è d'impatto: case completamente nero, con chiusura magnetica e cd nero cromato anche sul lato inferiore (e una serie di adesivi all'interno che non ho avuto il cuore di staccare e appiccicare sulla console...). L'album alterna poi brevi pezzi strumentali con le tracce vere e proprie, mantenendo sempre un'atmosfera delicata, quasi malinconica, pur rimanendo nei canoni di quella moderna techno di cui da diversi anni è un punto di riferimento. Segnatevelo, perché questo è un disco che rimarrà nelle top del decennio.


Sermpre di Paul Kalkbrenner, un altro pezzo acquisito per completare la discografia: Superimpose, album del 2001. Confrontandolo con Guten Tag di sopra la differenza è evidente: questa è una techno più essenziale, e, a dirla tutto, piuttosto monotona. In effetti delle tredici tracce nessuna spicca in modo particolare, e se una qualsiasi sarebbe più che adatta per un set di quelli pesanti, il semplice ascolto non è poi così soddisfacente. Penso si possa dire che rispetto a tutti gli altri album (anche Zeit che gli è contemporaneo) questo sia il lavoro di Kalkbrenner meno ispirato ed organico.




Isolée è un nome che mi è capitato di incrociare ma che non posso dire di conoscere a fondo. L'album Well Spent Youth del 2011 comunque, raccoglie una buona selezione di pezzi, un'elettronica raffinata e dolce, che riesce sia a convincere che a sorprendere. Paloma triste, Trop près de toi, Thirteen Times an Hour sono tutte tracce di ottima qualità, dietro alle quali si avverte la presenza di un "tema" che incanala tutta la produzione dell'autore, che quindi promuovo in pieno.





Discorso ben diverso per Recycled Plastik, altro pezzo delle recente ristampe degli album degli anni 90 di Plastikman. Come negli altri casi (Artifakts, Musik, e quelli che ancora mi mancano come Sheet One) qui abbiamo la minimal più essenziale, pulita, con loop crudi e freddi. Ma da Plastikman è quello che ci si aspetta, e lui lo sa (sapeva) fare. Psichedelico ma efficace.


Per ultima un'altra chicca: LISm è un prodotto di non facile definizione. A metà tra colonna sonora e studio album, questo ultimo lavoro di Ellen Allien nasce in effetti nel 2011 come produzione per un teatro francese (almeno a quanto ho capito), ed è poi stata ripresa, estesa e riadattata in questo cd, che contiene un'unica traccia di 44 minuti. In realtà non si tratta di un'unica lunga soundtrack, ma di pezzi che si possono distinguere, e sfumano l'uno nell'altro (non nel senso che sono mixati), creando così una sequenza ordinata ma fluida. Le sonorità richiamano l'ambient, e includono letteralmente suoni "ambientali" (acqua, vento, eccetera) che accompagnano durante tutto l'ascolto. Un disco insolito ma affascinante, difficile da ignorare anche se allo stesso tempo difficile da assimilare, visto che richiede un ascolto attento e prolungato, che tuttavia ripaga in pieno il tempo e l'impegno spesi.

My god, it's full of ads!

Parafraso Futurama (strano, eh?) che a sua volta ripete la storica esclamazione di Bowman nel film 2001: Odissea nello spazio, nel momento in cui osserva attraverso il monolito di Giove: "My god, it's full of stars!" In Futurama, Fry ripete la frase del titolo quando entra per la prima volta nell'internet del XXXI secolo, e lo trova infestato di banner.

Questa citazione serve a sdrammatizzare il fatto che, come potreste aver notato, da qualche giorno qui su Unknown to Millions sono comparsi alcuni banner. Non credo siano troppo invasivi quindi non dovrebbero ostacolare la lettura, ma ho provato a inserirli perché, già che siamo in tempi di vacche magre, magari provare a tirare fuori due spicci dal lavoro costante che faccio qui non mi sembra così assurdo. Questo non cambia in nessun senso il mio approccio al blog, non è che da domani mi metterò a fare promozioni di diete o vendere batterie di pentole, quindi chi mi ha seguito finora non ha virtualmente motivo di allontanarsi per questo. Peraltro, segnalo che oltre alle pubblicità fornite da google, là nella barra laterale c'è anche un bannerino che rimanda al sito Carpfinder.com, e trattasi in questo caso non di una mera monetizzazione ma di uno scambio di link con un amico per cercare di tirare su reciprocamente i rispettivi progetti.

Prima che qualcuno pensi di scacciare i mercanti dal tempio, tengo a precisare che non sto chiedendo soldi a nessuno e nemmeno vi ho suggerito di cliccare sui banner (però è divertente vedere come le pubblicità cambiano a seconda dell'argomento dei post, fate qualche prova!). In ogni caso se nel giro di qualche mese noto che la cosa non porta alcun beneficio potrei anche pensare di rimuoverli. Quindi relax, personalmente mi riterrò soddisfatto se riuscirò a pagarmici una colazione al bar al mese, visto che di fatto l'ultima che mi sono concesso è stata due mesi e mezzo fa. E me l'hanno offerta. Vorrà dire che, nel caso, nel prossimo bilancio dell'anno in corso, fornirò anche un prospetto delle entrate derivanti dal blog. Massima trasparenza!

Coppi Night Special 02/06/2013 - Una notte da leoni 3

Wooo, una Coppi Night Special! Ma special de che, vi chiederete? Ecco, la specialità sta nel fatto che, se non sbaglio per la prima volta nella storia del Coppi Club, non si è svolto in trasferta! Ovvero, siamo andati al cinema invece di portarci il cinema in casa. Si è trattata di un'eccezione, dovuta principalmente al fatto che i precedenti film della serie erano stati visti in compagnia, e si è deciso di concludere allo stesso modo con questo.

Personalmente non mi piace la trasposizione italiana del titolo, The Hangover ha decisamente più senso, ma ho lasciato questo perché il titolo è diventato iconico e non potevo ignorarlo. Innanzitutto, devo ammettere che i due precedenti capitoli mi sono piaciuti parecchi. Il primo è esplosivo, a suo modo rivoluzionario, e anche intelligente per quanto lo possa essere un film di questo tipo. Il secondo riprende la stessa struttura, ma alza la tensione creando situazioni di serio pericolo per i protagonisti, mescolando toni più cupi al tema comico di fondo, con ottimi risultati. Quindi, galvanizzato dalle esperienze precedenti, sono arrivato al cinema con aspettative piuttosto alte.

E questo terzo hangover da una parte funziona benissimo, dall'altra mi ha lasciato vagamente insoddisfatto. Mi spiego: quelloche manca all'"epico finale della saga" è proprio quanto viene declamato nel titolo: l'hangover, o la notte da leoni se preferite. La nottata di baldorie al cui risveglio i protagonisti non ricordano quanto successo, e sono costretti a ripercorrere tutto quanto accaduto per recuperare qualcuno andato disperso (il futuro sposo nel primo film, il fratello della sposa nel secondo), con l'improvvisa illuminazione finale sullo scomparso e il conseguente lieto fine. Ecco, questo, in Una notte da leoni 3 manca. La storia ruota praticamente intorno a Mr Chow (chiamato in italiano "Ciao", il che dà occasione per una gag che non ho ben chiaro come fosse in lingua originale), e ai suoi affari in sospeso con qualche malavitoso di Las Vegas, che risalgono al primo film. Ma mentre il solito trio si sbatte per rintracciarlo e recuperare da lui qualche milionata di dollari, tra Tijuana e di nuovo a Las Vegas, la storia assume più i toni di un thriller che una commedia, con alcuni momenti decisamente drammatici, e una buona dose di omicidi (!!!). In questo senso, il film diverge parecchio dai precedenti, e ne tradisce sostanzialmente lo spirito. Vale a dire: nonostante il titolo, non fa parte del franchise The Hangover.

Se si ignora questo aspetto, il film è comunque gradevole, certo divertente, anche se non raggiunge le punte di spassosità dei precedenti (e del primo in particolare, dove l'effetto novità era del tutto sorprendente). Per cui, non posso dire che non mi sia piaciuto, anzi. Il problema è che, probabilmente, sarebbe stato più corretto dargli un altro titolo, considerando anche che i riferimenti ai film precedenti sono più citazioni che veri e propri collegamenti, e potevano benissimo essere giustificati in altro modo. E soprattutto, manca lo slideshow durante i titoli di coda, che era stato in assoluto uno dei momenti migliori (e anche più innovativo a livello di struttura della trama) degli altri film. Non manca invece l'inquadratura di un pene umano, che fa sempre ridere.

Steampunk vs Dieselpunk

È passato un po' di tempo (un anno e qualcosa di più!) da quando i risultati di questo concorso indetto da Scrittevolmente sono stati annunciati, e quasi mi ero dimenticato della dovuta pubblicazione della raccolta con i migliori lavori. Ma dopo l'accurato lavoro di editing della redazione, ecco che l'ebook Steampunk vs Dieselpunk, contenente 12 racconti di 12 autori, è finalmente disponibile.




Come si può facilmente intuire dal titolo, si tratta di racconti di ambientazione steam/dieselpunk, e se non sapete di cosa trattano questi generi potrebbe essere una buona base di partenza per scoprirli, visto che con due euro vi trovate la raccolta sul vostreo e-reader. Questi gli autori e i racconti presenti:

Andrea Viscusi – Piombo contro acciaio a Eldeberry Fields
Jacopo Perrone – Il telaio
Benedetto Mortola – Un altro mondo è possibile
Roberto Guarnieri – Lo strano caso della chiesa prussiana
Paola Rossini – Una vaporosa, inedita Miss Annie
Simone Farè – L’avventura della macchina che bombardò Londra
Andrea Santucci – Il comandante in capo
Mauro Longo – Virginia Strano e la chiave di Re Salomone
Polly Russell – Veloce come la folgore
Livin Derevel – Mission
Alexia Bianchini – Vita depredata
Ivan Berdini – Endurance

Il mio racconto Piombo contro acciaio a Elderberry Field, non esattamente inedito visto che era già stato incluso in N.A.S.F. 6 e Steampunk! Vapore Italico, appare qui per la prima volta presente in versione digitale. Una storia weird-western con scienziati pazzi, robot a vapore e (che la matematica non abbia mai a mancare) numerazione in base 2. Peraltro, dopo averlo letto, potreste gradire anche il seguito-crossover che ho pubblicato a pezzi proprio qui sul blog, La fiera di Hornet River.

Steampunk vs Dieselpunk si può acquistare in formato epub e mobi tramite ST-Books a 1,99 €. Enjoy!

Coppi Night 25/05/2013 - Roba da ricchi

Eh vabbè, ci siamo ricascati. Dopo un paio di settimane dedicate a film leggermente più impegnati, domenica scorsa la commediola italiana ha di nuovo sbancato il Coppi Club. Se non altro, si parla comunque di film della vecchia scuola, con protagonisti gente come Pozzetto, Banfi e Villaggio, e guest Star come Serena Grandi, invece dei minestroni semidrammatici che ci preparano nowadays.

Il film in questione segue la classica formula delle tre storie parallele che si svolgono tra Montecarlo e la Costa Azzurra: Villaggio è un assicuratore che viene invischiato in una truffa, Pozzetto un parroco costretto a corteggiare una principessa, Banfi un ricco industriale che deve affrontare il tradimento della moglie. Senza stare a entrare nei dettagli, che non meritano più di tanto (forse solo la storia del parroco e della principessa ha una punta in più di fantasia), il messaggio generale, come spesso avviene in questi film, è l'inaffidabilità e imprevedibilità della donna: si passa dalle donne-soprammobile (le numerose amanti di Banfi), quelle che sfruttano gli uomini con la loro bellezza (la Grandi che si approfitta di Villaggio), quelle che si lasciano trascinare dai loro sogni (la principessa), quelle che tramano per far pentire i loro mariti (la moglie di Banfi), e così via. In tutti i questi casi, gli uomini, che siano mariti, promessi, amanti o sconosciuti, ne escono perlopiù sconfitti e umiliati. Non sto dicendo che il messaggio sia intenzionale, tuttavia questo tipo di "morale" è comune nei film dell'epoca, forse perché quel gruppetto di sceneggiatori che bene o male si alternava nella scrittura dei film è rimasto particolarmente traumatizzato da qualche storia finita male. Quanto questi film, ai loro tempi molto popolari, abbiano inciso nel formare una generazione di maschi insicuri credo dovrebbe essere materia di indagini sociologiche

L'aspetto comico del film è standard, con una serie di battute azzeccate ma nessuna situazione particolarmente esilarante. Come ho già detto l'unico sforzo di fantasia è nella storyline di Pozzetto, che all'inizio del film risulta sicuramente la più divertente, per il resto il livello di umorismo è sempre quello caratteristico dei vari protagonisti, che a distanza di anni dalla loro età dell'oro fa più sorridere di nostalgia che ridere di gusto.