Coppi Night 13/05/2018 - Circle

Da non confondersi con The Cirle, film dell'anno scorso con Tom Hanks ed Emma Watson sui social network. No, Circle senza articolo davanti è un film di qualche anno fa, che da quando ho Netflix vedo sempre lì tra quelli proposti ma avevo sempre adocchiato con un certo scetticismo.

La storia è semplice, anzi, essenziale. Cinquanta sconosciuti in una stanza, impossibilitati a muoversi; ogni due minuti uno di loro viene ucciso da una scarica elettrica; possono decidere con una votazione chi verrà ucciso. Non c'è altro, tutto il film si basa sullo sviluppo di questa idea di base. Il meccanismo di fondo e le dinamiche che si sviluppano sono simili a quelle di altri film, ad esempio Cube (e il titolo mi fa pensare che la somiglianza non sia casuale) o The Exam. Tutte storie in cui un gruppo di persone che non si conoscono sono costrette a un gioco mortale di cui non sanno le regole, dal quale solo uno potrà uscire vivo.

Il nodo centrale di Circle è che i personaggi sono troppi perché si possa stabilire una qualche empatia con chiunque di loro. A qualcuno sono riservati pochi secondi di dialogo, altri sono più ciarlieri, ma la caratterizzazione è per forza di cose minima, in molti casi ridotta appena al modo di vestire. Questo in un film del genere può essere in un certo senso un vantaggio, perché porta lo spettatore a mantenere il distacco necessario ad accettare la semi-casualità della morte di ognuno; ma dall'altro lato, significa anche che allo stesso spettatotre non importerà niente se a morire al prossimo turno sarà la ragazza incinta o lo yuppy, il pastore o la professoressa. Possono formarsi delle simpatie momentanee, ma mai un attaccamento vero e proprio che provoca sconcerto quando il personaggio viene abbattuto.

Non potendo contare sui personaggi, bisognerebbe puntare sul meccanismo del gioco. Che putroppo, è in realtà abbastana confuso e con regole non sempre chiare. Anche volendo ignorare il fatto che il gruppo scopre troppo velocemente il sistema di voto, sembra che di volta in volta le regole cambino, soprattutto sulla questione degli spareggi. Non ho avuto voglia di contare i presenti e i voti da assegnare a ogni turno, ma sono anche convinto che in diverse occasioni le situazioni di parità non fossero in realtà possibili.

Infine, arriviamo ai temi. Che cosa vuole dire Circle? Un apologo sulla meschinità umana? Certo, ok, ma non c'era bisogno di tutto questo arzigogolo per arrivarci. Un'allegoria sui nostri pregiudizi, potrebbe essere. Spesso le conversazioni nel gruppo per decidere chi condannare vertono su alcune caratteristiche personali che rendono le persone "meno degne" di vivere: età, razza, famiglia, lavoro, religione, orientamento sessuale. Ma sono tutte comete, l'argomento emerge per il tempo di un paio di minuti e poi svanisce, quindi nessuno di questi ha davvero importanza. Sembra quasi che si volesse seguire una checklist: Prete nero? Check. Criminale latino? Check. Lesbica? Check. Ragazza madre? Check. Quelle che sono sullo schermo sono macchiette, non persone, per cui non si può davvero prendere sul serio i loro problemi di rappresentanza e discriminazione. Il finale poi, anche a volergli assumere significati che non sembra dichiarare, non aggiunge comunque nulla a quanto era già emerso prima.

Quindi cosa rimane? Ecco, ben poco. Certamente uno script che ha richiesto una scenografia molto economica, una singola stana con un po' di luci. Un giochino gustoso da vedere dall'esterno, ma che tirato per le lunghe si fa ripetitivo, non offrendo niente al di là della possiblità di scommettere su chi sarà il prossimo. Ridotto a cortometraggio di venti minuti avrebbe potuto funzionare, ma un'ora e mezzo a girare in cerchio è in effetti troppo.

Rapporto letture - Aprile 2018

Il rapporto letture del mese scorso è stato molto frugale, perché come ho spiegato buona parte del mese di marzo è stata occupata dalla lettura di un volume consistente che ho finito i primi giorni di aprile. Ora ne possiamo finalmente parlare.

Una lettura che ho rimandato fin troppo, uno di quei libri che cambiano il modo in cui ragioni. Godel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante è un'opera che, per quanto incompleta, segna un punto importante nell'evoluzione della scienza umana. Non tanto perché propone idee rivoluzionarie, quanto perché riesce a riassumere e collegare tra loro campi della conoscenza che spesso consideriamo separati e inconciliabili: musica, logica, matematica, programmazione, genetica, neuroscienza, linguaggio, filosofia, arte. Prima di averlo letto si fatica a concepire il modo in cui Douglas Hofstadter possa intrecciare tra loro (il titolo originale usa proprio il termine braid, treccia) temi e argomenti così distanti, eppure lo fa con estrema naturalezza e salvo qualche capitolo più tecnico relativo ai sistemi formali, riesce a risultare accessibile anche a chi non è un esperto di nessuna di queste materie.  Nonostante siano novecento pagine belle dense, la lettura è appassionante e scivola via davvero senza nessuno sforzo. Immagino anche che sia stato un lavoraccio tradurlo, data l'abbondanza di giochi di parole, tra acrostici, doppi sensi e calembour. Mi pare comunque che la versione italiana abbia ottenuto davvero un ottimo risultato, considerando le molteplici sfaccettature presenti. Questo libro mi ha letteralmente aperto la mente su numerose strade che non sapevo di poter percorrere, e in alcuni casi mi ha aiutato a comprendere meglio cose di cui avevo una conoscenza superficiale e che adesso posso interpretare in un'ottica più profonda: dal teorema di Godel (punto di partenza di una delle mie storie più care, su cui ho intenzione di tornare a lavoro), fino alla filosofia zen, che è una delle chiavi di lettura più importanti del gioco The Witness. Forse è un mio limite, quello di leggere poco al di fuori della narrativa, e questo libro mi ha messo voglia di scoprire altri saggi di questo genere. Ma temo che difficlmente troverò qualcosa dello stesso livello.


Dopo questa folgorazione ho deciso di concedermi un (altro) premio, e sono andato a scegliere uno di quei libri che tenevo in lista di lettura da parecchi anni. Si tratta de Il grande notturno, l'ultimo libro delle ormai leggendarie Edizioni XII che mi era rimasto da leggere. Un romanzo horror di Ian Delacroix, che parte come una storia di zombie a Milano, poi assume la forma di una favola dark, reinterptazione del pifferaio magico, e inifne vira in un excursus storico che ricorda Intervista col vampiro. La storia nel complesso funziona, ma ho trovato una certa difficotlà a individuare un personaggio principale a cui legarmi. È evidente che l'autore ha voluto giocare proprio su questo aspetto, presentando diversi potenziali protagonisti per sovvertire poi le aspettative, alla lunga però questo meccanismo penalizza proprio il lettore. La lunga "origin story" che costituisce la parte centrale del libro forse avrebbe potuto essere più breve, proprio perché si capisce fin da subito come andrà a finire. La scrittura invece si mantiene sempre puntuale, efficace, e in certe parti davvero evocativa. Un buon lavoro con qualche margine di miglioramento. Voto: 7/10


Rimaniamo sugli autori italiani, ma saltando avanti di qualche anno. Stefano Paparozzi è un giovane autore (beh, oddio, è mio coetaneo, e io non è che mi senta così giovane ormai) che finora ha scritto poco ma ha sempre azzeccato. Qui sul blog si trova già qualche commento alle sue storie apparse in giro. Paparozzi è anche il terzo scrittore italiano pubblicato da Zona 42, dopo me e Alessandro Vietti. Ed è anche in questo caso una scommessa, dato che appunto si tratta di un autore "esordiente"; doppiamente scommessa se si considera che il suo Madre nostra sfida la definizione del genere. Zona 42 si propone come editore di fantascienza, ma ha già dimostrato di saper uscire dai paletti tradizionali del genere, e qui lo fa in modo palese. Il romanzo di Paparozzi è il diario di una ragazza, o forse una bambina, rimasta incinta "miracolosamente" a dodici anni. Seguiamo Miriam nel corso dei dodici anni successivi, cadenzati da successive gravidanze senza padre. Non si tratta però della storia di una Maria di Nazaret dei giorni nostri. Per quanto infatti la gravidanza e il culto che si sviluppa alla protagonista si auno dei temi principali, in realtà il vero nucleo della storia è un altro: la crescita, la comprensione di sé. Conosciamo Miriam poco più che bambina, la vediamo cambiare opinioni, lessico, schemi mentali, priorità, comportamenti. La vediamo sempre e solo attraverso il filtro che lei stessa applica alla realtà, ma questo è sufficiente, perché è Miriam stessa a rendersi conto del cambiamento che si porta dietro e dentro. C'è molto altro, naturalmente, perché da una premessa del genere non si può evitare qualche riflessione su scienza e religione, così come sulla sessualità e ciò che essa comporta per una persona. Ma c'è anche posto per il distacco, la sofferenza, la morte. A mio avviso la storia si fa davvero concreta verso i due terzi, quando Miriam ormai adulta (o comunque cresciuta in fretta), inizia a mettere insieme i pezzi di se stessa e prendere delle decisioni autonome. Forse non sempre decisioni giuste, ma sono autentiche e lei è pronta a sopportarne le conseguenze. Alcuni capitoli, verso la fine, sono davvero forti, e li ho letti con fatica, non perché fossero difficili o pesanti da seguire, ma perché mi toccavano forse troppo nel profondo, pizzicando corde che cerco di mantenere sempre immobili. D'altra parte, il buon Paparozzi mi cita nei ringraziamenti finali perché la lettura di DTS gli è stata di stimolo a scrivere il suo romanzo, per cui qualcosa avrà pur imparato, no? Ottima prova, come sempre vista lunga di Zona 42 e autore da tenere d'occhio (cosa che già pensavo ma che adesso posso confermare). Voto: 8/10


E per chiudere il mese sono tornato ad attingere al catalogo di Future Fiction, stavolta con un'autrice di origini indiane, Vandana Singh. Entanglement è un racconto lungo, una storia corale in cui seguiamo protagonisti diversi in giro per il mondo, ognuno con la sua storia più o meno personale, un piccolo tassello di un mosaico che solo alla fine si rivela nella sua completezza. L'entanglement del titolo, mai citato direttamente, è quel legame inafferrabile che esiste tra tutte le cose, tra tutte le vite, non solo quelle umane: una concezione olistica che ci avvicina tutti e che la tecnologia potrebbe aiutarci a rendere più solido. Una storia in fondo ottimistica, che nonostante le grandi colpe che ci portiamo addosso come specie riesce a dare valore a quanto di buono ancora possiamo fare, non solo per noi ma per l'intero pianeta che occupiamo. Voto: 7.5/10

Storie dal domani 4

È da pochi giorni disponibile l'antologia Storie dal domani 4, che raccoglie i migliori racconti pubblicati nel corso del 2017 nella collana Future Fiction, dal 2018 diventato vero e proprio marchio editoriale.



La serie Storie dal domani è pensata appunto per offrire una carrellata dei titoli pubblicati nel corso dell'anno precedente, anche per proporre in un libro cartaceo le storie che Future Fiction pubblica principalmente in forma di ebook. Il volume numero 4 contiene alcuni racconti che ho già avuto modo di leggere e di cui ho anche parlato sul blog: MeccanicaMente di Carme Torras, Il catalogo delle vergini di Nicoletta Vallorani, Adescare Rasmussen di Gord Sellar. Tra gli altri autori presenti, l'immenso Ken Liu e il ben più modesto Andrea Viscusi.

La raccolta include infatti anche il mio racconto lungo Memehunter, usito a ottobre proprio per la collana Future Fiction. Se non l'avete ancora letto, o preferite averlo in cartaceo, oppure ancora preferite investire in qualcosa che vi garantisce qualche possibilità in più di soddisfazione (magari il mio racconto non vi piace, ma tra tutti gli altri ci sarà pure qualcosa di valido), questa è l'occasione giusta.

Storie dal domani 4 è disponibile sia in ebook che in cartaceo, direttamente sul sito di Future Fiction oppure sui soliti store. Aggiungo solo che alla soddisfazione di aver pubblicato qualche mese fa su una collana che apprezzo così tanto, adesso si aggiunge l'onore di essere nello stesso libro con autori di così alto profilo internazionale. Quindi non fatelo per me, fatelo per la biodiversità della narrativa di genere!

Coppi Night 29/04/2018 - Ares

C'è stata una certa presenza di film spagnoli in Coppi Night recenti, ma a mia memoria non ne è passato nemmeno uno francese, questo è il primo. E quando dici "film francese" pensi o a quelle commediacce che non fanno ridere o a quella roba autoriale da belle epoque. E invece no, questo è un film di botte in un contesto distopico.

Ares è ambientato in un futuro abbastanza vicino, un'epoca in cui la devastazione economica ha colpito tutti i paesi occidentali (così si intuisce, ma di fatto vediamo solo la Francia) e la disparità tra classi ricche e popolo si è accentuta all'estremo, e fin qui tutto plausibile. I diritti civili sono stati quasi del tutto cancellati, lo Stato ha perso la sua autorità e il potere è detenuto in pratica dalle industrie farmaceutiche. La popolazione si sollazza esclusivamente seguendo i match dell'Arena, combattimenti brutali tra gladiatori geneticamente migliorati e potenziati con droghe di vario genere. Ares è uno di questi guerrieri, un tempo uno dei migliori ma ormai finito nei ranghi più bassi della competizone. Almeno fino a quando una di queste malefiche case farmaceutiche non gli mette gli occhi addosso per farne il test subject di una nuova droga, capace di provocare qualche minuto di forza inarrestabile prima di un crollo totale. Ares, ricattato dalla necessità di salvare sua sorella dalla prigione (e prendersi cura delle nipoti rimaste sole), accetta quindi di partecipare all'esperimento e combattere sotto l'effetto della sostanza.

Ci sono due forze trainanti opposte in questo film. Da una parte abbiamo il protagonista, un personaggio costruito in maniera superba, che racchiude in sé diversi archetipi, e percorre un arco di trasformazione davvero magistrale. Le sue motivazioni sono personali, forti, convincenti. Anche quando sbaglia, lo fa per ragioni del tutto coerenti con la sua storia e i suoi principi. E quando trionfa, la sua vittoria è davvero meritata e notevole. Anche altri personaggi principali sono ben delineati, pur essendo caratterizzati in poco tempo: la nipote attivista, il vicino di casa, l'allenatore/broker. Le dinamiche che si instaurano tra questi funzionano in modo impeccabile.

Dall'altra però abbiamo un plot con dei risvolti poco chiari, non sempre credibili. C'è innanzitutto lo strapotere di queste enormi aziende farmaceutiche, che di per sé potrebbe anche reggere, ma a un'analisi più approfondita si sgretola. Infatti, se la maggior parte della popolazione è talmente povera da vendersi per le sperimentazioni, i farmaci che vengono elaborati a chi li vendono? Possibile che quella ridotta élite di super ricchi possa reggere tutto il mercato? E poi, se anche è vero che durante questi esperimenti vengono uccise migliaia di cavie, davvero questo può far scatenare la ribellione del popolo, quando si tratta di un fatto ben noto e non c'è nessun potere costituito capace di far rispettare i loro diritti? E se anche i piani della Evil Corporation (o megio, Corporation Mauvaise) vengono sventati dagli eroi, siamo davvero sicuri che basti questo piccolo fallimento a far crollare il loro dominio economico e politico? Insomma, da questo punto di vista la storia è attaccabile in più modi, e sembra quasi che si sia voluto forzare un messaggio politico in un racconto che invece avrebbe retto benissimo come vicenda personale di affermazione e riscatto.

Comunque alla fine dei conti il bilancio è positivo, un Gladiatore meets Hunger Games con delle belle sequenze di combattimento e qualche colpo di scena azzeccato. Inaspettatamente meritevole, soprattutto per essere, come dicevamo, un film francese.