Coppi Night 21/08/2016 - Attack the Block

Il Coppi Club si era preso qualche settimana di pausa per via delle assenze alternate dei vari membri, ma da domenica scorsa siamo di nuovo tutti riuniti per pizza & film, e si riparte alla grande con un filmetto scifi/horror tutto sommato godibile.

Volevo vedere questo film già da qualche tempo, perché ne avevo sentito parlare più volte come uno di quei rari casi di film a basso budget che inspiegabilmente, con il passare degli anni, assurgono allo status di cult, ed ero quindi curioso di scoprire quali fossero le sue doti nascoste. Attack the Block è una storia di invasione aliena, con le creature che approdano sulla Terra e gli eroi protagonisti impegnati a difendersi e respingere la minaccia. Al tempo stesso però non si tratta della tipica invasione, con dischi volanti e raggi laser, ma di un più silenzioso attacco da parte degli extraterrestri, che di fatto sono poco più che bestie feroci. Non intervengono eserciti e presidenti, anzi il tutto passa quasi inosservato, perché l'invasione è circoscritta praticamente a un unico quartiere, "il blocco", un sobborgo di Londra popolato per lo più da famiglie di colore di basso livello sociale, tra spacciatori e delinquentelli di varia natura.

Il protagonista è Moses, un John Boyega che nessuno conosceva prima che si mettesse l'armatura da stormtrooper, che interpreta uno di questi piccoli boss del quartiere, silenzioso e chiuso in sé stesso (a differenza dei suoi compagni, tutti piuttosto esuberanti), responsabile del primo alieno ucciso, e per questo, si scopre in seguito, obiettivo primario dell'ondata successiva dell'invasione. Il film si sviluppa principalmente come un monster movie, con i personaggi principali che devono prima identificare la minaccia, cercano poi di fuggirla o ottenere aiuto, per capire infine di doverla affrontare da soli con le risorse a disposizione. In realtà il fatto che i mostri di turno siano alieni piuttosto che creature terrestri non influisce a livello di sviluppo della trama, ma questo non comporta problemi nell'interesse suscitato dalla storia, che riesce a mantenere un ritmo e una tensione sempre buoni. Ci sono anche diverse gag, non moltissime, ma alcune anche ben riuscite (soprattutto per la partecipazione di Nick Frost).

Come sempre in questi casi, gli alieni/mostri non sono l'unica minaccia, e Moses deve confrontarsi anche con boss rivali e con gli agenti di polizia, che nel quartiere del blocco (che corrisponde praticamente al "ghetto") non sono visti come tutori ma come avversari da cui fuggire. Si intravede in questo una sottotrama a sfondo sociale, quando più volte i ragazzi (tutti neri) affermano che se arrivano i poliziotti riterranno loro responsabili di tutte le morti e i danni successi, perché è così che funziona lì. Anche il ruolo di Moses, che sente di essere ingiustamente perseguitato e arriva infine ad accettare questa sua condizione, punta nella stessa direzione. Si tratta comunque di pennellate, che non appesantiscono il livello di lettura primario.

Gli ingredienti per un piccolo cult in effetti ci sono tutti: storia semplice ma interpretata in modo originale, buona azione, recitazione valida, temi secondari, due-tre momenti epici. Per certi versi mi ha ricordato Pitch Black, altro film a basso budget che ha riscosso negli anni un notevole successo (l'antieroe, i mostri da combattere, la fuga finale...). Quindi per una volta avevano ragione, quando dicevano che meritava una visione!

Non chiamatela fantascienza!

Arrivo dopo i botti, ma un'occasione per parlare per lo stato della fantascienza (in particolare quella letteraria) in Italia, e ancor di più della percezione della fantascienza in Italia non si può mai sprecare. Il casus belli che ha scatenato questo post sono queste righe comparse sulla pagina dell'editore Frassinelli, che a breve ripubblicherà l'antologia Storie della tua vita di Ted Chiang e sta giustamente sfruttando l'uscita del film Arrival per un po' di promozione:


In questo breve post, Frassinelli o chi ne cura la comunicazione ha pensato bene di tracciare una netta distinzione tra fantascienza e letteratura. In apparenza si tratta di una citazione tratta da Booklist, ma a ben guardare, la frase originale era diversa, e come riportato nei commenti a quel post, parlava esplicitamente di fantascienza.

Quello di considerare la fantascienza come qualcosa di antitetico alla "letteratura" è un costume molto diffuso, anzi probabilmente una convenzione, e da anni si può notare come tutti i prodotti di derivazione fantascientifica di cui viene riconosciuto il valore sono frettolosamente privati della loro etichetta, e ci si raccomanda addirittura di non definirli fantascienza, vedi ad esempio il video qui sotto.


"Ehi, Cronache marziane è un bel libro. È scritto bene, ha stile e profondità. Parla di uomini invece che di alieni e astronavi. Quindi, oh, non penserete mia che sia fantascienza?"

Questo è un atteggiamento comune, e noi affezionati al genere ci prendiamo ogni tanto la briga (quando ne vale la pena, quando ne abbiamo voglia) di provare a correggerlo, ma è difficile riuscire a riscrivere generazioni di scolarizzazione che hanno inculcato nelle giovani menti l'equazione fantastico = bambinata. Perché alla base di tutto c'è probabilmente questo equivoco, a cui tutti siamo stati portati durante il periodo degli studi, durante i quali ci veniva fatto leggere Calvino senza accennare al fatto che è stato l'unico scrittore italiano candidato a un premio internazionale di fantascienza. Le ragioni di questa separazione tra letteratura alta e bassa sono più remote, per alcuni risalgono a Benedetto Croce, ma non è intento di questo post analizzare come siamo arrivati a questo punto. Diamo per assioma che la situazione attuale è questa: per la maggior parte della gente (insegnanti, critici, scrittori, lettori, non lettori), la narrativa realistica è letteratura, la narrativa fantastica è robetta.

E allora torniamo al punto di partenza. A Frassinelli che cita Booklist, e a Booklist che parla invece di fantascienza. O meglio, essendo angolofoni, di science fiction.

Può sembrare una differenza banale, ma non lo è. Perché quando lo diciamo in inglese, science fiction significa "finzione narrativa su basi scientifiche", che ha un'accezione piuttosto diversa da cosa viene in mente dicendo in italiano fantascienza, che suggerisce per lo più la commistione tra scienza e fantasia.

Il termine "fantascienza" fu coniato nel 1952 da Giorgio Monicelli (fondatore di Urania), e, diciamo la verità, ha un po' il sapore di quelle parole introdotte durante il fascismo che si sforzavano di distanziarsi dai termini stranieri di origine, come quisibeve o peralzarsi. Soprattutto, contiene quella fastidiosa particella "fanta" che fa storcere tanto il naso alle persone serie. Ma non solo: anche gli appassionati in buona fede, commentando un libro o un film, si spingono spesso a dire "beh, sì, è fantascienza, ma c'è un po' troppa scienza e poca fanta" o viceversa, come se l'appartenenza al genere fosse decretata da un preciso equilibrio tra le due componenti.

Per cui, quando la signorina qui sopra dice che non dovremmo chiamarla fantascienza, forse non ha poi tutti i torti. Perché se, fin dall'inizio, avessimo usato un termine che non comprendesse quell'urticante componente fantastica, forse il rifiuto aprioristico del genere non si sarebbe manifestato nello stesso modo. Pensate come sarebbe diversa la situazione se si fosse chiamata narrascienza, o speculation. Oppure al pari di altri generi pur considerati "di evasione", ma che pure hanno assunto (sempre agli occhi del grande pubblico) una loro dignità, fosse identificata da un colore: ad esempio red (in onore di Marte, che è stato uno dei primi protagonisti della sf). Insomma, forse il problema di indicare qualcosa come fantascienza, sta proprio nella parola fantascienza, non in ciò che questa identifica.

Con tutto questo, non voglio assolutamente dire "boicottate Frassinelli vergogna fate girare". Se non avete Storie della tua vita, adesso che torna in libreria compratelo: compratelo per voi e per i vostri cari, compratelo anche se lo trovate nello scaffale dei libri di cucina o tra le enciclopedie delle razze canine. Alla fine dei conti rimane sempre valido il discorso che se una cosa è buona, non importa l'etichetta che ha appiccata addosso, e questo è uno dei quei casi.

Dove eravamo rimasti

Come avevo annunciato qualche settimana fa, il blog è rimasto fermo per un po', per ragioni che risultano evidenti scorrendo gli ultimi post e che non voglio ripetere. Nel frattempo le cose sono andate avanti, come sempre, ma non esattamente in modo piacevole, visto che giusto la settimana successiva mi è arrivata la notizia di un'altra terribile perdita: anche il buon Roberto Bianchi di Disco Mastelloni se ne è andato, lasciandomi un altro vuoto che non penso potrò riempire. Avevo già riportato che il negozio di musica dove mi servo da oltre dieci anni aveva chiuso, ma adesso la perdita è definitiva. Forse torneremo a parlarne, perché nei mesi scorsi avevo richiesto anche a lui un'intervista, che chiaramente non è potuta andare avanti, ma mi piacerebbe comunque dedicare uno spazio a quello che ha fatto in oltre trent'anni, raccogliendo le informazioni che riesco. Vedremo.

Aggiungendo a tutto questo la burocrazia impietosa, l'impossibilità di programmare vacanze e tutti i vari strascichi, si capisce che non è stato un periodo piacevole, ma l'obiettivo è quello di passare oltre. Da oggi ho intenzione quindi di riprendere la pubblicazione dei post, per ridare vita a Unknown to Millions e riacquisire familiarità con quegli spazi che ho dovuto trascurare.

Per quanto riguarda i progetti in corso, per forza di cose il 2016 è stato finora poco produttivo, quindi anche a livello di scrittura vedrete poche novità da parte mia quest'anno, anche se un paio di uscite nei prossimi mesi sono previste, niente di epocale però. Ma avendo sperimentato come ci sia gente che reclama nuove cose, una volta ripresi i ritmi normali spero di riuscire a mettere insieme qualcosa di sfizioso, le idee ci sono e non vanno a male.

Ne ho approfittato per rimettere in pari le pagine statiche del blog, aggiornando la pagina delle recensioni che non toccavo da un anno (!!!) e sistemando anche il blog-vetrina con i link di commenti e interviste recenti. Per il momento niente restyling dei colori, ma non escludo di metterci mano tra un paio di mesi. Peraltro ho notato che il blog ha continuato a fare la sua media di visite giornaliere anche senza nuovi post, il che mi porta a pensare che a volte se sto zitto è pure meglio.

Concludo questo post di servizio con il link al mio ultimo dj set, concepito come dedica alle persone che ho perso (troppo presto, troppo vicine) in quest'ulimo periodo. Roby avrebbe gradito la musica, mio padre meno, ma avrebbe apprezzato l'impegno, come per tutto ciò che facevo.



Con questo possiamo dimenticare questa triste parentesi. Da domani si ricomincia.