Coppi Night 10/01/2016 - Ant-Man

Questo film mi incuriosiva, perché a detta di molti nel colossale progetto multipiattaforma dell'univesro cinematografico Marvel, si collocava a margine, rendendolo un prodotto un po' diverso rispetto alla sequela di eroi 1-2-3 tutti uguali tra loro. Complice anche il fatto che si tratta di un supereroe non tra i più popolari, anche se a quanto ne so tra i più longevi. Insomma, mi sono detto, vuoi vedere che Ant-Man effettivamente mi piace?

La risposta è stata "uhm". Non posso dire di essermi annoiato (come è avvenuto con Winter Soldier e Age of Ultron), e in generale il tono leggero e autoironico ha funzionato. Però ci sono dei grossi problemi strutturali e di coerenza interna che mi hanno fatto perdere molto del gusto. Faccio qualche leggere spoiler da qui in poi, evitate se volete.

Partiamo dal fatto che io sono più che disponibile a sospondere l'incredulità. Se mi dici che nella tua storia i gatti cacano smeraldi e le nuvole sono fatte di amido di mais, io ti dò retta. Questa è la premessa della tua storia, la accetto come assioma e vediamo dove mi porti. Se però tradisci la tua premessa (premessa che tu stesso hai stabilito, non ti ho imposto io), allora stai facendo un grave errore di coerenza interna, e non posso più prendere seriamente quello che mi dici. In Ant-Man c'è un'enorme falla di questo tipo. All'inizio del film ci viene spiegato che l'invenzione di Pym permette di rimpicciolire le cose perché riduce lo "spazio vuoto" tra gli atomi. Cosa che mi sta bene, per quanto possa essere impossibile in realtà, se è la premessa della storia ci credo. Questo però perde di significato quando, nel finale del film, Ant-Man diventa "subatomico", cioè così piccolo da poter passare negli spazi tra le molecole, e ancora di più, fino appunto a trovarsi nel mondo quantistico. Ma per definizione, se la tua tuta riduce lo spazio tra gli atomi, non può farti diventare più piccoloo di un atomo. È un passaggio cruciale del film, è di fatto il climax dello scontro con il villain, e il fatto che mandi a puttane la premessa è terribile.

Conseguenza di questo c'è un aspetto anche peggiore: viene spiegato che la tecnologia di Pym modifica il "volume" di un corpo, ma non la sua massa (perché appunto, viene ridotto lo spazio tra gli atomi ma non la loro quantità), e questo giustifica anche l'apparente super-forza di Ant-Man quando è minuscolo (90 kg di pressione concentrati in un puntino). Ma se questo è vero, allora per l'eroe dovrebbe essere impossibile cavalcare le formiche (che schiaccerebbe comunque), così come Pym non potrebbe portarsi un carro armato come portachiavi, perché pur lungo 4 centimetri peserebbe comunque svariate tonnellate.

In secondo luogo, altra cosa che non mi convince è la compresenza in Ant-Man di due poteri ben distinti e la cui associazione è tutt'altro che scontata. Voglio dire, già la possibilità di rimpicciolirsi non c'entra nienta con la capacità di comunicare e comandare le formiche, anzi, non c'è ragione per cui Pym avrebbe dovuto sviluppare due tecnologie così differenti e di ambiti tanto opposti: da una parte fisica atomica e dall'altra biochimica con qualche accenno di telepatia (!!!). Sembra che l'apparecchio per comunicare con le formiche sia un accessorio, un'invenzione secondaria e trascurabile, ma a pensarci bene implica una serie di avanzamenti forse più rivoluzionari delle particelle Pym.

A tutto questo si aggiunge il tritissimo conflitto padre-figlia, la solita balla del "ho mentito per proteggerti", e una Evangeline Lilly completamente fuori parte (a partire dalla zazzera in testa). Ant-Man ha avuto una storia travagliata, e questi scossoni e cambi di direzione probabilmente sono rimasti. Non sto a dire che se il film fosse stato finito da Edgar Wright sarebbe stato eccezionale, ma sicuramente avrebbe potuto portare in una direzione più fresca, sopratutto all'interno di questo sottogenere.

Insomma, se questo è il meglio dell'innovazione che il MCU può offrirmi, a questo punto penso serenamente di poterne fare a meno, quindi a meno che non mi venga forzata la visione (cosa che può capitare, nel Coppi Club), li eviterò accuratamente.

Rapporto letture - Dicembre 2015

Eccoci all'ultimo rapporto letture del 2015, un po' in ritardo rispetto al solito, ma se siete stati attenti sapete che in queste settimane il "tempo libero" da dedicare al blog è scarso, quindi mi sono dovuto svegliare alle 7 di domenica mattina per scrivere questo post, apprezzatelo. Dopo l'imbarazzante performance di novembre, torniamo su numeri più regolari, con quattro libri/riviste letti.


Cominciamo con il numero 74 di Robot, rivista di fantascienza (la rivista?) trimestrale con cui avevo perso un po' il filo ma ho deciso di recuperare. In questo numero ci sono un paio di cose interessanti, come l'ultimo racconto di Ted Chiang, che propone una profonda riflessione sulla memoria e come sia influenzata dalle emozioni, sempre di ottimo livello anche se forse un po' di didascalico nella struttura; c'è poi il racconto di Stefano Paparozzi, esordiente totale che al primo colpo vince il Premio Robot, con quella che potremmo definire una storia di formazione intervallata da alcuni bizzarri episodi di sovrapposizione temporale: buon racconto che a mio avviso avrebbe potuto essere un po' asciugato, ma che riesce a coinvolgere nonostante i wall of text e la quasi totale assenza di dialoghi, il che non è poco. Più sottotono il romanzo breve di Mario Antonio Miglieruolo, autore storico della sf italiana che propone una variazione sul tema del derelitto in una società in rovina, trascinato a fare porcate qua e là senza un vero obiettivo: un tipo di storia che senza particolari spunti al di là delle volgarità e scene di sesso non dice molto. Saggi e interviste mediamente interessanti, ma niente di sorprendente.


Posso poi tirare un forte sospirone di sollievo commentando Livido di Francesco Verso. Vi spiego la situazione. Anni fa, ebbi l'ardire di scagliarmi contro le scelte del Premio Urania (in quello che fu il primo post "di risalto" di questo blog), e tra gli esempi citati per sostenere la mia tesi c'era E-Doll, appunto di Verso, che avevo reputato terribile. Ora, di recente Verso si è imbarcato nel progetto Future Fiction, visionario e innovativo, e ho avuto anche occasione di conoscerlo a Stranimondi, trovandolo come una persona competente, simpatica e umile. Chiaramente la mia opinione su E-Doll non cambia, ma mi sarebbe spiaciuto dover dire che anche Livido era una schifezza. Fortunatamente non è così, anzi: questo è proprio un bel romanzo. È uno di quei libri che si muove su filo del romanzo di formazione, pur non essendo una storia "per ragazzi", un genere che mi piacerebbe sperimentare. Ed è una storia tutt'altro che fredda, profondamente umana, vivida, piena di empatia. Il protagonista è Peter Pains, che conosciamo da ragazzino, quando insieme alla sua banda rovista nella spazzatura (ormai ascesa allo status di palta) in cerca di materiale da rivendere. Peter è segretamente innamorato di Alba (come lo si può essere a quell'età), che non è propriamente umana, poiché si tratta di una personalità caricata sul corpo di un androide (beh, ok, ginoide). Ma Alba finisce vittima proprio della banda di Peter, comandata da suo fratello, e viene fatta a pezzi. Da quel momento, l'obiettivo del ragazzo sarà quello di ritrovare Alba, pezzo per pezzo, rimetterla insieme e poter finalmente essere felice con lei. Nel corso del libro Peter cresce, matura, ma quell'amore irrazionale non lo abbandona mai, e anzi si ripresenta a tratti più forte di prima, quando la sua vita adulta non gli lascia altre prospettive. Un amore irrazionale, dicevo, ma d'altra parte come si possono stabilire i confini di razionalità di un sentimento del genere? Quello di Peter sconfina pericolosamente nell'ossessione, e lui stesso se ne rende conto, ma anche chi gli è vicino (suo fratello, i compagni di banda, la sua compagna) ha le proprie fissazioni, e il confronto con loro è inevitabile. Peter è un personaggio vero, e la sua battaglia è semplice e comprensibile, e si compie lentamente, cautamente, nel corso di una vita ordinaria, senza teatralità. Livido è anche un libro accessibile a chi non è avvezzo alla fantascienza, perché anche i concetti di nexumanità e singolarità che stanno alla base della storia si possono apprendere nel corso della lettura. Quindi, con un sospirone di sollievo, posso dire che questo è un gran bel libro. Voto: 8/10


Altra rivista, stavolta il primo volume da me acquistato di Parallàxis, il numero 3. I racconti contenuti spaziano da autori contemporanei come Desirina Boskovich e Alessandro Forlani, a classici come Franz Kafka e Giambattista Basile. Quello della Boskovich (americana mia coetanea) è un racconto weird su una scatola dai poteri indefinti e incontrollabili nelle mani di un bambino. Forlani invece presenta un racconto "alla Lovecraft" ambientato in Italia ai tempi del fascismo, con un'entità oscura e demoniaca che è una chiara metafora di minacce ben più terrene. In chiusura del volume c'è anche un saggio di Matthew M. Hollander sul ruolo dell'eroe e del sacrificio (personale o altrui), che parte dall'episodio di Isacco e arriva fino a controversi esperimenti recenti. Come ho già detto altrove, Parallàxis è una rivista di alto livello, curata esteriormente e nei contenuti, e poco per volta recupererò sicuramente gli altri numeri. Per questo sono molto soddisfatto di essere anch'io presente sul numero 4.


L'ultimo libro letto quest'anno è di Paolo Di Orazio. Vi ricordate questo nome? Io sì, maledizione. Lo ricordo bene perché quando ho letto L'incubatrice ne sono stato seriamente turbato. Era l'agosto di due anni fa, ma è come se fosse l'altra settimana, per quanto mi ha segnato. La mia sensibilità horror forse non è così sviluppata, ma se dovessi indicare un racconto che mi ha in qualche modo "spaventato", allora sarebbe quello. "Spavento" probabilmente non è il termine giusto, si tratta più di un sommovimento interiore, come se le parole che stavo leggendo fossero processate dai villi intestinali invece che dai neuroni. Debbi (la strana) mi ha fatto un effetto simile, in certe parti. Il romanzo si presenta come una storia caotica e lisergica la cui protagonista è Debbi, una prostituta per necessità ma forse anche per vocazione, capace di soddisfare qualunque perversione dei clienti, che racconta in prima persona ciò che le accade. Quando Debbi viene posseduta, la sua mente si scollega dal corpo e va a trovare il coniglietto Ribes, che le tiene compagnia con le sue conversazioni assurde fino alla fine dell'atto. Il percorso di Debbi si incrocia con quello di un omicida seriale, che violenta e tortura bambini in maniera atroce. Sulle tracce di questo criminale c'è un poliziotto in pensione, Vanacura, ossessionato dalla cabala e dal paranormale. Vanacura cerca di mettere insieme i pochi indizi disponibili mentre Debbi conosce le vittime degli omicidi nel suo mondo immaginario. Questo sostanzialmente è quello che avviene, "da fuori". Ma dall'interno della mente (di Debbi e dell'autore), le cose sono molto più complicate. È difficile descrivere e spiegare, perché la natura allucinatoria di molti capitoli non permette una trasposizione efficace, ma il livello di perversione raggiunta da alcune sequenze di questo libro è immenso. Il capitolo finale, in cui Vanacura trova le vittime, e forse anche l'omicida, è davvero agghiacciante (e lo sapete che io non spreco parole di questo tipo). Dico forse, perché in realtà alla fine non tutto è chiaro. Cioè, forse niente lo è. Non lo è per Debbi, non lo è per la sua psichiatra, non lo è per Vanacura, e non lo è mai stato per Ribes. Qualcosa è successo, qualcuno è morto, qualche essere mostruoso e forse innaturale si è manifestato, ma forse no. Ma stabilire la realtà di quanto è avvenuto non è importante, perché in azione ci sono forze che esistono a prescindere dalla loro esistenza. C'è il buio, quello che abbiamo dentro, il Babadook, quella parte che possiamo negare, controllare, prendere a pugni e lasciarci sanguinante alle spalle, ma che è sempre lì. Possiamo identificarlo con il demonio, possiamo dargli un nome, anche un numero (666, per esempio), come fa Vanacura, ma la definizione non ci aiuterà a comprenderlo, tanto meno ad accettarlo. Ribes lo sa, Debbi lo impara. Anche voi potete provarci, ma non ci riuscirete comunque. Anzi, morirete provandoci. Come tutti. Voto: 9.5/10

DTS live @ Bookowski - Genova 31 gennaio

Era da tempo che aspettavo l'occasione, ma chiamiamola anche il pretesto, di tornare a Genova. Città che visito periodicamente ogni 2-3 anni e per cui provo un'insolita e ingiustificata affinità. E i bello di essere un scritore è che puoi andare in giro con una scusa, dicendo "mah, è per i libri".

E così, a fine mese, come potete anche leggere sul sito di Zona 42, torneremo a presentare Dimenticami Trovami Sognami, che nonostante abbia quasi raggiunto un anno di età ha ancora qualcosa da dire. La presentazione si svolgerà domenica 31 gennaio, ore 17, alla libreria Bookowski. Ecco la locandina:


A condurre e moderare ci sarà Alessandro Vietti, autore e blogger che potete conoscere anche nelle vesti di Grande Marziano.

Come accennavo sopra, oltre che per farsi una chiacchierata su DTS, sarà anche l'occasione per festeggiare un anno del libro, occasione per la quale abbiamo pensato a una gustosa promozione. E vabbè, certo, andrò anche all'Acquario, ché forse ci sono ancora i cuccioli di lamantino...

Per le news potete seguire la pagina facebook di Bookowski, e se siete in zona fareste bene a farci un giro ogni tanto.

Coppi Night 03/01/2016 - Mad Max: Fury Road

Se c'è una cosa che non mi emoziona nei film sono gli inseguimenti e le acrobazione con veicoli di vario tipo. Che siano auto, moto, aerei, astronavi, biciclette, skateboard, le scene d'azione basate su velocità e propellente (benzina, materia oscura, calorie, o whatever) a manetta non mi stimolano più di tanto. Cioè, sì, subisco l'adrenalina dell'azione in sé, ma nessun bonus per il fatto che ci siano veicoli in movimento.

Fury Road ha cambiato tutto questo. Ne avevo sentito parlare bene, ma ero rimasto un po' scettico perché non credevo potesse essere esattamente un film adatto ai miei gusti. Di fatto, non lo è. Però, è davvero fenomenale. È un po' La grande bellezza dei film di inseguimenti (non so se c'è un nome specifico per questa categoria): forse non dice nulla di nuovo, anzi, forse non dice nulla proprio, ma è fatto così bene che ne rimani comunque catturato.

Ho visto il Mad Max con Mel Gibson ere fa, e francamente a parte il tono generale non ricordo molto. Mi sembra però di capire che a parte il contesto postapocalittico questo abbia poco a spartire con quei film. Non penso si possa considerare un sequel, e se il personaggio protagonista del film è lo stesso di Interceptor, credo allora che si possa parlare di una sorta di reboot. Ma in realtà non importa, perché il film si può godere benissimo senza nessun riferimento ai precedenti (se c'erano, me li sono persi, e mi è piaciuto comunque).

A proposito del protagonista, tecnicamente sarebbe il Max del titolo, interpretato da Tom Hardy, ma a me sembra che il ruolo centrale sia quello di Furiosa, una Charlize Theron che mette i brividi. E non ci dispiace affatto questa ambiguità, chissenefrega se i due si contendono la posizione centrale nella storia, che pure è piuttosto labile.

Il film si riduce tutto sommato a una serie di inseguimenti, scontri, combattimenti, imboscate, scazzottate, abbordaggi, esplosioni, trappole, e metteteci tutto quello che vi viene in mente, ce ne sarà sempre uno in più a cui non avevate pensato. È una continua corsa agli armamenti in cui ogni volta che sembra si sia raggiunto l'apice viene fuori qualcosa di più, ed è impossibile rilassarsi un attimo. In tutto questo, sorprendentemente, tutti i personaggi riescono ad assumere una loro pur minima complessità: dai due citati coprotagonisti al villain, dal ragazzetto convertito alle vergini sacrificali (non proprio vergini, ma vabbè), dai luogotenenti a Megan Gale (che è stata una sorpresa ritrovarmi davanti, era parecchio che non la vedevo, e vedere che si è mantenuta così in forma da quando faceva la pubblicità della Omnitel [all'epoca avevo 12-13 anni, if you know what i mean] mi ha fatto quasi piacere come rivedere un vecchio amico). Tutti loro, anche se hanno soltanto qualche minuto di schermo e poche battute, hanno una posizione chiara e si intuisce la loro backstory senza bisogno di una specifica esposizione.

L'estetica del film poi è qualcosa di eccezionale. Non parlo solo delle scenografie e della regia, ma anche di tutto il progetto che sta dietro ai veicoli, ai costumi, ai macchinari, le armi, anche le leve e i pulsanti. Si sente la presenza di un mondo, una lunga storia di cui sappiamo poco ma che ha portato all'evoluzione di tutta l'ambientazione così come la vediamo. Per questo mi pento di non aver colto l'occasione di vederlo al cinema, dove la spettacolarità era sicuramente ancora maggiore.

Ora capisco perché in molti hanno indicato Fury Road tra i migliori film del 2015. Mi duole ammetterlo, ma avevate ragione.

Leggo dunque sono meglio?

Sta girando in questi giorni sui social uno slogan (chiamatelo hashtag, chiamatelo meme) che incoraggia alla lettura con poche semplici parole: io leggo dunque sono. È un messaggio forte, una pubblicità progresso, un contributo alla diffusione della cultura, in un momento buio come mai ce ne sono stati per i libri e l'editoria. Quindi è importante condividerlo e portarlo avanti, perché ne va alla lunga della salvezza della nostra stessa civiltà.

Solo che io non l'ho fatto. Nonostante nella mia cerchia di contatti (che in buona parte ruotano tutte intorno al mondo della lettura/scrittura/editoria) le apparizioni di questo meme siano state numerose, io ho evitato di propagarlo. Ma non per disinteresse nei confronti del tema, quanto perché se l'intento è nobile, non condivido il sottinteso del messaggio diffuso. Mi permetto quindi di chiarire la mia posizione nello spazio sul blog.

Quello che non mi piace di leggodunquesono è l'implicito senso di superiorità che l'affermazione comporta. L'idea di tracciare un confine tra noi e loro, quelli che leggono e quindi sono e quelli che, poveri loro, non leggono e quindi non possono davvero definirsi viventi.

Parliamoci chiaro, io sono uno che legge, e anche parecchio. Un "lettore forte", da 60-80 libri l'anno. E voglio specificare anche che non faccio un discorso populista, non sto dicendo "eammecheccazzomenefregamme!!!", per sostenere che l'ignoranza è forza. Se c'è un'attività della mia vita che più di tutte ha contribuito a formarmi e rendermi quello che sono, è la lettura.

Ma, come ho appena scritto, sto parlando di una attività. Non l'unica. Non posso ignorare musica, film, viaggi, giochi, sport, cibo, sbronze. Ridurre tutta la dimensione di una persona a un unico aspetto è una strawman fallacy, un modo distorto di rappresentare "l'altra parte" così da farla apparire inferiore, indegna, di poco valore.

Ora, il punto è: chi legge è migliore di chi non legge? Un lettore è più di un non lettore? Ok, la domanda è complessa, e per rispondere dovremmo prima trovare una definizione condivisa di cosa renda una persona migliore. Ma mi rifiuto di credere di poter dare un valore più alto a qualcuno sulla base di quello che ritiene importante per la propria formazione. Forse questo mi risulta più facile perché da sempre sono abituato a essere considerato un fruitore di prodotti di nicchia: leggo fantascienza, ascolto musica elettronica, adoro Futurama, colleziono lumache. Tutti elementi che mi collocano fuori dal mainstream e che quindi mi hanno provocato nel corso degli anni innumerevoli occhiate diffidenti. Anche per questo non mi scandalizzo quando mi trovo davanti qualcuno che non condivide le mie passioni, e in particolare i miei gusti letterari, musicali o che altro. Perché alla fine dei conti, spesso quando ci lamentiamo che gli altri non leggono, stiamo dicendo in realtà che non leggono quello che noi vorremmo che leggessero (come dicevo parlando di questi giovani che signora mia non leggono più!).

Spostiamo allora la questione, e lasciamo perdere il confronto con gli altri, la contrapposizioni di noi a loro. Se non posso affermare che gli altri, i non lettori, siano inferiori, sono sicuro che io stesso sarei una persona diversa, e per certi (molti) versi peggiore, se non leggessi. In un giorno un po' cupo pensavo a voce alta che quello che ho letto, visto, ascoltato, hanno contribuito, anche in modo indiretto, a rendermi quello che sono. Ma so anche che i libri non sono l'unico mezzo per ottenere questo tipo di crescita, e non posso contestare chiunque cerchi la sua strada in modo diverso.

Leggo, dunque sono... meglio? No, questo no. Leggo, dunque sono migliorato.

Coppi Night 27/12/2015 - Dèmoni

Siamo arrivati all'ultima Coppi Night dell'anno! E come meglio concludere dopo i bagordi natalizi che con un filmaccio splatter di scuola italiana, di quelli che in seguito sarebbero diventati dei cult e nobilitati da Tarantino e similari?

Dèmoni (il cui titolo si premura di mettere l'accento) è un film di Lamberto Bava del 1985, e si inserisce in quel filone di film in cui senza una spiegazione ragionevole (nemmeno all'interno del film stesso), mostri assassini iniziano a moltiplicarsi e sbudellare nei modi più vari i malcapitati personaggi. Ok, non siamo a livelli di ridicolaggine di Troll 2, ma è sempre quello stesso horror così estremo da far ridere, dalle parti del so bad it's so good.

Praticamente l'intero film si svolge all'interno di un cinema (ed ecco come si risparmia sulle scenografie), dove viene proiettato un film horror di fronte a un pubblico di invitati per il primo spettacolo di questo nuovo locale. Poi, non si sa se deliberatamente o no (la titolare del cinema inizialmente sembra coinvolta negli eventi, ma poi combatte con gli altri e fa la stessa fine), si diffonde una sorta di infezione che trasforma le persone in mostri assassini, le cui vittime diventano a loro volta dei dèmoni. Lo svolgimento della trama è quindi tutto un fuggi-spara-ammazza per le stanze (numerosissime!) del cinema, con i vari personaggi convenuti, ognuno opportunamente stereotipato, che via via cadono per mano dei mostri, fino a che non rimane soltanto la coppia della giovane e innocente protagonista e del giovane e coraggioso pretendente di lei.

Devo ammettere che il livello degli effetti non è così infimo, e i primi piani degli sbudellamenti fanno un loro effetto. Non siamo al succo di pomodoro, per capirsi, anche se alcune immagini risultano comunque abbastanza spassose, ma d'altra parte pure The Green Inferno tanto acclamato non mi è sembrato migliore da questo punto di vista.

Quello che non capirò mai di questi film è in che modo autori e registi pensassero di portare avanti la trama. Cioè, è evidente che non c'è una sceneggiatura vera e propria, per questo non capisco quale sia il ruolo di quelli che sono accreditati come autori. Per dire, verso metà film iniziamo a seguire un gruppetto di punk (uso il termine perché sono proprio i "punk" intesi come vostra mamma vi vestiva per carnevale in seconda elementare) che stanno viaggiando in macchina e sniffando coca fuori dal cinema, e poi per sfuggire alla polizia ci finiscono dentro. Dopodiché scompaiono, presumibilmente vengono ammazzati come tutti gli altri, ma non ne sappiamo più niente. E allora perché spendere tutto questo tempo per introdurre i personaggi? Oppure, l'amica della protagonista, anche lei infettata, a un certo punto subisce una trasformazione diversa da tutti gli altri, perché si squarcia a metà sulla schiena e dal suo corpo esce una creaturina che scappa via. Si può pensare che questo sia uno stadio successivo della mutazione ma niente, non se ne sa più nulla e non succederà più con nessun altro. Insomma, non capisco su queste sceneggiature cosa ci fosse scritto, a parte "immagine di sangue che schizza e trache strappata coi denti".

Comunque, alla fine dei conti rimane una visione pressoché godibile, perché tra recitazione da filmino della cresima e sequenze splatter c'è di che divertirsi, al contrario di tanti altri film splatter che invece alla fine sono soltanto noiosi.

Parallàxis n. 4

Quando un paio di mesi fa ho parlato di Stranimondi e di cosa ho visto/ascoltato/scoperto, ho citato tra i progetti più interessanti quello di Parallàxis, giovane rivista di narrativa e saggistica con un approccio moderno, maturo e interdisciplinare al fantastico inteso nelle sue accezioni più varie. L'eccellente lavoro svolto dalla redazione (anch'essa parecchio giovane) della rivista mi ha catturato subito, e ho acquistato con piacere uno dei volumi (che poi ho letto giusto nelle settimane scorse).

Scoprendo che era possibile sottoporre dei racconti in valutazione mi sono avvicinato subito, e sono riuscito a far rientrare un mio lavoro sul numero 4, in uscita in questi giorni.

http://parallaxis.it/

La muta è un racconto ascrivibile all'ucronia, ma non la definirei quel tipo di ucronia in cui il nucleo della vicenda è proprio definire il punto di divergenza rispetto alla nostra storia. Il diverso corso storico fa da ambientazione alla vicenda della protagonista (giovane pure lei, manco a dirlo), ma il nucleo è un altro. Si tratta di un racconto del tutto inedito che sono contento di poter finalmente proporre, e ancor di più di poter presentare su una rivista così prestigiosa e ben realizzata.

Naturalmente oltre al mio racconto, Parallàxis n. 4 contiene anche altri notevoli contributi, ed è importante sottolineare come tutti i racconti siano appositamente tradotti, anche quando traduzioni precedenti sono già disponibili. Nel volume è presente anche un "racconto dimenticato", risalente al 2013, e un saggio conclusivo, oltre a una raccolta fotografica di scatti originali. C'è quindi di che saziarsi, materiale sufficiente a provocare quel twist in the mind che è il payoff della rivista. Per qualche parola in più (anche su La muta) potete leggere l'editoriale del numero appena uscito.

Parallàxis si può acquistare in cartaceo sul sito (dal quale si può anche scaricare un'anteprima in pdf), oppure in versione ebook su Amazon. E non dimenticate di likezzare la pagina facebook della rivista. Buon twist di inizio anno a tutti!