L'astensione è l'unico voto puro

Su Unknown to Millions non si parla di "politica". Si parla poco anche di attualità, salvi i casi in cui i fatti recenti si collegano ai temi più specifici del blog. Quindi è un caso davvero eccezionale che questo post si occupi di argomenti del genere, ma nel fervore che sta iniziando a diffondersi tra giornali, tv, radio e precaritaddidio social, ho scorto un paio di dichiarazioni che mi hanno indotto a una riflessione.

Parliamo di astensionismo, inteso in senso lato come "rifiuto del voto", che può esprimersi col disertare le elezioni, oppure partecipare ma consegnare scheda bianca o annulata. L'astensionismo come scelta consapevole di voto non è ammessa nella società civile, è un tabù che viene insegnato fin da piccoli, quando alle elementari si studia educazione civica. Molto spesso, chi si dichiara astensionista viene trattato come un ateo viene trattato da un religioso: l'astensionista è vigliacco, vuoto dentro; non comprende la scala di valori naturale del mondo; non merita il bene che gli arriva perché non ha fatto niente per ottenerlo; dovrebbe essere privato dei diritti fondamentali perché rifiuta il sistema di cui fa parte.

È mia intenzione invece dimostrare come l'astensione sia l'espressione di voto più ideale e compatibile con i principi della democrazia. Per arrivarci, facciamo un passo indietro.

Il voto di scambio è la pratica con cui un elettore "vende" il suo voto in cambio di un vantaggio personale e immediato. Io ti do duecento euro, tu mi voti. Come tutti sanno il voto di scambio è vietato in tutte le sue forme, non solo quando viene effettivamente compiuto ma anche solo promesso (ricordate le polemiche di qualche mese fa su De Luca e la sua frittura di pesce?). Il voto di scambio è l'antitesi della democrazia.

Il punto è che, a ben pensarci, qualunque voto è un voto di scambio.

Mi pare un concetto estremamente banale. Per definizione, se voto il partito/candidato X, è perché mi aspetto che il suo operato mi porti un vantaggio. Non sarà un vantaggio immediato, come un mazzetto di banconote, ma comunque qualcosa che ritengo mi farà stare meglio. Come abbiamo già visto (e come è stabilito dalla legge), non è necessario che la transazione si compia perché si configuri la fattispecie del voto di scambio, basta la promessa. Dire "Se mi voti ti duecento euro" è già reato, anche se poi non avviene.

Ora facciamo un test: segue una serie di affermazioni, il candidato contrassegni quelle che sono qualificabili e perseguibili come voto di scambio.

Se mi voti ti do duecento euro
Se mi voti ti regalo una bicicletta
Se mi voti ti faccio assumere in comune
Se mi voti ti offro una frittura di pesce
Se mi voti non ti faccio pagare il bollo auto
Se mi voti non ti taglio la pensione
Se mi voti ti condono il box auto abusivo
Se mi voti aumento i dazi sulle importazioni
Se mi voti non faccio più entrare immigrati
Se mi voti legalizzo la cannabis

Dove tracciamo la linea? Fin dove queste promesse sono lecite e quando invece sono l'espressione della peggior forma di corruzione? E in ultima analisi, ha davvero senso un ragionamento del genere?

È ovvio e scontato che qualunque voto viene diretto in base agli interessi personali. È l'assunto su cui si basa la politica moderna, è la base di tutte le campagne elettorali da un paio di secoli a questa parte. Se io elettore ritengo più utile per me ricevere subito duecento euro, perché devo essere colpevole rispetto a chi invece vota perché vuole avere il reddito di cittadinanza? Ma anche se non si parla di corrispettivi economici diretti, se sono un imprenditore e indirizzo il voto verso il partito che ha promesso di ridurmi la tassazione, non sto facendo lo stesso ragionamento, solo più a lungo termine? Entrambe le scelte sono legittime, o per lo meno, a livello razionale se una è reputata legittima deve esserlo necessariamente anche l'altra.

Si può obiettare che votare non è solo ricercare il proprio interesse ma anche affermare dei principi, sostenere degli ideali. Benissimo. Ma questo non fa che spostare il problema. Perché l'affermazione dei miei ideali è comunque un vantaggio che perseguo in maniera egoistica. Se sono Henry Ford, il mio principio è lo sfruttamento capitalistico delle masse, e voterò in modo da realizzarlo; se sono Mohandas Gandhi voglio ottenere la pace tra i popoli e voterò in modo da realizzarla. In entrambi i casi, il mio voto per quanto idealistico punta a far prevalere la mia visione del mondo, il mio progetto. E per quanto nobile e utopistico, tale progetto sarà sempre contrario agli interessi di qualcuno, e quindi il mio tentativo di imporlo è comunque una forma più subdola di ottenere un vantaggio personale a discapito di altri.

Per rimanere coerenti, questa linea di pensiero non ha nessun limite. Qualunque espressione di voto ricade nello stesso tipo di ragionamento egoistico di fondo. Ne consegue che esiste un unico modo per esprimere un voto scevro da condizionamenti egoistici: il non voto.

In quanto astensionista, evito di imporre ad altri la mia visione del mondo, rifiuto di cercare il mio tornaconto, ideologico, sociale o economico che sia. Lascio che a scegliere siano gli altri, ognuno secondo le sue propensioni, e in questo modo affermo nel modo più diretto il diritto universale all'autodeterminazione di ogni uomo. È una sorta di nirvana elettorale, il raggiungimento di uno stato di non-individualità che è la più importante affermazione di sé.

Provate a immaginare un'utopia in cui tutti comprendono questa verità palese e decidono di non votare: un mondo libero e sano, privo di acredine, sotterfugi, malumori. Una società serena in cui non serve continuamente correre, spingere e calpestare la fazione opposta.

Ma si sa, ogni popolo ha il governo che si merita. E noi, ora come ora, ci meritiamo la democrazia.

3 commenti:

  1. Non sono d'accordo con quello che hai scritto però rispetto la tua idea.
    A questo proposito ricordo sempre una frase di W. Churchill:" La democrazia è il peggiore dei governi possibili, purtroppo non siamo stati ancora in grado di inventarne uno migliore"
    Ciao. ;)

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    1. beh quello che propongo è un paradosso, un esercizio di logica che serve a mostrare le contraddizioni di un sistema la cui efficacia diamo forse troppo per scontato.

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  2. Non sono d'accordo. L'astensione, per definizione, non è un voto. Può essere un'espressione del singolo, non lo nego, nella forma della scheda bianca, o negli altri modi previsti, ma perlopiù è disinteresse. C'è un'altra definizione di voto "puro", invece, che mi ha dato un amico, che se non erro riguardava un qualche referendum: il voto di chi non ha pregiudizi... che vuol dire tutto e nulla, ma fondamentalmente di non parteggia per questa o quella parte politica, che non ha una formazione particolare sull'argomento, una specie di buon selvaggio. Una definizione che si porta dietro altri problemi, ma che apre spiragli, anziché all'utopia/distopia a cui accenni, al nostro passato e in particolare all'antica Atene, che oggi chiamiamo culla della democrazia ma in effetti si trattava di una concezione molto differente dalla nostra, in cui ad esempio la giuria popolare (il giudice era una specie di arbitro) non conosceva le leggi (le conoscevano il giudice e gli avvocati) ma si esprimeva condannando o assolvendo l'imputato di turno.

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