E così siamo giunti all'ultimo rapporto letture del 2011, concludendo così un'annata di cronistoria delle pagine che ho sfogliato giorno per giorno negli ultimi dodici mesi. Dicembre è stato un mese piuttosto impegnativo sotto numerosi fronti, e forse per questo sono calato rispetto la media ad appena quattro libri consumati. Vediamoli.
La fortezza di Farnham è uno dei numerosi romanzi che Robert Anson Heinlein ha scritto nel corso della sua lunga carriera di Maestro della fantascienza. Come praticamente tutti i suoi lavori, il libro è l'espressione di precise idee politiche e sociologiche, che l'autore cerca di rendere principalmente attraverso il protagonista, il Farnham del titolo, un sessantenne che si trova improvvisamente come il leader del suo piccolo nucleo familiare, apparentemente unico sopravvissuto dopo un olocausto nucleare. Il libro si divide abbastanaz nettamente in due parti: la prima può essere considerata un vero e proprio corso di sopravvivenza in ambiente selvaggio, dopo che la famiglia Farnham emerge dal rifugio in una Terra allo stato selvaggio. Nella seconda parte, [spoiler!] quando i Farnham vengono trovati dagli abitanti del pianeta, scoprendo di aver inspiegabilmente viaggiato di qualche migliaio di anni nel futuro [fine spoiler!], viene invece presentato un mondo in cui il problema razziale è letteralmente ribaltato, e i bianchi sono schiavizzati dai neri. In realtà si capisce che l'intento di Heinlein è quello di far capire che libertà e schiavitù sono valori assoluti, e che non importa in che modo o da chi vengano impartiti. Non ci si può lamentare dello stile e della chiarezza dell'autore, anche se come in altri casi Heinlein si mostra forse troppo idealista, e il suo protagonista (alter ego?) è un esempio quasi irritante di americano-nato-libero fin troppo orgoglioso della sua bandiera. In ogni caso, questo libero mi ha fatto venire voglia di imparare il bridge. Voto: 7/10
Il libro successivo è stato scritto da Daniele Picciuti, autore italiano che conosco personalmente, e con cui condivido lo spazio in alcune raccolte tra cui Uomini e Spettri, pubblicato all'inizio di quest'anno da Bel-Ami Edizioni. Sempre con Bel-Ami, Picciuti ha pubblicato la raccolta I racconti del sangue e dell'acqua. Si tratta di dodici racconti horror di breve-media lunghezza, suddivisi in due "cicli": quello del sangue e, appunto, dell'acqua. I due liquidi fanno da filo conduttore che lega tra loro le storie, che mostrano l'irruzione dell'"orrore" in scenari quotidiani di campagne e cittadine italiane. L'elemento horror è spesso di natura soprannaturale, ma nella maggior parte dei casi pare originarsi, per affinità o per contrappasso, dalle malvagità dei personaggi umani, di cui vengono mostrati i lati più abietti, violenti e perversi. I mostri, reali o immaginari, che si scatenano nelle storie sono quindi complici o vendicatori, non solo creature demoniache che agiscono per conto proprio. Lo stile è pulito ed efficace, evocativo quando serve, e di registro differente nei due cicli. Un horror "classico", quindi, che per una volta non si svolge nella metropolitana di San Francisco ma nel campo di granturco del paese accanto al vostro. Voto: 7.5/10
Ultima lettura in inglese dell'anno, questo libro di Paolo Bacigalupi (che è più americano di Ronald MacDonald, nonostante le chiare ascendenze italiane) ha vinto sia il Premio Hugo che il Nebula. Dovrebbe quindi essere un capolavoro, considerati gli altri titoli che condividono questo doppio riconoscimento (da Dune a Neuromante, da American Gods a Il gioco di Ender). L'impressione che mi ha lasciato The Windup Girl però non è per nulla entusiastica. Anzi. È sicuramente una buona storia, il cui contesto in particolare è molto interessante: un futuro prossimo in cui a causa degli sconvolgimenti climatici e della fine del petrolio, il livello tecnologico è regredito e invece della forza delle macchine si utilizza come base per l'economia le calorie spese per produrre energia e lavoro. Inoltre il cilma impazzito e le epidemie hanno portato all'estinzione buona parte delle specie animali e vegetali, e le piante alimentari in grado di crescere nel nuovo mondo sono brevettate da poche multinazionali che si spartiscono l'intero mercato mondiale. La storia si svolge in Thailandia, una delle poche nazioni ancora indipendente dalle multinazionali, e uno dei protagonisti è proprio un loro agente, in cerca di un modo per conquistare anche questo Paese. Gli altri personaggi sono tutti di etnie ed estrazione diversa, ognuno con una propria missione nel crescente stato di tensione che sfocia verso la fine in una guerra civile. Seguire le motivazioni personali dei vari soggetti è appassionante, ma le cose iniziano a muoversi ben oltre metà libro, senza contare il fatto che la "ragazza a carica" del titolo (una creazione bioingegneristica giapponese, progettata per obbedire ciecamente ai suoi padroni) è un personaggio praticamente irrilevante, il cui ruolo (limitato) avrebbe potuto essere svolto anche da una semplice comparsa. Insomma, la storia è valida, ma non è abbastanza densa da coinvolgere per tutto il tempo. Questo, insieme ad altri romanzi americani che mi è capitato di leggere (ad esempio Endymion di Dan Simmons, e parecchi di Stephen King) mi ha lasciato l'impressione che, visto che laggiù gli autori sono pagati a parole, facciano di tutto per allungare ai limiti della leggibilità le loro opere, in modo da riscuotere una volta di più per ogni concetto ripetuto. Il che non è certo quello che ci si aspetta da un Hugo+Nebula winner. Voto: 6/10
Infine a dicembre ho letto (in parallelo agli altri libri) il numero 64 di Robot, la rivista di fantascienza che ho deciso di provare a partire dall'uscita precedente. I racconti di questo numero non mi hanno colpito particolarmente, discorso che vale sia per gli italiani che per gli stranieri. Per L'imperatore di Marte di Allen Steele si ripete il discorso fatto prima per Bacigalupi: ha vinto un Nebula, ma mi pare obiettivamente mediocre, più un "tributo" alla fantascienza che un racconto buon di per sé. Wikiworld di Di Filippo parte da un'idea più forte, ma mantiene un tono troppo leggero che forse non fa apprezzare appieno le sue potenzialità. Tra gli autori italiani si legge Dario Tonani, con una storia ambientata nell'universo narrativo di Infect@ e Toxic@, una breve avventura senza pretese. Maico Morellini, vincitore dell'ultimo Premio Urania, scrive una racconto abbastanza insipido su cloni e cacciatori, di cui diversi aspetti rimangono poco chiari. Quello di Giuseppe Lippi è invece in pratica la narrazione di un fatto di cronaca realmente avvenuto (che per buona parte utilizza le stesse parole del protagonista dell'evento). Per quanto riguarda gli articoli, sono sicuramente di interesse le interviste, tra cui quella a Ted Chiang, meno rilevanti gli approfondimenti di critica. Voto: 6/10
Il libro successivo è stato scritto da Daniele Picciuti, autore italiano che conosco personalmente, e con cui condivido lo spazio in alcune raccolte tra cui Uomini e Spettri, pubblicato all'inizio di quest'anno da Bel-Ami Edizioni. Sempre con Bel-Ami, Picciuti ha pubblicato la raccolta I racconti del sangue e dell'acqua. Si tratta di dodici racconti horror di breve-media lunghezza, suddivisi in due "cicli": quello del sangue e, appunto, dell'acqua. I due liquidi fanno da filo conduttore che lega tra loro le storie, che mostrano l'irruzione dell'"orrore" in scenari quotidiani di campagne e cittadine italiane. L'elemento horror è spesso di natura soprannaturale, ma nella maggior parte dei casi pare originarsi, per affinità o per contrappasso, dalle malvagità dei personaggi umani, di cui vengono mostrati i lati più abietti, violenti e perversi. I mostri, reali o immaginari, che si scatenano nelle storie sono quindi complici o vendicatori, non solo creature demoniache che agiscono per conto proprio. Lo stile è pulito ed efficace, evocativo quando serve, e di registro differente nei due cicli. Un horror "classico", quindi, che per una volta non si svolge nella metropolitana di San Francisco ma nel campo di granturco del paese accanto al vostro. Voto: 7.5/10
Ultima lettura in inglese dell'anno, questo libro di Paolo Bacigalupi (che è più americano di Ronald MacDonald, nonostante le chiare ascendenze italiane) ha vinto sia il Premio Hugo che il Nebula. Dovrebbe quindi essere un capolavoro, considerati gli altri titoli che condividono questo doppio riconoscimento (da Dune a Neuromante, da American Gods a Il gioco di Ender). L'impressione che mi ha lasciato The Windup Girl però non è per nulla entusiastica. Anzi. È sicuramente una buona storia, il cui contesto in particolare è molto interessante: un futuro prossimo in cui a causa degli sconvolgimenti climatici e della fine del petrolio, il livello tecnologico è regredito e invece della forza delle macchine si utilizza come base per l'economia le calorie spese per produrre energia e lavoro. Inoltre il cilma impazzito e le epidemie hanno portato all'estinzione buona parte delle specie animali e vegetali, e le piante alimentari in grado di crescere nel nuovo mondo sono brevettate da poche multinazionali che si spartiscono l'intero mercato mondiale. La storia si svolge in Thailandia, una delle poche nazioni ancora indipendente dalle multinazionali, e uno dei protagonisti è proprio un loro agente, in cerca di un modo per conquistare anche questo Paese. Gli altri personaggi sono tutti di etnie ed estrazione diversa, ognuno con una propria missione nel crescente stato di tensione che sfocia verso la fine in una guerra civile. Seguire le motivazioni personali dei vari soggetti è appassionante, ma le cose iniziano a muoversi ben oltre metà libro, senza contare il fatto che la "ragazza a carica" del titolo (una creazione bioingegneristica giapponese, progettata per obbedire ciecamente ai suoi padroni) è un personaggio praticamente irrilevante, il cui ruolo (limitato) avrebbe potuto essere svolto anche da una semplice comparsa. Insomma, la storia è valida, ma non è abbastanza densa da coinvolgere per tutto il tempo. Questo, insieme ad altri romanzi americani che mi è capitato di leggere (ad esempio Endymion di Dan Simmons, e parecchi di Stephen King) mi ha lasciato l'impressione che, visto che laggiù gli autori sono pagati a parole, facciano di tutto per allungare ai limiti della leggibilità le loro opere, in modo da riscuotere una volta di più per ogni concetto ripetuto. Il che non è certo quello che ci si aspetta da un Hugo+Nebula winner. Voto: 6/10
Infine a dicembre ho letto (in parallelo agli altri libri) il numero 64 di Robot, la rivista di fantascienza che ho deciso di provare a partire dall'uscita precedente. I racconti di questo numero non mi hanno colpito particolarmente, discorso che vale sia per gli italiani che per gli stranieri. Per L'imperatore di Marte di Allen Steele si ripete il discorso fatto prima per Bacigalupi: ha vinto un Nebula, ma mi pare obiettivamente mediocre, più un "tributo" alla fantascienza che un racconto buon di per sé. Wikiworld di Di Filippo parte da un'idea più forte, ma mantiene un tono troppo leggero che forse non fa apprezzare appieno le sue potenzialità. Tra gli autori italiani si legge Dario Tonani, con una storia ambientata nell'universo narrativo di Infect@ e Toxic@, una breve avventura senza pretese. Maico Morellini, vincitore dell'ultimo Premio Urania, scrive una racconto abbastanza insipido su cloni e cacciatori, di cui diversi aspetti rimangono poco chiari. Quello di Giuseppe Lippi è invece in pratica la narrazione di un fatto di cronaca realmente avvenuto (che per buona parte utilizza le stesse parole del protagonista dell'evento). Per quanto riguarda gli articoli, sono sicuramente di interesse le interviste, tra cui quella a Ted Chiang, meno rilevanti gli approfondimenti di critica. Voto: 6/10
io non so come fai tu, a leggere così tanto
RispondiEliminaforse ho una vita troppo sregolata, ma io d'inverno proprio non v'arrivo
boh... per fortuna che ci è la estate :)
è una cosa che mi fanno notare in tanti, eppure, cheddiavolo, lavoro come la maggior parte degli umani, non è che passo le giornate sul divano con la catasta di libri accanto. prima o poi cercherò di capire come ci riesco.
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