Una bambina che indossa un grazioso vestitino di cui solleva un lembo
della gonna. Tiene le gambe accavallate e un ditino sulla bocca, con
fare timido. Ha la testa di un panda. E una macchia di sangue che parte
dall'addome, come a voler deturpare quell'immagine di poetica innocenza. È così che si presenta Smoke the Monster Out, il primo album di Damian Lazarus, uscito nel 2009 sull'etichetta Get Physical.
All'interno del libretto, altre immagini simili, con giovanotti dalla testa di
cavallo a cui sembra abbiano sparato in testa. Se c'è un messaggio in
questi disegni, non è del tutto chiaro. Ma la musica che il dj inglese
propone in questo disco merita sicuramente un'attenzione particolare.
Non fosse altro per Moment, il singolo che ha preceduto l'uscita dell'album, assoluto capolavoro che riesce nella sua semplicità a suscitare veri e propri brividi a partire dal primo ascolto (ma anche al centoquarantaquattresimo non è da meno): un pezzo che inizia con alcune note di piano, pochi versi ripetuti come una ninna nanna, e si sviluppa in seguito con grande maestria, fino al climax centrale e il leggero fade out. Questa canzone in particolare rientra senza dubbio nella mia personale top ten, e non è un caso che l'abbia già citata come autentica ispirazione per un mio racconto, uno di quelli che considero migliori.
E se Moment si definire un pezzo techno, con il suo kick deciso e la riverberante linea di basso, l'album nel suo complesso sfugge alle classificazioni. Lazarus infatti non raccoglie soltanto pezzi da dancefloor, ma si impegna con generi differenti: melodie, accordi e parole che formano un insieme eterogeneo, che esito meno del solito a deinire anche "perfetto". Dalla cupa Memory Box, altro pezzo techno in cui il testo sembra descrivere una sorta di disordine mentale, alla gioiosa Neverending; dalle tracce strumentali come It's Raining Today e Cold Lizards alle più ritmate Lullabies e Come and Play. Ogni pezzo è diverso dagli altri, riesce a trasmettere sensazioni differenti, senza annoiare mai. Molti sono anche rielaborazioni o contengono campionature di altre canzoni, pezzi pop o rock di musicisti come Scot Walker.
E siccome nonostante le entusiastiche sensazioni del pubblico, i professionisti del club si sono lamentati che, sì, Smoke the Monster Out è proprio bello, ma come si fa a usarli in pista? Anche i pezzi più "duri" sono lenti, e difficili da collocare all'interno di un set. Damian Lazarus non si è fatto intimidire, e a qualche mese dall'uscita dell'album ha tirato fuori Smoke the Monster Out - Club versions, pubblicato sempre da Get Physical ma solo in versione digitale. La raccolta contiene appunto otto "club version" dei pezzi originali, reinterpretazioni di Lazarus stesso pensate per l'utilizzo in ambito danzereccio. Le tracce sono quasi tutte inedite, salvo un paio che erano già uscite negli EP relativi, insieme a remix di altri dj.
Bisogna ammettere che le club version non hanno la stessa carica emotiva
che si poteva sentire negli original mix, proprio per il fatto che sono
versioni adattate alla pista, e quindi calate in una situazione
molto meno riflessiva. Dove prima si poteva pensare all'ascolto e al
gusto dei suoni ricercati e insoliti, adesso c'è bisogno soprattutto di
energia, decisione, e kick in 4/4. Ma nonostante questa commercializzazione Lazarus è stato comunque bravo a dare
un'interpretazione fedele all'originale, e l'atmosfera dei
pezzi non viene tradita. È il caso di di Lullabies, che conserva il suo carillon in una melodia distorta, con qualche accenno funk; Bloop Bleep continua a sembrare un divertissement e mantiene echi della musica da big band della versione originale; Memory Box con le sue atmosfere cupe, e Neverending con quelle giocose. E naturalmente c'è anche la club version di Moment, che insiste con il potente basso già presente nella prima versione,
ma lo sfrutta in modo diverso, dandogli un contorno più ricco originario. E se Moment era una
traccia lenta, difficilmente utilizzabile in un set se non come pezzo di
apertura, questa nuova versione si presta perfettamente a far parte di
una sessione musicale ricca e convincente. Mancano richiami all'intro di
pianoforte, ma compensano le lyrics sfruttate abilmente (come avviene anche per le altre club version).
Damian Lazarus è soprattutto un dj, e a parte vari remix i pezzi di sua produzione non sono molti. Il suo sforzo di alcuni anni fa è stato ampiamente ricompensato con un livello qualitativo eccellente, ma da allora si è dedicato principalmente a dirigere la sua etichetta Crosstown Rebels, dando notorietà ad artisti come Art Department, Seth Troxler, Jamie Jones, Maceo Plex. Non è dato sapere quando Lazarus si alzerà per camminare e ci regalerà un altro album. Ma sicuramente vale la pena di aspettare.
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