Coppi Night 23/10/2011 - Blitz

Quello visto durante l'ultima Coppi Night non era un gran film, ma d'altra parte era difficile fare peggio della settimana precedente. In effetti a vincere lo votazioni è stato il film di fantascienza Sunshine che avrei visto più che volentieri (e che mai mi sarei aspettato come vincitore), ma per inconvenienti tecnici che ogni tanto si presentano durante le serate, il Club ha dovuto ripiegare sul secondo finalista.

Generalmente, un Jason Statham può dare qualche soddisfazione. Si sa bene incontro a che tipo di film si va, ma con questa idea di partenza si può comunque godere della visione. Poi può anche capitare qualche frivolo gioiellino come Crank, vai a sapere. Ma questo recente Blitz tradisce un po' le aspettative, anche considerando le premesse.

Una storia di violenza, un criminale (poco più di un ragazzino) che fa della sua missione l'omicidio seriale di poliziotti. Niente di troppo originale, ma una partenza potenzialmente valida per un "noi contro loro" che nei film di azione è la formula più semplice. Statham è ovviamente il protagonista, ed è un poliziotto la cui unica differenza rispetto ai criminali che insegue è appunto il distintivo. Ma da lui ci si aspetta proprio questo, e alcune battute sono efficaci. Il problema sorge quando alla trama investigativa si affianca quella socio-etica, con personagi di contorno che mostrano le proprie turbe in momenti di supposta intensità emotiva, che però risultano una supposta e basta. A questi si alternano scene di azione, con il protagonista scatenato che corre e spara accompagnato da una colonna sonora che pompa come in un trailer di Transformers vs Dinosaurs (dite la verità: questo è un film che vorreste vedere!). Qui l'adrenalina riparte, ma si smorza poco dopo quando si torna al mosciume delle patetiche storie di disadattametno degli altri personaggi. Il tutto si chiude con un finale decisamente pulp, fuori tono rispetto al resto del film, e che soprattutto non concede un vero e proprio epilogo, ma solo la sconfitta del giovane villain.

Un film quindi che procede senza una chiara intenzione, e se da un lato Statham fa di tutto per dare carica con il suo pur valido personaggio alla storia, quando ci si allontana da lui la noia è inevitabile. Sarebbe stato meglio lasciar pompare la musica, spare Statham e esplodere le teste. Meglio se con la comparsa di almeno un utahraptor.

[quote] # 14

Sui miei scaffali ci sono una serie di "classici", definibili tali a vario titolo, che di quando in quando, tra un'astronave e un demone, mi tiro giù. Che non s'abbia poi a dire che non ho dimestichezza con i 100 libri che tutti dovrebbero aver letto! Di recente ho sfogliato Il mondo nuovo di Aldous Huxley, sorprendendomi per la sua attualità e la forza dei concetti espressi. Ne consiglio assolutamente la lettura (regge egregiamente i suoi ottant'anni), ma in particolare mi preme riportare questo brano, che offre un interessante punto di vista sulla sanità mentale all'interno della società contemporanea.

Non fatevi confondere dalla citazione nella citazione.

Noi vediamo dunque che la tecnologia moderna ha portato alla concentrazione del potere economico e politico, e alla formazione di una società controllata (spietatamente negli stati totalitari, pulitamente, nascostamente nelle democrazie) dalla Grande Impresa e dal Gran Governo. Ma le società sono composte di individui e sono buone solo nella misura in cui aiutano gli individui a realizzare le proprie possibilità, e a condurre vita felice e creativa. Ebbene, i progressi tecnologici di questi ultimi anni in che senso hanno agito sull'individuo? Ecco la risposta del filosofo e psichiatra Erich Fromm:

"La nostra società occidentale contemporanea, nonostante il progresso materiale, intellettuale e politico, è sempre meno capace di condurre alla sanità mentale, e tende a minare invece la sicurezza interiore, la felicità, la ragione, la capacità d'amore dell'individuo; tende a trasformarlo in un automa che paga il suo insuccesso di uomo con una sempre più grave infermità mentale, con la disperazione che si cela sotto la frenetica corsa al lavoro e al cosiddetto piacere."

La nostra sempre più grave infermità mentale può esprimersi in sintomi nevrotici, palesi, quanto mai desolanti. Ma continua il dottor Fromm: "Attenti a non ridurre l'igiene mentale alal semplice prevenzione dei sintomi. I sintomi, in quanto tali, sono per noi non nemici, ma amici; dov'è un sintomo, là è conflitto, e conflitto significa sempre che forze vitali lottano anocra per l'integrazione e per la felicità." Le vittime veramente disperate ell'infermità metnale si trovano proprio fra gli individui che paiono normalissimi. Molti di essi sono normali solo perché si sono adattati al nostro modo d'esistenza, perché la loro voce di uomini è stata messa al silenzio in età così giovanile che essi nemmeno lottano, né soffrono, né hanno i sintomi del nevrotico. Non sono normali, diciamo così, nel senso assoluto della parola; sono normali solamente in rapporto a una società profondamente anormale. Il loro perfetto adattamento a quella società anormale è la misura della loro infermità metnale. Questi milioni di individuii abnormemente normali, che vivono senza gioia in una società in cui se fossero pienamente uomini, non dovrebbero adattarsi, ancora carezzano l'illusione della individualità ma di fatto sono stati in larga misura disindividualizzati. Il loro conformismo dà luogo a qualcosa che somiglia all'uniformità. Ma uniformità e libertà sono incompatibili. L'uomo non è fatto per essere automa, e se lo diventa, va distrutta la base della sanità mentale.

Nel corso dell'evoluzione la natura si è adoperata in ogni modo perché ciascun individuo fosse diverso da tutti gli altri. Noi riproduciamo la nostra specie mettendo i geni del padre a contatto con quelli della madre. Questi fattori ereditati possono combinarsi in modi pressoché infiniti. Da un punto di vista fisico e mentale, ciascuno di noi è unico. Qualsiasi cultura che, nell'interesse dell'efficienza o in nome di un dogma religioso o politico, cerca di standardizzare l'individuo umano, commette un'offesa contro la natura biologica dell'uomo.

Mi sembra un paragrafo interessante perché, come il [quote] di Richard Dawkins, sottolinea come la nostra società attuale, e anzi forse qualunque tipo di società, sia un elemento estraneo alla nostra stessa natura. Le circostanze che ci hanno portato all'evoluzione di quella che consideriamo "intelligenza" non sono le stesse che si perpetrano nel nostro modo di vivere, ed è pertanto perverso pensare di poter vivere in un sistema ordinato secondo leggi che riteniamo naturali ma che, appunto per questo, non si adattan più al contesto in cui vengono applicate.

Probabilmente è un discorso molto complesso per poter essere affrontato in così poche righe. Ma mi piace far notare che, con ogni probabilità, la struttura sociale dell'uomo non è una componente così innata come siamo solitamente portati a credere. Nasciamo prima di tutto come individui, e come tali ci muoviamo all'interno del mondo. Pretendere di standardizzare la nostra variabilità, adeguando le caratteristiche personali a quelle degli altri, è un processo di "snaturamento" pericoloso, dalle conseguenze inaspettate. Huxley, e Fromm da lui citato, parlan di follia, ma che si manifesta in realtà come il completo adattamento ai paletti della società, la conformazione totale agli schemi imposti dal gruppo.

Il che dovrebbe costituire un motivo di conforto, per quanti di voi ricevono occhiate sospettose dalle altre persone solo perché camminano sotto la pioggia senza ombrello o cantano mentre vanno in bicicletta. Tenetevi strette le vostre follie, manie e paranoie, perché probabilmente sono la parte più autentica di voi.

Non garantisco però che questa argomentazione possa convincere un giudice, quindi fate sempre attenzione.

Aspettando Mondi Incantati 2011

L'ultimo post autopromozionale del vecchio blog annunciava l'inclusione di ben due racconti nell'antologia Riflessi di Mondi Incantati, la raccolta annuale derivata dal Trofeo RiLL. L'anno scorso mi sono classificato terzo nel concorso, mentre questa volta (come tre edizioni fa) sono arrivato appena nella rosa finalista dei primi dieci, ma il mio racconto non è stato incluso nel libro che verrà presentato tra una settimana al Lucca Comics & Games.

In compenso, proprio da questa XVII edizione gli organizzatori di RiLL hanno deciso di proporre qualcosa di nuovo. Prima della pubblicazione del volume della serie Mondi Incantati con i racconti vincitori, è stato realizzato e distribuito un e-book contenente tutti i dieci finalisti del premio. Aspettando Mondi Incantati 2011 vale quindi come "antipasto" del libro vero e proprio, e come metodo per conoscere gli autori più meritevoli che sono riusciti a spuntarla in mezzo agli oltre duecento partecipanti del concorso.


L'e-book è disponibile su Amazon al prezzo di 4,59 €, a quanto ho capito nel formato leggibile dai kindle (ma ammetto con un certo imbarazzo di non avere ancora abbastanza cultura di e-book per essere sicuro!). Tra i dieci racconti inclusi c'è il mio La legge dei padri, un'ucronia a tema giuridico-moral-religioso che avevo scritto per il concorso "Ucronie Impure", di cui, en passant, segnalo la recente pubblicazione del relativo e-book di finalisti.

Non prendete esempio da me: fatevi un e-reader e scaricatevi qualche titolo meritevole. Come questi.

Coppi Night 16/10/2011 - Non mi scaricare

Avverto fin da subito che la mia animosità nei confronti di questo film è elevata. Così a naso penso di poterlo definire il peggiore visto nella stagione 2011 del Coppi Club. Beh, mancano ancora un paio di mesi, ma penso sia difficile trovare qualcosa di peggio. Per cui, la mia recensione è fortemente tendenzionsa, e per chi non vuole sorbirsi un rant catarroso predispongono una versione breve e una versione lunga del mio resoconto.

Versione breve: se volete vedere qualcosa di interessante, cercate i quattro minuti verso la fine in cui viene mostrata la rappresentazione teatrale del musical dedicato a Dracula interpretato da pupazzi. Ignorate i restanti 94 minuti.

Versione lunga: questa dovrebbe essere una commedia sentimentale. Già questo mi scoraggiava, perché il genere era troppo simile a quello del film della settimana prima: se poi ci si aggiunge che in finale sono riuscito a far arrivare Guida Galattica per Autostoppisti, si capisce che il mio voto non sia andato da questa parte. Il problema è che questa "commedia" non fa ridere. Chiariamo. Ammetto di non essere un tipo facile da far ridere. Mi piace il surrealismo, il nonsense, la citazione. A un certo livello mi piace anche 'o pernacchio, ma quando viene sfruttato nel modo gisuto, non gratuitamente. Per questo saltello con qualcosa come Scott Pilgrim, mentre sonnecchio (se va bene) con la solita cricca di attorucoli italioti. Quindi, il fatto che io non rida non significa necessariamente che il film non sia divertente. In questo caso, però, il discorso è diverso: il film non fa ridere perché non ci sono gag. Né verbali, né situazionali, né visive, né sonore. Le battute e gli sketch sono davvero pochi. Pochissimi per un film di quasi due ore. In confronto, anche il filmetto della settimana prima, che pure mi aveva annoiato, era vivace e scoppiettante. Ma in questo middle-age-drama, le occasioni per ridere proprio non ci sono. Immaginate quindi una storia che ha la struttura e le intenzioni della commedia, ma non ne ha i toni. Ha senso? No. Sì, era una domanda retorica, ma ho voluto essere chiaro.

Aggiungamo a questo il fatto che la storia che si svolge nel modo più banale possibile. Rispetta tutti canoni del triangolo amoroso, con una precisa applicazione della Regola del Tra Quanto Scopano, sottintendendo la morale "le donne sono tutte troie". Sorvoliamo sulla complessità dei personaggi, che viene superata nella maggior parte dei film porno. C'è molta più espressività nei pupazzi che interpretano Dracula e Van Helsing nel già citato spettacolo mostrato nelle ultime scene.

E veniamo alla più irritante delle note, la ciliegina sulla montagna di merda che già era questo film. Ora, io non so di preciso come si svolga tutta la trafila che porta al doppiaggio di un film. Immagino che dei traduttori leggano i testi e li riscrivano, questi poi vengono adattati alle necessità delle scene in cui compaiono, vengono interpretati dai doppiatori, e infine montati al posto della traccia audio originale. Quante persone maneggiano questi testi, prima che vengano distribuiti nei cinema? Credo che una decina non sia una stima inverosimile. E allora, come cazzo è possibile che di dieci persone nessuno si sia accorto che "reception" non si traduce, e soprattutto non si traduce con "ricevimento"? Ma come si fa a essere così ottusi, e come si fa a esserlo in così tanti, in tutte le fasi successive del lavoro? Quello che probabilmente nella versione era "the girl from the reception" diventa "la ragazza del ricevimento", e non una, ma almeno quattro volte! Ma possibile che nessuno di loro sia mai stato in albergo, e che non gli venga in mente che la ragazza che lavora alla reception sia, contro ogni previsione, la ragazza della reception?

Ecco, credo di aver fornito dei validi motivi per cui questo rimarrà probabilmente il film più ignobile visto quest'anno. Mi consola il fatto che, per compensazione, la prossima volta che porterò la Guida Galattica non potrà che essere enormemente apprezzato.

Dominik Eulberg - Heimische Gefilde

Non credo di dover ripetere il discorso sull'astoricità della buona musica, per cui senza scusarmi per aver tirato fuori dall'archivio un album di ben quattro (!!!) anni fa, passo subito a parlare dell'opera in questione. Heimische Gefilde è un album Dominik Eulberg è uscito nel 2007 per l'etichetta tedesca Traum Schalplatten. Il genere, pur con le dovute approssimazioni e cautele da considerare ogni volta che si cerca di classificare qualcosa, può essere definito come un incrocio tra techno-minimal e neo-trance, sempre che questa qualifica abbia senso per chiunque al di fuori di questo blog. In sostanza, lo stile è paragonabile a quello dell'album di poco precedente, Bionik, anch'esso uscito nel 2007.



A rendere questo disco più interessante è però l'insolito connubio che l'autore è riuscito a creare tra la sua musica e quella che, in un eccesso di banalità, potremmo chiamare "la natura". La tendenza ad ispirasi in qualche modo al mondo animale e vegetale era già presente in Bionik, come si può dedurre dal solo titolo: i pezzi di quest'album hanno infatti tutti titoli che richiamano particolari organi o abilità riscontrabili in alcune creature viventi: Der traum von fliegen, Haifischflugel, Rattenscharf. [No, nemmeno io so il tedesco: google translate dovrebbe aiutarvi come ha fatto con me.] Inoltre, il libretto che accompagna il cd riporta, per ogni traccia, una spiegazione dell'elemento richiamato dal titolo (fortunatamente, anche in inglese).

In Heimische Gefilde, Eulberg fa di più. Nel tentativo di unire la sua passione per la musica a quella per gli animali (confermata anche dai suoi studi di biologia), ed in particolare per gli uccelli, l'autore non mette insieme un album di sole tracce elettroniche, ma alterna ad esso una serie di lezioni su canti e abitudini degli uccelli, come in una sessione a distanza di birdwatching. Le lezioni sono tenute in tedesco, per cui non sono riuscito in effetti a capirne le parole, ma il contenuto è chiaro: prima di ogni traccia musicale è registrata una breve introduzione dedicata a un preciso animale e al suo tipico richiamo. Sul retro del cd che vedete qui accanto, si tratta dell tracce di numero dispari, scritte in piccolo rispetto alle altre: dal picchio al cuculo, con in mezzo qualche grillo e quelli che sembrano dei gabbiani. I pezzi stessi che seguono le varie introduzioni sembrano in qualche modo riprendere i suoni appena presentati, come in Adler che sembra riproporre in diverse tonalità il canto ritmato del cuculo.

Ma per concludere degnamente questa insolita raccolta serviva qualcos'altro, un'idea che durante tutto l'ascolto dell'album si affaccia alla mente dell'ascoltatore: perché Eulberg non ha creato un pezzo direttamente con i canti degli uccelli? Beh, non c'è bisogno di chiederselo, perché lo ha fatto davvero. Infatti, l'ultimo pezzo Stelldichein des westerwälder vogelchores è proprio composto dai versi che nelle brevi lezioni precedenti sono stati introdotti e illustrati dall'autore. Si ha così una traccia che, campionando i soli suoni ambientali registrati, assomiglia in tutto e per tutto a un normale pezzo di musica elettronica. Anzi, è Eulberg stesso a far notare le attinenze tra i suoni utilizzati e gli elementi tipici dell'elettronica: a metà della traccia infatti, torna a tenere la sua ultima lezione, e come un maestro d'orchestra chiama uno ad uno i suoi "strumenti" accreditandoli uno per uno come bassdrum, snare, hi-hat, percussions, 303, vocals, mentre si sommano a vicenda per comporre di nuovo l'insieme nella sua interezza, in una manovra che ricorda il finale di Tubular Bells di Mike Oldfield, nei quali i vari strumenti che suonano le stesse note sono presentati e aggiunti agli altri uno alla volta. Probabilmente un pezzo del genere può risultare fastidioso, a chi non ha voglia di ascoltare qualcosa per il solo piacere di ascoltare, ma cerca significati reconditi e presuntuosamente profondi nella musica, e ancora più spesso nelle parole che spesso inutilmente la accompagnano. Ma, se qualcuno ha voglia di sorbirsi una decina di minuti di cinguetti e raschiamenti, e nel frattempo anche un po' di classico unzunz, questo album è perfetto.

Come già detto il genere non si discosta molto da quello del precedente Bionik, e forse in quest'ultimo si trovano pezzi di impatto maggiore (d'altra parte, le sonorità che si ritrovano qui si sono praticamente affermate come l'inconfondiblie stile di Eulberg, e echi di quello che si sente qui si ritrovano anche nei suoi remix più recenti). Ma nel complesso Heimische Geflide è un'opera più originale e ispirata, per cui più adatta per comprendere l'autore. Provatelo. E se incidentalmente sapete il tedesco, riferitemi cosa dice a proposito di allodole e ghiandaie.

Rapporto letture - Settembre 2011

Qui abbiamo passato la boa di ottobre e ancora non s'è visto il rapporto letture del mese scorso? Bisogna provvedere subito! Tanto più che a differenza di altre occasioni la lista conta di appena quattro libri da riferire.

More about Millemondi Inverno 2011: I draghi del ferro e del fuocoDopo aver terminato l'ottimo Nation di Terry Pratchett, devo aver pensato che il fantasy che mi ero scansato avrei dovuto cercarlo da qualche altra parte. Scalando gli scaffali tuttavia di fantasy ne ho trovato ben poco, e mi sono dovuto accontentare de I draghi del ferro e del fuoco, titolo (vagamente e forse non casualmente affine alle Cronache del ghiaccio e del fuoco) sotto il quale Urania ha riunito due Michael Swanwick: La figlia del drago di ferro e I draghi di Babele. Le due storie si svolgono nello stesso mondo, un'insolita ambientazione "fantasy moderno": ci sono creature fantastiche, incantesimi e tutti gli elementi tipici del genere, ma non si trovano nel classico contesto simil-medievale. Quella di Swanwick è la declinazione fantasy dell'epoca contemporanea, con metropoli e università, automobili e cellulari, mode ed élite culturali. La struttura stessa delle storie è simile: due ragazzi umani che entrano in contatto con un drago (che sono macchine da guerra biomeccanice semisenzienti che necessitano comunque di un pilota), e grazie o per colpa di questo iniziano una scalata verso la vetta della società, fino a un confronto finale coi loro nemici. I romanzi sono appassionanti, ma forse un po' prolissi, e le situazioni presentate a volte sembrano fini a se stesse. L'ambientazione stuzzicante riesce comunque a compensare, e alla fine la lettura risulta soddisfacente. Probabilmente si tratta del miglior compromesso tra fantasy e mainstream. Voto: 7/10

More about Robot 63Per uno che si proclama come grande appassionato di fantascienza, ho aspettato anche troppo per iniziare a leggere Robot, la rivista italiana dedicata alla sf diretta da Vittorio Curtoni, almeno fino alla sua recente scomparsa. Mi sono abbonato a partire da questo numero 63, e la prima esperienza non è stata deludente. Tralasciando gli articoli che pure sono interessanti (soprattutto quello sui videgame Lego!), i racconti del volume sono di qualità media, senza grandi capolavori ma comunque buoni. Tra gli autori stranieri, c'è il vincitore del Nebula Il leviatano che tu hai creato, che sfrutta il tema dei rapporti con una specie aliena che vive negli spazi interstellari per porre dilemmi religiosi, mentre quello di Stanley G. Weinbaum è una vecchia space opera con un buon ritmo. I racconti italiani indulgono un po' troppo nell'ucronia, senza però riuscire a disegnare mondi alternativi eccezionalmente affascinanti, tuttavia le storie rimangono leggibili e interessanti. Voto: 7/10

More about I.N.R.I.Se aveste una macchina del tempo che può viaggiare solo nel passato (invece che convenientemente solo nel futuro), dove andreste? Sono sicuro che una delle mete più frequentate dei cronoturisti sarebbe la crocefissione di Gesù, ammesso che sia mai avvenuta, intorno al 28 AD (d'altra parte anche Stewie Griffin ci è stato). Anche il protagonista di questo libro di Michael Moorcock ha fatto questa scelta, e il suo percorso di avvicinamento al personagio di Gesù lo porterà, in pratica, a sostituirsi a lui (non è un spoiler, mi pare piuttosto evidente già dalla copertina di Franco Brambilla). L'odioso protagonista di I.N.R.I., un aspirante psichiatra con evidenti e irritanti turbe psichiche, si inserisce nella storia e fa quello che sa deve essere fatto, anche se non sa perché dovrebbe farlo lui, se non per un certo desiderio represso di punizione e martirio. In questa storia il viaggio nel tempo è solo un pretesto, infatti non viene specificato come è reso possibile. Il confronto e la sostituzione del messia da parte di un personaggio tanto disturbato dovrebbe probabilmente fornire un messaggio, che a me non è arrivato. La storia è più interessante nelle prime fasi, ma quando diventa chiaro che il protagonista è a tutti gli effetti il verso Gesù, le cose si fanno prevedibili. Voto: 6/10

More about Agenti della NoosferaIn Agenti della Noosfera, l'autore Christopher Evans mette in campo diversi elementi interessanti: la stessa "noosfera", una specie di realtà virtuale in cui vengono scaricate le personalità dopo la morte, un sistema solare colonizzato grazie a una tecnologia biologica simile a quella degli Yilanè, e una costruzione della trama che mette in relazione personaggi apparentemente slegati tra loro. La storia segue all'inizio un misterioso "grembo" che contiene un feto di natura sconosciuta, che passa di mano ai diversi personaggi principali, e si capisce essere il nucleo centrale della vicenda. Verso metà libro però si inizia a intuire quale sarà la rivelazione finale, per cui le cose si fanno più prevedibili. In ogni caso questo è un libro in cui si assapora una deliziosa atmosfera fantascientifica, con un'ambientazione esotica ma convincente, e gli stessi concetti di base del romanzo che venogno messi in discussione. Voto: 7.5/10

Coppi Night 09/10/2011 - La ragazza del mio migliore amico

Non ricordo bene come si è svolta la votazione in questa riunione del Coppi Club, e come sia arrivato a vincere questo film. Io ho spinto in un'altra direzione, ma tutto sommato la commediola non mi dispiaceva. Se non che, la commediola si è rivelata troppo commediola. Non che avessi grandi aspettative, ma il film infila con disarmante abilità tutte le situazioni più scontate, e se si cerca qualcosa di sorprendente bisogna andare a piluccare in dettagli quali gli ingredienti del barattolo dello yogurt tirato fuori al minuto 48.

Se da un lato l'idea del recupera-ex può offrire qualche possibilità, dall'altro queste vanno del tutto in fumo quando il trombatore seriale rimane invischiato nel suo stesso gioco. Wow, lo sciupafemmine innamorato! Ma aspetta, non s'era già vista una cosa del genere, da Petrarca in poi, anche in qualche altra recente commedia dello stesso tipo? Le battute principalmente a tema sessuale qua e là funzionano, ma le gag veramente meritevoli sono limitate, e non bastano a tenere su il tono di una storia che non ha niente da dire, nemmeno nella sua prevediblità.

A meno che, una rivelazione colossale non avvenga negli ultimi 15-20 minuti, che mi sono perso per un attacco incontenibile (ma non così sgradito) di sonnolenza. Mi sono ripreso in tempo per poter vedere che alla fine tutti scopano, per cui tutti sono felici. Questo mi è bastato.

Oh, naturalmente non c'è nessuno yogurt al minuto 48. Nemmeno questa sorpresa m'è toccata.

Futurama 6x19 - Yo Leela Leela / La fiaba di Leela

Un episodio che inizia con Leela all'interno dell'orfanotrofio in cui lei stessa è cresciuta si preannuncia già come dedicato alla vena filantropica della monocola. La dedizione di Leela a certe "nobili cause" come ad esempio quelle ecologiche (vedi The Birdbot of Ice-Catraz e Into the Wild Green Yonder) è uno dei caratteri della sua personalità che emerge spesso, in contrasto alla solida determinazione di capitano. In questo caso, dopo un tentativo fallito di intrattenere gli orfani con una storia inventata, Leela prende a cuore la questione, e torna con una nuova storia popolata da un gruppo di buffe creautrine zuccherose che vivono in un'idilliaco mondo chiamato Rumbledy-Hump. L'indice di gradimento dei bambini viene notato da un agente televisivo, e a Leela viene proposto un contratto per mettere in onda il suo show. Il successo è immediato e Rumbledy-Hump ottiene diversi riconoscimenti, fruttando a Leela un discreto capitale, ma soprattutto l'adorazione dei suoi compagni orfani, a cui lei tiene maggiormente. Solo in seguito si scopre che non è stata del tutto onesta, e che per accontentare i bambini ha compiuto un inganno forse peggiore.

Gli Humplings, ovvero i personaggi di Rumbledy-Hump, sono esserini ingenui e bonari, che non perdono nessuna occasione per mettere in forma di canzone i loro insegnamenti sul mangiare verdura, non leccare il brodo dal pavimento, le novantotto parole da non dire, e così via. Sono quindi una chiara riproposizione di quei gommosi personaggi degli show per bambini, Teletubbies in testa. Sono ripetitivi e irritanti, sdolcinati e didascalici, e qualsiasi spettatore adulto non può desiderare altro che vederli spiaccicati sotto un hovertir. Ma la loro presenza nell'episodio non è insopportabile, e serve solo a mettere in piedi il successo di Leela. Oltre a lei, che già dal titolo si capisce essere la protagonista, gli altri membri dell'equipaggio hanno un ruolo marginale, limitandosi a interpretare gli Humplings indossando i costumi e recitando gli script consegnati da Leela. Solo Bender ha un ruolo più attivo, e con la sua solita avidità mette in piedi le premesse per la rivelazione finale. Per cui, si può dire che questo sia un episodio totalmente Leela-centrico, e forse per questo non è dei più convincenti. Focalizzandosi sul suo idealismo e sui buoni sentimenti che ha intenzione di ispirare, lo svolgimento rimane un po' fiacco, anche se la conclusione, in cui tutte le intenzioni iniziali sono rovesciate dagli stessi innocenti che Leela credeva di tutelare, è comunque efficace.

Come anche Attack of the Killer App, questo episodio è uno di quelli in cui un aspetto della cultura popolare moderna viene traslato un millennio nel futuro, mostrando in chiave parodistica come la natura umana sia in sostanza la stessa (niente significati esistenziali: mi riferisco alle pulsioni più basse, come può esserlo il semplice bisogno di divetimento). Insomma, se il pubblico di oggi è lo stesso che ci sarà nel 3000 e rotti, è scontato che verranno fuori show come Popular Slut Club e Spongebot Squarebolts. La critica all'industria dell'intrattenimento è appena accennata ma percepibile, e gli autori non si sono lasciati scappare la possibilità di citare di nuovo come "i programmi migliori vengono sempre cancellati... anche due o tre volte". In definitiva, Yo Leela Leela non è un episodio forte, la trama e il livello di gag non sono ai massimi, ma non si può nemmeno dire che sia mal riuscito. È probabile che lo stesso team di Futurama non si aspettasse niente di più, da questa puntata. Voto: 6/10

Harry Harrison - La saga degli Yilanè

Le saghe sono delle bestie ambigue. A volte sono contorte e deformi, delle specie di mutanti siamesi che si capisce essersi originati con tutt'altre intenzioni, altre sono delle costruzioni solide e coerenti, espressione di una volontà precisa di un'autore dall'immaginazione troppo vasta per poter essere contenuta in una singola opera. Io stesso ho ceduto alla tentazione, scrivendo alcuni racconti tra loro collegati come quelli dell'emodinamica e lo spin-off di Six Shots. Nel mio caso, ammetto, non c'era l'idea iniziale di creare una saga, ma credo di aver combinato comunque poco danno. Nella fantascienza le saghe sono piuttosto comuni, forse perché quando si gioca con la speculazione basta porsi una domanda in più per arrivare al passo successivo. Così abbiamo le Fondazioni di Asimov, Dune di Herbert, le Odissee nello spazio di Clarke, Hyperion di Simmons, eccetera, eccetera, e parecchio parecchio cetera. Harry Harrison è un autore non tanto conosciuto al grande pubblico, considerati anche i lunghi decenni di carriera, che si è dedicato spesso alla realizzazione di saghe di romanzi. Una di queste, pubblicata nel corso degli anni '80, è la saga di Eden, meglio conosciuta in Italia come quella degli (o delle) Yilanè.

Il ciclo è composto di tre romanzi: West of Eden, Winter in Eden e Return to Eden, da noi rispettivamente L'era degli Yilanè, Il nemico degli Yilanè e Scontro finale (sì, probabilmente un titolo preso da un episodio delle Tartarughe Ninja). La trilogia è ambientata in una Terra alternativa, ma definire la storia come un'ucronia è riduttivo. Infatti il punto di divergenza è davvero remoto: l'ipotesi di partenza dell'universo di Harrison è che l'asteroide che alla fine del mesozoico avrebbe colpito la Terra, provocando un'estinzione di massa di buona parte della fauna, non abbia mai raggiunto il nostro pianeta. In soldoni, i dinosauri non si sono estinti. L'evoluzione delle creature preistoriche è progredita, e se come comunemente si ritiene è vero che è stata la scomparsa dei dinosauri a rendere possibile l'ascesa dei mammiferi, si capisce come il mondo sia molto diverso da quello che conosciamo noi. La storia però non si svolge in quell'epoca, ma pressappoco nel presente (si potrebbe parlare di un "presente geologico": magari non è proprio il 1985 AD, ma un'età geologicamente equivalente). Gli eredi di quelle forme viventi rettiliane si sono ormai diffusi sul pianeta, o almeno su quello che è il Vecchio Mondo. Nelle Americhe invece, le condizioni climatiche non hanno favorito la sopravvivenza degli animali a sangue freddo, e qui sono invece emersi i mammiferi: cervi, mastodonti, tigri dai denti a sciabola... e umani. Ok, l'ipotesi che degli Homo possano essersi evoluti a partire dalle scimmie del Nuovo Mondo forse è un po' pesante, ma ci si sente di doverla accettare.
In Eurasia e Africa invece, i mammiferi sono rimasti al livello dei toporagni, e tutte le nicchie sono occupate da arcosauri. In particolare, sono appunto gli Yilanè ad aver conquistato il mondo nel senso più proprio del termine. Ottenuta una forma di intelligenza avanzata nel corso dei milioni di anni, gli Yilanè hanno costiuito una società complessa ed estesa, basata su una avanzatissima tecnologia organica che utilizza l'ingegneria genetica per ricavare strumenti di ogni genere a partire da creature viventi. Ma il clima sta cambiando, e a causa di quella che probabilmente è la prima glaciazione di questa Terra alternativa, gli ectotermici Yilanè sono costretti a cercare nuovi approdi per le loro città viventi in espasione. A bordo dei loro uruketo (ittiosauri modificati per diventare sommergibili da trasporto), sbarcano infine sulle coste americane. Dopo l'incontro con i Tanu, gli umani che occupano quella zona, l'odio reciproco, dettato da una innata repulsione degli uni verso gli altri, è istantaneo e dirompente. La guerra è scontata: gli Yilanè hanno bisogno di queste nuove terre calde per prosperare, i Tanu devono resistere all'invasione per non essere annichiliti. Non ci sono vie di mezzo.


Parlano di me, parlo di loro

Forse vi ricordate della mia elezione a scrittore dell'anno in seguito alla vittoria del primo Karma Tournament indetto da Edizioni XII. Ebbene, non è che la cosa si conclude con il gioioso annuncio del mio risultato, festoni coriandoli e tutti a casa, ché domattina si lavora. Eh no, essere scrittore dell'anno è un compito impegnativo, e comporta una serie di oneri e onori che si sono susseguiti negli ultimi tempi, e che vengo ora a riassumere, in modo che anche i frequentatori del blog possano fruirne come meglio credono.

Intanto, avrete notato questo banner, che già esibisco fieramente là sulla destra, e terrò su almeno fino a luglio del prossimo anno, quando terminerà il prossimo KT e dovrò cedere lo scettro al mio successore. Insieme a questo ho ottenuto anche la mia buona pagina di presentazione sul sito di XII, guadagnandomi un posto negli annali della casa editrice.


Ma gli stessi XIIini hanno ritenuto opportuno intervistarmi, per far conoscere al loro pubblico il personaggio che si è accaparrato un titolo tanto pomposo. Ci ha pensato Matteo Carriero, con una lunga serie di domande con le quali ha voluto inquadrare tanto la mia esperienza di scrittore che i miei interessi da lettore. L'intervista è poi apparsa sul blog di XII, e rimane lì a disposizione.

Poi anche il buon Ferruccio Gianola ha voluto chiedermi qualcosa, come intermediario del portale concorsi-letterari.it. Considerati i destinatari, la sua intervista è più incentrata sul panoramca concorsistico e letterario, facendomi descrivere la mia attività in questi ambiti.
Infine è toccato a Michela Zangarelli, che sul suo blog mi ha dedicato uno spazio per una chiacchierata più informale e confidenziale, con la quale sono state diffuse anche alcune mie foto piuttosto compromettenti. Oltre a quelle della mia iguana.

E parlando di iguane, scivolo leggermente off-topic ma rimango nei binari dell'autopromo, segnalando che sul blog di Iguana Jo sono stato citato dall'autore come uno dei più autorevoli punti di riferimento per la fantascienza letteraria. Il che, detto da una persona che io stesso considero uno dei più autorevoli punti di riferimento per la fantascienza letteraria (e, in effetti, anche il mio punto di partenza per l'ingresso nella blogsfera, diversi anni fa), mi riempie di soddisfazione.


Non è la notte degli Oscar, quindi non mando saluti ad amici, parenti e tutti quelli che mi conoscono, e non ringrazio il Signore che mi ha dato la salute e la serenità, ma credo che a tutte queste persone che hanno avuto tanta fiducia in me (alcune delle quali ho avuto il materiale piacere di conoscere), sia doveroso da parte mia un sincero ringraziamento. Può sembrare una frase fatta, una convenzione, ma non è solo questo. Perché se a volte, anche solo per mezzo minuto, penso di poter davvero avere un posto e un ruolo nell'universo, è anche grazie a loro.

Coppi Night 02/10/2011 - Scott Pilgrim vs The World

Questa settimana ero io a proporre i film. E pur offrendo una scelta che comprendeva da Kubrick ai Monty Python, da da Jim Carrey a Malcolm McDowell (ben due film interpretati da lui!), non mi è dispiaciuto che vincesse questo film. L'avevo già visto su consiglio di un amico, in lingua originale, e anche se il doppiaggio (come sempre) fa perdere qualcosa alle battute (completamente sprecata quella sulla L word), la carica del film è così esplosiva che si fatica a resistere.

Anch'esso ispirato a una graphic novel come uno degli ultimi film visti in una Coppi Night (in cui, trallaltro, veniva citato proprio in quanto fumetto), il film narra le surreali avventure di Scott Pilgrim, un ventiduenne canadese che si divide tra il basso che suona nella sua banducola e la ricerca di una donna di cui ha disperatamente bisogno. Le cose cambiano quando incontra Ramona, una ragazza americana di cui s'innamora subito... salvo poi scoprire che per stare con lei è costretto ad affrontare e sconfigger ei suoi sette malvagi ex! Da qui la storia si fa via via più assurda, con personaggi grotteschi e situazioni incredibili: scontri a metà tra Tekken e Dragonball, che vanno ben al di là delle leggi fisiche, avversari e alleati di forza (e stupidità) crescente, e tante, tante idiozie accumulate una sull'altra, senza tregua.

La forza di questo film sta soprattutto nell'appropriato utilizzo delle convezioni fumettistiche, dalle onomatopee ai commenti fuori campo, che appaiono impressi sullo schermo, e forniscono una dimensione ulteriore alla storia, come se si stesse giocando a un videogame. E il paragone non è azzardato, perché allo stile dei videogiochi il film attinge copiosamente, già con la logica dei successivi cattivi da sconfiggere prima di arrivare al boss finale, poi con gli effetti sonori e visivi (come le monete che scaturiscono dai nemici abbattuti), e infine con i richiami espliciti alla tradizione videoludica: basta considerare che il nome della band di Piligrim è Sex Bob-Omb. L'umorismo è incalzante, scatenato, continuo, basato tanto su equivoci quanto su nonsense totale, e penso di poter dire che sia il più divertente che mi è capitato di vedere tra quelli degli ultimi anni. Non vorrei esagerare dicendo che sia il più spassoso dal 2000 in poi, ma mi vengono in mente pochi concorrenti.

Se ha una pecca, è che forse il suo target non è generico. Probabilmente si tratta di un film che può essere apprezzato da chi è cresciuto pressappoco intorno agli anni '90, subendo l'influenza di Nintendo e venerando eroi come Yoshimitsu, e si è poi ritrovato semiadulto quando è affermato il mondo geek emerso con internet. Insomma, perfetto per la mia generazione, ma dubito che un pubblico più anziano lo apprezzerebbe allo stesso modo.

Addio a un robot

Oggi era già una giornata di merda, per ragioni personali che non hanno ragione di essere espresse qui. Ma quando ho letto della scomparsa di Vittorio Curtoni, il colpo è stato forte e ho vissuto momento di profondo sconforto.

Per chi non ha familiarità col nome, Curtoni era uno dei personaggi centrali dell'ambiente fantascientifico italiano. Basti solo citare che è stato lui a riportare in vita Robot, la principale (unica?) rivista italiana dedicata alla sf. Questo, a poca distanza dalla morte di un altro personaggio di grande importanza, lascia un vuoto che non è facile colmare. Senza dubbio, come è accaduto con Vegetti, ci sarà qualcuno che porterà avanti il lavoro svolto da Curtoni, perché ci sono diverse altre personalità valide e affidabili, ma la perdita è grande.

È anche abbastanza triste notare come la notizia finora sia stata riportata solo da alcune testate locali. Si tratta pur sempre di un personaggio di cultura attivo da decenni, possibile che non ci sia spazio nemmeno per due righe di commiato?

Avrei voluto linkare la sua pagina di Wikipedia, ma anche questa ci ha lasciati. L'ho detto che era una giornata di merda.

Il tempo è illusione e la causalità è prospettiva, o conseguenze filosofiche del Principio di Fermat

Time is an illusion. Lunch time double so.

Apro il post con questa citazione di Douglas Adams, una semplice battuta, forse non abbastanza profonda per essere una vera e propria bustina di zuccero, ma comunque valida (e non facilmente trasponibile in italiano). Iniziamo con questo tono leggero perché il testo che seguirà sarà molto più ponderoso, e, se assorbito con la giusta propensione di spirito, anche sconvolgente. Per cui mettetevi comodi e seguitemi in questa idea che potrebbe cambiare la vostra concezione di vita, universo, e tutto quanto.

Nella nostra esperienza quotidiana siamo abituati a considerare il tempo come un elemento astratto, una specie di "forza naturale" come possono esserlo il calore, la luce, l'elettricità. Comunemente il tempo è solo quella cosa che ci permette di distinugere un istante dall'altro, e stabilisce la consequenzialità degli eventi: il dopo segue l'adesso che segue il prima. Il tempo si può misurare, come avviene per questi altri elementi naturali, eppure non penso di dire niente di assurdo se faccio notare come il suo trascorrere sia tutt'altro che assoluto, e che adagi popolani come "il tempo vola" hanno sicuramente un fondo di verità. Non penso sia necessario fare esempi in questo senso, si tratta di esperienze con cui tutti familiarizziamo. Mi preme solo evidenziare come, in dei conti, il passare del tempo sia una questione di percezione. Si possono misurare tutti i periodi di transizione dei livelli iperfini del Cesio che si vuole, ma di fatto, per noi, la definizione di tempo più adegueta è "quella cosa che accompagna il nostro flusso di coscienza".

Questa era una premessa. Volevo solo chiarire come il tempo come grandezza fisica o "forza naturale" sia aperto a interpretazioni del tutto arbitrarie. Di fatto anche chi ci si è messo seriamente d'impegno non ha saputo darne una definizione precisa e universale. Per cui, l'interpretazione che sto per suggerire, può essere valida quanto qualsiasi altra. Forse anche di più.