Intervengo per dire la mia su un dibattito che sta animando in queste settimane la blogsfera e i social network, almeno quella parte che frequento io. La cosa è nata dalla disavventura di un'autrice self americana (una delle poche che campa davvero di selfpublishing), che si è vista restituire un libro pagato pochi dollari da un lettore inferocito che lamentava che fosse troppo costoso, nonostante a suo stesso dire il migliore mai letto (non ho voglia di mettervi link, cercatevelo). Poi (forse collegato a questo fatto, forse no) è esplosa una feroce polemica su un gruppo facebook dedicato ad e-book e self publishing, nato da l'osservazione di un membro che faceva notare che se un romanzo su Amazon si paga 0.99, allora un racconto dovrebbe costare al più la metà.
La questione che ne emerge può essere interessante. Il discorso sarebbe molto lungo, e bisognerebbe partire dalla percezione generalmente condivisa del "lavoro creativo", ma in questa sede concentriamoci solo sulla scrittura, e sul rapporto prettamente monetario tra autori e lettori. Buona parte degli interventi su questo argomento da parte degli autori aveva come punto centrale il fatto che la qualità non si misura con la quantità, che scrivere un buon racconto non è più facile di scrivere un romanzo, e che il tempo e l'impegno profuso nella scrittura devono pur trovare un loro corrispettivo, altrimenti sarebbe meglio regalare. Come io mi collochi su questi aspetti è evidente, se si considerano alcuni miei post precedenti, in particolare in merito alla dignità del racconto e al prezzo di copertina del libro di un esordiente. Questo però è il punto di vista dal lato dell'autore, che posso esprimere pur essendo l'ultimo dei bischeri in questo senso.
Ma il lettore, da parte sua, che cosa vuole? Il lettore per cosa paga?
Mi pare che questo lato della faccenda non sia stato affrontato da nessuno. E poiché tutti sono (o dovrebbero essere) lettori prima che scrittori, io credo che sia il punto di partenza per qualunque argomentazione.
Se dico, come lettore, che per me un libro di 100 pagine vale il doppio di un libro di 50, allora sto semplicemente valutando le parole al peso: potrei spingermi fino a calcolare il valore di una singola lettera, e quindi per me risulterebbe facile determinare quanto sono disposto a pagare per qualunque opera, mi basta sapere quanto è lunga. Ma questa impostazione nasconde un sottinteso: ovvero che quello per cui io sto pagando è il tempo che impiego a leggere l'opera stessa. Di conseguenza, la lettura per me è semplicemente un modo per trascorrere il tempo, come potrebbero essere una sigaretta o uno yo-yo.
Ma i lettori cercano davvero questo? Indubbiamente c'è qualcuno che non vuole altro, perché buona parte della produzione editoriale è composta di libri che non richiedono alcun "investimento mentale". Ma i lettori attenti, quelli buoni, quelli insomma che ogni autore vorrebbe avere per sé, chiaramente vogliono altro.
Un lettore autentico vuole essere coinvolto, stupito, intrigato, portato a riflettere, sconvolto, preso a sberle. È questo che si cerca in un libro, e non certo la mera sequenza di parole su cui far scorrere gli occhi. Certo la lettura si definisce sempre "passatempo", ma solo nel senso che è un'attività a cui si dedica in genere il tempo "che avanza". Un buon lettore non vuole soltanto leggere qualcosa, ma pretende che questo qualcosa lo smuova, in un modo o nell'altro.
Ecco perché un lettore può essere disposto a pagare un prezzo più alto per un'opera più breve. Ecco perché l'equivalenza tra numero di pagine e prezzo del libro non ha senso: perché non sono le parole che stiamo pagando, ma il loro potere di evocare qualcosa, suscitare emozioni e riflessioni. E questa capacità è ovviamente inquantificabile: non si può determinare il potere di un'opera (di qualsiasi genere, letterario, musicale, visivo) di provocare reazioni intellettive... anche se è evidente che alcune hanno questo potere, altre no.
Questa quindi è la sfida che un autore si trova ad affrontare: convincere i suoi potenziali lettori che il loro tempo è bene investito, e che un'ora spesa a leggerlo abbia più valore dello stesso tempo impiegato a leggere altro.
Se dico, come lettore, che per me un libro di 100 pagine vale il doppio di un libro di 50, allora sto semplicemente valutando le parole al peso: potrei spingermi fino a calcolare il valore di una singola lettera, e quindi per me risulterebbe facile determinare quanto sono disposto a pagare per qualunque opera, mi basta sapere quanto è lunga. Ma questa impostazione nasconde un sottinteso: ovvero che quello per cui io sto pagando è il tempo che impiego a leggere l'opera stessa. Di conseguenza, la lettura per me è semplicemente un modo per trascorrere il tempo, come potrebbero essere una sigaretta o uno yo-yo.
Ma i lettori cercano davvero questo? Indubbiamente c'è qualcuno che non vuole altro, perché buona parte della produzione editoriale è composta di libri che non richiedono alcun "investimento mentale". Ma i lettori attenti, quelli buoni, quelli insomma che ogni autore vorrebbe avere per sé, chiaramente vogliono altro.
Un lettore autentico vuole essere coinvolto, stupito, intrigato, portato a riflettere, sconvolto, preso a sberle. È questo che si cerca in un libro, e non certo la mera sequenza di parole su cui far scorrere gli occhi. Certo la lettura si definisce sempre "passatempo", ma solo nel senso che è un'attività a cui si dedica in genere il tempo "che avanza". Un buon lettore non vuole soltanto leggere qualcosa, ma pretende che questo qualcosa lo smuova, in un modo o nell'altro.
Ecco perché un lettore può essere disposto a pagare un prezzo più alto per un'opera più breve. Ecco perché l'equivalenza tra numero di pagine e prezzo del libro non ha senso: perché non sono le parole che stiamo pagando, ma il loro potere di evocare qualcosa, suscitare emozioni e riflessioni. E questa capacità è ovviamente inquantificabile: non si può determinare il potere di un'opera (di qualsiasi genere, letterario, musicale, visivo) di provocare reazioni intellettive... anche se è evidente che alcune hanno questo potere, altre no.
Questa quindi è la sfida che un autore si trova ad affrontare: convincere i suoi potenziali lettori che il loro tempo è bene investito, e che un'ora spesa a leggerlo abbia più valore dello stesso tempo impiegato a leggere altro.