Doctor Who Christmas Special 2015 - The Husbands of River Song

Considerando che ho iniziato a commentare Doctor Who a partire dalla stagione 8, quindi dopo l'ultima apparizione di River Song in The Name of the Doctor, non ho avuto finora occasione di parlare del personaggio interpretato da Alex Kingston. Bene, questo è quindi il momento giusto per parlarne.

Alla sua prima comparsa, nel doppio episodio della quarta stagione Silence in the Library/Forest of the Dead, River Song è un personaggio straordinario. Complice anche il fatto che quello sia uno degli episodi miglior di tutta la serie moderna (devo ancora rivalutare in prospettiva qualche puntata della stagione nove, ma finora lo considero alla pari con Blink), l'interazione tra River e il Decimo Dottore è eccezionale, vista la disparità di informazioni tra i due. River lo conosce bene, lui invece la incontra per la prima volta e ne rimane in qualche modo assoggettato, soprattutto quando lei rivela di conoscere il suo nome. La scena è questa:
 


River morirà poi a fine dell'episodio, facendosi promettere dal Dottore che non cambierà la storia per salvarla, perché non vuole che quello che c'è stato tra loro sia riscritto. Bellissimo e terribile, sul momento.

Il problema è che quando Steven Moffat (che ha scritto questo episodio) diventa lo showrunner nella stagione successiva, è imperativo che River Song ritorni, e così la rivediamo ogni tanto, e la sua timeline si complica in modo forse eccessivo, diventando uno dei perni centrali dell'arco narrativo dell'Undicesimo Dottore. Melody Pond/River Song ritorna in tutti gli episodi più importanti, dai finali di stagione a quello in cui Amy e Rory abbandonano lo show, ed è in qualche modo legata a tutti i protagonisti delle stagioni 5-6-7. Il problema maggiore a mio avviso è che il suo rapporto con il Dottore non è così profondo come ci è dato ad intendere, e la loro relazione non appare davvero così centrale per nessuno dei due, non tanto da giustificare l'intensità della scena qui sopra. Forse anche la differenza di età tra Matt Smith e Alex Kingston contribuisce a rendere il loro matrimonio piuttosto awkward, mentre già con Peter Capaldi si può scorgere una chimica diversa... che però non credo che vedremo, perché probabilmente questo era l'episodio conclusivo della storia di River Song.

Insomma, mi piace il concept di River Song, ma non tanto la sua esecuzione. Per cui non ero troppo entusiasmato all'idea di rivederla comparire. Ma alla fine The Husbands of River Song si rivela un episodio godibile, per lo più leggero (in contrasto con i toni della stagione nove, ma va bene così), in cui possiamo vedere per la prima volta come River si comporta in assenza del Dottore, dato che lei non sa che il Dottore ha (e potrebbe avere) un nuovo volto dopo quello di Matt Smith. La vediamo quindi agire in bilico tra crimine e giustizia, mentire e fingere per uno scopo più alto, fare la cosa sbagliata per un obiettivo nobile: tutte cose che già sapevamo ma non si erano mai viste "dall'esterno". Sulla trama non serve soffermarsi più di tanto, il cattivo di turno è uno di quelli sopra le righe, ma riesce a movimentare la storia e creare un paio di situazioni simpatiche (come la vendita della testa nel ristorante). Ci sono un paio di momenti in cui siamo portati a credere che River finga di amare il Dottore per poterlo piegare ai suoi scopi, ma fortunatamente in seguito questa idea viene allontanata, perché per quanto accattivante svuoterebbe di significato ogni loro interazione precedente.

La puntata cambia di registro quando, alla fine, il Dottore e River (che adesso sa di trovarsi con lui) si trovano su Darillium, quello che lui (fin dal loro primo incontro nella biblioteca) sa essere il luogo della loro ultima notte insieme. Anche lei in qualche modo lo sospetta, perché contrariamente alla sua politica anti spoiler ha sentito dire che quello sarà il loro ultimo incontro prima della sua morte, e inoltre nonostante le promesse di portarla lì il Dottore le ha sempre tirato il pacco all'ultimo momento. Si capisce che stavolta sarà davvero così quando lui le regala il cacciavite sonico che lei avrà nella libreria, e che incidentalmente le salverà la vita (in senso digitale). Sappiamo quindi che lì su Darillium saranno insieme un'ultima volta, per una sola notte... che dura ventiquattro anni su quel pianeta.

C'è quindi spazio per una sorta di lieto fine, con l'intesa che il lieto fine dipende sempre da dove si interrompe la storia. Purtroppo in retrospettiva questo finale contraddice in parte quanto già visto in precedenza: infatti, proprio in Forest of the Dead, River accusa il Dottore di aver sempre saputo che quella sarebbe stata la loro ultima notte, ma adesso si scopre che pure lei sotto sotto lo sapeva, e che comunque è stata una luuunga notte. Inoltre, dopo la fine della sesta stagione era stato diffuso un miniepisodio intitolato Last Night (che adesso non riesco a ritrovare) in cui l'Unidcesimo Dottore si preparava proprio per il suo appuntamento su Darillium con River, cosa che adesso è stata retconizzata, a meno di non considerare che anche quella sia una delle occasioni in cui non si è presentato. Certo non è un peccato grave, visto che in Doctor Who tutto viene contraddetto, alla lunga, ma l'operazione non è mai gradevole. Insomma, la mia maggiore preoccupazione è che alla luce di quanto visto qui, le scene di Silence in the Library perdono parte del loro valore, mentre finora erano tra le più intense mai viste in DW.

Alla fine dei conti si può comunque considerare The Husbands of River Song un buon episodio, divertente e a suo modo incastrato nella continuity della serie, e forse, stavolta, davvero l'ultima apparizione di River Song nello show (sarebbe difficile farle conoscere un'altra faccia del Dottore che non ha mai visto prima)... ma nemmeno questo è sicuro, perché appunto, in Doctor Who tutto può essere riscritto. Voto: 6.5/10

Coppi Night 20/12/15 - La zona morta

Forse non tutti sanno che Stephen King è stata una delle mie prime letture "da adulto", perché all'epoca (avevo 11-12 anni) mia sorella ne era ossessionata e io trafugavo i libri dalla sua camera. Ho letto più o meno tutti i suoi "classici", tranne quelli davvero troppo corposi che un po' mi spaventavano: It, L'ombra dello scorpione, Tommyknockers, Insomnia non ho osato tirarli giù dalla mensola. Ma da Carrie a Misery, da Cose preziose a Desperation, perfino Gli occhi del drago, oltre naturalmente alla serie della Torre Nera (fino al quarto libro, il quinto poi me lo sono preso da solo), me li sono fatti tutti. E tra tutti questi c'è stato anche La zona morta, che se i miei ricordi non mi ingannano, credo di aver letto durante le vacanze estive in cui ho dato l'esame di terza media.

Questo lungo preambolo per dire che, stando alla mia memoria del libro, questo film lo ripercorre quasi esattamente. Mi ricordo infatti che il romanzo era sostanzialmente diviso in due parti, nella prima in cui si cercava di trovare un assassino, nella seconda c'era invece un candidato malvagio alle elezioni. Il film fa esattamente la stessa cosa, e, a mio avviso, un po' perde in incisività.

A parte il fatto che si tratta di uno di quei film invecchiati male, che nonostante la regia di Cronenberg non presenta particolari guizzi d'immaginazione, e si perde in sequenze lente e musiche irritanti. Al netto di questo però, la storia stessa non è così accattivante. A mio avviso concentrando tutto sul candidato cattivo, e mostrando qualcosa in più del suo personaggio e delle sue caratteristiche, ci sarebbe stato modo di dare più pathos alla sequenza finale, così invece il film sembra disgiunto, quasi come due episodi distinti di una serie. Di fatti, mi hanno informato che da La zona morta è stata tratta più di recente una serie tv, che in effetti come formula si addice di più alla premessa del film.

Per chi ha letto il libro, la visione di questo film risulta pressoché inutile, dato che non aggiunge niente e non interpreta in nessun modo quanto avviene nel romanzo, limitandosi a dargli una forma visiva. Chi non lo ha letto provi pure, ma non credo che ne trarrà grande giovamento.

(Ah, giuro che non l'ho fatto apposta a usare Ned Flanders come immagine per due post consecutivi del Coppi Club, ma non potevo non cogliere l'occasione di citare la parodia The Ned Zone fatta in uno speciale di Halloween dei Simpson.)

Vincenzo Vasi e Valeria Sturba - OoopopoiooO

Prendetevi dieci secondi per rileggere il titolo un paio di volte e poi tornate. Noterete che la parola non è così complicata, anzi, ha una sua scivolosa musicalità, e no, non è un palindromo.

OoopopoiooO è il nome del project composto da Vincenzo Vasi e Valeria Sturba, thereministi e sperimentatori sonori come ce ne sono pochi, almeno a casa nostra. E se sentite uno strano solletichino dietro la nuca a leggere questi nomi, è perché di Vincenzo Vasi avevamo già parlato su questo blog, recensendo il suo album Braccio elettrico. Ma se allora Vasi componeva da solista, negli ultimi anni la sua musica si è arricchita della collaborazione di Valeria Sturba, giovane musicista di formazione classica che a un certo punto ha capito che appassionarsi davvero alla musica doveva darsi al theremin e ai fischietti (l'ho semplificata, ma più o meno è andata davvero così).

Il duo si è mosso inizialmente con esibizioni live, in buona parte improvvisate, e ha iniziato poi a raccogliere alcune delle nuove tracce da loro scritte o interpretate nel primo album, che si chiama appunto OoopopoiooO, uscito quest'anno sempre con Tremoloa Records. Il disco contiene 13 pezzi, scritti quasi tutti da Vasi o Sturba, con solo due eccezioni in cui i due si prestano a una reinterpretazione, come nel caso di Stabat Mater, tratta dall'opera di Pergolesi.

L'album si apre con Ricondizionamento, un pezzo che ha l'obiettivo dichiarato di "rieducare" l'ascoltatore, preparandolo per le sonorità e le strutture musicali alle quali sta andando incontro. Chi non supera il ricondizionamento può anche evitare di ascoltare il resto, ma se fate uno sforzo ne vale decisamente la pena.

Vincenzo e Valeria si presentano innanzitutto come thereministi, ma a dire la verità il theremin ha un ruolo di secondo piano in questo disco. Se in Braccio elettrico il theremin era quasi l'unico strumento utilizzato da Vasi, in OoopopoiooO la varietà dei suoni è molto maggiore. Il violino (strumento sul quale si è appunto formata la Sturba) ricopre una parte importante dei pezzi, ma anch'esso viene impiegato in modo diverso dal normale, campionato e inserito nel disegno futurista di questa nuova musica. Anche la voce, sia intesa come canto nel senso convenzionale che come strumento più grezzo, trova molto spazio, con l'inclusione di vere e proprie canzoni come Mandorle e Strada.

Certo il theremin non manca, e abbiamo ad esempio un solo theremin (anche se i theremin sono due) come Medusa, e altri pezzi che ne fanno un uso considerevole, come How do you feel to be in love with a ghost? e Crystal Ling, ma in altri casi è del tutto assente. Non che questo diminuisca in alcun modo il valore di questi pezzi, perché a essere costante e riconoscibile è un'idea di musica che non ha una definizione precisa, e in cui ogni elemento, anche quello meno "nobile", può contribuire a creare un insieme ordinato e armonico.

Ho avuto l'immensa fortuna di trovarmi un concerto degli OoopopoiooO dietro casa, i primi di dicembre, e così ho potuto ascolare dal vivo Vincenzo e Valeria. Il concerto era basato in buona parte sulle tracce dell'album, ma l'esecuzione live è un'esplosione di improvvisazione (che da sotto il palco si riconosce facilmente), una sequenza di climax e continue aggiunte che rendono ogni pezzo, e probabilmente ogni concerto, unico. Per dire, se il giorno dopo ne avessero fatto un altro sempre lì, ci sarei tornato subito, non fosse altro per vedere l'ippopotamo che canta il Bolero (vedi da 9 minuti circa):



Come accade spesso quando parlo di musica, mi rendo conto che si tratta di un ascolto non indicato a tutti, eppure sono sicuro che se provate ad abbandonare le nozioni che avete appreso su cosa è musica e cosa non lo è, potreste arrivare a godere pienamente di un'esperienza così vivida.

Potete seguire gli Ooopopoiooo sulla loro pagina Facebook, mentre sul canale Youtubbe di Valeria Sturba trovate i video dei concerti e delle tracce (consiglio Misther Theremin).

Possibili discontinuità del servizio

Rapido post di servizio per informare l'utenza di Unknown to Millions che nelle prossime settimane il blog potrebbe subire una fase di rallentamento. E non mi riferisco alle feste di fine anno, che non sono mai state un problema, piuttosto al fatto che nel corso di gennaio mi troverò in mezzo a un trasloco, pertanto il mio "tempo libero" sarà per la maggior parte assorbito da incombenze come trascinare scatoloni per sette rampe di scale e litigare con l'idraulico. E non dico niente dell'Ikea.

Non dico che il blog finirà in stasi, ma è probabile che la frequenza dei post si ridurrà, magari solo un paio a settimana, e soprattutto mi limiterò probabilmente ai post meno impegnativi, come le recensioni del Coppi Club o qualche segnalazione veloce.

Insomma non è un addio ma solo un abbiate pazienza. Se tutto va come previsto, con l'inizio di febbraio torneremo a pieno regime e sarà anche il momento di inaugurare alcune delle novità anticipate qualche tempo fa.

Coppi Night 13/12/15 - Chappie/Humandroid

Avevo visto Chappie (sì, ok, Humandroid) quando è uscito al cinema, perché Blomkamp è uno dei pochi registi di cui mi fido abbastanza da spendere i soldi del biglietto quasi alla cieca, nonostante la parziale delusione di Elysium. Infatti avevo già parlato in modo collaterale di questo film, con una riflessione più ampia proprio sulla produzione di Blomkamp. Comunque, ora che si è riproposta l'occasione, l'ho rivisto volentieri.

Negli ambienti degli appassionati di fantascienza il film non è stato accolto con molto calore. Troppo semplicistico, poco plausibile a livello tecnologico, e su questo sono d'accordo. Tuttavia, credo che la plausibilità non fosse in alcun senso l'obiettivo della storia. Lo si può capire fin dalle prime scene, quando viene detto che gli scout, i robot semisenzienti delle forze dell'ordine, entrano in funzione nell'anno 2017. Considerando che il film è del 2014, e che attualmente siamo parecchio lontanti da avere robot con queste capacità, credo sia evidente che Blomkamp volesse dirci "ehi, so che tra tre anni non saremo davvero così, ma concedetemi qualche licenza narrativa". Infatti anche altri aspetti del film sono sicuramente molto semplificati: il modo in cui il programmatore crea un software di intelligenza artificiale, la crescita di Chappie, la possibilità di trascrivere una coscienza. Siamo al solito discorso sulla sospensione dell'increduiltà, che se applicato nei termini giusti, permette di godersi questo film e ricavarne quello che è il senso sottostante, che non sta nel mostrare le conseguenze dell'uso di poliziotti robot.

Chappie è un film sull'identità e la crescita, sul rapporto tra le generazioni. Non è un caso che il robot si affidato alle cure di due diverse "famiglie", con valori completamente opposti: da una parte il programmatore che vuole sviluppare la sua morale, la sensibilità e la parte più "emotiva", dall'altro una banda di criminali che gl insegna la sopravvivenza, l'uso della forza, lo sprezzo delle regole imposte. Sono due strade ben diverse, ma è interessante notare che entrambi mentono a Chappie, entrambi cercano di piegarlo in modo più o meno subdolo ai propri obiettivi, nobili o no che siano. Chappie soffre dal tradimento di entrambi, e grazie a questo cresce, assorbe quello che gli serve da entrambi i mondi, arrivando a trovare un punto di equilibrio tra i due schemi di valori che si esprime nelle ultime sequenze del film, e che rende il robot il vero punto di riferimento morale della storia.

Naturalmente non è un film perfetto, ma a mio avviso le critiche che gli vengono mosse non sono quelle più appropriate. In molti hanno infatti lamentato la performance dei Die Antwoord, gruppo musicale piuttosto "estremo" (in molti sensi) sudafricano, ma io credo che sia stata invece una scelta molto azzeccata, proprio perché c'era bisogno di mostrare qualcosa di davvero lontano dalla "normalità". Certo le marchette con il nome del gruppo e la colonna sonora dei loro pezzi potevano essere limitate. Allo stesso modo il personaggio di Hugh Jackman è forse eccessivo nella sua bigotteria, e diventa quasi una macchietta al limite di un Ned Flanders, ma serve comunque bene il ruolo di antagonista, in una storia che in fondo enfatizza tutti gli atteggiamenti (dai criminali ai poliziotti, dai tecnici agli imprenditori) proprio per mostrare come una coscienza appena nata si rapporta con ognuno di questi.

Insomma, a me Chappie è piaciuto e lo ritengo un film di buon livello, non alla pari con District 9 che rimane il capolavoro del regista, ma più che valido. Per apprezzarlo bisogna abbandonare l'idea che sia un film di hard sf, con l'intento di mostrare gli sviluppi tecnologici futuri, e concentrarsi invece sul messaggio morale che sta sotto la superficie.

Ma Star Wars è fantascienza? (e argomenti correlati)

Il titolo è un clickbait spudorato, ma in effetti se oggi non parlo di Star Wars che ci sto a fare nella blogsfera? In merito all'uscita de Il risveglio della forza ho già condiviso su facebook le mie impressioni e attese, quindi non ripeto il discorso. Quello che in questo post volevo esporre è il mio punto di vista iniziale sulla saga, con il che intendo i 6 film, senza considerare tutto l'expanded universe (che comunque, a quanto ho capito, è stato retconizzato). Dopodiché risponderemo anche alla domanda del titolo, che è materia d'esame nei corsi di fantascienza da quarant'anni a questa parte. Si tratta di un passaggio doveroso, e siccome ho idea che nelle prossime settimane non si parlerà d'altro, tanto vale riunire in un unico posto le mie considerazioni per non dovermi ripetere di continuo.


Partiamo dall'inizio. Ho visto gli episodi IV-V-VI quando già avevano questa numerazione, cioè nell'edizione rimasterizzata degli anni 90 o giù di lì. All'epoca mi aggiravo intorno ai dieci anni di età, e naturalmente mi sono goduto i film per l'avventura, la varietà, la storia semplice ma epica. Niente di male in tutto questo. Certo, a rivederli oggi noto facilmente le ingenuità e incongruenze che pur abbondano anche nella prima trilogia. Ma ci si passa sopra senza preoccuparsi troppo, grazie anche all'effetto nostalgia.

Passiamo quindi al nodo cruciale intorno a cui si sono sviluppate negli anni tutte le discussioni a tema Guerre stellari: quanto fa schifo al confronto la seconda trilogia, quella dei prequel? Il responso è pressoché unanime, ed è difficile trovare un sosentiore convinto degli episodi I-II-III. Nemmeno io posso fare altro che convenire: i tre film più nuovi sono obiettivamente scialbi, superficiali e scivolano proprio su quegli aspetti che avrebbero dovuto renderli grandiosi. Ci sono alcuni errori piuttosto grossolani e imperdonabili, se si considera il potenziale (anche meramente commerciale) dietro questi film. Non sto a fare l'elenco di quelli che sono i (numerosi) peccati commessi in questi film, ma se vogliamo riassumere in un paio di "filoni tematici", si parla di occasioni sprecate e riscritture improprie. Tra le occasioni sprecate troviamo il repentino e didascalico passaggio di Anakin Skywalker al Lato Oscuro o l'approfondimento del rapporto maestro-allievo tra Skywalker e Kenobi; le riscritture sono l'invenzione dei midichlorian o Yoda che brandisce la spada laser.

Il lettore accorto noterà che non ho citato Jar Jar Binks tra i peccati mortali, e questo a ragion veduta. È vero, il gungan è diventato l'icona dell'imperfezione dei prequel, ma io credo che per quanto irritante e fuori posto, il povero Jar Jar sia solo un sintomo dei problemi di fondo. Tutto sommato, se si eliminano le scene in cui compare, la struttura narrativa rimane intatta, cosa che invece non si può dire degli altrettanto detestabili Ewok dell'episodio VI.

Quindi, in sostanza, riconosco che gli episodi I-II-III sono dei film mediocri, quando avrebbero potuto essere colossali, ma alla fine dei conti risultano per lo più godibili, con la sola eccezione del II, che rimane evitabile per buona parte della sua durata. D'altra parte, anche IV-V-VI hanno i loro buoni momenti che bisogna superare stringendo i denti, a voler essere obiettivi. Insomma, non ci siamo mai trovati di fronte a dei capolavori assoluti.

E qui ci si ricollega alla domanda iniziale. Se Star Wars non è un capolavoro, perché è diventato uno dei rappresentanti storici del cinema di fantascienza? Insomma, è o non è fantascienza? Va bene, lo sappiamo, le etichette non sono sempre così utili, e individuarle non è necessariamente un bene (lo abbiamo imparato parlando di Ammaniti, no?). Ma dai, non ci giriamo intorno... Star Wars va considerato sf?

La mia risposta (opinabile quanto volete, e fatelo pure) è no. In Guerre stellari non c'è niente di quell'elemento speculativo che dovrebbe ritrovarsi di un'opera di fantascienza. Alieni, astronavi, laser, iperspazio, pianeti... tanti elementi esotici, ma non basta il worldbuilding per ottenere questa etichetta. Volendo trovare un'etichetta più appropriata, forse si può pensare al planetary romance, qualcosa sul genere di John Carter. Ma di certo Star Wars non è rappresentativo degli scopi e potenzialità della fantascienza, sviluppandosi su modelli per lo più afferenti al fantasy, o al romanzo d'avventura/esplorazione. Anzi, probabilmente si puà imputare alla famiglia Skywalker una buona parte della responsabilità per l'attuale percezione distorta del cinema di fantascienza, per cui oggigiorno questa classificazione viene applicata ai film di supereroi ma non a Her, tanto per dire.

Con questo non sto facendo un discorso radical snob del tipo "guardateli voi questi filmetti". Ho già detto che la serie di Star Wars è per buona parte godibile e mi godrò anche i nuovi film (per i quali ho buone aspettative). Ma non consiglierò mai a qualcuno che voglia vedere dei buoni film di sf L'impero colpisce ancora o La minaccia fantasma.

Rapporto letture - Novembre 2015

Forse per la prima volta da quando ho iniziato a compilare i rapporti letture mensili su questo blog, mi trovo a dover parlare di un "rapporto lettura", al singolare. Perché ad ottobre sono riuscito a leggere (o almeno, a terminare) un libro solo. Ma visto che stiamo parlando di Christopher Priest, non vedo nessun problema a dedicare un intero post al suo libro.


Ho già accennato in precedenza che Priest sta diventando uno dei miei autori di riferimento, e che piano piano ho intenzione di assorbirne l'intera opera. Dopo The Prestige (bello), The Adjacent (immenso) e Inverted World (straordinario) sono passato quindi a The Islanders.  Forse, lo ammetto, non ho azzeccato del tutto la scelta su quale leggere dopo gli altri, perché The Islanders è un libro complesso, che richiede una notevole concentrazione da parte del lettore e forse una conoscenza più approfondita delle altre produzioni dell'autore. Il libro infatti è una sorta di guida turistica del Dream Archipelago, un vastissimo complesso di isole che ricopre tutta la zona equatoriale di un mondo immaginario da Priest, in cui l'autore ha ambientato molte delle sue storie. La guida è presentata fin dall'introduzione per quello che è, e troviamo "voci" per molte delle isole (non tutte, ma nessuno sa quante siano in totale) disposte in ordine alfabetico. Solo che quello che raccontano non è in ordine. Per alcune isole viene descritto appunto l'aspetto turistico, con l'indicazione di attrattive, tipo di cucina, valuta in corso eccetera; per altre invece ci sono informazioni più approfondite, ad esempio in merito a illustri personaggi originari di quel posto, o importanti avvenimenti che lo riguardano; per altre ancora viene presentata una storia che si svolge lì, senza praticamente dire niente della conformazione del posto. Inizialmente può sembrare un insieme disomogeneo e casuale, come se l'autore si fosse limitato a mettere insieme una serie di testi scritti per scopi diversi. Ma procedendo nella lettura (da metà in poi), si iniziano a scorgere collegamenti. A volte una singola frase inserita novanta pagine prima si riallaccia a quanto si legge dopo, e fornisce una visione d'insieme sempre più ampia. Può sembrare che non ci siano storie e personaggi, ma questi emergono lentamente, prima come voci enciclopediche e poi (prima ancora di rendersene conto), ne stiamo leggendo la storia in prima persona, e dopo ancora la stessa storia vista da un'altra prospettiva. Ci sono alcuni eventi-chiave che costituiscono un vago arco narrativo, come la morte di un mimo durante una sua esibizione di cui, pezzo per pezzo, ricostruiamo l'intero svolgimento. E i personaggi ricorrenti vengono via via plasmati, acquisendo dimensioni sempre maggiori, ma c'è bisogno di tantissma attenzione per poter seguire questo percorso. Per questo The Islanders non è facile, ma costituisce probabilmente un punto di raccordo per l'inter produzione di Priest, e forse letto con un background più ampio del mio (ho trovato solo un riferimento a Prachous, l'isola in cui si svolge l'ultima parte di The Adjacent) è possibile tracciare una mappa del Dream Archipelago, anche se mappe vere non ne esistono ed è impossibile tracciarne. Non è facile nemmeno assegnargli un voto, ma ritengo di potergli assegnare un voto 8/10 per la profonda immersività e l'immenso world building che ci sta dietro.

Doctor Who 9x12 (season finale) - Hell Bent

Mi sono sbagliato. Nel commento a Face the Raven, l'episodio che vede la morte di Clara, ho commesso un errore di valutazione. E non intendo il fatto che Clara sarebbe ritornata nel finale, tecnicamente ancora morta ma più che in salute: questo errore l'hanno fatto tutti, nessuno pensava che sarebbe tornata davvero (anche se erano passate alcune immagini di Clara nel ristorante, ma si pensava più a un rapido cameo). Il mio errore è stato pensare che la morte improvvisa e impietosa di Face the Raven fosse in qualche modo una sorta di punizione in termini dello show nei confronti di Jenna Coleman. No, i piani erano ben altri.

Nel corso della precedente stagione, quando la presenza di Clara si è fatta sempre più centrale e totalizzante, alcuni fan infastiditi hanno iniziato a dire che la serie non era più Doctor Who, ma era diventata Clara Who. Moffat lo sapeva bene, e per questo il season finale è davvero un episodio di Clara Who, e lo stesso titolo della serie viene pronunciato proprio dal Dottore nella sequenza finale.

Ma partiamo dall'inizio. Dopo il tour de force di Heaven Sent, il Dottore è uscito dal confessionale (senza confessarsi) ed è approdato su Gallifrey. È incazzato, parecchio incazzato, e vuole parlare con chi ha causato il suo imprigionamento, la tortura di quattro miliardi e mezzo di anni, e soprattutto la morte di Clara. Abbiamo il tempo di qualche piccola strizzata d'occhio: la capanna nel deserto dove il Dottore si nascondeva da piccolo (visto in Listen) e a cui è ritornato durante la Time War, il tema musicale di The End of Time, e la presenza di Rassilon stesso, il leggendario fondatore della civiltà dei Time Lord, che il Dottore forza all'esilio. Ma tutto questo è solo l'antefatto del vero nucleo narrativo dell'episodio: il salvataggio di Clara. "Estratta" nell'ultimo secondo della sua vita grazie all'Avanzatissima Tecnologia dei Time Lord (leggi: magia), Clara è di nuovo al fianco del Dottore, che si ingegna a trovare il modo di riportarla effettivamente in vita, invece che in uno stato sospeso di animazione tra sistole e diastole, che peraltro non sembra comportare particolari problemi fisiologici.

Segue una fuga nella Matrice di Gallifrey, il supercomputer costituito dalle menti di tutti i Time Lord defunti in maniera definitiva, lo stesso che aveva profetizzato l'avvento dell'ibrido, e il furto di un altro TARDIS (dal design asettico del 1963, che paradossalmente oggi sembra molto moderno, potrebbe essere un TARDIS progettato dalla Apple) per raggiungere la fine dell'universo, là dove il tempo comincia a perdere senso e Clara dovrebbe quindi tornare a vivere normalmente. Ma ad attenderlo alla fine dell'universo c'è invece Ashildr/Me, e i due hanno modo di confrontarsi come vecchi amici/nemici sul senso della fine, il destino di Clara, l'ibrido. La conversazione tra il Dottore e Me è uno dei momenti più intensi dell'episodio, perché i due si trattano da pari e parlano liberamente, anche se non arrivano a nessun accordo.

Si arriva così al finale. Il Dottore riconosce che lui e Clara insieme sono troppo pericolosi. Forse troppo simili per stare insieme, l'influenza di uno sull'altro porta a conseguene terribili. Quel legame va spezzato definitivamente, e l'unico modo è dimenticare. L'intenzione del Dottore sarebbe far dimenticare a Clara tutto quanto (come già aveva fatto con Donna, anche se per ragioni diverse), ma Clara si dimostra un'altra volta troppo doctorish e manomette il dispositivo, così a dimenticare è il Dottore. È così che le scene iniziali e i brevi intermezzi del Dottore nel ristornate acquisicono un senso nuovo: se inizialmente si poteva pensare che il Dottore stesse raccontando a una Clara ignara la loro ultima storia, adesso si scopre che l'ignaro è lui, e che la Clara che gli sta davanti è quella che ricorda, e si vuole assicurare che lui invece abbia dimenticato.

E questa è una cosa eccezionale. Non ho fatto mistero di quanto la presenza di Clara mi risultasse irritante negli ultimi tempi, ma questo modo di invertire la prospettiva e chiudere la sua storia è davvero straordinario, e mi porta quasi a rivalutare tutto il suo arco narrativo (che indubbiamente è stato pasticciato). Con questa conclusione la storia di Clara diventa decisamente la migliore di tutte le companion moderne, e in retrospettiva conferisce maggior senso anche alla impossible girl della settima stagione, che il Dottore incontra innumerevoli volte ma non ricorda mai.

Ora che non può più ricordare, l'ultimo messaggio di Clara diventa Run you clever boy, and be a doctor. Perché adesso lo vediamo, che il Dottore non è stato il Dottore negli ultimi tempi. Tutta questa stagione è stata una sorta di crisi di mezza età, forse dovuta all'epilogo della stagione precedente, quando già il rapporto con Clara si era incrinato, all'incontro con Davros o chissà cos'altro. E a testimoniarlo c'era la perdita di alcuni dei suoi tratti distintivi: gli occhiali al posto del cacciavite, l'abbandono delle regole che lui stesso si imponeva, come in The Girl Who Died, ma anche in quest'ultimo episodio, quando arriva a sparare al generale (pur sapendo di non ucciderlo). Non era il Dottore, non era se stesso fino in fondo, e forse a inquinarlo era proprio la presenza di Clara, da cui doveva liberarsi. Anche il TARDIS se ne accorge, e dopo un tempo indefinito di inattività si riaccende per lui e gli dona il nuovo cacciavite, in una scena che può sembrare solo un epilogo ma è determinante. Il Dottore è di nuovo libero, e può tornare a essere quello che era e avrebbe dovuto essere.

Rimane anche la possibilità che Clara si ripresenti, visto che adesso ha un TARDIS e una sua companion, e quindi la sua metamorfosi in Dottore è compiuta, tanto che anche lei è diretta a Gallifrey facendo il giro largo. Ma dubito che possa davvero accadere, perché l'amnesia del Dottore serve proprio a prevenire che si possano di nuovo incontrare. Forse non è escluso uno spin-off delle avventure di Clara e Ashildr (posto che quest'ultima trovi spazio tra un Game of Thrones e l'altro), ma non credo che rivedremo il Dottore e Clara insieme. Poi ovviamente in Doctor Who niente è irreversibile, e anche le memorie perdute si possono recuperare, ma non penso che succederà, almeno non a questo Dottore.

Ci sono sicuramente alcuni aspetti non del tutto soddisfacenti in questa puntata, che faranno infuriare una parte consistente del pubblico. Il primo e più evidente è che il ritorno a Gallifrey non è stato affatto epico quanto avrebbe dovuto, il confronto coi Time Lord si è risolto in un quarto d'ora di chiacchiere per poi tornare al problema di Clara. Questo finale era stato promosso con toni ben diversi, dato che ritrovare Gallifrey era diventato il principale obiettivo fin da The Day of the Doctor, e qui è stato invece trattato in modo solo marginale. Non è nemmeno chiaro se i Time Lord siano effettivamente riemersi dal loro mini universo e quindi il pianeta sia tornato accessibile (e in tal caso, come mai non si sia di nuovo scatenata la Time War). La seconda faccenda non risolta è quella dell'ibrido: uno dei temi ricorenti della stagione che alla fine non ha raggiunto un vero compimento. Alla fine di Heaven Sent il Dottore diceva "The hybrid is me", frase ambigua che poteva essere interpretata anche come "l'ibrido è Me", ovvero Ashildr. Sembra infati che lui sia convinto di questa teoria, o forse la espone solo per distrarre dalla verità, e cioè che l'ibrido sia lui stesso. Ashildr gli chiede come mai, se è un Time Lord, sia così legato alla Terra (un quesito mai risolto, in effetti), e il Dottore non nega. Ma emerge anche un'altra possibilità, che l'ibrido non sia necessariamente un'entità unica, e che la combinazione del Dottore e di Clara possa esserlo: d'altra parte la loro coppia è stata messa insieme dal Master, il cui piano a lunghissimo termine poteva essere proprio quello di piegare e spingere all'estremo il Dottore, fino a fargli negare la sua natura. Non sappiamo quale sia l'ipotesi corretta, e ho il sospetto che non lo sapremo mai, che nella prossima stagione non verrà più nominato l'ibrido.

È vero, queste risposte non sono state fornite, e avremmo potuto aspettarci di più. Ma è altrettanto vero che non erano l'obiettivo della storia, e che se ci aspettavamo altro... beh, è solo perché hanno voluto (come sempre) farci guardare nella direzione sbagliata. Gallifrey non era il punto di arrivo, ma solo un mezzo per raccontare questa storia, così come la vera identità dell'ibrido non era essenziale, ma la profezia è servita a far capire a entrambi quanto fosse pericoloso il rapporto Dottore/Clara. A guardare indietro, si scopre che in realtà il tema centrale di questo stagione è stato semplicemente la morte, il modo di ingannarla e affrontarla. Da Davros che cerca di rigenerarsi  ai fantasmi del Fisher King, da Ashildr resa immortale al corvo, dalle infinite morti del Dottore alla sospensione dell'ultimo istante della vita di Clara. Salvo un paio di eccezioni, ogni puntata ha affrontato questo tema, proponendo situazioni e soluzioni diverse, e preparando per la separazione ultima e definitiva che abbiamo visto adesso.

Ed è stata sicuramente una stagione eccezionale. Se si esclude lo scivolone di Sleep No More, ogni singola storia e l'intero arco narrativo sono stati di livello altissimo. Tutto si è chiuso in modo soddisfacente e siamo pronti a ripartire, a quanto pare con un episodio di natale che sarà più leggero rispetto ai toni cupi delle ultime puntate. Chi l'avrebbe detto che al decimo anno dalla sua ripresa, Doctor Who si sarebbe rivelato ancora così vivo ed efficace? Il mio vito per Hell Bent in realtà è in parte un voto in prospettiva a tutta la stagione, per cui gli assegno un voto 9/10

Coming soon: le interviste!

Come accennavo qualche mese fa in occasione dell'ultimo restyling del blog, per variegare l'offerta formativa di Unknown to Millions avevo pensato di dedicare un post ogni tanto a delle interviste. So che non è una novità, anzi, la blogsfera si basa parecchio su interviste, guest post, e varie altre forme di incrocio e condivisione di spazi tra blogger. Quello che più mi preoccupa di più di quest'idea è il rischio di cadere in un circolo di autoreferenzialità per cui io intervisto lui che ha intervistato l'altro che ha intervistato me che parlo di quello che lui ha chiesto all'altro che ha chiesto all'altro ancora di cui io ho parlato in un altro post in cui si cita il post in cui lui parlava di me.

Insomma, le interviste ho deciso di farle, ma voglio anche che siano qualcosa di più estraneo possibile all'ambito della blogsfera e dell'ambiente dell'underground letterrario/narrativo/fantascientifico in cui navigo da qualche anno. Per questo, ho deciso che in prima battuta le mie saranno soprattutto interviste musicali. Ora, lo so che quando esce un post con l'etichetta "musica" i miei affezionati lurker tornano al blogroll e vanno ad aprire i post del tipo "5 modi per usare il comic sans senza sembrare hipster", ma l'ambito musicale è uno a cui tengo molto, e mi rendo conto che nel blog non emerge abbastanza. Quindi, il punto di partenza sarà questo: ho già 3-4 contatti che hanno accettato di farsi fare qualche doamnda, non ho idea di come condurre la cosa e tutto sommato non mi sembra un problema.

Poi certo la cosa non si limiterà qui, le mie non saranno solo interviste musicali. Ma l'idea è sempre quella di dare spazio ai tanti unknown che sono lì fuori e con cui in un modo o nell'altro sono entrato in contatto, quindi ad esempio in ambito narrativo penso più ai curatori e ai traduttori che agli autori, che in fin dei conti la loro voce la fanno sentire spesso, anche a livelli più bassi del percorso di "emersione".

Ormai come ti giri è natale, quindi con ogni probabilità partiremo dall'anno prossimo con questo nuovo aperiodicissimo appuntamento, ma rimanete su queste pagine e ne leggerete delle belle e totalmente non richieste!

Doctor Who 9x11 - Heaven Sent

Ne abbiamo già parlato, di come Doctor Who sembri aver passato la maggiore età in questa nona stagione. Abbiamo visto episodi cupi, storie drammatiche e allegorie di temi attuali, abbiamo forse perso una parte di quell'innocenza che da sempre contraddistingue la serie. Che sia un bene o un male per lo show, probabilmente lo sapremo solo in seguito, quando si scoprirà se il tono di questa stagione verrà mantenuto anche nelle prossime (pare sia già stato confermato che ci saranno almeno altri cinque anni di DW, e almeno un altro con Peter Capaldi come protagonista). Ma per il momento, ci possiamo ampiamente accontentare che con questo nuovo taglio si possano vedere episodi come Heaven Sent.

Avevamo lasciato il Dottore distrutto dalla morte di Clara, e forzato al teletrasporto dalla trappola innescata da Ashildr/Me e i suoi ignoti mandanti. Adesso lo ritroviamo in un misterioso castello dalle pareti mobili, inseguito da una lenta ma inesorabile presenza demoniaca che proviene dai suoi stessi incubi, e che può fermare (solo temporaneamente) raccontando i suoi segreti.

Il primo segreto che scopriamo è che il Dottore non è fuggito da Gallifrey, duemila e passa anni prima, per noia. Questa è la versione che abbiamo sempre saputo, è quanto il Secondo Dottore racconta nel suo ultimo episodio, The War Games, il primo in cui conosciamo i Time Lord (che condannano il Dottore alla rigenerazione e all'esilio sulla Terra). In seconda battuta si apprende che il Dottore sa tutto dell'ibrido, quello di cui ha parlato con Davros. Dopodiché decide di non rivelare altro, che gli altri suoi segreti se li terrà per sé, come del resto ha sempre fatto.

Ma c'è anche qualcos'altro che questo episodio rivela, al di là delle confessioni esplicite. Forse per la prima volta vediamo il modo in cui il Dottore affronta i problemi, il suo spazio mentale sicuro in cui si rifugia per trovare la soluzione alle imminenti catastrofi, spesso la sua stessa morte incombente. Il Dottore parte dal presupposto di aver già vinto, e nella sala controllo del TARDIS spiega al suo companion (una Clara silenziosa e vista solo di spalle, attualmente) come ha fatto a salvarsi, anche se in realtà la salvezza è ancora tutta da raggiungere. E così tutte quelle soluzioni brillanti e immediate adesso appaiono più sofferte, il prodotto di uno sforzo costante e invisibile da fuori, ma che prosegue da sempre... e a volte nemmeno basta.

Heaven Sent fa un ottimo lavoro di costruzione, alimentando la tensione tenendo sullo schermo un solo personaggio, con un eccellente lavoro di regia, fotografia, musica, montaggio. Tutto contribuisce alla preparazione del climax finale, che in realtà non si risolve in un unico folgorante momento di liberazione, come siamo abituati, ma è una lunga sequenza in cui il Dottore perservera, prova, capisce, fallisce, riparte. Ancora e ancora, sapendo di averlo già fatto anche se non lo ricorda, per un tempo incalcolabilmente lungo, come l'uccellino che si affila il becco sulla montagna di diamante.

Certo si potrebbero notare delle piccole incoerenze: perché se tutte le stanze si resettano, il muro di diamante mantiene il suo stato precedente, e il teschio rimane nella stanza iniziale? E come è partito il primo ciclo, se il Dottore non aveva il teschio e l'indizio iniziale (la scritta "bird") per ricostruire quanto sta succedendo/è successo/succederà? Perché il teletrasporto lo ha fatto finire nel disco delle confessioni, e come mai uscendo da questo si ritrova su Gallifrey (quando l'ultima vosta lo abbiamo visto in mano ad Ashildr/Me)? Presumibilmente ad alcune di queste domande troveremo risposta nel prossimo episodio, così come alla rivelazione finale sull'ibrido, che potrebbe riportare nel canone della serie una teoria risalente all'epoca del film del 1996, in cui l'Ottavo Dottore (Paul McGann) rivelava di essere metà umano e metà Time Lord.

Ma in realtà di questi particolari si può fare a meno. Perché quando una storia è raccontata in modo così completo, così profondo e coinvolgente, anche quegli aspetti non del tutto chiari passano in secondo piano. Heaven Sent è una straordinaria storia che più di tante altre con alieni e technobabble vari riesce a esprimere le potenzialità dell'elemento fantascientifico di Doctor Who, un altro importante tassello nella crescita di questa serie e perfetta preparazione per il finale di stagione, che anzi a questo punto rischia di apparire sottotono rispetto a questo.

Per molti versi questo episodio mi ha ricordato il videogioco Braid, si trova la stessa pratica di trial-and-error, ripetere un errore infinite volte per tornare all'inizio e rifare le cose nel modo giusto, lasciarsi consumare da un'ossessione che forse non è così saggio assecondare, rischiare di rivelare qualcosa di sé stessi che dovrebbe rimanere dentro, per poter rimanere in pace. Anche per questo la reputo un'altra puntata straordinaria, e a questo punto, a meno di un finale pasticciato e superficiale, penso si possa già eleggere la stagione nove come la migliore del New Who. Voto: 9/10

Coppi Night 29/11/2015 - Absolutely Anything

Quando sono uscite le prime notizie su questo film ero piuttosto eccitato. Un film con Simon Pegg! Coi Monty Python! Con una trama simile a Un uomo esemplare di Fredric Brown! Sicuramente c'è da divertirsi, con una trama surreale e brillante, e tante gag sottili e english.

E invece sono rimasto fregato, e anche in modo spregevole. Un'occasione da dio (come è stato trasposto in italiano) è un filmetto scialbo e senza mordente, una commediola al pari di qualunque Ti presento i miei di turno. Solitamente mi sarei anche imbestialito per la traduzione del titolo tendenziosa, che mira chiaramente ad agganciarsi al successo di Una settimana da dio, film con Jim Carrey di diversi anni fa, ma in questo caso non posso che convenire che questo film è in ultima analisi una moscia riproposizione di quello.

Mi aspettavo che ci fossero delle situazioni molto più originali e tendenti al nonsense, invece il meglio che si può trovare sono un paio di desideri interpretati alla lettera e qualche gag sulla cacca. Buona parte del film è basta sul rapporto del protagonista con il cane (dopo che questo ha iniziato a parlare), quindi anche in questo caso niente che non si sia già visto in Bruce Almighty. C'è un minimo di twist finale quando si scopre che la percezione del bene e del male degli alieni onnipotenti è piuttosto diversa dalla nostra, ma questo non basta a dare senso a un film che per almeno metà passa il tempo con la spalla femminile (la solita belloccia che non si caga il protagonista, salvo quando decide di farsi una scappatella) e ci racconta i suo problemi sentimentali e di carriera, invece di mostrare come e perché Simon Pegg usa i suoi poteri. Peggio ancora notare che la soluzione della vicenda è ottenuta proprio dal cane, nella migliore delle tradizioni "gli animali non si fanno la guerra".

Davvero una delusione, non c'è altro modo di classificare questo film. Se mi verrà voglia di vedere un'altra ocasione in cui Simon Pegg viene messo alla prova dagli alieni per capire il valore della razza umana, credo che sia il caso di riguardare La fine del mondo.

Se i dinosauri non si fossero estinti

Esce in questi giorni al cinema The Good Dinosaur (da noi Il viaggio di Arlo), secondo film della Pixar di quest'anno che si aggiungo al già ottimo Inside Out. La storia segue le avventure di Arlo, un giovane dinosauro sauropode a cui si affianca un piccolo umano selvatico, in un mondo in cui i dinosauri non si sono estinti e hanno quindi costruito una loro civiltà, basata su agricoltura e allevamento. Seppur in maniera non rigorosa (dopotutto si tratta di un cartone, pensato per un pubblico principalmente di bambini [ma come sempre coi film Pixar, c'è molto di più sotto la superficie], quindi non ci si può aspettare accuratezza scientifica estrema), The Good Dinosaur parte quindi dalla premessa: e se i dinosauri non si fossero estinti? Come sarebbe il mondo oggi?

Chiaramente questo film non è il primo a porsi il quesito, anzi, letteratura, filmografia e la ricerca abbondano di opere che cercano di rispondere a questa domanda. Fin da quando i dinosauri sono diventati popolari ci si è chiesto che fine avessero fatto bestie così impressionanti, e una volta scoperte le tracce dell'estinzione di massa K-T, ci si è chiesti dove sarebbe arrivata oggi l'evoluzione dei dinosauri se non fossero scomparsi decine di milioni di anni fa.

Gli scenari variano. Dal "dinosauroide" ipotizzato negli anni 80 da Dale Russell, ipotetica evoluzione fin troppo antropomorfa (e quindi probabilmente distorta) dei troodonti, agli Yilanè di Harry Harrison (un tentativo molto più complesso di immaginare una civiltà derivante dagli animali del mesozoico, anche se in questo caso le creature ad evolvere l'intelligenza non sono tecnicamente dinosauri ma discendenti dei mosasauridi), tutte le ipotesi sembrano convergere sull'idea che il percorso evolutivo dei dinosauri li avrebbe inevitabilmente portati a sviluppare una forma di vita intelligente e tecnologica, arrivando a prendere il controllo del pianeta che adesso spetta all'uomo. Quindi, secondo queste ipotesi, dovremmo essere grati al meteorite che presumibilmente ha innescato l'evento catastrofico di 65 milioni di anni fa, perché sotto sotto, quello che ci interessa davvero, è sapere che fine avremmo fatto noi, se i dinosauri fossero ancora in giro.

Deliri creazionisti a parte, l'idea di una convivenza tra uomini e dinosauri è già stata esplorata, e viene ripresa appunto anche in The Good Dinosaur, se non che qui gli umani sono creature fondamentalmente selvatiche, animali incapaci di parlare e di ragionare compiutamente, come invece sanno fare i dinosauri. Quanto è realistico uno scenario del genere?

L'estinzione K-T ha sicuramente funzionato da reset di buona parte delle forme di vita dell'epoca, lasciando libere numerose nicchie ecologiche in un ambiente profondamente mutato, cosa che ha consentivo ai meccanismi evolutivi di riempire i vuoti. È verosimile che la grande differenziazione dei mammiferi non sarebbe avvenuta se le forme di vita del cretaceo non fossero rapidamente scomparse, e di conseguenza probabilmente oggi non esisterebbero i primati. Tuttavia è possibile ipotizzare (come appunto fa Harrison nella serie degli Yilanè) che in alcuni ambienti isolati, magari dopo il raggiungimento di una separazione dei continenti simile a quella attuale, alcune specie avrebbero potuto trovare lo spazio per seguire un perocrso evolutivo analogo a quello che ha portato alla comparsa degli umani. Certo, con sessanta milioni di anni di svantaggio, difficilmente questi uomini alternativi avrebbero potuto competere con i dinosauri intelligenti, antropomorfi o no che fossero.

O forse sì? In realtà, a pensarci bene, l'idea che i dinosauri (o meglio, alcuni dinosauri: si punta soprattutto sui teropodi di piccola taglia come appunto i troodonti) avrebbero raggiunto un livello di intelligenza simile a quello umano, e quindi creato una civiltà, non è così convincente. Questo perché si basa su assunzioni errate.

Il primo errore, tipicamente antropocentrico, è quello di ritenere che l'intelligenza (quella che noi definiamo intelligenza) sia il punto di arrivo di qualunque percorso evolutivo. Questo non è assolutamente dimostrabile, e per quanto ne sappiamo oggi, comunque poco probabile. In genere gli organismi che prosperano sul pianeta fanno a meno dell'intelligenza, o almeno di quel tipo di intelligenza di cui è dotato l'uomo. Certo è innegabile che questo carattere abbia enormemente avvantaggiato gli umani e che oggi la nostra si possa considerare la specie dominante, ma anche senza ipotizzare scenari di autodistruzione globale, non è assolutamente detto che questo sia davvero il punto di convergenza di tutti i percorsi evolutivi, se non altro perché l'evoluzione non ha un percorso. Purtroppo il paradigma dell'evoluzione come progressione da organismi semplici a complessi è difficile da eradicare, e quindi molti ragionamenti puntano sempre in questa direzione.

La seconda assunzione fallata è quella che i dinosauri siano estinti. Che i grandi rettili che facevano rimbombare il terreno milioni di anni fa siano tutti morti, e ne restino oggi solo i resti fossilizzati. Questo non è vero. Guardate il bengalino che tenete in gabbia, il passerotto che vi ruba le briciole dal terrazzo, il piccione che vi scacazza sul parabrezza: eccoli lì. Se è vero che buona parte degli animali esistenti alla fine del cretaceo sono scomparsi dell'estinzione di massa, è altrettanto evidente che la loro evoluzione non si è fermata allora, e che quelli che oggi chiamiamo uccelli sono i diretti discendenti di almeno una parte di quel vasto gruppo di forme di vita. Non c'è quindi bisogno di sforzi di fantasia così arditi, per immaginare come sarebbero i dinosauri oggi. Li vediamo già, in forme nemmeno tanto dissimili da quelle che assumevano allora (anche il paradigma del dinosauro-rettiliano è duro da superare), per cui la risposta alla domanda iniziale è davanti ai nostri occhi.

Poi naturalmente la speculazione può andare oltre. Si può pensare che la competizione tra le specie sarebbe andata diversamente, se non si fossero estinte l'80% delle forme di vita nell'evento K-T, e quindi è quasi sicuro che non avremmo avuto esattamente gli uccelli attuali. Ma la strada tracciata è quella, e la conosciamo tutti. La domanda iniziale perde quindi di significato, fintanto che si considera l'estinzione in termini assoluti, invece che come una normale fase del processo evolutivo. D'altra parte, anche gli australopitechi sono estinti, eppure eccoci qua.

Doctor Who 9x10 - Face the Raven

Ok, è andata. La lungamente anticipata uscita di scena di Clara si è compiuta, come sapevamo, in questo episodio. Si sapeva che sarebbe uscita nel corso della stagione, prima del finale, ma ovviamente non si conoscevano le modalità. E così Clara Oswald è diventata la prima companion dell'era moderna di Doctor Who a morire. Abbiamo avuto abbandoni in altri universi, in altri tempi, amnesie totali, ma finora sapevamo che tutte le precedenti companion erano ancora vive, e presumibilmente al sicuro, da qualche parte. Clara invece è morta, e per quanto la sua natura di impossible girl ci avesse già mostrato diverse sue dipartite, in incarnazioni differenti, questa è la fine della sua versione primaria e originale.

Non sono scioccato, devo ammetterlo. In effetti sospettavo che la sua sarebbe stata una fine molto brusca. E nella puntata, appena si parla di sentenze di morte con conto alla rovescia tatuato, si intuisce subito che sarà la sorte che toccherà a lei. Certo rimane sempre la speranza che il Dottore, come al solito, risolva tutto all'ultimo secondo, ma stavolta non è così.

Il Dottore non può salvare Clara perché si è condannata da sola. Il personaggio di Clara è stato abusato nel corso delle tre stagioni in cui è comparso, penalizzato da una sceneggiatura che forse non riusciva a trovarle la giusta collocazione, in particolare al fianco del nuovo Dottore. Questo Dottore, il Dodicesimo, non è un Dottore romantico come i precedenti (dall'Ottavo in poi), è ruvido e spigoloso, e trovargli una companion adatta non è stato facile. Ma nell'ultima stagione in particolare, abbiamo visto Clara sempre più incurante del pericolo, suo e degli altri, sempre più convinta di poter giocare con le stesse regole del Dottore quando lui parte con delle carte notevolmente vantaggiose rispetto a un qualunque umano. La fine di Clara non è epica, non è determinante, in fondo non è nemmeno così drammatica. Clara muore per una leggerezza, perché ha creduto di poter agire come il Dottore e poterla sempre scampare. Di solito funziona, ma non sempre. E basta una sola volta a far chiudere la partita.

Gli ultimi momenti tra il Dottore e Clara sono pacati, senza scenate o proclami strazianti. È il saluto di due persone che si conoscono, che non hanno bisogno di esprimere a parole quello che provano. Quello che emerge di importante, e che probabilmente transiterà nei prossimi episodi, è la raccomandazione (ordine?) di Clara di rimanere il Dottore, e non lasciare che la rabbia lo trasformi di nuovo in un guerriero.

Qualcuno potrebbe anche malignamente pensare che si sia voluta dare una conclusione poco onorevole alla storia di Clara per punire Jenna Coleman di aver cambiato idea sull'abbandonare lo show alla fine della scorsa stagione. Che Last Christmas fosse stato pensato come episodio d'addio di Clara è assodato, tanto che è proprio negli ultimissimi minuti che invece la sua presenza viene confermata. Quella sarebbe stata sicuramente una fine degna, senza inutili atti di coraggio ma con la dignità di chi ha imparato qualcosa dal suo percorso. Ci sono speculazioni sul possibile ritorno di Clara, sull'idea che la sua morte non sia definitiva, ma non credo siano affidabili. È possibile che ricompaia in forma di sogno/visione o venga citata, soprattutto nei prossimi due episodi, ma non credo che vedremo di nuovo Clara accompagnare realmente il Dottore.

Del resto di Face the Raven non c'è molto da dire, la trama infatti non ha molta forza, ed è chiaramente concepita proprio per portare alla sequenza finale. Simpatica la parte iniziale con la ricerca dei luoghi nascosti, e la presenza di una sorta di campo profughi per alieni sotto copertura (concetto comunque ripreso da molti altri film e serie). La presenza del writer di Flatline non aggiunge quasi niente (personaggio di cui ci si era dimenticati senza rimorsi), mentre invece è gradito il ritorno di Ahildr/Me, che di nuovo sembra voler sfidare il Dottore. Le cose però le sfuggon di mano, e le ultime parole rivoltele dal Dottore fanno pensare che si sia trovato un modo ingegnoso per non far più comparire Maisie Williams in Doctor Who, nonostante il suo personaggio dovrebbe mantenere un certo peso.

Il tutto si ricollega direttamente al finale di stagione, con un arco di tre episodi simile a quello visto alla fine della stagione tre. E per la prima volta il Dottore affronta le minacce di un season finale senza un companion, cosa che potrebbe risultare molto interessante, soprattutto se quel Dottore è l'attuale Dodicesimo. Questi elementi lo rendono un buon episodio, che però assume senso solo dopo metà, quindi non troppo solido come storia in sé, al netto dell'importante punto di svolta della serie. Voto 6.5/10

Coppi Night 15/11/2015 - I tredici spettri

Dopo una breve pausa dedicata a un (interessante) film carcerario, siamo tornati all'involontaria successione di horror del Coppi Club. Stavolta però si parla di uno di quei film che cercano di stare così sopra le righe da perdersi completamente in direzioni incomprensibili. I tredici spettri è una ghost story, con tanto di casa stregata, che però non funziona sotto numerosi punti di vista.

La storia di base potrebbe anche essere valida: uno sfortunato vedovo (Tony Shalhoub, che apprezzo sempre memore del suo Monk) riceve in eredità da uno zio mai conociuto una villa (e già lì uno si dovrebbe insospettire), e si trasferisce qui con i due figli e la babysitter. Molto presto si scopre però che la casa racchiude all'interno dodici fantasmi, che sono stati catturati nel tempo e intrappolato nel seminterrato, con lo scopo preciso di dare avvio a un particolare rito in grado di conferire al suo progettista potere e conoscenza assoluti. Questa storia, messa nelle mani di qualcuno di capace, avrebbe potuto essere intrigante e anche spaventosa. Un campionario di dodici diversi spiriti, ognuno con caratteristiche e capacità diverse, tutti intrappolati nello stesso posto, poteva portare a qualche buona scena. Anche altri spunti sono interessanti, come i sensitivi attivisti che si battono per la liberazione degli spiriti imprigionati, o gli occhiali che permettono di vedere i fantasmi.

Il problema è che tutto è mescolato senza armonia, in una sbobba dal sapore indistinto, che a volte sembra indugiare nello splatter, altre cerca la commedia, poi prosegue per la ghost story classica o il dramma familiare. La tensione è continuamente smorzata e le trovate per far proseguire la trama sono prevedibili e noiose, così come irritanti sono quasi tutti i personaggi. Siamo alle solite, qualcuno ha l'idea che mettere dei ragazzini capricciosi in un film lo renda più apprezzabile per una certa fascia di pubblico... quale sia poi ancora non è chiaro. Qui oltre ai due bimbetti abbiamo anche la babysitter (pagata per cosa e con cosa non si sa) che è un'altra macchietta, in questo caso l'afroamericana del Bronx coi suoi atteggiamenti esagerati. E la cosa terribile è che è proprio lei a essere risolitiva nel finale del film. Infine vanno notate le frequenti sequenze al rallentatore i lunghi campi sequenza di stanze vuote, che sembrano avere il solo scopo di allungare il minutaggio per arrivare all'ora e mezzo canonica.

Un film terribile sotto tutti i punti di vista, frustrante, prevedible e noioso. Da rimpiangere sempre e ancora di più i Ghostbusters.

Rapporto letture - Ottobre 2015

Ottobre è stato un mese impegnativo sotto diversi fronti ma ho anche avuto il tempo di accumulare un buon numero di letture. Una cosa che noto solo a posteriori, stilando questa lista, è che (forse inconsciamente) mi sono trovato a leggere tra settembre e ottobre libri di autori o case editrici che ho avuto modo di incontrare personalmente a Stranimondi e al Lucca Comics. Curioso, ma anche a suo modo confortante, notare come queste piccole realtà riescano a produrre lavori di buon livello, nonostante quello che si dice di solito. Entriamo nello specifico.


Mono No Aware e altre storie è il primo libro di Future Fiction che leggo (anche se ne ho diversi in lista d'attesa). Conosco già Ken Liu per alcuni racconti letti qua e là, e in questa raccolta se ne trova una selezione interessante. Le sue storie sono ambientate in futuri non troppo lontani e affiancano a situazioni di fantascienza hard una componente "umana" molto forte, insistendo su temi come i legami familiari, lo scontro tra tradizione e tecnologia, l'identità personale e dei popoli. Si tratta quindi di racconti carchi di sentimento e trasporto, che invitano a riflettere tanto sul mondo quanto su se stessi. Non è un caso che Ken Liu sia uno degli autori di cui si parla maggiormente negli ultimi anni. Voto: 8/10


Di Samuel Delany ho letto solo due romanzi e ho trovato molto affascinante il suo lavoro sul linguaggio, sia come elemento narrativo che di stile (Babel 17 è sicuramente un romanzo memorabile). Anche La ballata di Beta-2 si basa principalmente su un tema del genere: un giovane ricercatore deve scoprire l'origine di una canzone popolare originaria di una vecchia astronave generazionale disastrata. Visitando di persona l'astronave e incontrando i suoi attuali occupanti (discendenti degenearati di quei primi viaggiatori) scopre in che modo il testo della ballata trova corrispondenza in fatti realmente avvenuti, di cui però è impossibile comprendere il significato nel presente. La storia è interessante, a mio avviso però manca qualcosa, arriva a una conclusione troppo brusca e non sembra davvero chiudersi. Forse avrebbe beneficiato di una cinquantina di pagine in più con un epilogo più esteso. Voto: 6.5/10


La serie di Trainville è un lungo ciclo di romanzi di Alain Voudì, versatile autore italiano che negli ultimi anni ha inanellato una successione di pubblicazioni consistente. Si tratta di un'ucronia simil-steampunk ambientata in un far west in cui è già utilizzata l'energia atomica, che permette un'alimentazione costante ai mezzi su rotaia, cresciuti quindi a dismisura fino a diventare vere e proprie città semventi. In Arrivo a Trainville abbiamo l'inizio della vicenda, che dopo un breve prologo vede la giovane protagonista, priva di qualunque memoria, imbarcarsi sul treno-città. Trattandosi del primo "episodio" della serie si fa appena in tempo a conoscere alcuni personaggi principali e un'infarinatura dell'ambientazione, per cui non è facile valutarlo. La curiosità di proseguire comunque rimane (ma ammetto il mio bias positivo per il western).


Passiamo poi al secondo volume della trilogia arabesca di Jon Courtenay Grimwood pubblicato in Italia da Zona 42. Effendi riprende la storia esattamente da dove finisce Pashazade, raccontando però gli ultimi avventimenti da altre prospettive oltre a quella di Raf. La narrazione qui si fa più ampia, includendo un maggior numero di personaggi e attingendo alla "mitologia" di questa storia alternativa. Se in Pashazade ero rimasto inizialmente disorientato dalla struttura della narrazione, stavolta ero più preparato e sono riuscito a seguire e immergerci meglio tanto nella vicenda che nei protagonisti. Inoltre in Effendi sono più marcati gli elementi di natura fantascientifica (la volpe innanzitutto, ma non solo) che portano a collocare il romanzo in futuro abbastanza vicino, pur su una linea temporale diversa dalla nostra. Per queste ragioni penso di aver apprezzato maggiormente questo libro del precedente, e sono abbastanza impaziente di incontrare di nuovo Raf, la volpe (e in fondo anche Eduardo). Voto: 7.5/10


Ultimo libro letto nel mese è un raccolta di Massimiliano Malerba, autore che si è affermato nell'ambito del Trofeo RiLL e che ha quindi pubblicato una sua raccolta personale. In L'ostinato silenzio delle stelle si trovano storie soprattutto di fantascienza, ma anche fantastiche in senso più generale. Malerba è un autore abilissimo che riesce a creare grandi storie anche in racconti brevi. L'originalità sicuramente non è il valore primario di queste storie, ma non è importante, perché a rendere davvero intensi i racconti sono i personaggi, il lato emotivo e umano delle vicende, che è sempre il focus centrale. Si respira in genere un'atmosfera malinconica, si percepisce la caducità delle cose (materiali e immateriali), e in questo senso ho notato una certa affinità con Ken Liu di cui parlavo sopra. Forse è solo un caso che anche Malerba sia appassionato di cultura orientale... in ogni caso, questa è una delle antologie più profonde che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi, e merita sicuramente un voto 9/10

Doctor Who 9x09 - Sleep No More

Ah, meno male. Nella recensione dello scorso episodio dichiaravo la mia difficoltà a commentare questa stagione di puntate eccellenti, temendo di apparire troppo fanatico della serie, ma fortunatamente con Sleep No More si casca decisamente in basso e posso dimostrare di saper essere critico.

Questo episodio è pessimo per una serie di ragioni che si accumulano a formare una massa di incomprensibilità e frustrazione inattaccabile. Ci sono ragioni secondarie, che potrebbero portarlo a essere un episodio solo mediocre, e poi altre più gravi che lo squalificano del tutto. Cominciamo con le prime.

I mostri. I mostri di questo episodio sono... ehm, cispe. Non so se esiste un termine più scientifico per quei grumi di secrezioni mucose che si formano agli angoli degli occhi, e che in genere si sviluppano nel corso della notte. Per qualche motivo, non dormire (grazie alla tecnologia delle capsule Morfeo) provoca una rapida evoluzione delle cispe che diventano creature senzienti che si nutrono degli umani. Rileggete pure queste frasi con calma, cosa che evidentemente non hanno fatto gli autori dela serie. Altro aspetto negativo di secondaria importanza è il messaggio di "rispetto per la natura" che la storia sembra veicolare, l'idea che usare la tecnologia per migliorare la vita delle persone sia sbagliato perché "contro natura". Certo in questo caso ci si priva del sonno per ottenere una maggiore probabilità (it's space-capitalism, baby) quindi è male, ma il discorso rimane valido. Ora, questi due dettagli della trama sono deprecabili ma tutto sommato non sono così rari in Doctor Who, sia nella serie classica che (in minor misura) in quella nuova abbiamo avuto decine di mostri improbabili e di morali da zecchino d'oro.

Ma quello che davvero rende Sleep No More una puntata davvero inconsistente è la sua struttura, e il suo approccio metatestuale. Probabilmente l'idea di base era quella di fare un episodio in found footage, ma renderlo in qualche modo sensato e giustificabile ai fini della storia stessa, cosa che generalmente i found footage non sono (cioè, quasi sempre non ha senso che ci sia qualcuno con la videocamera sempre accesa e che poi abbia montato il video finale). Qui invece abbiamo lo scienziato malefico di turno (che è lo stesso delle capsule anti-sonno) che ci spiega fin dall'inizio di aver raccolto e ordinato lui la registrazione, per raccontare una storia. Più avanti si scopre che in realtà non ci sono videocamere che stanno riprendendo, e che quello che si vede è il punto di vista dei protagonisti della vicenda, registrato a loro insaputa. In ogni caso si viaggia sui soliti archetipi del found footage, con atmosfere horror, fughe, urla, inquadrature traballanti e così via. E va bene, crediamoci. Ma verso la fine si inizia a capire che c'è qualcosa di più, o forse di meno, in tutto questo. E alla fine il Dottore stesso lo dice: "Non ha alcun senso".

"Non ha alcun senso" sono le ultime parole del Dottore di questo episodio, quando si rende conto che ciò che succede non può essere spiegato e l'unica cosa che gli rimane da fare è andarsene, per una volta definitiamente sconfitto in quanto incapace di trarre una conclusione e trovare una soluzione al problema. Ma quello che si scopre poco dopo, con l'ultima narrazione dello scienziato malvagio in cui viene rivelato che tutto quello che ci è stato mostrato è stato messo appositamente insieme per tenere lo spettatore davanti allo schermo in modo che potesse essere "infettato". Per questo non ha senso, perché non è accaduto davvero, è stato artefatto perché potesse risultare appassionante. Ora, a parte il fatto che appassionante lo era proprio per nulla, questo pone però un problema: ciò che si è visto è successo davvero? Il Dottore è mai stato davvero sulla stazione nettuniana? I mostri di cispe esistono o no? Se esistono, come potevano essere controllati dallo scienziato, e se non esistono, da cosa stavano fuggendo i personaggi? No, non ha alcun senso.

Ecco cosa rende l'episodio del tutto fuori registro. La storia scavalca in maniera preoccupante e incoerente la quarta parete, veicola un messaggio meta-narrativo direttamente allo spettatore, al di fuori dell'universo narrativo della serie, nel tentativo di impressionare o addirittura spaventare lo spettatore. E non solo è un'operazione disonesta, ma anche inefficace, perché Sleep No More è in prima battuta noioso, e in seconda insensato. Uno dei peggiori episodi dell'era di Capaldi, un voto 4/10

Coppi Night 08/11/2015 - Cella 211

I film di ambientazione carceraria sono un classico, e in genere posso anche dire di gradirli. Che si tratti dell'evasione, o dell'infiltrazione, o varianti sul tema, il vasto parco di personaggi (spesso un po' delle macchiette) che si ritrovano in questa ambientazione riesce a movimentare la storia. Inoltre c'è quasi sempre un sottotono di indeterminatezza, quell'incertezza nell'identificare chi sono i buoni e i cattivi. Per definizione i carcerati dovrebbero essere il male e i carcerieri il bene, ma quasi sempre il confine non è così netto, anzi. Filme come Das Experiment lo rendono in modo esplicito e drammatico, ma anche in altri meno impegnati si trova sempre il recluso nobile e il secondino stronzo.

Questo Cella 211 è arrivato completamente di sorpresa. Film spagnolo di alcuni anni fa, non è certo un blockbuster con una distribuzione capillare alle spalle, ma si distingue per diversi aspetti ben congegnati. La storia di base è quella della rivolta nel carcere, i detenuti che riescono a prendere controllo della prigione, tengono degli ostaggi e avanzano richieste. La situazione è movimentata dal fatto che il protagonista non è un carcerato ma una guardia appena assunta, che per caso si ritrova da solo in una cella nel momento in cui scoppia la rivolta, e capisce quindi che l'unica possibilità per salvarsi è quella di farsi passare anche lui per un detenuto, e unirsi ai ribelli. Per una serie di circostanze arriva a diventare uno degli uomini di fiducia di Malamadre, il leader della rivolta, ed è quindi nella posizione di portare avanti il suo pericoloso doppio gioco.

Il film mantiene un alto livello di tensione e le interpretazioni sono convincenti. Juan, il protagonista, non è affatto un eroe, è un ragazzo certamente sveglio ma impreparato per una situazione del genere, ma per salvare prima se stesso e poi sua moglie, è costretto a fare cose che non avrebbe mai pensato prima. E se inizialmente il suo è solo un modo per garantirsi la sicurezza e non mettere in pericolo gli altri ostaggi, poco per volta la prospettiva cambia, e le pretese di Malamadre (che poi riguardano le condizioni di vita nel carcere) gli paiono sempre più giuste, fino al punto da abbracciare davvero la rivolta (e la vendetta, anche). Da parte sua, anche Malamadre ha un cambio di prospettiva, quando inevitabilmente viene a sapere che Juan è una guardia, quindi uno di loro.

Ci sono forse un paio di punti non del tutto chiari, ad esempio il modo in cui la rivolta esplode (vediamo Malamadre che si libera delle manette, ma come da qui si passi all'apertura di tutte le celle non è chiaro), e la ragione delle proteste fuori dal carcare quando si diffonde la notizia della situazione. Quest'ulitmo aspetto probabilmente si ricollega al fatto che gli ostaggi sono membri dell'ETA, e che c'è quindi una tematica politica di fondo che forse al di fuori della spagna non è del tutto comprensibile.

Il film comunque non ne perde troppo, perché a portare avanti la storia sono i protagonisti, Juan e Malamadre in particolare, e il modo in cui il loro rapporto e i loro schemi di pensiero si evolvono nel corso della vicenda. E questo è reso in maniera inaspettatamente efficace.

Piccole cose inutili

Oggi avrei dovuto pubblicare sul blog il commento all'ultimo film del Coppi Club, ma quando ho scoperto quello che era successo ieri notte ho preferito rimandare il post, anche perché per una sgradevole coincidenza conteneva anche alcuni accenni al terrorismo (anche se non quello "islamico"). Ho preferito il silenzio, e non ho voluto aggiungere parole inutili al marasma che già si è sollevato. D'altra parte, su questo blog non si parla di cose così importanti, si trattano argomenti frivoli: libri, musica, fantascienza, film... non è certo con questi che si affronta la situazione odierna.

Volendo lasciare a mio modo un commento, trovare qualcuno che parlasse con me, mi è venuto in mente di citare proprio l'ultimo episodio di Doctor Who, trasmesso la settimana scorsa, e che per un'altra sgradevole coincidenza affrontava in maniera diretta temi come l'integrazione, la convivenza, la guerra. Su facebook ho inserito un video tratto dalla puntata, e lo ripropongo qui:


 

"Ma ti pare il caso?" si potrebbe obiettare. Ti sembra che una cosa così grave vada commentata con una cazzata del genere, sminuita al livello di una serie tv?

Ci ho pensato un pochino, e dopo mezza giornata sono arrivato alla conclusione che sì, mi pare davvero il caso. Mi sono reso conto che quello che sono, quello che penso, quello che voglio, è influenzato in maniera forte dai libri che ho letto, i film che ho visto, la musica che ho ascoltato. Che tutte quelle piccole cose inutili con cui ho perso tempo hanno contribuito a formarmi e rendermi, per molti versi, migliore di quello che sarei altrimenti.

Un episodio di Doctor Who o un libro di Kurt Vonnegut mi hanno fatto acquisire una consapevolezza maggiore di qualunque libro di storia, hanno provocato in me reazioni più forti di qualunque discorso alle Nazioni Unite. E mi viene quindi da pensare come sarebbe la situazione, se tutti nel mondo avessero letto Mattatoio n. 5 o Straniero in terra straniera o The Adjacent, se tutti avessero visto Wall-E o Her, se tutti avessero ascoltato Moderat o Paul Kalkbrenner, solo per citare qualcuno che forse non ha nemmeno un collegamento diretto con la situazione attuale. Mi chiedo se non sia possibile cambiare qualcosa senza usare i paroloni e scomodare le poltrone più in alto. Se non abbiamo tutti bisogno di storie che ci accompagnino sulla strada della ragione e della comprensione, piuttosto che nozioni, ideali e programmi.

Mi viene quasi da pensare che queste cose frivole, queste cose inutili e superflue siano in fondo quelle che potrebbero salvarci. Non ne sono sicuro, forse è solo un modo per ripulirmi la coscienza. Ma se si dice che tutti dobbiamo fare qualcosa, forse partire dal basso può servire a qualcosa.