3%

Come ormai dovreste sapere, mi piace quando sono abbastanza motivato dedicare attenzione alle serie tv non anglofone, infatti anche qui ho parlato per esempio di Leila e Beforeigners, ma ne ho altre all'attivo su cui poi non ho diffuso commenti, come Si no te haguo conegut che non so se si scrive così in catalano ma non ho voglia di controllare ora lo spelling. Comunque, tra le serie dal mondo seguite negli ultimi anni c'è anche 3%, produzione brasiliana iniziata nel 2016. Non ne avevo parlato finora perché non avevo trovato l'occasione, adesso però dopo la visione della quarta e ultima stagione penso valga la pena fare un riepiloghino.

 

3% è una serie distopica che si basa su un ottimo concept: in un mondo che è un'unica vasta favela, il 3% della popolazione vive su un'isola al largo della costa (chiamata Maralto, oppure offshore nella traduzione) con tutti i lussi immaginabili. Per far parte di questo 3%, ogni anno tutti i ventenni possono partecipare a una selezione (il Processo), che prevede una serie di prove volte a stabilire le qualità dei candidati (intelligenza, velocità, pensiero laterale, stabilità psichica) affinché a Maralto arrivino solo i migliori dei migliori. Il Processo si può tentare una sola volta: o passi ed entri a far parte dell'élite, o rimani nelle favela con l'altro 97%.

Il format quindi assomiglia un po' a quello di Hunger Games, con orde di ragazzi poco più che adolescenti che si presentano a questa selezione e si scontrano nelle varie prove. Ma almeno, si può pensare, non sono costretti ad ammazzarsi: fai il tentativo, se ti va bene passi altrimenti torni a casa. La questione semmai è che se inizialmente le prove possono sembrare abbastanza innocue (un colloquio di persona, un puzzle 3D) poco per volta aumentano di complessità e ambiguità morale, arrivando a testare le capacità di mentire, l'aggressività, la manipolabilità. Ci si rende presto conto che per essere meritevoli di entrare nel 3% non basta essere brillanti, bisogna essere spietati. 

Naturalmente non tutti sono così favorevoli a questo stato delle cose. Esiste infatti un gruppo clandestino di oppositori, "la Causa" che intende infiltrare il Processo e distruggerlo dall'interno. Parallelamente gli agenti di Maralto diffondono propaganda nell'entroterra per alimentare il mito della vita perfetta del 3%, così che la promozione al Processo ha lo stesso valore di un passaggio nell'Aldilà. Tanto più che una volta stabiliti sull'isola, i selezionati devono interrompere qualunque contatto con il continente, e non potranno più avere notizie di famiglia e amici.

Nel corso della prima stagione seguiamo principalmente un gruppo di ragazzi, e puntata dopo puntata scopriamo le loro storie personali. Ci sono alcuni che fanno parte della Causa, qualcuno che ha già tentato il Processo e lo sta facendo di nuovo clandestinamente, rampolli di famiglie che per tradizione passano sempre la selezione, figli di predicatori che promuovono il Maralto come il paradiso. Vediamo anche il Processo dal lato degli organizzatori, in particolare del direttore della selezione che ha messo a punto le varie prove. Tutta la stagione si snoda tra le prove che i ragazzi affrontano, muovendosi sul filo della contrapposizione continua tra i protagonisti e dal sospetto reciproco, visto che man mano che si conoscono scoprono i rispettivi segreti e sono sempre più a rischio di venire eliminati.

La prima stagione è senza dubbio ottima, perché riesce ad allineare il tema di fondo con una dinamica appassionante e la progressiva conoscenza dei personaggi, con numerosi ribaltamenti di prospettiva. Ma è altrettanto fuor di dubbio che le stagioni successive non mantengono lo stesso livello. Nella seconda stagione alcuni dei protagonisti hanno passato la selezione e abbiamo quindi l'occasione di seguirli a Maralto e scoprire quindi come funziona questo paradiso in terra, scoprendo che l'utopia è fondata su una menzogna e si serve di mezzi di coercizione sulla sua stessa popolazione, cosa che però mina fortemente il principio di fondo che l'elite del 3% viva una vita perfetta. La terza stagione perde tanto tempo dietro la creazione di una società alternativa e i tentativi di mantenerla in piedi, resistendo ai tentativi di sabotaggio e alla tentazione di prendere una strada simile a quella del Processo. La quarta stagione riannoda i fili con lo scontor finale tra entroterra e Maralto, arrivando a una conclusione dovuta che però non offre davvero una soluzione al problema.

C'è da dire che la serie deve aver sofferto anche di complicate vicissitudini di produzione, e che probabilmente la scarsa disponibilità del cast principale ha influito sullo sviluppo della storia. Già molto presto nella seconda stagione, quello che era il principale antagonista della vicenda viene tolto di mezzo, e bisogna così investire tempo e credibilità nel tirare su un nuovo villain degno, che però appare sempre inferiore perché più brutale ma meno subdolo. La terza stagione vede l'abbandono offscreen di uno dei protagonisti (che a quanto pare è una vera e propria star in Brasile, e non aveva più modo di lavorare su un progetto di livello così basso), la cui fine ci viene solo raccontata. E anche nella quarta stagione l'impressione è che la protagonista assoluta della serie (l'attrice Bianca Comparato) avesse di meglio da fare, perché la sua presenza su schermo è limitata rispetto a quella dei comprimari. Parallelamente per colmare questi vuoti vengono inseriti sempre nuovi personaggi e si cerca di dar loro una backstory e introdurre dinamiche relazionali, ma il tentativo non riesce in pieno e così ci si trova a dover seguire le vicende melodrammatiche di gente di cui tutto sommato ci frega ben poco.

Infine le stagioni dalla due alla quattro soffrono di un altro problema: una delle parti più avvincenti della prima stagione era proprio il Processo, e vedere come i protagonisti affrontavano le prove. Una volta però che i protagonisti hanno svolto il Processo, non li si può più coinvolgere di nuovo nella selezione (infatti, per esempio, anche nel secondo Hunger Games  si sono inventati quella cosa di rifare la battaglia tra tutti i vincitori, ma qui non era applicabile). Gli autori si devono essere accorti che mancava questa componente che aveva decretato il successo della serie, e quindi hanno fatto in modo di inserire altre prove di quel tipo, forzandole in qualche modo nella storia, senza però ottenere lo stesso effetto dato che la posta in gioco non è più quella iniziale.

In definitiva, 3% è una serie interessante soprattutto per il suo concept, le cui implicazioni vengono esaurite più o meno tutte già nella prima stagione. Le stagioni successive trascinano l'idea e le relazioni tra i personaggi fino alla naturale conclusione, ma non sono altrettanto incisive. Se non l'avete vista, a mio avviso la cosa migliore da fare è limitarsi alla prima stagione ma non investire troppo tempo nel resto, al limite vi racconto io come va a finire.


Unpunned Futurama Titles #7

Completiamo con questo post dopo soli cinque anni la mia esegesi dei titoli degli episodi di Futurama, perché in quanto maggior esperto italiano era un compito di cui mi pareva doveroso occuparmi. Non sto a rifare tutto il discorso sulla numerazione degli episodi, differenze tra stagione di produzione e stagione di messa in onda ecc, basti sapere che gli episodi della stagione 7 di Futurama sono riuniti nei DVD volume 7 e 8.

Che poi è la fine (vera) della serie. Per adesso.

Intanto se volete recuperare tutti i titoli unpunnati ecco i link agli altri post:

E concludiamo quindi spiegando i titoli degli ultimi 26 episodi della serie.

The Bots and the Bees (I robot e le api): Il discorso su "gli uccelli e le api" è quello che viene fatto ai ragazzini preadolescenti per spiegargli "da dove vengono i bambini", del tipo le api che impollinano i fiori e così via. Questo episodio tratta appunto di Bender che ha un figlio da un altro robot. In italiano non esiste un equivalente di questa espressione infatti il titolo tradotto in modo letterale non ha significato.

A Farewell to Arms (Addio alle braccia): Riferimento al romanzo di Hemingway Addio alle armi, con la variante che in inglese "arm" significa anche "braccio" e che nell'episodio Fry e Leela perdono appunto le braccia.

Decision 3012 (Verdetto 3012): "Decision 2012" è il termine con cui la stampa americana ha affrontato le elezioni presidenziali del 2012, e il tema di questo episodio è infatti quello dell'elezione del Presidente (della Terra). Da notare come il titolo dell'episodio conferma lo scorrere del tempo nell'universo di Futurama, certificando che sono passati 12 anni da quando Fry si è risvegliato nell'anno 3000.

The Thief of Baghead (Il ladro del sacchetto di carta): Unione dei film Il ladro di Bagdad e Baghead, senza nessun riferimento particolare al tema di questi film tranne il fatto che l'episodio è ambientato nel mondo del cinema.

Zapp Dingbat (La crisi del quarantunesimo anno): Lo Zapf Dingbat è un font costituito di simboli. Qui è stato usato per la sua assonanza col nome Zapp e come riferimento che la vicenda nasce da un errore di traduzione. In italiano è stato scelto di ignorare completamente questo riferimento.

The Butterjunk Effect (Il derby delle farfalle): Riferimento all'effetto farfalla, anche se la trama non ha a che fare con teoria del caos e simili.

The Six Million Dollar Mon (La capra al curry): Riferimento alla serie L'uomo da sei milioni di dollari, in cui un soldato veniva potenziato come cyborg. Qui Hermes fa lo stesso, ma la parola "man" viene trasformata in "mon" come nella sua pronuncia indo-giamaicana. Interessante la scelta italiana di ignorare del tutto la citazione.

Fun on a Bun (Oktoberfest): "Fun on a bun" è una delle catchphrase di Bender, un'espressione gergale che indica qualcosa di spassoso, dove "bun" si riferisce al panino da hot dog, e infatti nell'episodio il subplot è quello di Bender che entra in una gara di hot dog.

Free Will Hunting (Alla ricerca del libero arbitrio): Calembour ottenuto dall'unione dei titoli dei film Free Willy e Will Hunting, dove qui "free will" sta appunto per "libero arbitrio".

Near Death Wish (Desiderio di un quasi morto): Con "deat wish" si intende l'impulso suicida o autodistruttivo, in questo caso visto che gli anziani sono messi in stasi prima di morire il desiderio è di "quasi morte".

Viva Mars Vegas: Nessun riferimento particolare.

31st Century Fox: Riferimento alla 20th Century Fox (precedente produttore di Futurama), anche se qui "fox" è letteralmente una volpe.

Naturama: Nessun riferimento particolare.

2-D Blacktop (Realtà a 2D): Calembour sul titolo del film Two Lane Blacktop che tratta di gare automobilistiche qui però diventa 2D ovvero in due dimensioni.

Fry and Leela's Big Fling (Fry e Leela): Nessun riferimento particolare. Da notare però la pigrizia del titolo italiano che per una volta avrebbe funzionato come traduzione letterale.

T. the Terrestrial (T. l'umano): Riferimento al film E.T.. Anche qui notevole la superficialità del titolo italiano che invece di tradurre letteralmente va a usare la parola "umano" che non corrisponde più all'iniziale T.

Forty Percent Leadbelly (40% cantante folk): Lead Belly è un cantante folk degli anni 30-40, ma qui "lead" sta a significare anche "piombo", che riprende la gag ricorrente di Bender che afferma di essere composto al tot percento di un certo materiale.

The Inhuman Torch (La torcia inumana): Riferimento al personaggio Torcia Umana dei Fantastici 4.

Saturday Morning Fun Pit (Il divertimento del sabato mattina): Titolo che riprende le trasmissioni mattutine di cartoni per bambini.

Calculon 2.0: Nessun riferimento particolare.

Assie Come Home (Torna a casa Assie): Calembour su Torna a casa Lassie, con "assie" che sta a significare il culo di Bender.

Leela and the Genestalk (Leela e l'ingegneria genetica): Riferimento al titolo della fiaba della pianta di fagioli magica (beanstalk), qui però ottenuta con l'ingegneria genetica quindi "gene".

Game of Tones (Il gioco dei suoni): Calembour rispetto a Game of Thrones.

Murder on the Planet Express (Omicidio sulla Planet Express): Riferimento al classico giallo di Agatha Christie Assassinio sull'Orient Express. Da notare come in italiano si sia usata la traduzione "omicidio" quando da sempre il libro si è chiamato "assassinio".

Stench and Stenchibility (Puzza e sentimento): Calembour sul titolo originale di Ragione e sentimento, ovvero Sense and sensibility
 
Meanwhile (Nel frattempo): Nessun riferimento particolare.


Rapporto letture - Luglio 2020 (speciale Urania Distòpia)

Il mese di luglio mi ha piuttosto occupato con il lancio del canale youtube (sapevate che ho aperto un canale youtube, vero?) e lo studio/lavoro che questo ha comportato, quindi di fatto sono riuscito a consumare un solo libro di narrativa. Ma visto che quell'unico libro è Distòpia, il Millemondi Urania italiano in cui compare anche il mio racconto Seocrazia, questo mi dà l'occasione di dedicare un intero post al commento di questo libro.

So di muovermi su un terreno accidentato perché in quanto autore incluo nella raccolta e coinvolto in questo "rilancio della fantascienza italiana" non dovrei avere che parole di apprezzamento, ma qui su Unknown to Millions vi ho abituati male esprimendo sempre opinioni il più possibili oggettive e argomentate, quindi temo che dovrò fare lo stesso in questo caso, come d'altra parte avevo fatto anche per il volume dell'anno scorso, in cui però non ero incluso come autore e si poteva pur sempre dire che stessi rosicando. In realtà è mia ferma convinzione che il "rilancio" di un genere/settore/ambiente debba necessariamente passare da un approccio trasparente e senza sconti di parte di chi si confronta con tale genere/settore/ambiente, tanto più se ne fa parte. Non è questa la sede per riaprire questo discorso mai chiuso, ma ritengo (e non sono il solo) che uno dei mali che hanno afflitto la cosiddetta "fantascienza italiana" nei decenni scorsi sia stata proprio quell'autoreferenzialità che portava allo scambio reciproco di favori tra gli addetti ai lavori, che da una parte non ha permesso la maturazione di una critica professionale (che manca ancora oggi), dall'altra ha eretto una serie di barriere all'ingresso che hanno ristretto il genere in un ghetto autoimposto, tenuto su da fenomeni di gatekeeping che sono in uso ancora oggi, tanto diffusi che ammetto di trovarmi a metterli in pratica anch'io.

Ci sarebbe anche da fare un discorso sulla definizione di "distopia" che era il tema della raccolta. Scelta che col senno di poi si è forse rivelata infelice perché il lockdown e la pandemia hanno messo la distopia sulla bocca di tutti, spesso a sproposito. Ma il progetto era nato alla fine dell'anno scorso quindi ormai non si poteva fare marcia indietro, questa è una pura questione di sorte. Il problema semmai è che molti dei racconti mi sembrano qualificabili come distopie in modo molto marginale: magari sono anche buoni, ma di distopico hanno ben poco. Ora, se è vero che negli ultimi anni c'è stato davvero un abuso di questo termine per definire storie che semplicemente presentano un'ambientazione in una generica società poco desiderabile, io da lettore di fantascienza mi aspetto che gli autori di fantascienza presentati sulla principale collana di fantascienza sappiano di cosa parliamo quando parliamo di distopia, e potrei risentirmi un attimo se quello che mi propongono non risponde ai criteri. Dormo lo stesso la notte, figuriamoci, però ci faccio caso. Non entrerò troppo nello specifico su questo aspetto, anche perché lo farò tra qualche giorno in un editoriale su Stay Nerd. Quindi se la polemica vi appassiona, vi aspetto lì e la risolviamo da uomini.

Premesso tutto ciò, andiamo quindi a commentare i racconti uno per uno, evidenziando con la massima serenità aspetti positivi e negativi.

Hector di Paolo Aresi - Discutibile in questo caso la classificazione come distopia. Il protagonista è un androide, inteso come replicante organico alla Blade Runner, usato per i lavori in una miniera su Plutone. È sostanzialmente uno schiavo, ma è nato così e non se la passa così male, ha anche una posizione di relativo prestigio e infatti gli viene assegnato un incarico di grande responsabilità dopo un incidente nella miniera. Alla fine decide di fuggire, prende con sé un paio di colleghi e fugge. Il problema a mio avviso è che questo racconto mi è sembrato soprattutto noioso, forse anche per le paginate di wall of text che già a prima vista non sitmolano la lettura. Non si avverte mai un cambio di tensione nella narrazione, anche perché il protagonista è piuttosto piatto e a malappena risponde alle domande che gli vengono fatte. Certo si può dire che questa è proprio la sua caratteristica in quanto androide, ma allora se devi farmi appassionare a un protagonista apatico devi creargli intorno una storia che sia una bomba. A un certo punto ha una specie di visione del passato in cui scopre l'origine degli androidi e... niente, questo non ha nessun impatto sullo svolgimento della storia. Insomma un racconto che non accende particolarmente l'interesse, con situazioni e trame viste decine di volte.

Cogito ergo sum di Valeria Barbera - Racconto a mio avviso confuso, che sembra andare avanti un po' "a braccio", come se l'autrice l'avesse scritto di getto con quello che le veniva in mente e poi non lo avesse risistemato per dargli unità. Credo che gli si possano imputare due errori principali: 1- Se sei un autore di fantascienza che scrive nel 2020, non puoi scrivere del Covid19! A raccontare del Covid ci penseranno poi i bravi autori mainstream che l'hanno già annunciato come Moccia, un autore di sf deve spingere la sua speculazione oltre lo steccato dell'attualità. Non dico che non si possa parlare di cosa il Covid ha comportato, perché sicuramente il suo impatto sarà forte su tutta la società, ma inserirlo come elemento portanto della storia è una strategia pigra. 2- In questo racconto c'è troppo: così tanto che non si capisce quale sia l'argomento vero della storia. Un racconto deve parlare di una cosa sola, perché non ha la dimensione per affrontare in modo esauriente più temi. In questo la storia sembra all'inizio proseguire in un certo modo, si arriva alla rivelazione della creatrice della noosfera (l'universo virtuale a cui tutti sono connessi) che aveva visioni delle persone morte per permettere che lei realizzasse il suo progetto, e sembra che questo sia il punto di svolta della storia. Salvo che poi viene dimenticato perché entra in gioco un Memevid, cioè un virus memetico all'interno della noosfera, e allora sembra che questo sia il nucleo, e invece no perché in realtà il memevid non è un virus memetico ma un virus che attacca i corpi materiali dei partecipanti alla noosfera nei loro gusci. Tutti questi incrementi sono "cose in più che accadono" ma non aggiungono significato a un tema di fondo che appunto non si riesce a individuare. Infine anche in questo caso l'aspetto distopico è discutibile, anche perché la minaccia che poi porta il mondo al collasso è un fattore del tutto esterno (la diffusione di questo virus), e se non fosse arrivato tutti avrebbero continuato con le loro vite bellissie nel paradiso della noosfera.

Ninfe sbranate di Francesca Cavallero - Il racconto è ambientato nella stessa Morjegrad con cui l'autrice ha vinto il Premio Urania, ma segue un personaggio secondario del romanzo (che io non ho letto). Il rischio di ambientare un racconto nello stesso universo di un romanzo è che chi non ha letto il secondo manchi dei riferimenti per capire il primo, ma fortunatamente non è questo il caso. La storia è in sostanza una trama thriller/investigativa che fila bene, con personaggi vividi e credibili. Niente di particolarmente soprendente, ma una scrittura efficace e capace di generare la tensione nei momenti giusti. Distopia purtroppo non pervenuta, a meno che non si intenda che il contesto complessivo di Morjegrad sia di per sé distopico, che però in questo racconto non emerge abbastanza.

Yamapuri di Alberto Cola - Un racconto complesso e affascinante, che non va troppo incontro al lettore spiegandogli le cose ma lascia che sia lui a mettere insieme i pezzi del disegno. La cosa purtroppo non viene facilitata dai nomi dei personaggi e dalla caratterizzazione blanda che li fa apparire tutti piuttosto simili. Peccato anche che non ci sia un vero e proprio protagonista al quale aggianciarsi per seguire la vicenda, che avrebbe facilitato l'immersione. Superati questi ostacoli però si arriva a individuare un contesto storico piuttosto articolato e la presenza di diverse forze in gioco. La distopia qui è borderline, si parla di un'ambientazione post-bellica in un'India in cui non nascono più donne ma non ci sono veri e propri regimi oppressivi di vario genere a cui opporsi. Comunque una storia che trae la sua forza soprattutto dall'ambientazione esotica e dal registro adatto a trasmettere questa suggestione.

Il distillatore di Milena Debenedetti - Una storia basata su un cacciatore/spacciatore di ricordi che parte alla ricerca di una "fonte primaria" dei ricordi dell'epoca prima della catastrofe che ha fatto crollare la società e provocato l'ascesa di un regime repressivo non meglio identificato. L'idea di fondo è interessante e i personaggi principali funzionano, la parte centrale della trama avviene però tutta con un lungo spiegone che ammazza la tensione nel momento più importante. Nel complesso comunque un racconto valido e con un finale melenso al punto giusto di quelli che piacciono a me.

Al servizio di un oscuro potere di Giovanni De Matteo - Avendo già letto di De Matteo, so che è capace di costruire una trama thriller ben fatta, e questo ne è un ottimo esempio. Un mondo che dopo una serie di disastri adesso è dominato da tre IA tra loro apparentemente complementari, ma che in realtà hanno progetti diversi, e la minaccia incombente di forze extraterrestri che spingono a dare la caccia a una bambina pesantemente traumatizzata. Tra inseguimenti, hackeraggi e sparatorie, si arriva alla rivealzione finale, se pur con qualche intermezzo di infodump spadellato in capitoli dedicati, e i fili si riannodano. Una di quelle storie che nasce già pronta per diventare un film con Keanu Reeves.

Negli occhi di chi comanda di Linda De Santi - Se ci fosse un premio per il racconto più puramente distopico all'interno dei racconti di Distòpia vincerebbe questo. De Santi racconta la vita di una "ragazza qualsiasi" che deve affermarsi in un mondo in cui abbiamo smesso di fingere che l'apparenza non conta, e che si fonda totalmente sulla bellezza. In pratica è l'estremo opposto di quel racconto di Ted Chiang in cui parla di persone a cui hanno tolto la capacità di vedere la bellezza. Qui ognuno ha un suo "benchmark", cioè la sua versione ideale da raggiungere, e il discostamento da questo deve essere mantenuto al minimo per poter accedere a servizi e lavori migliori. La protagonista peraltro sta studiando per diventare una scrittrice, ed è indicativo che per diventare una "stella della cultura" si debba comnque essere belli belli belli in modo assurdo. C'è anche un plot twist che funziona bene perché si può notare che era stato preparato con cura fin dall'inizio. Indubbiamente tra i migliori della raccolta.

La fredda guerra dei mondi di Valerio Evangelisti - Sempre se ci fosse quel premio per il racconto più distopico, il testo di Evangelisti arriverebbe ultimo. Non ci ha nemmeno provato, a scrivere una distopia, e d'altra parte si può anche permettere di fare un po' come gli pare. Ma glielo perdoniamo anche perché questo racconto è davvero spassoso. Narrata dalla prospettiva di un ladro francese di altro profilo (ma non un Lupin III, questo è un ladro tutt'altro che gentiluomo), questa storia offre una prospettiva curiosa sugli UFO e ci spiega perché come vediamo in molti film sembrano così ossessionati dal distruggere i monumenti. Sembra quasi un divertissement, si potrebbe adattare benissimo come trama per un epsiodio di Rick & Morty. Un altro dei racconti più validi, se solo fosse stato in un libro che non aveva scritto "distopia" in copertina...

Facciamo venerdì? di Caterina Mortillaro - Un racconto che gira intorno alle relazioni sentimentali, regolate attraverso algoritmi che permettono di conoscere interamente le persone con cui abbiamo intenzione di avere rapporti di qualsiasi genere. Alla ricerca di qualche brivido in più la protagonista entra a far parte di club privati di gente che si incontra da sconosciuti, come ci capita ancora di fare oggi quando ci troviamo là fuori nel mondo. Dall'aspetto in apparenza più superficiale delle relazioni la storia cala più in profondità nel funzionamento di queta società abbastanza simile alla nostra, e la protagonista è portata a scegliere come vuole vivere lei, in un finale per certi versi inaspettato. Anche questo raggiunge un buon indice di distopicità.

A scrivere distopie di Simonetta Olivo - Praticamente un meta-racconto, la storia di come è stata scritta queta storia, con il protagonista che incarna il classico scrittore tormentato e procrastinatore, ingaggiato da un editore per scrivere un racconto distopico. All'inizio si può dubitare che ci sia un qualunque elemento distopico, che emerge quasi a sorpresa nel finale per arrivare a una sorta di distopia della creatività. Personalmente mi è piaciuto parecchio, soprattutto perché ho riconosciuto molte delle dinamiche con cui mi capita di confrontarmi. Ho però il dubbio che questo aspetto non possa essere colto allo stesso modo da un non-scrittore, che quindi non potrebbe comprendere a pieno il valore del racconto. Poi però mi sono ricordato che dei 2500 lettori di fantacienza italiani, 2497 sono anche autori (non dico numeri a caso, quei 3 lettori-solo-lettori so proprio chi sono, con nomi e cognomi) quindi il target è comunque preso in pieno.

Lilia (un'estate) di Giampietro Stocco - Ho letto e apprezzato in passato altri lavori di Stocco, qui però mi è sembrato poco ispirato. Quasi due terzi della storia si basano su questo rapporto epistolare tra il protagonista e una ragazza conosciuta in chat, che è una dinamica che avrebbe potuto essere interessante nel 1996 ma oggi è ampiamente superata. Senza contare che il lettore si trova costantemente "avanti" rispetto al protagonista, perché si capisce che c'è qualcosa che non va in questa tizia ma lui non se ne accorge, così fa la figura del cinquantenne ottuso arrapato che si merita di venire fregato. Verso la fine si rivela quale sia il piano più complesso che c'è sotto la vicenda in superficie, e si scopre che tutto dipende da rancori ancora vivi da parte della ex moglie del protagonista, ma questo è un aspetto che viene accennato troppo tardi così quando si scopre che è la chiave di volta di tutta la storia sembra un'improvvisazione. E inoltre viene da pensare che quella storia sarebbe più interessante da leggere rispetto a quella del signore di mezza età che perde la testa sulle chat erotiche. Con una focalizzazione diversa avrebbe potuto essere un buon racconto ma così appare un po' stantio.

Tranne la pelle di Nicoletta Vallorani - Mi sarei aspettato che Vallorani scrivesse una storia nello stesso universo narrativo di Eva e Avrai i miei occhi che sono già una distopia bella e pronta, attuale e funzionale. Invece Tranne la pelle non c'entra nulla e mi ha quindi sorpreso, dall'altra parte però siamo su un altro di quei racconti buoni ma dalla distopicità discutibile. La storia si svolge su un pianeta minerario popolato di varie razze aliene materiali e immateriali, la protagonista vive accanto alla proiezione di sua nonna morta decenni prima. Anche qui figurano pandemie usate per controllare la popolazione, che è una cosa più che plausibile ma che forse non era proprio il momento più adatto per tirare fuori. In ogni caso la protagonista riesce nel suo piano di liberazione del pianeta, e quando dico "liberazione del pianeta" i mean it. La scrittura per immagini e le situazioni estreme, quasi paradossali, che si presentano fanno procedere bene il racconto, anche se il finale è un po' affrettato.

Naturalmente non parlerò dell'ultimo racconto, e non mi metto ad analizzare il saggio finale di Carmine Treanni che fa un'utile panoramica sull'evoluzione della distopia come tema e genere letterario. In generale, se paragonato a Strani Mondi dell'anno scorso, la qualità media di Distòpia mi è sembrata più costante, mentre in quello precedente c'erano picchi più alti e più bassi. Purtroppo però a questo giro non ho trovato le perle (come erano i racconti di Vietti e Voudì nell'altro) che compensano i momenti di stanca. Non assegno il voto finale, credo di aver fornito abbastanza elementi di valutazione nei commenti sopra. Nel complesso Distòpia è un'antologia meritevole, ma posso dire di averne lette di migliori di soli autori italiani, anche in anni recenti. Forse l'imposizione del tema così inflazionato non ha giocato a favore della creatività degli autori, visto che in molti casi come ho detto l'elemento distopico risulta labile o addirittura assente. Se la tradizione del Millemondi italiano verrà confermata di nuovo, a mio avviso sarà meglio tornare al tema libero, e lasciare così che gli autori affrontino i temi o i generi in cui si possono esprimere al meglio.