Rettifica: The Prestige edito in Italia

Giusto qualche post fa, facendo il raffronto tra la versione letteraria e cinematografica di The Prestige, affermavo che il libro non era mai stato tradotto, e che chi volesse leggerlo non aveva altra scelta che rivolgersi al mercato internazionale, come d'altra parte avevo fatto io stesso. Forse, anche se covavo quell'articolo da molto tempo, ho deciso di scriverlo proprio in questi giorni perché percepivo nell'inconscio collettivo che qualcosa si stava muovendo, infatti è notizia recente la pubblicazione del romanzo di Christopher Priest in italiano, ad opera di Miraviglia Editore, che peraltro ha avuto il buon gusto non mettere in copertina un fotogramma del film.

Non ero al corrente di questa manovra editoriale, e l'ho scoperta solo adesso controllando l'origine degli accessi alle mie pagine, che mostrava un traffico insolitamente alto per quel post.

Quindi, per quanto di voi sono curiosi di leggere il libro ma non sono in grado di affrontare l'originale, ecco l'occasione giusta per mettersi in pari. Ed eventualmente, per confutare quanto ho detto nel mio post di confronto con il libro.

[quote] # 5

Riporto un estratto da una pubblicazione periodica sempre densa di interessanti spunti:


In una scuola del Missouri l'insegnante di biologia chiese ad Aspen, una ragazzina che allora aveva 12 anni, di spiegare all'intera classe il motivo per cui credeva nella creazione piuttosto che nell'evoluzione. Aspen difese la creazione in maniera eccellente, spiegando che ogni organismo è progettato in modo perfetto, il che dimostra l'esistenza di un progettista e di un creatore. L'insegnante sapeva che i genitori di Aspen erano geologi, quindi le chiese di fare una ricerca che indicasse come la documentazione fossile sosteneva la creazione, e di presentarla alla classe.
Il giorno seguente Aspen portò a scuola alcuni campioni di fossili e spiegò ai suoi compagni che la testimonianza fossile non fornisce prove a sostegno di cambiamenti graduali. Inoltre spiegò che ciascun gruppo di fossili compare in un'era geologica differente, e questo conferma il racconto dei giorni creativi contenuto nella Genesi.
Durante la spiegazione di Aspen era presente il preside, il quale si congratulò con lei per le convinzioni che nutriva e per come aveva difeso la creazione. La professoressa di biologia disse che mentre l'evoluzione lascia molti dubbi, la creazione rende tutto chiaro. Dopo di che Aspen lasciò all'insegnante, ai compagni e al preside delle pubblicazioni che fornivano una base scientifica a sostegno della creazione.


A parte il tono da favoletta (si potrebbe sostituire "Reame dell'ovest" a "Missouri", e "Boccolidoro" ad "Aspen", che già di per sé è un nome abbastanza assurdo), il messaggio che emerge da questo brano è semplice: l'evoluzione lascia dubbi, la creazione no. Quindi la seconda è vera.

Ora è tutto chiaro! Quando non si riesce a spiegare qualcosa, beh, allora a wizard did it! Che bisogno c'è di cercare spiegazioni, quando è tutto così semplice? È sicuramente una bella morale. Rassicurante ed educativa.

Coppi Night 22/04/2012 - Urlo

La settimana scorsa ho saltato la Coppi Night, chiaramente non per mia volontà (anche perché si svolge a casa mia, quindi non ho modo di evitarla...), ma perché ero alla Levantecon a Bari, per la la premiazione del Premio Giulio Verne. A quanto mi è stato riferito comunque non mi sono perso nulla, è stata vista una insipida commediola italiana di qualche anno fa, quindi poco male. Quest'ultima domenica invece, stava a me proporre i film, e con massimo spirito di abnegazione ho fornito una lista di titoli che ben poco hanno a che vedere con le mie solite propensioni cinematografiche. E nonostante questo, tra film leggeri come Mr. Crocodile Dundee e Weekend con il morto, tra filmetti comici italiani tipo Tutti gli uomini del deficiente, cosa va a vincere? Questo Urlo, film che dovrebbe essere la biografia di Allen Ginsberg.

Dico "dovrebbe" perché parlare di film biografico è fuori luogo. La storia si divide essenzialmente in tre blocchi: Ginsberg che racconta la sua vita (ma appunto la racconta in prima persona: non è la vita che viene mostrata, a parte qualche breve immagine), la declamazione dei versi di Urlo accompagnata da animazioni allucinate, e la cronaca del processo svoltosi nei confronti del poema. Per cui, in realtà, arrivati alla fine non si conosce la "storia" di Allen Ginsberg. Si sa qualcosa della sua poetica, si scopre che conosciuto e amato Jack Kerouac, si ottiene qualche interpretazione della sua famosa poesia... ma non si sa come Ginsberg abbia vissuto. Non si vede lo svolgimento di una vera e propria storia. In altri termini, più che un film si può parlare di un documentario sceneggiato.

Non nego che il film abbia un certo fascino, e nonostante l'astrusità dei temi ci si può far ammaliare dalle parole dell'autore, dalle lisergiche immagini che accompagnano la poesia, e si può trovare appassionante il dibattito sul "valore letterario" dell'opera, che ne sconfessa la presunta oscenità. Ma sono elementi tra loro sconnessi, che non confluiscono in un unico, intenso moto di coinvolgimento, e che quindi si ostacolano a vicenda. Finito il film, personalmente non ho avuto voglia di sapere qualcosa di più di Ginsber e della "beat generation" (termine che lo stesso Ginsberg apparentemente rifiuta). Quindi, se l'intento era quello di incuriosire lo spettatore (che di solito è l'obiettivo delle biografie), di certo non ha funzionato.

Un'ultima nota riguarda la trasposizione italiana del film: ho trovato molto, molto forzato il modo in cui il doppiatore di Ginsberg interpreta la poesia. Onestamente quella che doveva passare per carica emotiva mi è sembrata in'impostazione scimmiottantemente teatrale, come un bambino che canta la filastrocca di natale durante il pranzo coi nonni. D'altra parte non dev'essere facile interpretare una poesia tanto piena di riferimenti, termini gergali e neologismi, dal senso tanto evanescente. Anzi, mi chiedo come la traduzione stessa di Howl in un'altra lingua possa avere senso. L'unica parola facile da riportare probabilmente è "Moloch".

Dal libro al film: The Prestige

Con questo post inauguro una rubrica di approfondimento che mi prefiggo di ampliare con successivi seppur non frequenti articoli. Mi auguro che il tema possa risultare interessante, visto che rappresenta una sorta di intersezione tra la rubrica letteraria e quella cinematografica. L'intento è abbastanza evidente dal titolo: fornire un confronto tra un libro e un film che da esso è stato tratto.

Premessa. Sono consapevole che libro e film sono prodotti (o opere) differenti, e che un confronto diretto non è possibile. Gli elementi che rendono un libro un buon libro non sono gli stessi che rendono un film un buon film, quindi non è paragonando questi che si può ottenere una valutazione. Ma considerando la diversa natura dei due lavori, si può comunque esaminare in che modo essi sono collegati, e se le due forme della stessa storia sono altrettanto valide. In ogni caso non si tratta di arrivare a dire quale è "meglio", ma sottolineare i punti di forza e debolezza dell'uno e dell'altro.

More about The PrestigePer la prima analisi di trasposizione cinematografica, ho scelto un film di cui penso pochi abbiano letto il libro, o addirittura sappiano che un libro esiste. Questo perché The Prestige, scritto nel 1995 da Christopher Priest, non è mai stato tradotto in italiano. Io ho acquistato l'edizione originale pubblicata da Gollancz, incuriosito dopo aver visto il film e preso nota durante i titoli della dicitura "based on the novel by". Il film invece è sicuramente più noto, girato nel 2006 da Christopher Nolan e interpretato da ottimi attori come Christian Bale, Hugh Jackman, Michael Caine, nonché David Bowie. Cercando di evitare spoiler troppo consistenti (ma presumo che chi legge abbia almeno visto il film), la storia in breve si riassume nel conflitto tra due prestigiatori inglesi Rupert Angier ed Alfred Borden, negli ultimi anni del XIX secolo, una rivalità che porta entrambi a sfidarsi dai rispettivi palchi, con una "corsa agli armamenti" in fatto di nuovi trucchi sempre più serrata. In particolare, è il numero "The Transported Man", in cui il prestigiatore entra in una porta ed esce istantaneamente da un'altra lontana, a costituire il nucleo della rivalità, in quanto entrambi cercheranno di sorpassare l'avversario nella proposizione di questo trucco. Lo scontro non esclude però la vita personale e familiare dei due, e l'ossessione arriverà infine a consumarli entrambi, anche se in modi diversi.

Christopher Nolan è un regista che ama giocare con piani narrativi non lineari (vedi anche Memento e Inception), infatti nel film partiamo vedendo Borden (Bale) condannato all'impiccagione, al quale viene consegnato il diario di Angier (Jackman), dalla cui lettura si sviluppa la linea narrativa; all'interno di questa, lo stesso Angier legge il diario che ha rubato a Borden, e di nuovo si cambia binario, con una storia nella storia nella storia. Questa struttura riprende in parte quella del libro: i diari di Borden e Angier costituiscono infatti le due parti principali della storia, seppur inframezzate da degli interludi di cui parlerò in seguito. Naturalmente ci sono delle differenze nelle vicende a cui si assiste nel libro e nel film, ma la storia rimane sostanzialmente quella che delineavo prima, ovvero la rivalità tra i due che prosegue e alimenta le rispettive carriere. Tuttaiva, ci sono un paio di differenze rilevanti: nel libro, alla base dello scontro non c'è la morte accidentale della compagna di Angier, che spezza la precedente collaborazione e innesca l'odio reciproco. Anche il ruolo di Cutter (Caine) è più marginale rispetto al film. Se quindi sullo schermo il conflitto ha una base principalmente "emotiva", sulla carta essa è più "ideologica": Angier e Borden infatti, pur praticando la stessa arte, sono di estrazione praticamente opposta. Il primo è un nobile più che benestante, e inizia a praticare la magia per puro dileto, mentre il secondo proviene da una famiglia di modesti operai, e si avvicina alla pratica della magia come mezzo per riscattare le sue origini. Questo aspetto nel film è presente, ma passa quasi sottinteso, e si evince principalmente notando i mezzi a disposizione di Angier in contrasto con i quartieri in cui si muove all'inizio Borden.

Un'altra differenza piuttosto consistente è che nel libro, la faida Angier/Borden non si limita ai due prestigiatori di fine '800, ma ha proseguito con le rispettive famiglie, fino in pratica ai giorni nostri, in cui l'ultimo discendente dei Borden riceve il diario del suo antenato e viene contattato dalla erede della famiglia Angier. Il Borden attuale non sa niente degli eventi che hanno plasmato il passato della sua famiglia, anche se ne è stato una vittima diretta, e sarà Lady Angier a metterlo al corrente della storia, facendogli leggere il diario del suo antenato. Le parti che si svolgono nel presente costiutuiscono gli interludi tra i due lunghi diari, e fanno da introduzione, intermezzo ed epilogo. L'adattamento cinematografico ha del tutto ignorato questo aspetto, concentrandosi sulle vicende personali dei due prestigiatori, che si concludono con la fine stessa del film.

In effetti, proprio la conclusione della faida è a sua volta differente (e da qui in poi siamo sullo spoiler, quindi evitate il resto del paragrafo se non volete sapere). Nel film, Angier utilizza la macchina di Tesla per ingannare Borden e farlo condannare per il suo presunto omicidio, per poi scoprire in seguito che i Borden sono due gemelli identici; nel libro, non c'è nessuna trappola di questo tipo. Angier subirà un tentativo di sabotaggio da parte del rivale durante l'utilizzo del macchinario, e ne uscirà "cambiato": a questo punto, scoperto che Alfred = Albert + Frederik, tenterà di assassinare il nemico (o almeno uno dei due). Mentre sappiamo che uno dei gemelli Borden è morto, il destino ultimo di Angier non è chiaro, e proprio le ultime righe del libro (quelle ambientate nel presente) sollevano un ultimo dubbio.

Tirando le somme, se si vuole confrontare l'impatto del libro e quello del film, devo ammettere (e questo è uno dei rari casi in cui la penso così) che il secondo è quello più efficace. Con il che (vedi la premessa) non sto dicendo che è "meglio" del libro: piuttosto, il film è più un buon film di quanto il libro sia un buon libro. Il romanzo The Prestige è ben scritto, intrigante, originale; ma il film The Prestige è francamente eccellente, sotto molti aspetti, dalla recitazione ai dialoghi, dalla resa storica alle scenografie. Un aspetto che credo avvantaggi il film in questo senso, è che le performance dei maghi sono di per sé un atto di "spettacolarità", che può essere reso con immagini, luci e suoni meglio di quanto si possa fare con le sole parole. Perciò il film ha un mezzo in più per far sospendere il fiato allo spettatore, con scene come questa (0:57 i brividi sono inevitbabili):



Un altro aspetto che rende il film più coinvolgente del libro, è che quello di cui parlavo in precedenza, ovvero il nucleo emotivo che viene piantato all'inizio della rivalità tra i protagonisti. Il romanzo affronta la faida con più imparzialità, riportando i rispettivi diari, ognuno col suo punto di vista, ed è difficile individuare quale delle due fazioni sia la più virtuosa. Nel film se anche alla fine si può dire che sia Borden a spuntarla, per tutta la durata lo spettatore è indirizzato a tifare per Angier, che appare come la vittima iniziale e successivamente preda di ulteriori tradimenti e perdite.

Per concludere: The Prestige è un buon libro e un ottimo film, e i rispettivi autori hanno saputo trarre il meglio, anche se in modo diverso, dalla stessa storia. Se non siete in grado di recuperare il libro, vi sarà di certo più facile godervi il film, se non l'avete ancora fatto. Watch closely.

Strani Nuovi Mondi 2012

Un mesetto fa segnalavo la mia menzione al Premio Giulio Verne 2012, del quale sono risultato uno dei tre finalisti. Fino a ieri, ovvero fino alla cerimonia ufficiale di presentazione che si è tenuta alla Levantecon, non sapevo come mi ero classificato, ma adesso posso rivelare di aver raggiunto il secondo gradino del podio (contando dal basso o dall'alto non fa differenza). Contemporaneamente alla premiazione, si è svolta anche la presentazione della raccolta dei finalisti dell'ultima eidizione del concorso. Come nei primi due anni del concorso, il libro è stato realizzato da Edizioni della Vigna, che recentemente ha curato anche la pubblicazione di Fantaweb 2.0, e il libro è quindi disponibile da oggi per l'acquisto cartaceo o elettronico.

 


I racconti contenuti sono:

L'arcano senza nome di Simone Conti (1° classificato)
Troppo futuro per un uomo solo di  Samuele Nava (3° classificato)
Sinfonia per theremin e merli di Andrea Viscusi (2° classificato)
La costumanza di Syulut di Vito Introna (premio speciale della giuria)
L'uomo digitale di Ida Vinella (premo giovane autore)

Il prezzo del libro di inchiostro è di 9,90 €, che facendo conti da quarta elementare corrisponde a meno di due euro a racconto, che per delle storie che sono state scelte a livello nazionale come le migliori può essere un prezzo più che equo. Se vi prendete il disturbo, naturalmente sarò lieto di ricevere le vostre opinioni.

Coppi Night 09/04/2012 - Il bisbetico domato

Chi si è accorto che la data riportata nel titolo non corrisponde a una domenica, che è il giorno ufficiale di riunione per il Coppi Club? Probabilmente pochi, e ancora meno sono quelli a cui la cosa interessa minimamente. Ma se ricordate bene domenica 8 aprile era pasqua, e il buon Coppi rimane chiuso almeno due giorni l'anno, di cui uno sfortunatamente cade sempre di domenica. Per questo abbiamo posticipato al successivo lunedì, a sua volta festivo.

Per spezzare la sequenza di film "impegnativi" che erano stati proiettati durante le ultime serate (da Stay a A Scanner Darkly), l'assemblea ha decretato la vittoria di questa classica commediola di Celentano... non che le alternative fossero poi di livello parecchio superiore, comunque. Come sempre in questi casi c'è poco da dire sulla trama, e le considerazioni sul tono e lo svolgimento del film sono sempre le stesse adottate in casi precedenti, per cui le risparmio. Qualche gag più assurda riesce a essere divertente (anche quando la si conosce già dalla precedenti visioni), ma a parte queste bisogna sorbirsi interminabili sequenze musicali, come la famosa scena della pigiatura dell'uva (saranno sei minuti di ancheggiamenti con odiosa filastrocchina di sottofondo) e la partita di basket nella quale Celentano si permette di infrangere qualsiasi regola basilare di questo sport, arrivando a infilarsi la palla sotto la maglietta. Ad appesantire il tutto c'è una gestione della regia alquanto discutibile, con inspiegabili sovrapposizioni e fermi immagine... ma vabbè, che ne parlo a fare?

Forse il dettaglio più interessante è il comportamento che assume il personaggio interpretato da Ornella Muti, la borghese cittadina capitata in campagna che decide, a quattro minuti dal suo incontro col protagonista, di volerselo trombare. A questo scopo non esita a fingere indisposizioni e trattare il suo precedente compagno come una moppina, dimostrandosi inoltre completamente scostante e incoerente nei suoi atteggiamenti nei confronti dello stesso Celentano, per il quale esprime a tratti un'adorazione profonda (e ingiustificata) e un odio totale (ingiustificato pure quello). Insomma, nonostante tutto bisogna riconoscere che la Muti, pur nella sua palese incapacità recitativa, rende alla perfezione un ruolo che forse le viene naturale, in quanto riflette il normale comportamento femminile, influenzato dai periodici sconvolgimenti ormonali che ne alterano la fisiologia. E se quest'ultima affermazione dovesse scatenare la furia di qualche accanita femminista, tanto di guadagnato per le visite sul mio blog!

Reactable

Dedico un altro post a un fantasioso accessorio che potrebbe cambiare le vostre vite, se lo aveste in casa. Anche se, a differenza del Thumb Thing, si tratta di uno strumento leggermente più complesso. Facciamo però un passo indietro: dovrebbe essere ben nota a tutti i frequentatori di questo blog la mia passione per la musica elettronica, passione scarsamente condivisa con il prossimo ma alla quale mi dedico con estrema serietà. Conseguenza dell'ascolto prolungato di questo tipo di suoni, ho sviluppato anche un certo interesse per gli strumenti tipici dell'elettronica, dalle semplici console per dj ai più sofisticati sequencer. [In ogni caso mi attirano solo gli strumenti che hanno un consistenza fisica, i diffusissimi software di manipolazione audio non hanno la caratteristica di "oggetto" in grado di convincermi del loro valore.] Così, se da una parte mi emoziono a sentire il suono di un theremin, strumento inventato nel 1919 che si suona senza contatto delle mani, allo stesso modo vado in estasi a vedere in azione un modernissimo Reactable.

Il nome è di semplice interpretazione: react-table, grossolanamente "tavolo reattivo". Infatti, l'aspetto è proprio quello di un tavolo cilindrico, con una suggestiva superficie di un luminoso blu. Ma di certo non è qui sopra che appoggereste la birra mentre guardate la partita, perché quel circolo blu ha ben altre potenzialità: la superficie è infatti interamente reattiva al tatto, e dalla diretta manipolazione delle immagini che vi compaiono è possibile creare della musica. Ma non si tratta solo di un'interazione con il touchscreen. Il tavolo è corredato da una serie di complementi: cubi e quadrati e cerchi, contrassegnati da essenziali simboli geometrici, ognuno dei quali rappresenta il vero e proprio controller da maneggiare per ottenere il suono desiderato. Ogni componente, appoggiato sulla superficie del tavolo, esegue la sua specifica funzione, che può essere controllata muovendo il componente stesso, e cambia a seconda della posizione relativa degli altri elementi e delle possibili interazioni tra di essi. La gamma di suoni che si possono ottenere con le combinazioni di tutti questi è virtualmente infinita, e fa del Reactable uno strumento universale, in grado di dare vita a qualunque tipo di musica. Mi rendo conto però che descrivendolo a parole non si riesce a capire, per cui vediamo di rendere tutto più chiaro con qualche dimostrazione.


Questa demo dovrebbe già rendere tutto più comprensibile, e si tratta solo delle funzioni di base. Va da sé che aggiungendo altri elementi e combinandoli in modi sempre più elaborati si possano ottenere suoni complessi, tanto per ritmica che per melodia. Il tutto è poi trasportabile (con una certa cura) anche in contesti "live", per cui un professionista serio è in grado anche di esibirsi in una performance esclusiva di Reactable. Ho visto le vostre facce scettiche mentre leggevate l'ultima frase. Non vi pare realistico che un musicista possa basare una sua esibizione unicamente su questo oggetto? Ebbene, forse non avete seguito le ultime serate di Oliver Huntemann, dj che ho citato anche ultimamente in occasione dell'uscita del suo ultimo album Paranoia. Già da diversto tempo infatti, Huntemann dedica alcune date dei suoi tour proprio a performance live al Reactable, che utilizza per suonare alcuni pezzi opportunamente studiati, come si può vedere ad esempio qui:


Il che dovrebbe bastare a dimostrare le potenzialità dell'oggetto in questione. A questo punto appare chiare come uno strumento del genere possa esercitare un supremo fascino su di me, e immagino che incuriosisca anche qualcuno di voi. Ora, il problema principale è un altro: il Reactable costicchia. Ma parecchio. Arrotondiamo a 10000 euro, contando anche la spedizione. Per cui non è di certo alla portata di tutti... anzi, se il vostro obiettivo è una carriera della musica, è bene che iniziate magari con uno scacciapensieri e facciate i vostri prima 10 sacconi con quello, per poi passare al tavolo blu. Ma se qualcuno vuole divertirsi a giocare al Reactable, oltre al marchingegno vero e proprio esistono anche delle app per tablet e smartphone, che di certo non sono la stessa cosa, ma possono dare un'idea di quello che potreste realizzare se aveste un po' di soldi in più.

Onestamente non credo che il Reactable diventerà mai uno strumento diffuso, ma continuerà a mantenere il suo ruolo estremamente di nicchia, per una serie di fattori oggettivi: il costo notevole, la difficoltà di utilizzo (o almeno di un utilizzo professionistico), il limitato bacino di interesse per questo tipo di oggetti e sonorità. Ma allo stesso tempo non si può negare la portata rivoluzionaria di questo oggetto, che parte da un progetto già ambizioso e visonario e lo realizza con risultati davvero eccezionali. Insomma, è pur sempre qualcosa che, una volta visto, non si può dimenticare.

Naturalmente sul sito si trovano tutte le informazioni su prodotti, caratteristiche e acquisto, quindi chi fosse interessato può scorrere le pagine e apprendere tutto il necessario. Da parte mia, credo che l'esperienza più diretta che avrò con il Reactable si fermerà ai video che mi guardo online, ma se qualcuno di voi trova il modo di procurarsene uno, mi farebbe davvero piacere se mi invitaste a provarlo a casa vostra. La birra la porto io.

Futurama 6x26 - Reincarnation / Reincarnazione

Nonostante Overclockwise sia definito "l'ultimo" episodio della sesta stagione, dopo di questo ne è stato trasmesso un altro, a distanza di qualche mese, come "Christmas Special", in maniera analoga a quanto era stato fatto con The Futurama Holiday Spectacular. E in effetti Reincarnation ha anche altri aspetti in comune con Holiday Spectacular: la suddivisione in tre segmenti, e il fatto di essere una puntata esterna alla continuity della serie. Per questo Overclockwise è di fatto l'episodio conclusivo della stagione, mentre Reincarnation può essere considerato una sorta di "bonus track".

Ma perché questo titolo? La "reincarnazione" in oggetto non avviene in modo letterale o metaforico all'interno dell'episodio, ma consiste nelle tre diverse rappresentazioni dei personaggi e dell'universo di Futurama che  vengono proposte in ogni segmento. Infatti, ogni parte è animata con uno stile diverso e caratteristico: il primo come nei primi cartoni in bianco e nero, il secondo come un videogioco con grafica 8bit, il terzo come gli anime giapponesi. I tre atti hanno anche una trama in comune, o almeno un comune punto di partenza: l'approssimarsi di una cometa costituita di "diamondium". Nella prima parte l'equipaggio cerca di raggiungerla per prelevarne dei campioni (e Fry vuole staccarne un pezzo per usarlo come gioiello da regalare a Leela con la sua proposta di matrimonio), nella seconda il Professore utilizza il materiale della cometa per costruire una lente di ingrandimento in grado di penetrare i più infinitesimali livelli della materia, nella terza una razza aliena che venera la cometa attacca i terrestri dopo che essa viene frantumata. In realtà, la trama dei tre miniepisodi è poco più di un pretesto per portare avanti la storia per sette-otto minuti, e creare l'occasione per le gag visive ispirate alle diverse tecniche di animazione che sono il vero nucleo della puntata. Per questo ha poco senso valutare la storia in sé, anche se bisogna riconoscere che nel secondo segmento, quello animato come un videogioco, si scorge comunque una certa profondità, quando il Professore, dopo aver scoperto il segreto alla base dell'Universo, si rende conto che non gli resta più niente da scoprire.

Il particolare da notare è che in ogni "reincarnazione" assume un ruolo centrale nella trama un elemento che per sua natura è estraneo allo stile di animazione adottato. Ovvero: nella prima parte la cometa crea nel cielo "un nuovo colore, diverso da qualsiasi altro colore o combinazione esistente"... quando le immagini sono in bianco e nero; nella seconda il Professore utilizza il microscopio potenziato con la lente di diamondium per ingrandire all'estremo un oggetto e scoprirne la composizione di base e rimane sconvolto da "tanta definizione, tanto dettaglio"... quando tutto quello che ha scoperto è un semplice bit nero; nella terza gli alieni comunicano tramite la danza, e i loro movimenti vengono definiti estremamente fluidi... quando le immagini sono spezzettate e spesso gli stessi fotogrammi vengono ripetuti più volte.

Quindi bisogna ammettere che c'è stata una pianificazione delle trame molto acuta, in grado di mettere in risalto le caratteristiche e gli stereotipi (e quindi le contaddizioni) dei diversi stili di disegno, cosa che non era certo facile in miniepisodi così brevi. Tuttavia, per quanto possa essere simpatico vedere i personaggi reinterpretati in modi diversi, l'operazione mi è sembrata "poco Futurama", nel senso che non è esattamente una cosa che avrei chiesto alla serie. D'altra parte, una cosa simile era già stata fatta nelle sigle dei quattro film, che proponevano un'apertura estesa del tema iniziale, ognuna con un diverso stile, tra i quali peraltro era già presente proprio lo stile "cartone anni 20":


Decadendo pertanto necessità e originalità, e giacendo fuori dal canone della serie, Reincarnation rimane una sorta di divertissement, da vedere e dimenticare. Nemmeno la presenza della guest star Stephen Hawking che presta la sua voce (che poi, non per essere cattivi, ma basta un sintetizzatore vocale per dire di aver avuto ospite Hawking...) per l'ennesima volta a Futurama riesce ad aumentare il valore dell'episodio, come anche in The Holiday Spectacular non era la presenza di Al Gore (altro ospite ricorrente) a far digerire meglio la schifezza. Certo, Reincarnation non arriva ai livelli di bruttura dell'altro Christmas Special, ma per quanto simpatico purtroppo non riesce a strapprare la sufficienza. Voto: 5.5/10

Rapporto letture - Marzo 2012

Mentre ragionavo su quale fosse lo strabiliante superpotere che mi consentiva di leggere così tanto, nel corso di marzo mi sono anche applicato praticamente nella lettura, ottenendo così lo standard dei sei libri mensili. Scorrendo a ritroso la mia pagina aNobii ripercorriamo quindi quello che ho sfogliato a cavallo dell'equinozio di primavera.

More about La sindrome di BalzacUna volta ogni tanto, ecco un po' di non-fiction. Questo libretto di Aldo Putignano, di cui sono venuto in possesso temporaneo tramite una catena di lettura, contiene alcuni brevi racconti, tra i quali quello che dà il titolo alla raccolta. Le storie contenute in La sindrome di Balzac sono semplici, leggere e surreali, pervase di un umorismo costante ma non forzato. Niente che lasci un segno indelebile nel lettore, ma una lettura disimpegnata, valida anche per chi si fa spaventare da volumi superiori alle 250 pagine. Voto: 6.5/10




More about World War ZGli zombie, a essere onesto, non mi hanno mai appassionato più di tanto. Certo non si può negare che come archetipo della disumanità hanno un loro valore, ma bene o male ho sempre pensato che vista una storia di zombie viste tutte (che può essere anche la ragione per cui non sono andato oltre la prima stagione di The Walking Dead). Ora, Max Brooks ha sicuramente fatto un buon lavoro nel costruire il mondo invaso e devastato dagli zombie, descrivendo accuratamente la World War Z in tanti aspetti e luoghi diversi, ma forse questa mia diffidenza iniziale non mi ha permesso di godermi quella che sicuramente è un'opera complessa e profonda, che senza dubbio occupa già un posto di rilievo nella storia della letteratura horror. Quello che ho sofferto maggiormente è forse la forma adottata: interviste multiple a sopravvissuti del conflitto mondiale contro i non-morti, che se da un lato consentono di avere una prospettiva ampia e completa, dall'altro impediscono un vero e proprio legame empatico coi personaggi, di cui una volta esaurito il resoconto non si sa più nulla. Quindi la mia valutazione è forse pregiudizievolmente bassa, ma mi sento comunque di consigliare questo libro, che offre numerosi spunti interessanti, sia dal punto di vista narrativo che per i differenti livelli di interpretazione. Voto: 7/10


More about Il cieco del non spazioÈ curioso che di Bob Shaw abbia letto solo un altro libro, Altri giorni altri occhi, che seppur in modo diverso ha anch'esso come tema centrale una qualche alterazione del senso della vista. In Nightwalk (che schifo di titolo è Il cieco del non spazio!?), il protagonista è un agente segreto terrestre in missione su un pianeta nemico, che perde la vista dopo essere stato catturato. Grazie però all'aiuto di un collega detenuto, inventerà un macchinario che gli consente di sfruttare la visione di una qualsiasi altra persona (o creatura in genere), vedendo attraverso i suoi occhi. Acquisita questa capacità, tenterà di portare a termine la sua missione, dalla quale dipende l'esito della guerra tra i due pianeti. La storia procede da subito con un buon passo, ed è chiaro che ci si trova all'interno di un'avventura densa di colpi di scena, che sfrutta a pieno le potenzialità dei quasi-occhi per rendere il tutto più interessante. Ma, inaspettatamente, la storia non si limita a questo: in alcune fasi infatti, il testo raggiunge una profondità inusuale per una storia di questo tipo (come la meravigliosa risposta alla domanda "Com'è la Terra?": "I bambini hanno tricicli rossi"). Inoltre, negli ultimi capitoli la prospettiva si amplia, e dalla personale battaglia del protagonista la storia arriva a comprendere l'intero conflitto interplanetario e, infine, il destino di tutta l'Umanità. Voto: 8/10


More about Fantaweb 2.0Qui pare che faccia dello spam, ma, beh, io leggo anche i libri di cui sono autore! Fantaweb 2.0 è una delle ultime raccolte in cui è presente un mio racconto, edita da Edizioni della Vigna. Oltre al mio Il senso della vita, il libro include racconti fantascientifici di altri autori italiani di medio calibro, come Daniele Picciuti, Alfredo Mogavero, Stefano Andrea Noventa. In realtà avevo già letto i racconti nelle fasi iniziali di compilazione della raccolta, quando all'interno del gruppo aNobii si iniziavano a mettere insieme e scegliere i lavori da proporre a qualche editore, tuttavia li ho riletti tutti con piacere a distanza di qualche anno. Questo perché le storie contenute qui sono tutte di buon livello, e pur spaziando nei temi classici della fantascienza lo fanno con un taglio personale e originale, abbastanza da rendere il libro un prodotto di qualità, adatto a tutti gli appassionati del genere e non solo. Insomma, perché ogni tanto anche in casa nostra riusciamo a fare qualcosa di buono, e c'è da andarne fieri. Voto: 8/10


More about La notte dei tempiRené Barjavel è l'autore di uno dei più brutti romanzi di fantascienza che abbia mai letto. Il suo Diluvio di fuoco è una storia apocalittica scriteriata e bigotta, e anche se mi ha fornito incidentalmente l'idea per un racconto è un libro che ho disprezzato dall'inizio alla fine. Ma siccome, che che se ne dica, sono una persona misericordiosa, e concedo a tutti una seconda possibilità, tempo fa ho acquistato La notte dei tempi, e infine ho deciso di leggerlo. E non ho fatto male. In questo romanzo, una spedizione scientifica in antartide scopre le rovine di una civiltà tecnologica sepolta sotto i ghiacci, a una profondità tale che la datazione dei reperti si aggira intorno ai 900.000 anni... quando ancora stavamo imparando a sfregare due ramoscelli per trarne scintille. All'interno delle rovine, sono presenti anche due persone ibernate. Gli scienziati scongelano con cautela la donna, e dopo le iniziali difficoltà di comunicazione, da essa apprendono la storia della civiltà perduta che ha preceduto il sorgere di quella attuale, una società semiutopica ma in guerra con un'altra nazione, in un conflitto la cui escalation ha provocato la distruzione di entrambe e sconvolgimenti su tutto il pianeta. La donna accenna anche ad avanzatissime tecnologie perdute, ed è questo a scatenare nuovi conflitti tra le nazioni, nel tentativo di accaparrarsi il segreto per l'invincibilità. Mentre la prima parte del libro è focalizzata sulla spedizione scientifica e sulle prime scoperte del team internazionale, tutta la parte centrale riporta le ultime esperienza della donna prima del congelamento, del suo tentativo di salvare il suo compagno sullo sfondo del devastante attacco che sta per essere lanciato. Forse questa parte è troppo lunga rispetto alla sua densità di concetti, ma la sconvolgente sorpresa finale ripaga del tutto questo piccolo difetto, così come il piccolo anelito di speranza che sembra concludere il libro. Un'ottima prova quindi, al di là delle aspettative. Voto: 8.5/10


More about La clessidra d'avorioInfine si torna ad autori italiani, con la coppia Davide Cassia e Stefano Sampietro, per questo mistery di ambientazione storica. La clessidra d'avorio si svolge principalmente intorno al 1800, seguendo l'avventura di un nobile francese, di suo figlio e di un amico spagnolo alla ricerca della clessidra del titolo, un manufatto dai supposti poteri alchemici. La caccia porta i protagonisti in Italia, tra Bologna, Firenze e Roma, seguendo il percorso che un alchimista italiano del '600 ha lasciato scritto nel suo diario, che viene inframezzato ai capitoli del libro, mentre gli altri capitoli ambientati nl 2008 servono più a fornire un epilogo alla storia che a completarla. L'intreccio è avvincente, e nel finire assume una dimensione più ampia, integrandosi nel contesto politico dell'epoca che vede Napoleone opporsi al papato, tuttavia la parte "misteriosa" legata alle pratiche alchemiche non viene approfondita, e di fatto la clessidra stessa (e i suoi presunti poteri) non viene mai mostrata. Anche la soluzione dell'enigma che porta al nascondiglio dell'artefatto è forse leggermente artificiosa, e sarebbe stato difficile per il lettore dedurla in autonomia. Nel complesso comunque una buona storia, fedelmente attinente all'epoca in cui si svolge, capace di intrattenere in modo intelligente. Voto: 7/10

Coppi Night 01/04/2012 - Alien

Ci sono alcune occasioni in cui scrivere la recensione di un film non ha senso. Per dire, cosa mai potrei dire di un film come Titanic, un classico moderno di portata globale, che non sia già stato detto? Potrei aggiungere al massimo un mi piace/non mi piace, ma il pubblico ne trarrebbe poco giovamento. Questo discorso si applica perfettamente ad Alien. Premesso che non avrei mai pensato che avrebbe potuto vincere le votazioni in una Coppi Night, anche per chi non l'ha visto si tratta di un film tanto famoso e rilevante che non avrebbe valore  la mia interpretazione.

Per cui, divaghiamo dal mero ambito cinematografico e spostiamoci su qualche trivia e considerazione a margine.

Partiamo dicendo che sono un fan piuttosto convinto del "franchise" Alien, tanto da possedere il cofanetto con tutti i quattro film originali (beh, ho anche Alien vs Predator, ma solo perché sono anche un fan di Raoul Bova). Spulciando i contenuti dei nove dvd del cofanetto, ho appreso tante nozion interessanti sulla concezione del primo film e dei successivi. Mi pare quindi interessante far presente come il design dello xenomorfo sia ispirato ai disegni presenti nel volume Necronomicon di H.R. Giger, una specie di bestiario fantastico e perverso. Come potete notare qui accanto, l'idea per l'aspetto della creatura era già ben definita, e in effetti assomiglia parecchio anche alla terza forma di Frieza, il più perfido dei cattivi di Dragonball Z, che infatti è uscito successivamente al film. Un altro aspetto interessante è che nonostante gli autori del film affermino di aver inventato la storia dell'alieno parassita, Alfred Elton Van Vogt fece causa alla produzione per plagio, accusandoli di aver copiato l'idea da alcuni suoi racconti raccolti in Voyages of the Space Beagle (da noi: Crociera nell'infinito). La natura parassitaria degli xenomorfi sarebbe infatti ispirata a quella di Ixtl, mentre la loro furia distruttrice a Coeurl (noto anche come "black destroyer", titolo del racconto che ha reso famoso Van Vogt). Van Vogt però ha perso la causa, a differenza di Harlan Ellison con Terminator.

Un altro aspetto che mi è venuto in mente riguardando Alien, è come già negli anni 70 valesse la regola per cui nei film gli animali (e in particolare quelli da affezione) non si ammazzano. Jones è uno dei due superstiti della Nostromo. E alla fine dei conti va meglio a lui che a Mewt, la bambina che sarà protagonista del seguente Aliens. È vero che proprio in Alien^3 lo xenomorfo cresce in una mucca e assume per questo una forma quadrupede, ma anche questo assassinio non viene mostrato, mentre le membra umane si spargono con facilità. Cercate quanto volete, ma l'unico film in cui un animale (che non sia il "mostro" protagonista della storia) viene ucciso e mostrato morire è Cannibal Holocaust. Un'altra eccezione può essere quella dei cavalli in qualche scena di guerra campale vengono massacrati, ma in questo caso l'equino è regredito dalla sua figura di creatura vivente a quella di mezzo di trasporto, per cui è un po' come un'auto che esplode o un treno che deraglia. Piuttosto si vedono morire bambini, ma animali mai. Al massimo si può vedere il cadaver di un cane, molto raramente... ma mai il momento della sua uccisione. Oh, non fraintendete, non è che vorrei più massacri di bestiame (io personalmente non ammazzo nemmeno le zanzare nelle notti di agosto), è che a volte mi pare assurdo questo buonismo che aleggia intorno agli animali, e in particolare quelli "domestici". Concetto che si applica anche al tabù del nutrirsi di cani e gatti.

Concludo aggiungendo solo che stavo scherzano: non sono un fan di Raoul Bova. Anzi, meglio ribadirlo per evitare fraintendimenti: non sono un fan di Raoul Bova.

Bustina # 10

Non puoi vincere. Non puoi pareggiare. Non puoi nemmeno abbandonare.
Il teorema di Ginsberg


A qualunque cosa si riferisca la frase (lavoro, sport, rapporti umani, vita...), il significato è evidente. Sbattetevi quanto vi pare, perché non potete ottenere nulla: c'è una sola, terribile, possibilità. Si può contestare questa formulazione, ma l'evidenza empirica sembra invece confermarla. Soffermatevi e pensateci, per quello che conoscete. E cercate di non finire come in "The Old Game".


Breve aneddotto connesso a questa citazione. Avevo letto/sentito questa frase da qualche parte tempo fa, ma non ne conosco l'origine. Ma come accade per ogni altra bustina, era opportuno inseire la fonte della massima (let me google that for you!). È emerso che oltre ad essere contenuta in una famosa canzone di Michael Jakson, è contenuta nel libro La legge di Murphy compilato da Arthur Bloch, inestimabile fonte di cinica saggezza. E si scopre quindi che il teorema di Ginsberg presenta un interessante corollario, che (sempre traendo dal libro di Bloch) recita più o meno così:

Tutte le filosofie che cercano di dare un significato alla vita si basano sulla negazione di uno di questi principi. Infatti: il capitalismo si basa sull'assioma che si possa vincere; il comunismo si basa sull'assioma che si possa pareggiare; il misticismo si basa sull'assioma che si possa abbandonare.

Questo commento è chiamato "chiosa di Freeman". Ebbene, quel Freeman è questo, che in un suo post spiega proprio l'origine del commento alla legge di Ginsberg. Tra l'altro, nell'articolo è presente anche una sfiziosa interpretazione termodinamica del teorema. Come a dire: anche la Natura sa che non c'è modo di spuntarla, mai, in nessun modo.