Dal libro al film: Soffocare

Esco leggermente dagli argomenti che di solito tratto su queste pagine, parlando per una volta di un libro (e relativo film) che non si può definire "di genere". Beh, per la verità, come tutti i romanzi di Chuck Palahniuk, è anche difficile collocarlo in un genere specifico, visto che la varietà di elementi e temi inclusi è difficile da incasellare.

Soffocare è uno dei primi libri di Palahniuk, uscito sulla scia del successo dell'adattamento cinematografico di Fight Club. È la storia di uno studente di medicina di origini italiane, Victor Mancini, con una madre gravemente malata e una patologica dipendenza dal sesso. Victor lavora come figurante in una ricostruzione di un villaggio del 1700, e per arrotondare si fa andare di traverso il cibo a ristorante fingendo (ma neanche tanto) di soffocare finché qualcuno arriva a salvarlo, e si sente di conseguenza legato a lui al punto da mandargli soldi per aiutarlo. Victor viene poi convinto da una delle dottoresse della clinica in cui è ricoverata sua madre di essere stato concepito tramite inseminazione artificiale a partire dai geni di una reliquia di Gesù, e di essere quindi un discendente diretto del figlio di dio. Tutto questo mentre lui cerca di superare la sua sessodipendenza (anche se la terapia di gruppo non sembra aiutarlo) e il suo amico inizia senza una ragione apparente a raccogliere e impilare pietre. Come in tutte le storie di Palahniuk i personaggi sono bizzarri, le stiuazioni al limite del surreale, ma partendo da queste premesse la narrazione è solida e coerente. Personalmente ritengo Soffocare (titolo originale Choke, urrà per una traduzione fedele!) tra i migliori lavori dell'autore, ma forse la mia opinione non fa testo in quanto sono piuttosto in controtendenza nei miei giudizi delle sue opere, visto che considero tra le migliori Diary e Rabbia/Rant, mentre sono rimasto piuttosto indifferente a Invisible Monsters che invece sembra aver avuto parecchio successo (infatti si è parlato a più riprese di un possibile film).

Evidentemente anche qualcun altro ha trovato interessante questo lavoro, perché Soffocare nel 2008 è uscito al cinema (con lo stesso titolo). Pur derivando da una produzione non proprio lineare (l'uscita è stata posticipata di due anni rispetto al previsto), il film riesce a cogliere in modo efficace lo spirito dell'opera da cui deriva. Mentre infatti il Fight Club di David Fincher insisteva su toni cupi, l'atmosfera di questo film è più leggera, e pur trattando di tematiche abbastanza forti, l'aspetto drammatico viene solitamente celato da un velo di humor, senza però perdere valore. Buona parte di questo successo si deve probabilmente alle valide interpretazioni, tra cui ovviamente spicca il ruolo di protagonista per Sam Rockwell (attore per il quale ho espresso il mio apprezzamento in altre occasioni), ma anche Anjelica Huston che interpreta sua madre (sia nel presente che nei flashback) e tutto il resto del cast che fa il suo dovere. Victor appare così come un ragazzo volenteroso ma confuso, deciso a fare del bene ma timoroso di non esserne capace. La sua sessodipendenza viene mostrata infine come una valvola di sfogo, l'unico modo per creare legami che non riesce a mantenere, soprattutto in conseguenza del rapporto "occasionale" con cui sua madre lo ha cresciuto.

L'aderenza al libro non è perfetta, tuttavia tutti gli elementi fondamentali sono presenti, e laddove si possono scorgere delle variazioni non si rimane affatto delusi. Alcune parti (tra cui lo stesso "soffocare") ricevono anzi una chiave di lettura ulteriore, un significato più profondo di quello che nell'opera originale gli veniva attribuito. Mi viene quasi da dire che per certi versi il film sia "migliore" del libro (sempre nei limiti entro cui si può paragonare un film a un libro), nel senso che riesce a raccontare in modo più efficace una storia coerente, partendo da un quadro scomposto e rimettendo gradualmente a posto tutti i pezzi. Forse non ci sono scene particolarmente intense, né citazioni memorabili, ma il tutto è proposto in modo equilibrato e accessibile, perdendo forse qualcosa della frammentarietà tipica delle opere dell'autore ma guadagnandone in fruibilità da parte di chi non ha letto il libro (o comunque non ha familiarità con Palahniuk).

Un film forse sottovalutato, ma con tutte le caratteristiche per non passare in secondo piano rispetto a produzioni più reclamizzate.

Spore Contest: Caccia all'errore!

Mettiamola giù nel modo più rapido e indolore possibile: in Spore c'è un errore. Si tratta di una cosa che ho notato solo la settimana scorsa, sfogliando casualmente il libro che ogni tanto mi capita di riprendere in mano (non per narcisismo, ma perché me lo trovo davanti e mi viene da pensare "Mattugguarda questa roba l'ho scritta io..."). L'occhio mi si è focalizzato su quel particolare e mi sono dato dell'idiota per non essermi accorto della cosa in fase di preparazione del libro.

Bene, appurato questo, cosa fare? Scrivere un comunicato stampa, in cui informo il gentile pubblico che malgrado tutte le fasi di lavorazione è sfuggito comunque un dettaglio incoerente che... nah, dai, non sono un piagnone di quel tipo. Ho informato l'editore, che provvederà a correggere l'errore nella prossima ristampa, ma poi mi sono detto, perché non giocarci su?

Eddai, tanto l'errore c'è, negarlo sarebbe stupido. Allora meglio sfruttarlo come un'occasione per far sfogliare ancora il libro a chi ce l'ha già, no? E allora parte oggi la Caccia all'errore di Spore! Vi sfido a trovare questo particolare fuori posto, mettendo in palio per chi ci riuscirà un premio poco più che simbolico.


Il regolamento è semplice: tutti coloro che hanno Spore possono partecipare (sarebbe impossibile il contrario, quindi non dovete dimostrarmi di averlo davvero), comunicandomi in risposta a questo post, o via mail, quello che ritengono essere l'errore. Io non darò risposte affermative o negative, per cui fornitemi un recapito per contattarvi in privato (se non ce l'ho già) e comunicarvi l'esito. I primi tre che indovineranno l'inesattezza che io ho riscontrato, potranno scegliere come premio uno dei libri che includono un mio racconto, tra quelli ancora a mia disposizione:
I libri in questione sono da intendersi fino a esaurimento scorte, visto che di qualcuno ho una copia sola. Ce ne sono alcuni a mio parere molto ghiotti, perché ad esempio i Corti di XII, dopo la chiusura della casa editrice, sono praticamente introvabili. Tutti questi contengono un mio racconto, ma chiaramente potete sceglierli anche per la presenza di altri autori. La spedizione avverrà naturalmente a mia cura e costo, anche se magari non in tempi brevissimi (datemi una decina di giorni, il tempo che mi venga voglia di andare alle poste...).


Ora, siccome ho specificato che si vince solo scovando l'errore preciso a cui mi riferisco, contestualizziamo meglio. Perché può darsi che ci siano anche altre imprecisioni (mi auguro di no, ma non posso esserne certo), ma io voglio che mi indichiate proprio quella. Quindi circostanzio meglio l'oggetto del contest, anche per facilitarvi nella ricerca.

Innanzitutto, non si tratta di un semplice refuso, un verbo coniugato male, un plurale invece di un singolare. Ma non si tratta nemmeno di un plot hole, una falla logica nel testo (che presumo non ce ne siano, ma se con l'occasione volete farmele notare, tanto meglio). Non dovete quindi andare a scavare nel significato e nelle idee alla base delle storie, l'errore è puramente superficiale. Si tratta di un errore di forma, non di sostanza, ma è qualcosa di non immediato, che per essere individuato richiede che il lettore abbia capito cosa sta leggendo. Anzi, sarei lieto se oltre all'errore mi forniste anche la correzione appropriata, giusto per dimostrare che appunto vi è chiara la natura dell'inesattezza. Non posso darvi altri indizi, sarebbe troppo facile se vi indicassi anche in quale racconto si trova l'errore, a quel punto dovrei resettare tutto il contest.

Ultima annotazione: chi di voi ha acquistato l'e-book di Spore non può partecipare, perché nella versione digitale era già stato corretto. E visto che nella prossima ristampa del libro sarà corretto anche nel cartaceo, datemi una mano a dimenticare questo spiacevole incidente continuando a diffondere il libro per esaurire la tiratura attuale.

Buona caccia!

Coppi Night 23/03/2014 - Le Iene

Non sono un fan di Tarantino. Penso sia semplicemente una questione di genere, e forse di mancanza di "basi culturali", nel senso che non ho questa grande conoscenza del cinema pulp su cui spesso si basano i suoi film. Non apprezzo più di tanto il citazionismo (a meno che sia usato con intenzione parodistica, ma a quel punto stiamo parlando di pallottole spuntate e simili), e trovo anche abbastanza irritante quando il suo nome viene usato per spingere film prodotti o diretti da altri (quelle tagline con scritto QUENTIN TARANTINO a corpo 40, e subito sopra a corpo 4 "visto anche a casa sua da").

Detto questo, devo riconoscere che c'è del merito nei suoi film, e che le storie che porta a schermo riescono di solito a mostrare un tema classico con una prospettiva differente. Infatti anche in Reservoir Dogs* il tipico plot della banda criminale che organizza ed esegue una rapina viene condotto senza mai effettivamente mostrare la rapina, ma solo l'antefatto e l'epilogo. Poi intorno a queste vengono costruite varie sottotrame sui personaggi di spicco (il poliziotto infiltrato, lo squilibrato ecc) che deviano in pratica l'attenzione da quello che dovrebbe essere l'oggetto del film, senza però perdere di integrità. Alla fine dei conti così ci si trova ad avere il quadro completo di storia, senza di fatto averne visto la parte principale. E ci vuole sicuramente una certa abilità per ottenere questo risultato.

Ma questo rimane un film su cui gente più competente (o semplicemente più appassionata) di me ha chiacchierato fino allo sfinimento negli anni, quindi c'è poco che io possa aggiungere alla discussione. Per quanto mi riguarda lo reputo un film interessante, con i requisiti per diventare un cult (come infatti è successo), ma niente di indimenticabile.



*Qualcuno poi mi spiega il titolo? Perché io quel reservoir non sono mai riuscito a interpretarlo...

Lost in Lost #17 - Ep. 4x01-4x02

Buona parte del pubblico afferam che Lost abbia raggiunto l'apice con la terza stagione, e che da lì in poi si sia andato perdendo. Io sono di avviso contrario, anzi, proprio la quarta stagione secondo me è la più riuscita dell'intera serie. Questo deriva da una serie di fattori concomitanti, interni ed esterni alla serie stessa: la quarta stagione infatti mi è sembrata la più densa di contenuti, composta interamente di episodi che fanno avanzare la trama (niente filler, quindi) in- e off-island. Inoltre l'introduzione dei flashforward conferisce nuova linfa a un meccanismo narrativo che dopo tre stagioni iniziava a farsi stantio e a non raccontare più nulla. La quarta è anche la stagione più breve, poiché è capitata in concomitanza col devastante sciopero indetto all'epoca dal sindacato USA degli autori televisivi, e forse anche questo ha contribuito a rendere i (pochi) episodi più concentrati e significativi. Da ciò deriva che, se nei resoconti precedenti tendevo ad accorpare tre o più episodi, con questa stagione potrei arrivare a parlare al massimo di due episodi per volta.

Ripercorriamo intanto la trama di questi primi due episodi: in The Beginning of the End scopriamo innanzitutto che i sopravvissuti "ufficiali" del volo 815 sono sei, e che Hurley è tra questi (per cui ne conosciamo la metà: Jack e Kate si erano già visti). Si assiste poi al ricompattamento dei gruppi che si erano separati in vista del finale della stagione precedente, e la successiva separazione in due nuove fazioni, capitanate al solito da Jack e Locke, i primi desiderosi di lasciare l'isola (grazie ai presunti soccorsi in arrivo) e gli altri in cerca di rifugio dall'invasione di questi nuovi arrivati che si presentano con una menzogna (Not Penny's Boat...). In Confirmed Dead, conosciamo invece i nuovi quattro arrivi sull'isola, il "team scientifico" (fisico, archeologa e... ghost whisperer?) e il loro pilota. E con loro arriva anche un utilissimo elicottero, intatto e pronto a volare verso la nave. I quattro però non si dimostrano così collaborativi, e Miles in particolare si dimostra piuttosto ostile, in particolare quando scoprono che Juliet non fa parte dei sopravvissuti del volo. È a quel punto che si scopre che l'obiettivo per cui la nave ha raggiunto l'isola è Benjamin Linus. Il quale, comunque, rivela di avere un suo agente sulla nave stessa.

Le novità che emergono in queste due prime puntate sono già notevoli. La mia cavia ha pensato subito che idarsi dei nuovi arrivati fosse avventato, in considerazione del messaggio lasciato da Charlie prima di morire (Charlie che ci ha anche concesso un simpatico cameo apparendo da morto ad Hurley). Ora, non sembra che i quattro siano cattivi in sé, ma è chiaro che hanno obiettivi diversi da quelli dichiarati. C'è anche da chiedersi perché dalla nave siano stati inviati questi "specialisti" piuttosto che una squadra equipaggiata per una ricerca vera e propria. È stato anche interessante scoprire che qualcuno all'esterno sta cercando Ben. È evidente che questo personaggio ha molto altro da rivelare, e forse qualcuno che viene appositamente a cercarlo lo conosce meglio dei naufragi.

Le previsioni per i prossimi episodi riguardano sicuramente la scoperta della talpa che Ben ha sistemato sulla nave, e non è escluso che si tratti di qualcuno di già noto. Certamente si scoprirà anche qualcosa di più sui quattro nuovi arrivati e i loro obiettivi, e in questo senso è interessante il fatto che Lapidus fosse il pilota inizialmente designato per il volo 815: forse la sua presenza non è affatto casuale, sull'isola, ma è in qualche modo "dovuta", come se lui avrebbe dovuto esserci (un concetto che ricorda il course correcting che continuava a cercare di uccidere Charlie). Forse anche altri personaggi, magari anche a loro insaputa, sono legati da questo invisible vincolo con l'isola?

L'ignoranza del lettore

Questo post deriva da uno scambio avvenuto in un gruppo di Facebook, e che sulle prime aveva generato un dibattito interessante che inevitabilmente (come sempre accade su fb), è poi deviato su binari più futili e si è persa. La discussione derivava a sua volta da una presunta citazione di Neil Gaiman (dico "presunta" perché ormai le citazioni si attribuiscono con leggerezza a chiunque torni comodo, e in questo caso non ho verificato). Ora, senza ripartire da capo con tutto il discorso, la parte che mi interessa affrontare è quella riguardante l'attribuzione delle "colpe" nel caso in cui scrittore e lettore non si comprendano. Ovvero: se io scrittore ricevo da un lettore l'appunto che quanto da me scritto non è comprensibile, devo correre ai ripari o piuttosto è il lettore a dover fare qualcosa?

Chiariamo subito un paio di cose. Quando dico che il lettore "non capisce" non mi riferisco a una questione di gusti: non sto dicendo che il lettore non gradisce quello che ha letto, ma che non è riuscito a cogliere quello che era il senso che lo scrittore ha cercato di esprimere con la sua opera. Allo stesso modo "non capire" non va inteso in senso sintattico/lessicale (beh, certo, conta anche quello, ma se lo scrittore scrive in una lingua non accessibile il problema è evidente), ma nell'impossibilità di trasmettere qualcosa al lettore, di rendere chiara non solo la trama di quanto si racconta, ma anche il senso più profondo del proprio lavoro. Do quindi per scontato che uno scrittore non si limiti a narrare una serie di eventi, ma con questo mezzo cerchi di far arrivare qualcosa al lettore, e come specifico ogni volta non mi riferisco a morali, o insegnamenti didascalici (del tipo "la violenza è una cosa brutta"), quanto una serie di suggestioni o di idee suggerite ma non spiattellate.

Mi rendo conto che il discorso in questi termini risulta piuttosto astratto. Faccio quindi un esempio più immediato, e visto che guardacaso pure io scrivo, parlo di una mia storia. Considerato che da parecchio parlo della mia raccolta Spore, parto da quella e del racconto eponimo (possibili spoiler più avanti se non l'avete letto!). Non parlo di Spore per narcisismo o autopromozione, ma semplicemente perché avendolo scritto io so quello che ho scritto e perché.

[Inizio spoiler] In Spore assistiamo a più sequenze ambientate in epoche differenti, a partire dal presente e fino a un futuro lontano. In ognuna di queste viene mostrato un diverso grado di "interazione" tra gli uomini e una particolare specie di funghi saprofagi, e della lenta simbiosi che si viene a instaurare tra i due organismi, fino al completo assorbimento della Terra da parte dei funghi. [Fine spoiler] Questa è la trama. Ma che cosa volevo dire, con tutto ciò? Il mio obiettivo era quello di far riflettere il lettore sulla definizione di umanità, e indurlo a pensare che il confine tra ciò che consideriamo noi e ciò che è altro sia molto più flessibile di quanto siamo abituati a pensare, tanto che anche se alla fine le spore hanno completamente preso il sopravvento, cionondimeno l'umanità intera è ancora il nucleo pulsante di questo macrorganismo planetario.

Ora, chiedo a quelli che hanno letto Spore: sono davvero riuscito a farvi pensare a questo (o almeno a questo)? Il mio racconto vi ha fatto riflettere su temi di questo tipo? E se non è così, di chi è la colpa? Sono io, scrittore, a non essere in grado di esercitare la giusta pressione su chi mi legge, o è dall'altra parte il lettore incapace di seguire le mie implicite argomentazioni?

Personalmente, per mia formazione (sia di lettore che di scrittore) e deontologia, sono portato a credere che se un testo non è chiaro al lettore, la "colpa" è principalmente dell'autore. Questo perché è vero che il lettore può essere distratto, superficiale, ma fa parte del lavoro dello scrittore anche quello di rendersi "appetibile", nel senso di riuscire a farsi seguire. Solo conquistando il lettore (con la storia, con il ritmo, con lo stile), lo si può accompagnare lungo il percorso logico/tematico che conduce all'idea di fondo che si vuole trasmettere. Se questo non succede, allora è lo scrittore ad aver sbagliato qualcosa. Certo c'è anche una questione di numeri: se su cento lettori uno solo ha difficoltà, è probabile che sia un problema suo. Ma considerato che che mi muovo su numeri molto bassi, anche un solo lettore "perso" è un campanello d'allarme.

Nella discussione su Facebook, qualcuno sosteneva che il lettore "deve fare la sua parte", e che se non capisce che cosa gli viene raccontato è probabile che sia lui ad essere ignorante. È davvero così? È possibile che un lettore casuale si trovi davanti un testo che va oltre le sue capacità, ma se il mestiere dello scrittore è proprio quello di guidare i suoi lettori affinché lo capiscano, non è anche un lettore ignorante un problema da tenere di conto? Certo può capitare che un lettore ignori alcuni concetti (ed è tanto più vero in un genere come la fantascienza): io stesso in Spore utilizzo termini forse non di conoscenza diffusa: micelio, ifa, rizomorfo. Il lettore che non conosce queste parole si può considerare ignorante e pertanto "colpevole" di non capire? O piuttosto, è compito dell'autore fare in modo che anche eventuali lacune nozionistiche siano colmate, o invoglino il lettore a informarsi?

La mia opinione (che per definizione è opinabile) è che non sia così. Non esiste il lettore troppo ignorante per capire, a maggior ragione se ci si rivolge a un pubblico specializzato (come fanno praticamente tutti gli autori di genere). Con questo non dico che, per ogni appunto ricevuto, sia necessario rimettere mano ai propri lavori e renderli più "fruibili": è sottinteso che sta all'autore decidere fino a che grado e per quali pubblico i suoi testi debbano essere comprensibili, perché si può anche puntare a non essere capiti, o esserlo solo in parte o solo da qualcuno. Ma se si parte dall'assunto che scrivere è comunicare, quando questa comunicazione non avviente ci troviamo di fronte a un fallimento. E il lettore che si dichiara sconfitto è un fallimento più per lo scrittore che per se stesso.


In alto in questo post, potete vedere un libro che mi ha sconfitto. Un terribile fallimento per William Gibson e Bruce Sterling.

Coppi Night 16/03/2014 - Black Swan

Non l'ho fatto apposta, ma a posteriori mi accorgo che ho visto quasi tutti i film di Aronofsky. A mancarmi sono solo Noah (che uscirà a breve) e The Fountain, che ho in lista di visione. Gli altri li ho visti tutti, e volendo fare un discorso complessivo, Black Swan è forse quello che mi è sembrato più "completo". Film come Pi e The Wrestler, infatti, se da un lato esibiscono una tecnica eccellente, dall'altro sembrano vacillare quando si arriva a determinare il "messaggio" del film. Lo ripeto tante volte, io non cerco insegnamenti, non ho bisogno di trarre una morale da un film, ma ritengo che qualunque opera (scritta, suonata o filmata che sia) debba comunque "dire" qualcosa, ed è lì che mi pare che Aronofsky si perda. Già Requiem for a Dream era più solido da questo punto di vista, con le vicende incrociate dei personaggi che comunque convergevano verso un buco nero di distruzione, ma era un messaggio generico, quasi una patina aggiunta piuttosto che il nucleo reale.

Black Swan invece si delinea fin da subito come una storia dal percorso chiaro: la ragazza che si impegna per primeggiare (ossessivamente incitata dalla madre) e non si accorge che in questa sua ambizione sta perdendo molto di sé, alterando la sua stessa natura. È anche un film sul balletto (almeno credo che si chiami così), e forse questo può diventare un valore aggiunto per gli appassionati di questa disciplina, cosa che io non sono. Ciononostante, pur non avendo alcuna affinità con il ballo, non mi è affatto dispiaciuto vedere le coreografie portate a schermo, e questo è sicuramente un grande merito del regista, che riesce a non rendere stucchevoli queste sequenze piuttosto frequenti. Certo il plot si risolve alla fine in quella zona d'ombra proiettata intorno al concetto "era tutto un sogno", ma in questo caso non si tratta di una scappatoia, quanto di una progressiva serie di deliri e autosuggestioni che solo alla fine sono rivelati. Forse la contrapposizione cigno bianco/cigno nero è fin troppo sottolineata, qualche accenno in meno avrebbe reso la "conversione" della dolce ballerina meno scontata (un po' l'opposto di Anakin Skywalker che passa al Lato Oscuro, che invece si svolge nello spazio di tre battute), ma l'equilibrio è comunque mantenuto

La qualità del film è anche data alla validissima interpretazione degli attori, la protagonista Natalie Portman per prima (anche se non è lei a ballare, aveva un'apposta stuntlady), ma anche tutto il cast principale, incluso Vincent Cassel che credo in fondo sia un bravo attore, solo che raramente ha occasione di farsi valere.

In definitiva quindi un film intenso e completo, e tutto questo senza nemmeno accennare alla gustosissima scena lesbo!

Rapporto letture - Febbraio 2014

Febbraio è stato un mese dedicato interamente alla fantascienza (che novità!) per quanto riguarda le mie letture, con una salomonica divisione tra autori internazionali e italiani: uno e uno.


Più riguardo a Ferro setteL'autore italiano in questione è Francesco Troccoli. Troccoli si sente nominare nell'ambiente fantastico italiano da alcuni anni, e dopo aver pubblicato vari racconti in raccolte ed essersi distinto in vari concorsi* ha fatto il botto con la pubblicazione del suo romanzo Ferro Sette da parte di Armando Curcio Editore. Il libro risale ad alcuni anni fa, ma io ne sono venuto in possesso solo recentemente e sono riuscito finalmente a leggerlo. La storia è quella che si potrebbe considerare di fantascienza "classica", di tipo avventuroso. Abbiamo un protagonista (un antieroe) reclutato per una missione da infiltrato, sullo sfondo di un pianeta ostile sfruttato implacabilmente dai suoi padroni per le risorse minerarie. Il protagonista arriverà poco per volta a conoscere i particolari della "ribellione" su cui è stato inviato a investigare, scoprendo il segreto del sonno, attività dimenticata dall'umanità in nome della produzione, che il gruppo ha iniziato a praticare come terapia psicofisica. Tra rivelazioni, fughe e scontri si troverà infine a dover scegliere da che parte stare. Non ci sono idee di forte impatto, e in certi parti anzi si scorgono accostamenti piuttosto scontati (la capacità di dormire che implica quella di sognare), ma la storia è costruita in modo solido e si legge con facilità, anche nelle doverose sezioni di infodump che si presentano di tanto in tanto. Un libro sicuramente non rivoluzionario, ma una piacevole novità nel panorama editoriale italiano che solitamente ignora la fantascienza. Voto: 7/10


Più riguardo a XeeleeL'autore straniero invece è Stephen Baxter, con cui ho un appuntamento fisso da un paio di mesi a questa parte, in quanto sto un po' per volta assorbendo tutte le opere della serie degli Xeelee. Dopo Raft e Vacuum Diagrams, questo mese ho letto Timelike Infinity. Riagganciandosi in parte a personaggi ed eventi già presenti nella raccolta di racconti (Michael Poole, Jim Bolder, le GUTship, i Qax), in questo romanzo Baxter centra la narrazione sul periodo dell'occupazione Qax, mostrando il Sistema Solare controllato da questi alieni e i loro tentativi di arginare la crisi provocata dal ritorno dell'astronave Cauchy. In realtà si tratta anche di una storia di viaggio nel tempo, che peraltro ipotizza una modalità ingegnora di renderlo possibile (non so se l'abbia inventata Baxter o qualcun altro ci avesse pensato sopra): ponendo di avere un wormhole con un ingresso e un'uscita, muovendo una delle due estremità a velocità relativistiche all'interno di una nave (la Cauchy, in questo caso), alla fine del viaggio i due portali saranno ancora collegati, ma in epoche diverse. Il ritorno dell'astronave permette a un gruppo di ribelli di fuggire nel passato (prima dell'invasione Qax), e questo fa temere ai padroni alieni che essi possano tentare di cambiare la storia, ma in realtà il progetto degli "amici di Wagner" è molto più complesso e a lungo termine. Qui Baxter fa di nuovo sfoggio della sua capacità di prendere complicate teorie fisiche e estrapolarne i risvolti filosofici, e quando la rivelazione arriva si rimane davvero impressionati... "sense of wonder" vi dice nulla? Peraltro alcuni dei concetti espressi alla fine della storia sono affini ad alcuni che ho inserito nel mio Retcon, solo ricavati a partire dall'estremità opposta. Great minds think alike, mi verrebbe da dire, ma non stavamo parlando di me... Voto 8.5/10




*Ricordo che all'ultima edizione del Circo Massimo indetto da XII ci siamo battuti per il terzo posto, e  l'ho spuntata io!

Spore in e-book!

È da quando ho annunciato l'uscita di Spore che mi si chiede "Ma c'è anche in ebook?", e finora la risposta era stata "Per il momento no, ma ci stiamo lavorando". Ecco, quando io dico che ci stiamo lavorando, non vuol dire che sì, forse, si vedrà, vuol dire che effettivamente ci stiamo lavorando, e infatti a partire da oggi posso annunciare che Spore (insieme agli altri titoli pubblicati da I Sognatori Factory Editoriale) è disponibile in e-book!

Quindi ora se la vostra scusa per non comprare il mio libro era che leggete solo digitale e non acquistate più il cartaceo, beh, mi dispiace, ma siete fregati. Ora con soli 5 euro e mezzo potete ottenere la copia di Spore nel formato che preferite (epub o mobi), e leggerlo senza la scocciatura di dover voltare le pagine!
 
Ma c'è anche qualcos'altro. Se avete seguito un minimo le attività della Factory Editoriale (magari attraverso la pagina facebook?) avete già capito che è gente che non si adatta alle convenzioni ma cerca di reinterpretarle a proprio modo. E anche in fatto di libri elettronici infatti ha una strategia diversa dalle altre case editrici: l'acquisto dell'ebook (a un prezzo che è più o meno la metà del cartaceo) include anche l'acquisto congiunto di uno dei titoli del catalogo pre-factory. Ovvero, voi pagate per l'ebook, e ottenete l'ebook e un libro di carta, che vi sarà mandato, senza spese di spedizione al vostro indirizzo.

"E se non lo voglio, il libro di carta?" state già per chiedere. Bene, allora potete farlo inviare a un altro indirizzo, regalarlo a qualcuno. Una cosa simpatica, no?

"E se non ho nessuno a cui regalarlo?" insistete. Intanto, se non avete nessuno a cui avete piacere di regalare un libro, fate un attimo il punto della vostra vita sociale perché probabilmente c'è qualcosa da mettere a posto, comunque in tal caso potete scegliere di donare il libro a uno degli Enti convenzionati con I Sognatori, che arricchiranno così la propria offerta di titoli.

Ma sono sicuro che voi potenziali lettori di Spore siete gente che i libri li tiene in considerazione, e avere in mano anche una bonus track non vi dispiace per nulla. Quindi spaccate il vostro e-salvadanaio e fatevi sotto, leggendo bene come funziona la cosa (che io qui ho spiegato alla buona) sulla pagina dedicata agli e-book. Potrebbe essere l'occasione, per qualcuno di voi, di leggerlo al volo e decidere di candidarlo al Premio Italia, che dite?


E mi raccomando, non allontanatevi troppo, ché presto ci saranno anche novità di altro tipo riguardo il mio libro. Roba del tipo che avremo occasione di parlarne di persona, da qui a breve... ulteriori dettagli a seguire.

Coppi Club 09/03/2014 - Tre uomini e una pecora

Solitamente, quando un film viene tradotto dal titolo originale con una formulazione completamente diversa (e perversamente fantasiosa), uso il titolo originale per denominare il film, proprio per non dare credibilità a questa pratica (quindi, per esempio, se mi chiedete "Hai visto il film Se mi lasci ti cancello?", io rispondo di no, nonostante sia il mio film preferito... con il suo nome vero). In questo caso ho voluto fare un'eccezione proprio per sottolineare la bassezza e l'autentica malafede di questa traduzione. "Tre uomini e una pecora" infatti non solo non ha niente a che vedere col titolo originale (A Few Bestmen), ma è anche colpevolmente fuorviante. I protagonisti infatti sono quattro, non tre, e vedere il titolo così impostato fa pensare che sia stato scelto appositamente per ricordare il Tre uomini e una gamba che ebbe all'epoca tanto successo e cercare di richiamare spettatori con questo grossolano effetto subliminale. Ora, è vero che anche i tre moschettieri di Dumas in realtà erano quattro, ma lì certo l'autore non aveva scelto il titolo "sbagliato" per cavalcare l'onda di qualche successo precedente. Almeno credo.
 
Questa amara constatazione è solo la punta dell'iceberg per un film comico che non fa ridere, traboccante di banalità, e peraltro girato e montato male. Alcune sequenze durano lo spazio di dieci secondi, con un taglio brusco sulla successiva, alcune inquadrature non hanno proprio senso (primi piani su bambini!?) e pure la colonna sonora è irritante e fuori luogo. La storia è quella ormai classica del matrimonio e degli amici dello sposo che combinano casini, e in questo gli autori hanno chiaramente voluto a loro volta cavalcare l'onda di The Hangover, ma i risultati sono ben diversi. Intanto, la comicità estrema e grottesca di quel tipo di film non può essere presente in un film inglese, è ampiamente noto che la risata english è di un altro tipo ed è stupido aver pensato di poterla riproporre. Poi, i quattro protagonisti vanno per il matrimonio in Australia, ma questo non ha alcun senso visto che non c'è niente di "australiano" nelle vicende mostrate, e se invece che nell'outback si fosse svolto nello yorkshire non sarebbe cambiato nulla. Tralasciamo poi personaggi piatti e senza alcuna caratterizzazione (o almeno, niente che vada oltre lo stereotipo: l'imbranato, il fricchettone, il padre autoritario...), e l'assenza di qualsivoglia trama vera e propria, al di là di un generico canovaccio "casini durante la cerimonia di nozze". Di risate per tutta la durata del film ne ho fatte due, e non intendo "poche", intendo proprio due: per il discorso dell'amico che tira in ballo il sesso anale, e quando si decide chi dovrà infilare un braccio nel retto della pecora per estrarre le capsule di cocaina. Il fatto che entrambi i momenti vertano intorno al tema generico "culo" dovrebbe dirla lunga. Peraltro il film non è nemmeno volgare, ma proprio non offre alcuna occasione di divertimento. Dovrei forse ridere per una pecora truccata da donna? O per la madre fatta di cocaina che balla? Per i due sposini che quando si rivedono dopo mesi sbattono la fronte uno sull'altro (magari quest'ultima era un omaggio a Stanlio e Olio e non l'ho capito io...)? L'elenco sarebbe ben più lungo ma solo ripercorrere le infinite scene mi innervosisce per cui smetto. Aggiungo solo che anche il finale è smielato nel modo più disgustoso possibile, con battute di chiusura veramente da facepalm.

Abbiamo quindi la perfetta sintesi dello schifo: un prodotto di merda trasposto in un modo di merda.

Io non leggo fantascienza ma...

Le persone che hanno letto Spore si dividono in due categorie: quelle che lo hanno letto perché amano la fantascienza, e quelle che lo hanno letto perché l'ho scritto io. Lasciamo stare per il momento il caso in cui le due motivazioni si intersecano. Coloro che lo hanno letto e sono abituati alla fantascienza lo hanno valutato di conseguenza, mentre gli altri hanno dovuto anche confrontarsi con questo genere a loro non familiare. Non che io sia una tale celebrità da attirare lettori casuali a leggermi, ma è ovvio che pubblicando il mio primo "libro vero" è emersa una serie di personaggi (amici, conoscenti, colleghi scrittori di altri settori) che hanno ceduto alla curiosità di tenere in mano la mia opera e scoprire quello che scrivo, anche se in precedenza non avevano mai avuto modo (o intenzione) di leggere i miei lavori. Questi si sono in un certo modo meravigliati del contenuto, e non tanto per il valore letterario del libro, ma per i temi e le storie che ho intessuto su di essi.

Il commento-tipo di questi soggetti inizia con "Io non leggo fantascienza, ma...". Il prosieguo può essere vario, da "...questi racconti mi sono piaciuti" a "...questa non sembra nemmeno fantascienza". Ed è proprio questo il punto che mi pare interessante affrontare. Si tratta di qualcosa che personalmente ho sempre saputo (o, almeno, so da quando leggo sf), ma che adesso, essendone l'oggetto, vivo in prima persona. Il lettore medio (e generalista) non sa di preciso che cosa sia la fantascienza. Oppure, quando pensa di saperlo, ne ha in realtà una percezione distorta, influenzata da decenni di cinema sci-fi tanto roboante quanto futile.

Ho ricevuto commenti stupiti di gente che mi ha fatto notare "Ma non ci sono robot e alieni!". Eh già, perché la fantascienza non è questo, o comunque non è solo questo. Mi rammarico ad ammetterlo, ma non sono io ad essere così bravo da inserire idee eccezionali, o concepire storie rivoluzionarie. La fantascienza in ultima analisi è proprio questo: l'espressione di una tesi nella forma di una storia, lo sviluppo di un'idea e l'ipotesi delle sue conseguenze, in un contesto credibile, che rispetta le comuni leggi dell'universo* e del buon senso.

Un altro elemento importante, di cui la gente si meraviglia, è che metà delle storie (in effetti proprio 4.5 su 9, visto che il racconto Spore è a metà tra i due) non siano ambientate nel futuro, ma nel nostro presente o giù di lì. L'idea che la fantascienza si svolga nel futuro è il più delle volte funzionale, perché permette di rendere verosimile lo sviluppo di tecnologie o tendenze che attualmente non esistono, ma non è un requisito essenziale, tutt'altro.

Ecco perché, tempo fa, avevo fornito alcuni consigli di lettura per non addetti ai lavori, che erano appunto alcuni libri di sf (o generi simili) adatti a coloro che solitamente non leggono queste cose. Chi ne sta al di fuori ha infatti un'idea errata di quali siano i modelli e gli obiettivi della fantascienza. E non dico che debba piacere per forza, ma che quantomeno, una volta conosciuta, debba essere trattata alla pari degli altri generi mainstream.

Se poi, per iniziare a conoscere la sf, volete iniziare da Spore, sarò ben lieto di essere il vostro tutorial, ma ecco, non è necessariamente a questo che volevo arrivare.







*A meno che la premessa del racconto non sia proprio che le leggi dell'universo siano differenti!

Immagine # 32

Su una strada extraurbana, ai piedi di un cartello "pericolo attraversamento animali" c'è il cadavere di un animale investito.


Poteva essere un riccio, o una nutria, o un topo bello grosso. Non ho avuto modo di accertarmene, perché anch'io ero solo di passaggio, ma per lo meno non ho di nuovo calpestato il corpo già spiattellato sull'asfalto. Viene quasi da pensare che la bestiola si sia detta "Bene, qui c'è il cartello, allora posso attraversare", come se ci fossero le strisce quadripedonali...

E invece è proprio durante l'attraversamento segnalato che quella creatura ha tovato la morte. Evidentemente il destino ci prende tutti per il culo

Lost in Lost #16 - Missing Pieces

Questo episodio della rubrica "Lost in Lost" potrebbe interessare più di altri, perché si riferisce a una serie di puntate di cui molti forse non conoscono nemmeno l'esistenza. Tra la terza e la quarta stagione infatti vennero rilasciati i Missing Pieces, 13 mini-episodi trasmessi non in tv ma solo sui dispositivi del circuito Verizone (non so bene di che si tratta, roba americana...). Questi mobisode, come li chiamano loro, erano disponibili solo in USA e solo per gli abbonati, ma tanto nel giro di un paio di giorni finivano su youtube. Si tratta di 13 brevi scenette, della durata da 2 a 5 minuti, che si collocano cronologicamente in vari momenti dall'inizio della serie fino alla fine della terza stagione, e trasmessi senza un particolare ordine.

Dai Missing Pieces non emerge niente di nuovo, ma si hanno solo degli sprazzi di momenti che non sono stati mostrati a schermo, come Ben e Jack che giocano a scacchi, Juliet che confessa a Jack di essere una spia, Jack e Ethan che si conoscono e parlano di Claire, Jin che si sfoga per la sua incapacità di comunicare, e così via. Di tutti, l'unico forse veramente significativo è l'ultimo, So It Begins, in cui vediamo Vincent attraversare la giungla e incontrare il padre di Jack, che gli chiede di andare a svegliare suo figlio che ha "del lavoro da fare", e si ricollega alla prima sequenza del pilot, con Jack che apre gli occhi e Vincent che gli passa accanto. Non c'è quindi molto da commentare, poiché la storia non fa nessun progresso grazie a questi frammenti, e l'unica conferma che si ottiene è quella di una presenza "reale" (o almeno, abbastanza reale da poter interagire con un cane) del padre defunto di Jack.

La mia cavia ne deduce che, con ogni probabilità, Christian Shepard è sì morto, ma l'isola (come già si è intuito altre volte) ha il potere di "manifestare" i morti, e che questi riescano ad entrare occasionalmente in contatto coi vivi (umani o animali che siano). Inoltre, è luogo comune che gli animali (leggi: cani e gatti) vedono i fantasmi, quindi la scena potrebbe essere stata inserita proprio per suggerire questa cosa. Al di là di questo, l'unico altro particolare rilevante dei Missing Pieces è la frequente presenza di Michael, che se n'era andato alla fine della seconda stagione, e che qui si rimostra (in scene passate) come in una specie di cameo.

Nessun aggiornamento riguardo le aspettative della prossima stagione. Ma questa premiere finora è il più atteso di tutti (ma forse, in effetti, ogni premiere è sempre più attesa del precedente?).

La creatività salverà il mondo: The Lego Movie & The Lego People

Due disclaimer prima di iniziare questo post. Intanto, questa non è una recensione. È chiaro, come si legge dal titolo, che parlerò di The Lego Movie, ma non ho intezione semplicemente di commentare il film, piuttosto di trarne uno spunto (quello più autentico, ritengo) per affrontare un altro tema. In secondo luogo, in quanto segue ci saranno degli spoiler, perché per trattare l'argomento devo necessariamente rivelare alcuni particolari della trama. Eh vabbè, direte, che plot twist folgoranti potrà mai avere The Lego Movie? Ecco, se lo chiedete vuol dire che non l'avete visto, e allora non leggete il seguito.

Siccome non è una recensione non mi dilungo troppo a riferire le mie impressioni sul film. Da quando ho scoperto che sarebbe uscito, più di un anno fa, sapevo già che sarei andato a vederlo al cinema, ma nonostante questo entusiasmo devo ammettere che ero piuttosto scettico su quanto stavo vedendo, almeno per i primi due terzi del film. Perché sì, in effetti è un po' scemotto all'inizio, certo divertente, ma basato su quell'umorismo un po' sempliciotto, tipo quello che si trova in Spongebob. È stato solo quando Emmet approda nel "nostro universo" che le cose si sono fatte interessanti. A posteriori quindi posso dire che il film mi è piaciuto, e che probabilmente (come sempre) lo apprezzerei molto di più in lingua originale. E non voglio nemmeno stare a rispondere a chi protesta "Eh ma è solo una marchetta della Lego"... maddai!? Ma che ti aspettavi da un film che ha scritto in caps lock LEGO nel titolo, con tanto di (R)? È come meravigliarsi che Ronald MacDonald canti canzoncine che invitano a mangiare hamburger.

Ciò che di Lego Movie mi ha colpito e mi ha portato in ultima analisi a rivalutare tutto il film è stato il modo in cui, a partire proprio dall'arrivo di Emmet nel "mondo di sopra", il parallelo tra ciò che avviene all'interno del suo universo e nel nostro sia reso esplicito. Mentre da una parte un leader (caricaturale quanto si vuole) punta a ottenere il supremo ordine, sopprimendo ogni tentativo di iniziativa, dall'altra un padre meticoloso vuole impedire al figlio di utilizzare i mattoncini come "banale" giocattolo. I Lego sono "un sistema avanzato di costruzione ad incastro", dice il padre (Will Ferrel, che non a caso dava anche la voce al cattivo del mondo-Lego), non giocattoli. C'è qualcosa di più, in questo confronto, della banale morale dei bambini innocenti che ancora hanno la capacità di sognare contrapposti agli adulti ingrigiti. Perché il padre/presidente non è un individuo grigio, incapace, ottuso: tutt'altro, è brillante, fantasioso, addirittura il più straordinario di tutti. Ma quella creatività viene espressa da lui solo su binari incanalati e precisi (i modelli perfetti e immobili), e non le è permesso divagare, oltrepassare i confini netti dei mondi che lui stesso ha inventato. È solo quando suo figlio gli fa notare che i Lego sono soprattutto un gioco che anche lui si ferma a riflettere.

Dicevo che c'è qualcosa, in questo confronto tra i due, che mi ha toccato. E credo che sia qualcosa che riguarda la capacità di creare, di lasciarsi trasportare dalle proprie idee, e di esprimerle nel modo più adatto possibile, per quanto inconcludente, incoerente ed apparentemente inutile questo possa sembrare. Vedo delle affinità con quanto io (come molti altri) faccio con la scrittura, o con la musica, e percepisco quel padre/presidente come la personificazione dell'astratto Sistema che ci vorrebbe incanalati e precisi. Ed è per questo che The Lego Movie, alla fine di tutto, mi è sembrato un film valido. Perché quello che cerca di trasmettere è che non sarà l'amore, non saranno la bontà né la misericordia, ma la creatività a salvare il mondo.

Trentemoller live @ Estragon (Bologna) 24/02/14

All'inizio di questa settimana parlavo dell'album di Trentemoller recentemente acquisito, cercando di commentarne il valore e il significato. Ecco, ora posso dire che ho sbagliato tutto.

No ok, non voglio essere drammatico. In effetti quanto ho detto vale ancora, ma adesso ho acquisito anche tutta una nuova prospettiva. Questo perché lunedì 24 febbraio (il giorno stesso in cui il post era programmato) ho assistito a un'esibizione live dello stesso Trentemoller, all'Estragon Club di Bologna (che credo fosse un hangar di un aeroporto fino a qualche anno fa). E posso dire che finché non si è ascoltato nella versione live, Lost non si esprime nemmeno a metà del suo potenziale.



Facciamo un passo indietro, perché in realtà quello che sto per scrivere non è tanto una recensione aggiornata del nuovo album, quanto un resoconto dell'esperienza. È stata la prima volta che ho assistito a un'esibizione live di questo tipo, che pur trattandosi di uno spettacolo di musica elettronica non può certo definirsi dj set e nemmeno live set, ma è un vero e proprio concerto. Questo perché Trentemoller nel live si esibisce con tutta la sua band: batterista, chitarristi, cantanti, fonico (non sono riuscito a ritrovare i nomi di tutti, ma credo che tra loro ci siano Marie Fisker e Mikael Simpson). La cosa conferma in parte quanto affermavo di Lost, ovvero che è un album che vira ancor più dei precedenti (Into the Great Wide Yonder e The Last Resort) sul lato indie/pop, ma c'è anche da considerare che i pezzi eseguiti non sono tutti tratti dall'ultimo disco, ma anche dai precedenti, e che oltre ai nuovi Still On Fire (pezzo di apertura), Candy Tongue, Trails sono stati eseguiti anche classici come Moan, Miss You, Take Me Into Your Skin, Silver Surfer Ghost Rider Go!.

Dopo l'apertura con un live set (stavolta sì) di T.O.M. and His Computer, che ha avuto evocate l'appropriata atmosfera (ascoltate il suo pezzo Cello Bender), le luci si sono spente e sono saliti sul palco Trentemoller e i suoi. Poche parole, qualche gesto di ringraziamento e incoraggiamento al pubblico, e la musica parte subito. Ed è qualcosa di davvero incredibile, vedere sul palco (e lo vedevo bene, perché ero davvero in prima fila, a un braccio e mezzo di distanza dalla batteria) reinterpretate una versione inedita, vivida, e forse per certi aspetti anche improvvista, pezzi che si è abituati a sentire all'interno di un dj set. Il panorama della musica elettronica è piuttosto vasto, e ci sono decine di artisti borderline che è difficile inquadrare all'interno di generi specifici, ma tra tutti Trentemoller appartiene forse al gruppo dei più eclettici e innovativi. I suoi pezzi techno/electro eseguiti sul palco assumono un significato nuovo, e grazie alla preziosa collaborazione di cantanti, musicisti, scenografie (e pubblico!) lo spettacolo risulta qualcosa di unico ed intenso.

Da questo consegue la solita triste constatazione come nel nostro paese artisti di questo livello siano per lo più ignorati, relegati al ruolo marginale di musicisti di nicchia e di poco valore, quando non si può non riconoscere la grandezza di un'esibizione che mischia così sapientemente strumenti, generi e temi. Il tour europeo di Trentemoller contava solo due date italiane, e anzi è quasi una fortuna che sia passato anche di qui. Non sto a snocciolare qui il solito pistolotto su quanto siamo provinciali e retrogradi, non tanto perché questa è la "musica del futuro" (la musica è astorica), quanto perché, salvo l'universale principio de gustibus, è ottuso limitare la propria fruizione di sonorità a quello che viene comunemente proposto per radio. Non porto avanti la predica perché so che non saranno certo le mie parole a convincere chi non la pensa come me, ma ci tengo a ribadire che, qualora qualcuno fosse interessato, sono disposto a parlarne.

Ma se come si dice un'immagine vale più di mille parole, allora forse un video vale più di un milione, e allora invece di ragionare vi faccio vedere di cosa stiamo parlando (e considerate che questa era proprio la mia prospettiva, credo che il tizio che ha ripreso fosse proprio dietro a me). Metto il video di Miss You/Take Me Into Your Skin, ma tra gli upload si possono trovare quasi tutti i pezzi, quindi scorreteli tutti. E se al prossimo tour volete essere della partita, fatemi sapere.