Se i dinosauri non si fossero estinti

Esce in questi giorni al cinema The Good Dinosaur (da noi Il viaggio di Arlo), secondo film della Pixar di quest'anno che si aggiungo al già ottimo Inside Out. La storia segue le avventure di Arlo, un giovane dinosauro sauropode a cui si affianca un piccolo umano selvatico, in un mondo in cui i dinosauri non si sono estinti e hanno quindi costruito una loro civiltà, basata su agricoltura e allevamento. Seppur in maniera non rigorosa (dopotutto si tratta di un cartone, pensato per un pubblico principalmente di bambini [ma come sempre coi film Pixar, c'è molto di più sotto la superficie], quindi non ci si può aspettare accuratezza scientifica estrema), The Good Dinosaur parte quindi dalla premessa: e se i dinosauri non si fossero estinti? Come sarebbe il mondo oggi?

Chiaramente questo film non è il primo a porsi il quesito, anzi, letteratura, filmografia e la ricerca abbondano di opere che cercano di rispondere a questa domanda. Fin da quando i dinosauri sono diventati popolari ci si è chiesto che fine avessero fatto bestie così impressionanti, e una volta scoperte le tracce dell'estinzione di massa K-T, ci si è chiesti dove sarebbe arrivata oggi l'evoluzione dei dinosauri se non fossero scomparsi decine di milioni di anni fa.

Gli scenari variano. Dal "dinosauroide" ipotizzato negli anni 80 da Dale Russell, ipotetica evoluzione fin troppo antropomorfa (e quindi probabilmente distorta) dei troodonti, agli Yilanè di Harry Harrison (un tentativo molto più complesso di immaginare una civiltà derivante dagli animali del mesozoico, anche se in questo caso le creature ad evolvere l'intelligenza non sono tecnicamente dinosauri ma discendenti dei mosasauridi), tutte le ipotesi sembrano convergere sull'idea che il percorso evolutivo dei dinosauri li avrebbe inevitabilmente portati a sviluppare una forma di vita intelligente e tecnologica, arrivando a prendere il controllo del pianeta che adesso spetta all'uomo. Quindi, secondo queste ipotesi, dovremmo essere grati al meteorite che presumibilmente ha innescato l'evento catastrofico di 65 milioni di anni fa, perché sotto sotto, quello che ci interessa davvero, è sapere che fine avremmo fatto noi, se i dinosauri fossero ancora in giro.

Deliri creazionisti a parte, l'idea di una convivenza tra uomini e dinosauri è già stata esplorata, e viene ripresa appunto anche in The Good Dinosaur, se non che qui gli umani sono creature fondamentalmente selvatiche, animali incapaci di parlare e di ragionare compiutamente, come invece sanno fare i dinosauri. Quanto è realistico uno scenario del genere?

L'estinzione K-T ha sicuramente funzionato da reset di buona parte delle forme di vita dell'epoca, lasciando libere numerose nicchie ecologiche in un ambiente profondamente mutato, cosa che ha consentivo ai meccanismi evolutivi di riempire i vuoti. È verosimile che la grande differenziazione dei mammiferi non sarebbe avvenuta se le forme di vita del cretaceo non fossero rapidamente scomparse, e di conseguenza probabilmente oggi non esisterebbero i primati. Tuttavia è possibile ipotizzare (come appunto fa Harrison nella serie degli Yilanè) che in alcuni ambienti isolati, magari dopo il raggiungimento di una separazione dei continenti simile a quella attuale, alcune specie avrebbero potuto trovare lo spazio per seguire un perocrso evolutivo analogo a quello che ha portato alla comparsa degli umani. Certo, con sessanta milioni di anni di svantaggio, difficilmente questi uomini alternativi avrebbero potuto competere con i dinosauri intelligenti, antropomorfi o no che fossero.

O forse sì? In realtà, a pensarci bene, l'idea che i dinosauri (o meglio, alcuni dinosauri: si punta soprattutto sui teropodi di piccola taglia come appunto i troodonti) avrebbero raggiunto un livello di intelligenza simile a quello umano, e quindi creato una civiltà, non è così convincente. Questo perché si basa su assunzioni errate.

Il primo errore, tipicamente antropocentrico, è quello di ritenere che l'intelligenza (quella che noi definiamo intelligenza) sia il punto di arrivo di qualunque percorso evolutivo. Questo non è assolutamente dimostrabile, e per quanto ne sappiamo oggi, comunque poco probabile. In genere gli organismi che prosperano sul pianeta fanno a meno dell'intelligenza, o almeno di quel tipo di intelligenza di cui è dotato l'uomo. Certo è innegabile che questo carattere abbia enormemente avvantaggiato gli umani e che oggi la nostra si possa considerare la specie dominante, ma anche senza ipotizzare scenari di autodistruzione globale, non è assolutamente detto che questo sia davvero il punto di convergenza di tutti i percorsi evolutivi, se non altro perché l'evoluzione non ha un percorso. Purtroppo il paradigma dell'evoluzione come progressione da organismi semplici a complessi è difficile da eradicare, e quindi molti ragionamenti puntano sempre in questa direzione.

La seconda assunzione fallata è quella che i dinosauri siano estinti. Che i grandi rettili che facevano rimbombare il terreno milioni di anni fa siano tutti morti, e ne restino oggi solo i resti fossilizzati. Questo non è vero. Guardate il bengalino che tenete in gabbia, il passerotto che vi ruba le briciole dal terrazzo, il piccione che vi scacazza sul parabrezza: eccoli lì. Se è vero che buona parte degli animali esistenti alla fine del cretaceo sono scomparsi dell'estinzione di massa, è altrettanto evidente che la loro evoluzione non si è fermata allora, e che quelli che oggi chiamiamo uccelli sono i diretti discendenti di almeno una parte di quel vasto gruppo di forme di vita. Non c'è quindi bisogno di sforzi di fantasia così arditi, per immaginare come sarebbero i dinosauri oggi. Li vediamo già, in forme nemmeno tanto dissimili da quelle che assumevano allora (anche il paradigma del dinosauro-rettiliano è duro da superare), per cui la risposta alla domanda iniziale è davanti ai nostri occhi.

Poi naturalmente la speculazione può andare oltre. Si può pensare che la competizione tra le specie sarebbe andata diversamente, se non si fossero estinte l'80% delle forme di vita nell'evento K-T, e quindi è quasi sicuro che non avremmo avuto esattamente gli uccelli attuali. Ma la strada tracciata è quella, e la conosciamo tutti. La domanda iniziale perde quindi di significato, fintanto che si considera l'estinzione in termini assoluti, invece che come una normale fase del processo evolutivo. D'altra parte, anche gli australopitechi sono estinti, eppure eccoci qua.

Doctor Who 9x10 - Face the Raven

Ok, è andata. La lungamente anticipata uscita di scena di Clara si è compiuta, come sapevamo, in questo episodio. Si sapeva che sarebbe uscita nel corso della stagione, prima del finale, ma ovviamente non si conoscevano le modalità. E così Clara Oswald è diventata la prima companion dell'era moderna di Doctor Who a morire. Abbiamo avuto abbandoni in altri universi, in altri tempi, amnesie totali, ma finora sapevamo che tutte le precedenti companion erano ancora vive, e presumibilmente al sicuro, da qualche parte. Clara invece è morta, e per quanto la sua natura di impossible girl ci avesse già mostrato diverse sue dipartite, in incarnazioni differenti, questa è la fine della sua versione primaria e originale.

Non sono scioccato, devo ammetterlo. In effetti sospettavo che la sua sarebbe stata una fine molto brusca. E nella puntata, appena si parla di sentenze di morte con conto alla rovescia tatuato, si intuisce subito che sarà la sorte che toccherà a lei. Certo rimane sempre la speranza che il Dottore, come al solito, risolva tutto all'ultimo secondo, ma stavolta non è così.

Il Dottore non può salvare Clara perché si è condannata da sola. Il personaggio di Clara è stato abusato nel corso delle tre stagioni in cui è comparso, penalizzato da una sceneggiatura che forse non riusciva a trovarle la giusta collocazione, in particolare al fianco del nuovo Dottore. Questo Dottore, il Dodicesimo, non è un Dottore romantico come i precedenti (dall'Ottavo in poi), è ruvido e spigoloso, e trovargli una companion adatta non è stato facile. Ma nell'ultima stagione in particolare, abbiamo visto Clara sempre più incurante del pericolo, suo e degli altri, sempre più convinta di poter giocare con le stesse regole del Dottore quando lui parte con delle carte notevolmente vantaggiose rispetto a un qualunque umano. La fine di Clara non è epica, non è determinante, in fondo non è nemmeno così drammatica. Clara muore per una leggerezza, perché ha creduto di poter agire come il Dottore e poterla sempre scampare. Di solito funziona, ma non sempre. E basta una sola volta a far chiudere la partita.

Gli ultimi momenti tra il Dottore e Clara sono pacati, senza scenate o proclami strazianti. È il saluto di due persone che si conoscono, che non hanno bisogno di esprimere a parole quello che provano. Quello che emerge di importante, e che probabilmente transiterà nei prossimi episodi, è la raccomandazione (ordine?) di Clara di rimanere il Dottore, e non lasciare che la rabbia lo trasformi di nuovo in un guerriero.

Qualcuno potrebbe anche malignamente pensare che si sia voluta dare una conclusione poco onorevole alla storia di Clara per punire Jenna Coleman di aver cambiato idea sull'abbandonare lo show alla fine della scorsa stagione. Che Last Christmas fosse stato pensato come episodio d'addio di Clara è assodato, tanto che è proprio negli ultimissimi minuti che invece la sua presenza viene confermata. Quella sarebbe stata sicuramente una fine degna, senza inutili atti di coraggio ma con la dignità di chi ha imparato qualcosa dal suo percorso. Ci sono speculazioni sul possibile ritorno di Clara, sull'idea che la sua morte non sia definitiva, ma non credo siano affidabili. È possibile che ricompaia in forma di sogno/visione o venga citata, soprattutto nei prossimi due episodi, ma non credo che vedremo di nuovo Clara accompagnare realmente il Dottore.

Del resto di Face the Raven non c'è molto da dire, la trama infatti non ha molta forza, ed è chiaramente concepita proprio per portare alla sequenza finale. Simpatica la parte iniziale con la ricerca dei luoghi nascosti, e la presenza di una sorta di campo profughi per alieni sotto copertura (concetto comunque ripreso da molti altri film e serie). La presenza del writer di Flatline non aggiunge quasi niente (personaggio di cui ci si era dimenticati senza rimorsi), mentre invece è gradito il ritorno di Ahildr/Me, che di nuovo sembra voler sfidare il Dottore. Le cose però le sfuggon di mano, e le ultime parole rivoltele dal Dottore fanno pensare che si sia trovato un modo ingegnoso per non far più comparire Maisie Williams in Doctor Who, nonostante il suo personaggio dovrebbe mantenere un certo peso.

Il tutto si ricollega direttamente al finale di stagione, con un arco di tre episodi simile a quello visto alla fine della stagione tre. E per la prima volta il Dottore affronta le minacce di un season finale senza un companion, cosa che potrebbe risultare molto interessante, soprattutto se quel Dottore è l'attuale Dodicesimo. Questi elementi lo rendono un buon episodio, che però assume senso solo dopo metà, quindi non troppo solido come storia in sé, al netto dell'importante punto di svolta della serie. Voto 6.5/10

Coppi Night 15/11/2015 - I tredici spettri

Dopo una breve pausa dedicata a un (interessante) film carcerario, siamo tornati all'involontaria successione di horror del Coppi Club. Stavolta però si parla di uno di quei film che cercano di stare così sopra le righe da perdersi completamente in direzioni incomprensibili. I tredici spettri è una ghost story, con tanto di casa stregata, che però non funziona sotto numerosi punti di vista.

La storia di base potrebbe anche essere valida: uno sfortunato vedovo (Tony Shalhoub, che apprezzo sempre memore del suo Monk) riceve in eredità da uno zio mai conociuto una villa (e già lì uno si dovrebbe insospettire), e si trasferisce qui con i due figli e la babysitter. Molto presto si scopre però che la casa racchiude all'interno dodici fantasmi, che sono stati catturati nel tempo e intrappolato nel seminterrato, con lo scopo preciso di dare avvio a un particolare rito in grado di conferire al suo progettista potere e conoscenza assoluti. Questa storia, messa nelle mani di qualcuno di capace, avrebbe potuto essere intrigante e anche spaventosa. Un campionario di dodici diversi spiriti, ognuno con caratteristiche e capacità diverse, tutti intrappolati nello stesso posto, poteva portare a qualche buona scena. Anche altri spunti sono interessanti, come i sensitivi attivisti che si battono per la liberazione degli spiriti imprigionati, o gli occhiali che permettono di vedere i fantasmi.

Il problema è che tutto è mescolato senza armonia, in una sbobba dal sapore indistinto, che a volte sembra indugiare nello splatter, altre cerca la commedia, poi prosegue per la ghost story classica o il dramma familiare. La tensione è continuamente smorzata e le trovate per far proseguire la trama sono prevedibili e noiose, così come irritanti sono quasi tutti i personaggi. Siamo alle solite, qualcuno ha l'idea che mettere dei ragazzini capricciosi in un film lo renda più apprezzabile per una certa fascia di pubblico... quale sia poi ancora non è chiaro. Qui oltre ai due bimbetti abbiamo anche la babysitter (pagata per cosa e con cosa non si sa) che è un'altra macchietta, in questo caso l'afroamericana del Bronx coi suoi atteggiamenti esagerati. E la cosa terribile è che è proprio lei a essere risolitiva nel finale del film. Infine vanno notate le frequenti sequenze al rallentatore i lunghi campi sequenza di stanze vuote, che sembrano avere il solo scopo di allungare il minutaggio per arrivare all'ora e mezzo canonica.

Un film terribile sotto tutti i punti di vista, frustrante, prevedible e noioso. Da rimpiangere sempre e ancora di più i Ghostbusters.

Rapporto letture - Ottobre 2015

Ottobre è stato un mese impegnativo sotto diversi fronti ma ho anche avuto il tempo di accumulare un buon numero di letture. Una cosa che noto solo a posteriori, stilando questa lista, è che (forse inconsciamente) mi sono trovato a leggere tra settembre e ottobre libri di autori o case editrici che ho avuto modo di incontrare personalmente a Stranimondi e al Lucca Comics. Curioso, ma anche a suo modo confortante, notare come queste piccole realtà riescano a produrre lavori di buon livello, nonostante quello che si dice di solito. Entriamo nello specifico.


Mono No Aware e altre storie è il primo libro di Future Fiction che leggo (anche se ne ho diversi in lista d'attesa). Conosco già Ken Liu per alcuni racconti letti qua e là, e in questa raccolta se ne trova una selezione interessante. Le sue storie sono ambientate in futuri non troppo lontani e affiancano a situazioni di fantascienza hard una componente "umana" molto forte, insistendo su temi come i legami familiari, lo scontro tra tradizione e tecnologia, l'identità personale e dei popoli. Si tratta quindi di racconti carchi di sentimento e trasporto, che invitano a riflettere tanto sul mondo quanto su se stessi. Non è un caso che Ken Liu sia uno degli autori di cui si parla maggiormente negli ultimi anni. Voto: 8/10


Di Samuel Delany ho letto solo due romanzi e ho trovato molto affascinante il suo lavoro sul linguaggio, sia come elemento narrativo che di stile (Babel 17 è sicuramente un romanzo memorabile). Anche La ballata di Beta-2 si basa principalmente su un tema del genere: un giovane ricercatore deve scoprire l'origine di una canzone popolare originaria di una vecchia astronave generazionale disastrata. Visitando di persona l'astronave e incontrando i suoi attuali occupanti (discendenti degenearati di quei primi viaggiatori) scopre in che modo il testo della ballata trova corrispondenza in fatti realmente avvenuti, di cui però è impossibile comprendere il significato nel presente. La storia è interessante, a mio avviso però manca qualcosa, arriva a una conclusione troppo brusca e non sembra davvero chiudersi. Forse avrebbe beneficiato di una cinquantina di pagine in più con un epilogo più esteso. Voto: 6.5/10


La serie di Trainville è un lungo ciclo di romanzi di Alain Voudì, versatile autore italiano che negli ultimi anni ha inanellato una successione di pubblicazioni consistente. Si tratta di un'ucronia simil-steampunk ambientata in un far west in cui è già utilizzata l'energia atomica, che permette un'alimentazione costante ai mezzi su rotaia, cresciuti quindi a dismisura fino a diventare vere e proprie città semventi. In Arrivo a Trainville abbiamo l'inizio della vicenda, che dopo un breve prologo vede la giovane protagonista, priva di qualunque memoria, imbarcarsi sul treno-città. Trattandosi del primo "episodio" della serie si fa appena in tempo a conoscere alcuni personaggi principali e un'infarinatura dell'ambientazione, per cui non è facile valutarlo. La curiosità di proseguire comunque rimane (ma ammetto il mio bias positivo per il western).


Passiamo poi al secondo volume della trilogia arabesca di Jon Courtenay Grimwood pubblicato in Italia da Zona 42. Effendi riprende la storia esattamente da dove finisce Pashazade, raccontando però gli ultimi avventimenti da altre prospettive oltre a quella di Raf. La narrazione qui si fa più ampia, includendo un maggior numero di personaggi e attingendo alla "mitologia" di questa storia alternativa. Se in Pashazade ero rimasto inizialmente disorientato dalla struttura della narrazione, stavolta ero più preparato e sono riuscito a seguire e immergerci meglio tanto nella vicenda che nei protagonisti. Inoltre in Effendi sono più marcati gli elementi di natura fantascientifica (la volpe innanzitutto, ma non solo) che portano a collocare il romanzo in futuro abbastanza vicino, pur su una linea temporale diversa dalla nostra. Per queste ragioni penso di aver apprezzato maggiormente questo libro del precedente, e sono abbastanza impaziente di incontrare di nuovo Raf, la volpe (e in fondo anche Eduardo). Voto: 7.5/10


Ultimo libro letto nel mese è un raccolta di Massimiliano Malerba, autore che si è affermato nell'ambito del Trofeo RiLL e che ha quindi pubblicato una sua raccolta personale. In L'ostinato silenzio delle stelle si trovano storie soprattutto di fantascienza, ma anche fantastiche in senso più generale. Malerba è un autore abilissimo che riesce a creare grandi storie anche in racconti brevi. L'originalità sicuramente non è il valore primario di queste storie, ma non è importante, perché a rendere davvero intensi i racconti sono i personaggi, il lato emotivo e umano delle vicende, che è sempre il focus centrale. Si respira in genere un'atmosfera malinconica, si percepisce la caducità delle cose (materiali e immateriali), e in questo senso ho notato una certa affinità con Ken Liu di cui parlavo sopra. Forse è solo un caso che anche Malerba sia appassionato di cultura orientale... in ogni caso, questa è una delle antologie più profonde che mi sia capitato di leggere negli ultimi tempi, e merita sicuramente un voto 9/10

Doctor Who 9x09 - Sleep No More

Ah, meno male. Nella recensione dello scorso episodio dichiaravo la mia difficoltà a commentare questa stagione di puntate eccellenti, temendo di apparire troppo fanatico della serie, ma fortunatamente con Sleep No More si casca decisamente in basso e posso dimostrare di saper essere critico.

Questo episodio è pessimo per una serie di ragioni che si accumulano a formare una massa di incomprensibilità e frustrazione inattaccabile. Ci sono ragioni secondarie, che potrebbero portarlo a essere un episodio solo mediocre, e poi altre più gravi che lo squalificano del tutto. Cominciamo con le prime.

I mostri. I mostri di questo episodio sono... ehm, cispe. Non so se esiste un termine più scientifico per quei grumi di secrezioni mucose che si formano agli angoli degli occhi, e che in genere si sviluppano nel corso della notte. Per qualche motivo, non dormire (grazie alla tecnologia delle capsule Morfeo) provoca una rapida evoluzione delle cispe che diventano creature senzienti che si nutrono degli umani. Rileggete pure queste frasi con calma, cosa che evidentemente non hanno fatto gli autori dela serie. Altro aspetto negativo di secondaria importanza è il messaggio di "rispetto per la natura" che la storia sembra veicolare, l'idea che usare la tecnologia per migliorare la vita delle persone sia sbagliato perché "contro natura". Certo in questo caso ci si priva del sonno per ottenere una maggiore probabilità (it's space-capitalism, baby) quindi è male, ma il discorso rimane valido. Ora, questi due dettagli della trama sono deprecabili ma tutto sommato non sono così rari in Doctor Who, sia nella serie classica che (in minor misura) in quella nuova abbiamo avuto decine di mostri improbabili e di morali da zecchino d'oro.

Ma quello che davvero rende Sleep No More una puntata davvero inconsistente è la sua struttura, e il suo approccio metatestuale. Probabilmente l'idea di base era quella di fare un episodio in found footage, ma renderlo in qualche modo sensato e giustificabile ai fini della storia stessa, cosa che generalmente i found footage non sono (cioè, quasi sempre non ha senso che ci sia qualcuno con la videocamera sempre accesa e che poi abbia montato il video finale). Qui invece abbiamo lo scienziato malefico di turno (che è lo stesso delle capsule anti-sonno) che ci spiega fin dall'inizio di aver raccolto e ordinato lui la registrazione, per raccontare una storia. Più avanti si scopre che in realtà non ci sono videocamere che stanno riprendendo, e che quello che si vede è il punto di vista dei protagonisti della vicenda, registrato a loro insaputa. In ogni caso si viaggia sui soliti archetipi del found footage, con atmosfere horror, fughe, urla, inquadrature traballanti e così via. E va bene, crediamoci. Ma verso la fine si inizia a capire che c'è qualcosa di più, o forse di meno, in tutto questo. E alla fine il Dottore stesso lo dice: "Non ha alcun senso".

"Non ha alcun senso" sono le ultime parole del Dottore di questo episodio, quando si rende conto che ciò che succede non può essere spiegato e l'unica cosa che gli rimane da fare è andarsene, per una volta definitiamente sconfitto in quanto incapace di trarre una conclusione e trovare una soluzione al problema. Ma quello che si scopre poco dopo, con l'ultima narrazione dello scienziato malvagio in cui viene rivelato che tutto quello che ci è stato mostrato è stato messo appositamente insieme per tenere lo spettatore davanti allo schermo in modo che potesse essere "infettato". Per questo non ha senso, perché non è accaduto davvero, è stato artefatto perché potesse risultare appassionante. Ora, a parte il fatto che appassionante lo era proprio per nulla, questo pone però un problema: ciò che si è visto è successo davvero? Il Dottore è mai stato davvero sulla stazione nettuniana? I mostri di cispe esistono o no? Se esistono, come potevano essere controllati dallo scienziato, e se non esistono, da cosa stavano fuggendo i personaggi? No, non ha alcun senso.

Ecco cosa rende l'episodio del tutto fuori registro. La storia scavalca in maniera preoccupante e incoerente la quarta parete, veicola un messaggio meta-narrativo direttamente allo spettatore, al di fuori dell'universo narrativo della serie, nel tentativo di impressionare o addirittura spaventare lo spettatore. E non solo è un'operazione disonesta, ma anche inefficace, perché Sleep No More è in prima battuta noioso, e in seconda insensato. Uno dei peggiori episodi dell'era di Capaldi, un voto 4/10

Coppi Night 08/11/2015 - Cella 211

I film di ambientazione carceraria sono un classico, e in genere posso anche dire di gradirli. Che si tratti dell'evasione, o dell'infiltrazione, o varianti sul tema, il vasto parco di personaggi (spesso un po' delle macchiette) che si ritrovano in questa ambientazione riesce a movimentare la storia. Inoltre c'è quasi sempre un sottotono di indeterminatezza, quell'incertezza nell'identificare chi sono i buoni e i cattivi. Per definizione i carcerati dovrebbero essere il male e i carcerieri il bene, ma quasi sempre il confine non è così netto, anzi. Filme come Das Experiment lo rendono in modo esplicito e drammatico, ma anche in altri meno impegnati si trova sempre il recluso nobile e il secondino stronzo.

Questo Cella 211 è arrivato completamente di sorpresa. Film spagnolo di alcuni anni fa, non è certo un blockbuster con una distribuzione capillare alle spalle, ma si distingue per diversi aspetti ben congegnati. La storia di base è quella della rivolta nel carcere, i detenuti che riescono a prendere controllo della prigione, tengono degli ostaggi e avanzano richieste. La situazione è movimentata dal fatto che il protagonista non è un carcerato ma una guardia appena assunta, che per caso si ritrova da solo in una cella nel momento in cui scoppia la rivolta, e capisce quindi che l'unica possibilità per salvarsi è quella di farsi passare anche lui per un detenuto, e unirsi ai ribelli. Per una serie di circostanze arriva a diventare uno degli uomini di fiducia di Malamadre, il leader della rivolta, ed è quindi nella posizione di portare avanti il suo pericoloso doppio gioco.

Il film mantiene un alto livello di tensione e le interpretazioni sono convincenti. Juan, il protagonista, non è affatto un eroe, è un ragazzo certamente sveglio ma impreparato per una situazione del genere, ma per salvare prima se stesso e poi sua moglie, è costretto a fare cose che non avrebbe mai pensato prima. E se inizialmente il suo è solo un modo per garantirsi la sicurezza e non mettere in pericolo gli altri ostaggi, poco per volta la prospettiva cambia, e le pretese di Malamadre (che poi riguardano le condizioni di vita nel carcere) gli paiono sempre più giuste, fino al punto da abbracciare davvero la rivolta (e la vendetta, anche). Da parte sua, anche Malamadre ha un cambio di prospettiva, quando inevitabilmente viene a sapere che Juan è una guardia, quindi uno di loro.

Ci sono forse un paio di punti non del tutto chiari, ad esempio il modo in cui la rivolta esplode (vediamo Malamadre che si libera delle manette, ma come da qui si passi all'apertura di tutte le celle non è chiaro), e la ragione delle proteste fuori dal carcare quando si diffonde la notizia della situazione. Quest'ulitmo aspetto probabilmente si ricollega al fatto che gli ostaggi sono membri dell'ETA, e che c'è quindi una tematica politica di fondo che forse al di fuori della spagna non è del tutto comprensibile.

Il film comunque non ne perde troppo, perché a portare avanti la storia sono i protagonisti, Juan e Malamadre in particolare, e il modo in cui il loro rapporto e i loro schemi di pensiero si evolvono nel corso della vicenda. E questo è reso in maniera inaspettatamente efficace.

Piccole cose inutili

Oggi avrei dovuto pubblicare sul blog il commento all'ultimo film del Coppi Club, ma quando ho scoperto quello che era successo ieri notte ho preferito rimandare il post, anche perché per una sgradevole coincidenza conteneva anche alcuni accenni al terrorismo (anche se non quello "islamico"). Ho preferito il silenzio, e non ho voluto aggiungere parole inutili al marasma che già si è sollevato. D'altra parte, su questo blog non si parla di cose così importanti, si trattano argomenti frivoli: libri, musica, fantascienza, film... non è certo con questi che si affronta la situazione odierna.

Volendo lasciare a mio modo un commento, trovare qualcuno che parlasse con me, mi è venuto in mente di citare proprio l'ultimo episodio di Doctor Who, trasmesso la settimana scorsa, e che per un'altra sgradevole coincidenza affrontava in maniera diretta temi come l'integrazione, la convivenza, la guerra. Su facebook ho inserito un video tratto dalla puntata, e lo ripropongo qui:


 

"Ma ti pare il caso?" si potrebbe obiettare. Ti sembra che una cosa così grave vada commentata con una cazzata del genere, sminuita al livello di una serie tv?

Ci ho pensato un pochino, e dopo mezza giornata sono arrivato alla conclusione che sì, mi pare davvero il caso. Mi sono reso conto che quello che sono, quello che penso, quello che voglio, è influenzato in maniera forte dai libri che ho letto, i film che ho visto, la musica che ho ascoltato. Che tutte quelle piccole cose inutili con cui ho perso tempo hanno contribuito a formarmi e rendermi, per molti versi, migliore di quello che sarei altrimenti.

Un episodio di Doctor Who o un libro di Kurt Vonnegut mi hanno fatto acquisire una consapevolezza maggiore di qualunque libro di storia, hanno provocato in me reazioni più forti di qualunque discorso alle Nazioni Unite. E mi viene quindi da pensare come sarebbe la situazione, se tutti nel mondo avessero letto Mattatoio n. 5 o Straniero in terra straniera o The Adjacent, se tutti avessero visto Wall-E o Her, se tutti avessero ascoltato Moderat o Paul Kalkbrenner, solo per citare qualcuno che forse non ha nemmeno un collegamento diretto con la situazione attuale. Mi chiedo se non sia possibile cambiare qualcosa senza usare i paroloni e scomodare le poltrone più in alto. Se non abbiamo tutti bisogno di storie che ci accompagnino sulla strada della ragione e della comprensione, piuttosto che nozioni, ideali e programmi.

Mi viene quasi da pensare che queste cose frivole, queste cose inutili e superflue siano in fondo quelle che potrebbero salvarci. Non ne sono sicuro, forse è solo un modo per ripulirmi la coscienza. Ma se si dice che tutti dobbiamo fare qualcosa, forse partire dal basso può servire a qualcosa.

Doctor Who 9x08 - The Zygon Inversion

Devo ammettere che inizio a sentirmi in difficoltà a commentare questa stagione di Doctor Who. Nel senso che non mi piace dare l'impressione del fanboy, quello che per ogni sopracciglio alzato scatta a saltellare di emozione, insomma, quando c'è stato bisogno sono stato critico anche con Futurama, e lì sì che sono un fanboy. Quindi è quasi imbarazzante dover riconoscere una puntata di buon livello dietro l'altra, e assegnare una media di voti superiore al 7... ma sarei disonesto a fare altrimenti, perché a questa stagione le stanno davvero azzeccando tutte.

Ci eravamo lasciati con un prevedibile cliffhanger: la UNIT neutralizzata, Kate Stewart eliminata, Clara copiata, il Dottore in procinto di essere abbattuto sul suo aereo. Sembra quindi che il piano degli Zygon ribelli (che sono comunque una minoranza) abbia funzionato alla perfezione, e ora le forze si ricompattano per l'offensiva finale, che prevede di far scoprire l'esistenza degli alieni in mezzo agli uomini, forzando uno Zygon integrato nella società umana a manifestare la sua vera natura. Dopodiché si va alla ricercha dell'Osgood Box, l'apparecchio lasciato dal Dottore che serve appunto a gestire una simile situazione di emergenza.

Ma naturalmente il Dottore non è morto, e lui e Osgood (umana o zygon che sia) proseguono con il loro piano per fermare la guerra imminente, inizialmente credendo Clara morta, anche se si scopre presto che non è così. In un certo senso in questo episodio succede l'opposto del precedente: mentre lì ogni personaggio seguiva un suo percorso diverso, qui le strade convergono di nuovo, e così arriviamo al climax finale in cui tutti i personaggi sono nella stessa stanza, davanti all'Osgood Box, per mettere in scena l'ultimo atto della storia.

E l'ultimo atto è un monologo. Ogni tanto tocca al Dottore fare una delle sue esposizioni, esortazioni, celebrazioni... più o meno tutti i Dottori ci sono passati. Ma questo è forse il monologo più lungo visto finora, siamo a dieci minuti di intensa interpretazione da parte di Peter Capaldi. Una lunga riflessione sulla guerra, il senso dei conflitti, le conseguenze del "noi contro loro", riportata da qualcuno che queste cose le conosce di prima persona. Il tema è profondo, e quando il Dottore parla nessuno riesce a interrompere, anzi, tutti abbassano lo sguardo, sentendosi in un modo o nell'altro coinvolti e colpevoli. La soluzione del Dottore per il conflitto che sta per esplodere è semplicemente quella di fermarsi a parlare, pensare alle proprie ragioni e quelle della parte avversaria, e concludere che quello che stanno per fare è un immenso errore. D'altra parte lui ci è già passato, molte volte, e sa che cosa significa.

È una sequenza molto forte, ed è impossibile non rimanerne catturati, grazie alla straordinaria performance di Capaldi, che ancora una volta si dimostra perfettamente nella sua parte. Si potrebbe dire quasi che, a nove anni di età, il Doctor Who moderno sia diventato grande, e abbia finalmente raggiunto una maturità di temi e situazioni mai toccati prima. Certo, si potrebbe ravvisare una certa retorica in quello che il Dottore dice, ma il coinvolgimento emotivo reso dall'attore rende il tutto credibile. The Zygon Inversion è così un'altra ottima puntata, che pur con ritmi diversi si inserisce bene a seguito di The Zygon Invasion, proseguendo il riferimento (allegorico o indiretto) a temi profondi e attuali. Il che non è affatto scontato per uno show che viene ancora considerato "per bamini". Voto: 8/10

Sognare le stelle

Il weekend appena trasocrso è stato piuttosto movimentato, per chi frequenta (in qualunque ruolo) il piccolo mondo dell'editoria di genere italiana. Chi visita questo blog probabilmente è al corrente della cosa e non ha bisogno che riferisca i dettagli, ma anche se così non fosse, quello che è successo (o potrebbe essere successo) non è il nucleo della questione, almeno non per questo post.

A mio avviso il dato importante che è emerso nuovamente è come il meccanismo delle recensioni che fanno scalare le classifiche sia profondamente fallato. Ovviamente il richiamo principale è per Amazon, ma non voglio dare l'idea che il portale in sé sia il male. Amazon è il principale store in uso oggi, soprattutto per quanto riguarda gli ebook, e gestire in modo trasparente un mercato così vasto non è certo un'impresa facile. E così le falle vengono a galla.


Certo, i problemi non si presenterebbero se tutti fossero onesti, ma in qualunque interazione sociale bisogna presumere la possibilità che il prossimo possa essere disonesto (l'intero vivere civile si basa su questo assunto, tutto sommato). Il problema è che c'è troppo da guadagnare dal sabotare in vario modo il sistema di recensione/voto in modo da portare vantaggio ai propri testi, o anche danneggiare quelli altrui. Avere il proprio titolo "pompato" nella classifica del suo genere specifico (sempre che sia individuato in modo corretto, e non sia anche questo fatto in modo disonesto) comporta un vantaggio troppo consistente nei confronti della ristretta cerchia di riferimento. La sproporzione tra le dimensioni dell'offerta e quelle della domanda conduce inevitabilmente a una guerra tra poveri in cui fare i furbi conviene fin troppo. E allora arrivano le recensioni a pagamento, lo scambio di commenti, gli account fake, gli ebook vuoti, e tanti altri piccoli stratagemmi che rendono la vita dell'ingenuo lettore una sofferenza continua.

C'è un motivo per cui non lascio recensioni su Amazon, e se inizialmente poteva essere la pigrizia, in seguito mi sono convinto che fosse meglio così. Tutto quello che leggo passa da questo blog, così sono sicuro che il mio apporto non contribuirà a far scendere o salire in classifica un titolo, anche se si merita l'una o l'altra cosa. Mi viene quasi da immaginare che certi titoli nei piani alti della classifica in realtà non siano mai stati letti da nessuno, e che il sistema sia così perverso che si autoalimenti a colpi di recensioni farlocche, ma questa è solo una congettura.

Ho già avuto occasione di affermarlo (forse in un paio di interviste, non ricordo bene), ma ribadisco che liberarsi dal paradigma della classifica e delle 5 stelline è l'unico modo per lasciarsi dietro queste brutture. Ne guadagnerebbero i lettori ma soprattutto gli autori e gli editori, che siano figure separate o coincidenti come nel caso dei selfpublisher.

Proviamoci, potremmo avere delle belle sorprese.

Coppi Night 1/11/2015 - The Green Inferno

Ultimamente c'è voglia di horror nel Coppi Club, e se ne potrebbe inferire che c'è una profonda inquietudine serpeggiante nella vita quotidiana di giovani trentenni che sublima nella volontaria esposizione a visioni disturbanti, ma volendo anche no. The Green Inferno è un film di cui si è chiachcierato parecchio qualche mese fa, alla sua uscita, un cannibal movie come non se ne vedevano da anni, e quando poi è arrivato in Italia ci hanno voluto tutti ricordare che Luca Barbareschi queste cose le faceva before they were cool. Lasciamo queste disquisizioni a chi di cinema ci campa, sia mai che gli rubiamo il lavoro.

Concentriamoci sul film. Un gruppo di attivisti-ambientalisti (preferibilmente vegani) vuole fermare l'abbattimento di una foresta in amazzonia, organizza una protesta classica legandosi agli alberi e tutti sono contenti. L'entusiasmo si smorza quando durante il volo di ritorno hanno un incidente, e precipitano nel mezzo alla giungla nel territorio di un villaggio di cannibali, che provvede a imprigionarli e mangiarli uno per uno. Beh, dai, c'è di che divertirsi, no?

Uhm, mica tanto. Uno pensa di guardare questo film per gustarsi qualche bella scena gore di quelle pesanti, ma a parte lo sbudellamento del primo malcapitato (con accurata spremitura delle orbite oculari) non è che ci sia poi tanto da tapparsi gli occhi. Insomma visto un torace umano abbrustolito e spellato, visti tutti.

Dice: ma guarda che il cannibalismo non è il tema portante del film, è solo uno strumento con cui viene veicolato un messaggio blablabla. Ok, mi sta bene. Ma qual è il messaggio? Che i buoni non sono sempre buoni e i cattivi non sempre cattivi? Questo dovrebbe farcelo capire il fatto che il leader degli attivisti si scopre essere in combutta con gli abbattitori di foreste per guadagnare qualche retweet, mentre invece i cannibali tutto sommato combattono una battaglia di libertà. Se il punto è questo, è reso in modo grossolano e superficiale, vuoi ad esempio perché da eroe splendente il capofilantropo diventa di punto in bianco uno stronzo insensibile, con una velocità e una totalità paragonabile ad Anakin Skywalker che passa al lato oscuro in Episode III.

Allora dice: sì ma guarda che è un film tecnicamente perfetto, la regia, la fotografia, gli effetti non in CGI, roba di alto profilo. Va bene, non lo metto in dubbio e sono sicuro che sarà un esempio da portare alla discussione della tesi per chi studia al DAMS, ma a me spettatore ne viene poco o nulla. Anche perché, se dobbiamo parlare di aspetti tecnici, a mio avviso la recitazione è mediamente a livelli di b-movie, sembra di trovarsi con attori non professionisti, e se mi dite che pure questo è voluto, allora boh, siamo tornati al neorealismo e non me n'ero accorto.

Un'altra cosa che mi lascia perplesso nel film sono quei momenti awkward che si presentano ogni tanto, alcune brevi sequenze che non sai se sono lì per far ridere, per smorzare la tensione, o che altro. Tipo la ragazza che ha la diarrea e si scarica in angolo della gabbia, con tanto di rumori alla Pierino. O quell'altra che per saltare da una roccia all'altra scivola nell'acqua e sparisce, ci mancava il commento del Gabibbo sotto. Oppure i cannibali storditi da una bustina di marijuana infilata in gola alla vittima che devono cucinare, e che attaccano a ridere prima che gli parta la fame chimica. E anche la scena post-credits, con la telefonata della sorella del capo attivista che sembra prepari il terreno per un sequel. Non so, a me sembrano tutte cose inserite a caso, e che non hanno una vera funziona nel contribuire a fornire un messaggio, se davvero ce n'è uno.

Ma magari sono io che mi vado a cercare troppe spiegazioni e in realtà dovevo solo seguire il body count. Però un po' di appetito me l'ha messo, devo ammettere.

Axiom Verge

Arricchiamo l'occasionalissima rubrica dedicata ai videogiochi di questo blog, che deve la sua occasionalità al fatto che non posso di fatto definirmi un "gamer", visto che ad esempio non ho mai avuto una console (a partire dal Super Nintendo, con cui giocavo dal vicino di casa). Tuttavia qualche oretta sui videogame la passo ogni tanto, e soprattutto negli ultimi tempi mi sto interessando in particolari ai giochi indipendenti, ovvero quelli prodotti non da case di produzione con duecento programmatori, ma da una manciata di solitari nerd chiusi in cantina.


Axiom Verge, per dire, è stato interamente realizzato da Tom Happ. E con "interamente" intendo proprio in modo completo: codice, grafica, musiche, testing. Tutti gli aspetti sono stati messi a punto da lui nell'arco di circa cinque anni, culminando con l'uscita del gioco nel marzo 2015 su PS4 e PC. Axiom Verge è essenzialmente un "metroidvania": un gioco di azione in 2D a scorrimento orizzontale, in cui il protagonista deve esplorare diverse aree, acquisire nuovi oggetti e strumenti per proseguire, e confrontarsi con una serie di avversari di forza via via crescente, con una serie di boss da sconfiggere per procedere. Della serie di Metroid (almeno quello classico) riprende diversi elementi in modo talmente palese da non poter nemmeno essere considerato un semplice omaggio: la suddivisione in zone del mondo, ognuna con un suo tema diverso, le "porte" di transizione da una stanza all'altra, e il percorso di gioco che si basa su aree inizialmente inaccessibili ma che poi si possono raggiungere una volta ottenuti i giusti upgrade. Questo basterebbe a convincere i nostalgici di Super Metroid e simili a provarlo, ma potrebbe anche portare qualcuno a pensare che si tratti tutto sommato di qualcosa di già visto e quindi poco coinvolgente. Ma Axiom Verge fa più che riproporre uno schema consolidato e di sicuro successo, riesce a innovarlo con alcune semplici ma determinanti mosse.

Ci sono infatti diversi elementi caratteristici che rendono il gioco una scoperta continua. Innanzitutto i vari oggetti e strumenti che si trovano lungo il percorso. Alcuni sono abbastanza prevedibili come il trapano e il rampino, mentre altri molto più gustosi come il drone per esplorare le aree più strette, il camice che permette di attraversare le pareti, o il fenomenale address disruptor, un'arma che corrompe il "codice" del mondo circostante facendo apparire o scomparire dei glitch nell'ambiente o nei nemici. Un altro aspetto veramente innovativo per questo genere di giochi è che le diverse armi accumulabili lungo il percorso non hanno un livellamento crescente di potenza. Vale a dire, che non ci sono armi da usare contro avversari specifici che sono invulnerabili alle altre, ogni diversa pistola usata dal protagonista ha caratteristiche diverse (velocità, gittata, area d'effetto, rimbalzi) che può renderla più adatta in situazioni diverse, ma di base si potrebbe concludere il gioco con il semplice axiom disruptor che si riceve all'inizio. L'altro elemento determinante nell'arricchire l'esperienza è la storia che sta dietro Axiom Verge. Nel paragrafo che segue illustrerò parte del lore che sta alla base del gioco, ma senza spoiler pesanti (niente che non scoprireste nella prima mezz'ora di gioco). In quello successivo invece scenderò più in profondità, e lì gli spoiler ci sono.

Il protagonista controllato dal giocatore è Trace, un fisico che in seguito a un incidente durante un esperimetno si risveglia in un mondo oscuro e misterioso. Guidato da una voce femminile di cui non conosce l'identità, Trace apprende di trovarsi su Sudra, una sorta di dimensione alternativa, un mondo la cui civiltà è crollata a causa di un'epidemia che ha sterminato la popolazione e l'intervento di un intruso, Athetos, anche lui proveniente da un altro mondo. Per raggiungere Sudra, sia Athetos che Trace hanno attraversato the Breach, qualcosa di simile a un tessuto tra le varie dimensioni che opportunamente manipolato può fare tanto da canale di transito quanto tra barriera tra i mondi. I sudrani sapevano usare il Breach ma ne hanno perso la capacità, ed è stato Athetos a impossessarsene, e lo usa come strumento di difesa. È appunto il Breach a causare i glitch sparsi nel mondo, la realtà di Sudra risulta corrotta e deve essere ripristinata. È questo che Elsenova, la voce che guida Trace, gli spiega poco per volta. Elsenova è una Rusalki, una gigantesca macchina senziente che i sudrani avevano creati secoli, e che ora sta conducendo (insieme alle altre Rusalki sopravvissute) la battaglia contro Athetos. Trace è un componente fondamentale di questa lotta, perché lui, come Athetos, è un patternmind, ed è quindi in grado di utilizzare le armi e gli strumenti progettati dal nemico.

Questo è il primo livello della storia narrata, ma verso metà gioco le cose si complicano notevolmente. Il lore di Axiom Verge viene reso tramite le conversazioni di Trace con le Rusalki e i boss, alcune brevi cutscene, e soprattutto le note sparse in tutto il mondo. Le note sono documenti di divers origini, scritti da più autori (i sudrani, le Rusalki, Athetos, lo stesso Trace) che concedono brevi nozioni di quanto è successo prima dell'arrivo di Trace. Le note non vengono necessariamente trovate in un ordine preciso, per cui ricostruire la storia non è semplice, fino a quando non se ne è accumulate un buon numero. Quello che emerge dalle note è un contesto ben più complesso e sfaccettato. E qui sotto siamo nello spoiler, occhio.

Dalle note si apprende che le Rusalki erano macchine da guerra, e che erano state volontariamente disattivate dai sudrani. È solo quando sono stati portati vicino all'estinzione che hanno deciso di riattivarle, in modo che potessero aiutarli a difendersi. Ma gli obiettivi delle Rusalki non sono del tutto chiari. È palese che stanno combattendo contro Athetos, eppure una di loro era dalla sua parte. E il controllo che esercitano su Trace, che possono rianimare nelle camere di resurrezione (i save point) e anche uccidere a piacimento grazie ai nanocomponenti che gli hanno impiantato. Si può arrivare al ragionevole sospetto che Trace sia obbligato a combattere, e questo si fa sempre più evidente man mano che il gioco prosegue, quando anche i boss nutrono dei dubbi all'idea di uccidere Trace. Lo stesso Athetos, ovviamebte boss finale, si rivela quasi passivo e relativamente facile da battere, come se non volesse davvero opporsi a Trace. Quindi, Athetos è davvero il nemico, e le Rusalki sono sicuramente nel giusto? Non è sicuro, eppure Trace non può fare altrettanto. Ma in fondo, lo stesso Sudra è un mondo reale? Possibile che Trace, nell'incidente al laboratorio, sia rimasto ferito, o sia anche morto? Forse il mondo in cui si muove è un sogno, o anche una simulazione? D'altra parte una delle note, intitolata Axiom 1, dice:
(a) All algorithms are universal and valid, regardless of whether they are executed.
(b) Cognition is a sub algorithm whose behavior is to perceive properties of the parent algorithm describing it.
(c) Any algorithm giving rise to cognitive entities will be perceived as reality by the entities described.
Quali sono gli algoritmi a cui si riferisce Athetos, che ha scritto questa nota? Quali sono le entità coscienti che percepiscono l'algoritmo come realtà?

Il gioco non fornisce rispote, o almeno nessuna risposta certa. Ci sono un paio di interpretazioni più valide di altre, avvalorate anche dalle scene mostrate dopo i titoli di coda alla fine del gioco. È in realtà probabile che la missione di Trace non sia finita, e forse nemmeno quella di Athetos. In effetti Tom Happ ha già rivelato di essere al lavoro su Axiom Verge 2, ed è facile immaginare che Trace avrà un nemico diverso, stavolta.

Riattraversando la breccia per tornare nel nostro mondo in cui Sudra è solo un gioco (algoritmo?), ci rimane tra le mani un prodotto davvero profondo. Oltre a essere divertente, e quasi mai frustrante come a volte possono esserlo alcuni di questi giochi, Axiom Verge risulta avvincente e in grado di far riflettere sulle potenzialità e i limiti della mente, dell'intelligenza, della programmazione, anche della vita e della realtà. È raro che un videogame di questo tipo riesca a coinvolgere il giocatore oltre il semplice "arrivo al prossimo boss e trovo un nuovo aggeggio". Una menzione di merito va fatta all'eccellente colonna sonora, che riesce a caratterizzare gli ambienti e creare un'atmosfera aliena e gustosamente retro. In definitiva un grande gioco e una straordinaria narrazione, e un'ulteriore conferma che spesso basta l'idea di una sola persona per ottenere qualcosa di ben fatto.

Doctor Who 9x07 - The Zygon Invasion

Abbiamo già appurato che questa stagione di Doctor Who sta cercando di stabilire inaspettati collegamenti con il passato della serie: la citazione delle precedenti companion, di Jack Harkness, il flashback a The Fires of Pompeii, e adesso un riferimento diretto alla storia svoltasi in The Day of the Doctor, l’episodio speciale dei 50 anni della serie. In effetti The Zygon Invasion (anche questo, come ormai si è capito sarà per il resto della stagione, è la prima parte di un episodio doppio) si può quasi considerare un seguito diretto del 50° anniversario di DW. In quella puntata si seguivano due linee narrative principali: quella dell’ultimo giorno della Time War, e una subdola invasione da parte degli Zygon, gli alieni mutaforma in grado di assumere l’aspetto di altre creature. Il subplot degli Zygon, che lì era secondario, si concludeva con un trattato di pace tra uomini e alieni, e un accordo per la ricollocazione di questi ultimi sulla Terra. Ora scopriamo che da allora sono circa venti milioni gli Zygon che vivono in incognito (in forma umana) sul nostro pianeta, e come ci si poteva aspettare, l’occasione per l’epslosione di un conflitto non tarda a presentarsi.

Personaggio chiave dell’episodio è Osgood, la scienziata nerd dell’UNIT che avevamo conosciuto proprio in The Day of the Doctor e visto morire in Death in Heaven. Ma di Osgood non ce n’era una sola, ne esistevano la versione umana e quella Zygon, due controparti che si sono in certo senso uniformate, tanto da dimenticare (o da non ritenere più importante) chi fosse chi. Osgood è la personificazione della possibile pace tra le due specie, ed è per questo che viene rapita dagli Zygon ribelli che si oppongono all’accordo, e vogliono invece essere riconosciuti per quello che sono.

L’episodio procede quasi come un’investigazione, con i protagonisti che si dividono per tutto il mondo in cerca di indizi per scoprire come gli Zygon intendono condurre la loro rivoluzione. Il Dottore, Clara e Kate Stewart (la figlia del Brigadiere) seguono tracce diverse ma arrivano a scoprire ognuno una parte del piano… se non che la capacità degli Zygon di copiare le persone si presta fin troppo bene a trarre in inganno gli avversari.

A fare due conti, nella lunga storia di Doctor Who quasi la metà degli alieni è in grado di assumere in un modo o nell’altro forma umana: le tecnologie pressoché magiche presenti nel whoniverse lo rendono più che agevole. Ma gli Zygon in questo sono leggermente diversi, perché la loro è una capacità naturale, una strategia di sopravvivenza che fa parte del loro modo di pensare. Inoltre, pare che questi Zygon abbiano subìto un notevole upgrade: possono attingere ai ricordi degli altri e trarre da qui l’immagine da riprodurre, invece di dover mantenere in ostaggio il loro “originale” per mantenerne l’aspetto. Un aggiornamento interessante che rende gli alieni decisamente più pericolosi, in particolare se stanno cercando di sovvertire l’ordine a cui sono sottoposti.

È facile riconoscere in questo episodio anche alcuni paralleli con fatti di attualità piuttosto drammatici. Da una parte il modo degli Zygon ribelli di affermare le proprie ragioni assomiglia decisamente alle strategie dei terroristi emerse negli ultimi anni, con video dimostrativi, esecuzioni in diretta di ostaggi, slogan e simboli ripetuti per incutere timore. Dall’altro lato il modo in cui gli Zygon sono visti e trattati ricorda in modo sospetto la gestione dei flussi migratori che si stanno riversando in Europa dalle zone di guerra. Noi conosciamo bene la situazione italiana, ma bisogna ricordare che c’è stata una crisi seria anche nel Regno Unito, e mostrare in uno show del genere (di solito ritenuto “per famiglie”) una chiara allegoria dell’immigrazione clandestina è una mossa ardita.

La puntata riesce a mantenere un buon equilibrio tra questi temi e la parte più action, risultando così avvincente, nonostante non si tratti di altro che di una preparazione del vero scontro che si verificherà nella seconda parte. L’episodio si conclude con un doveroso cliffhanger, gli Zygon sembrano aver messo ko la UNIT (che controllava la loro presenza sul pianeta) e il Dottore (che per l’occasione ha riassunto il suo ruolo di Presidente del Mondo) sta per essere abbattuto sul suo aereo presidenziale. Al solito, sappiamo bene che il Dottore non morirà davvero (di certo non a metà di un doppio episodio), ma il finale in sospeso ci può stare.

Un paio di elementi degni di nota sono, ancora una volta, degli accenni ai temi ricorrenti di questa nona stagione: l’ibrido (questa volta identificato in Osgood, metà umana metà Zygon) e il rapporto con Clara. A parte che per buona parte della puntata scopriamo che Clara non era davvero lei, ma già prima della sua entrata in scena nell’episodio sembra quasi che stia cercando di ignorare il Dottore. Sembra che l’incrinatura tra i due si faccia sempre più definitiva, e probabilmente scopriremo presto dove condurrà.

Come per tutte le puntate dispari di questa stagione, la valutazione finale è parzialmente falsata dal fatto di non essere una storia completa, ma finora The Zygon Invasion merita comunque un voto 7/10

Coppi Night 25/10/15 - Unfriended

Film di cui avevo sentito parlare nei mesi scorsi, apprezzato in particolare per la sua originalità. Questo senza dubbio non lo si può contestare: nel cinema i tentativi di veicolare una storia in una forma narrativa diversa si presentano ogni tanto, ma a quanto mi risulta (non sono un esperto, accetto smentite) questo è il primo film basato interamente sullo schermo di un computer. Beh, ok, quasi interamente, ma di questo accenneremo dopo.

Non c'è granché da dire sulla storia che sta dietro le conversazioni via skype e in chat dei protagonisti. Una ragazza si è suicidata in seguito alla diffusione di un video imbarazzante, e a un anno dalla sua morte quelli che erano i suoi conoscenti più stretti vengono presi di mira dal suo spirito, o quello che è, che li costringe uno per uno ad ammettere le proprie colpe, per poi ucciderli. Niente che non si sia già visto centinaia di volte nell'ambito dei film horror.

La novità di Unfriended sta appunto nel fatto che il tutto non è mostrato con le normali scene girate di un film, ma attraverso il monitor del computer di una delle protagoniste. Attraverso questo conosciamo gli altri ragazzi in videoconferenza, vediamo i video da youtube che documentano quanto accaduto un anno prima, seguiamo link e discussioni sulle possessioni di spiriti e così via. È sicuramente un modo innovativo e anche abbastanza immersivo di narrare la vicenda, ed è in definitiva il pregio maggiore del film. Inizialmente sembra che la presenza dei ragazzi sia solo un mezzo per mostrare una serie di morti successive, ma più avanti le dinamiche del gruppo si complicano quando il fantasma li costringe a rivelare piccoli segreti (menzogne, bassezze, tradimenti) che li mettono uno contro l'altro.

Ci sono anche alcuni aspetti negativi che possono far diventare la visione irritante. Uno è fondamentale: guardatelo su uno schermo abbastanza grande, o avrete difficoltà a seguire le conversazioni in chat che si susseguono per tutto il film. Senza la possibilità di leggere quello che la ragazza scrive vi perderete buona parte del background. Essenziale anche poter comprendere l'inglese, ma questo lo do quasi per scontato. Al secondo posto, devo citare un finale poco coerente con la storia e la forma del film: mi riferisco proprio all'ultima scena in cui (spoiler da qui a fine paragrafo!) la telecamera si sposta dal monitor e mostra la stanza in cui è apparso il fantasma della suicida. Questo tradisce in due sensi le intenzioni iniziali: in senso narrativo, perché fino a quel momento non c'era stata nessuna apparizione soprannaturale, e le vittime precedenti erano state forzate ad ammazzarsi da sole; in senso strutturale, perché si butta via proprio negli ultimi secondi l'idea originale che sostiene tutto il film. Ho il sospetto che il regista abbia avuto qualche perplessità su come concludere e si sia lasciato sedurre dal fascino del jumpscare.

C'è anche un'altra cosa da considerare: probabilmente Unfriended inveccherià male. Può darsi che già tra un paio di anni molte delle operazioni svolte sul monitor non risultino del tutto comprensibili: ai ritmi con cui la fruizione dei mezzi di comunicazione digitali evolve, può darsi che la memorializzazione di un profilo facebook, spotify e chatroulette non abbiano più degli omologhi a breve. Quindi guardatelo ora (dura anche meno dei 90 minuti standard), tra qualche anno potrebbe risultare incomprensibile.