Introduzione di Elvezio Sciallis

Sono passate quasi due settimane da quando Elvezio Sciallis è morto. Elvezio era un nome piuttosto noto nell'underground letterario di genere, anche perché è un nome che una volta che l'hai sentito ti rimane in testa. Ho saputo la notizia quasi subito tramite Giorgio Raffaelli, uno dei fondatori di Zona 42, e la cosa mi ha sconvolto come ha sconvolto molti altri. Ho riflettuto se scrivere qualcosa per onorare la sua memoria e sulle prime non ero molto convinto. Di fronte alla scomparsa tragica e improvvisa di una persona non sono sicuro che alzarsi in piedi e fare un discorso sia la cosa più appropriata, a maggior ragione quando quella persona non rientra tra le proprie conoscenze intime. Finora ringraziando il cielo mi è capitato di subire solo un paio di perdite davvero profonde, ma mi sono bastate a capire che la morte di una persona vicina è qualcosa di profondo e terribile, una cosa che non si può superare ma solo constatare. Death is always true, e in considerazione di questo non me la sentivo di prendere il posto in prima fila per raccontare il mio dolore, quando ci sono molti altri che ne hanno diritto ben prima e più di me. Nel frattampo però la notizia si è diffusa, molti hanno dedicato qualche riga a ricordarlo, e allora mi sono detto che forse potevo aggiungere anche il mio contributo alla memoria collettiva.

Non conoscevo bene Elvezio. Ci siamo incontrati di persona quattro-cinque volte, della quinta non sono sicuro perché credo fossimo entrambi presenti a un evento ma in quell'occasione non abbiamo ineragito. La nostra conoscenza risale ai tempi in cui gravitavo nell'orbita delle Edizioni XII, uno dei periodi che mi hanno formato maggiormente a livello professionale e personale. Non ho la pretesa di affermare di essergli stato vicino, probabilmente se avesse dovuto fare una lista delle persone più importanti della sua vita io non ci sarei sarei rientrato. Non importa, non è questo il punto. Usando una terminologia bastarda, si potrebbe dire che ero uno suo fan, perché dopo aver capito che tipo di persona era sono sempre rimasto attratto da ogni sua uscita.

Elvezio era un grande scrittore, non nel senso di autore di testi editi ma proprio di "persona che scrive". Ha scritto e pubblicato alcuni racconti di genere horror/weird, ma a un certo punto ha capito che non era quella la sua strada e con estrema serenità ha smesso. Ha continuato però a scrivere, principalmente sul suo blog Malpertuis. Era prolisso, verboso, si perdeva in lunghe premesse e infinite divagazioni e io assorbivo tutto quanto. Di solito iniziava commentando la visione di un film ma non era mai quello il fulcro centrale dei suoi post. Anche parlando del più ignobile degli slasher riusciva a rendere profondo e interessante il testo, ricco di spunti, riflessioni e prospettive. Aveva un modo totalizzante di trattare gli argomenti, per cui si percepiva la completa padronanza di ogni tema che tirava fuori, dovuta forse non tanto e non solo a puro nozionismo, ma a una attenzione assoluta e un acume davvero raro, soprattutto nell'era dei social network. Il tutto sempre con la massima umiltà, senza la minima traccia di arroganza che pure sarebbe stata più che giustificata da parte sua.

Avete presente quella citazione che ormai non si sa più se era di Seneca o di Morgan Freeman "non condivido la tua opinione ma darei la vita perché tu possa esprimerla"? Ecco, Elvezio ne era l'incarnazione. Lui esprimeva dei punti di vista inusuali, a volte estremi, eppure risultava sempre convincente, senza dare l'impressione di essere salito in cattedra. Ho perso il conto di quanti argomenti e teorie ho appreso dai suoi discorsi: da cose in apparenza banali come film da vedere (penso ad esempio a Babadook) a temi complessi di ambito scientifico come i bias cognitivi o l'epigenetica, fino a considerazioni filosofiche e sociologiche di alto livello. Credo che molti dei suoi post mi abbiano influenzato senza che nemmeno me ne rendessi conto, e che la mia visione attuale del mondo sia almeno in parte legata alle riflessioni suscitate da ciò che scriveva. Se un giorno mai dovessi scegliere di diventare vegetariano, cosa che non escludo di poter fare in futuro, sarà probabilmente a causa sua, per dirne una.

In quelle quattro volte e mezzo che l'ho visto, ho avuto a che fare con una persona del tutto diversa da quella che ci si sarebbe aspettato dalla lettura dei suoi lavori. Era sicuramente un introverso, nello stesso modo in cui lo sono anch'io, ma affrontava questa chiusura in modo positivo, affidandosi all'autoironia e, mi ripeto all'umiltà, ma l'umiltà vera, non la modestia di facciata di chi sa di saperne più di te e non vuole fartelo pesare, che è invece l'approccio che mi rendo conto di applicare io in molte occasioni. Forse per questo lo avevo eletto a uno dei miei modelli, per il modo in cui nonostante il palese disagio con cui si trovava a muoversi in questo mondo perverso, riusciva a manenersi coerente. Quella di oggi non era la società adatta a un tipo come lui, ma forse nessun tipo di società lo sarebbe stato, e probabilmente proprio come forma di difesa lui cercava un senso diverso, più profondo, una prospettiva alterata che potesse spiegare qualcosa, o almeno dimostrare che non c'era niente da spiegare. Credo che ne soffrisse abbastanza di questa cosa, ma al tempo stesso ne rideva anche. Se dovessi fare un paragone, credo che fosse la persona più simile per forma mentale a Philip K. Dick che ho conosciuto, con tutti i lati positivi e negativi e i non-lati che questo comporta.

Mi piace pensare di averlo influenzato in modo sottile e marginale, portandolo a scoprire o almeno prendere sul serio la musica elettronica. Ne abbiamo parlato, un paio di volte, e da alcuni anni era diventato un appassionato di techno, di quella più viscerale e alienante. Anche se la viveva in modo diverso da come la fruisco io, provavo un'inconfessabile soddisfazione quando lo vedevo postare pezzi di Len Faki, Blawan, Villalobos, Mathew Jonson, Johannes Heil. Ma non sono per nulla sicuro di avercelo portato io, probabilmente è un percorso che avrebbe intrapreso anche da solo. Ma come ho detto, mi piace pensare di aver contribuito almeno in minima parte a fargli sopportare il mondo.

Negli ultimi anni aveva gradualmente abbandonato l'ambiente virtuale, prima cancellandosi dai social e poi chiudendo anche il suo storico blog, e questa è la cosa che non gli perdonerò mai. Malpertuis era una risorsa senza fine di spunti e approfondimenti, e per molti anni avevo continuato a riprendere post vecchi in cerca della sua prospettiva. Ultimamente gestiva la pagina di La Tela Nera, e anche se la penna dietro i post era ancora riconoscible, si capiva che lo faceva con maggior distacco, non con l'intimità e la confidenza che teneva sul suo blog. Credo che avesse capito un po' in anticipo rispetto ai tempi come quella dei social fosse una trappola e che la cosa migliore fosse uscirne finché eravamo in tempo. Come per il vegetarianismo, se un giorno dovessi decidere di abbandonare i social, cosa che non escludo di poter fare in futuro, sarà probabilmente a causa sua.


Elvezio ha scritto l'introduzione a Dimenticami Trovami Sognami. Contattato da Giorgio di Zona 42, ha letto il libro in anteprima, prima della revisione finale, e ha scritto un pezzo lunghissimo pieno di divagazioni che poi abbiamo dovuto fargli tagliare. Io però quelle parole, suscitate dalla lettura del mio romanzo, le ho lette e ho sentito in quel momento una profonda connessione, come se lui fosse riuscito a leggere tutto quello che io non ero riuscito a scrivere. Quell'introduzione, asciugata e riadattata per necessità editoriali, è lì all'inizio del mio libro, e a quanto mi risulta è di fatto l'ultima cosa di Elvezio che sia stata pubblicata. Per me è un onore immenso vedere sul mio libro anche il suo nome in copertina, quella scritta Introduzione di Elvezio Sciallis.

Ma forse sbaglio tutto. Tra le cose che ho imparato da lui ci sono appunto quei cognitive bias per cui siamo portati a contestualizzare tutto nella nostra prospettiva costretta dalle percezioni limitate di questo veicolo di carne e sangue. Forse quello che credevo di conoscere non era Elvezio e quello che lui credeva che io fossi, se anche aveva un'opinione di me, non ero io. Ma mi sta bene. Quello che è certo è che lui era un passo avanti a tutti e forse anche quell'ultimo passo ha voluto farlo prima.




Ho visto tutto Doctor Who

Ieri, 19 maggio 2019, ho visto Doctor Who - The Movie, il film tv del 1996 con il quale la BBC tentò (fallendo) di rebootare la serie sospesa nel 1989. Con questo si conclude il mio percorso iniziato qualcosa come otto anni fa alla scoperta di tutta la serie classica di DW, a partire da An Unearthly Child con William Hartnell fino a Survival con Sylvester McCoy, e infino questa ora e mezzo di effetti speciali di livello Gremlins con Paul McGann.

Ho lasciato fuori dalla mia morbida maratona tutto ciò che non è canone, come i due film con Peter Cushing, e tuttò ciò che non è televisione. So bene che esiste un enorme expanded universe fatto di romanzi, fumetti e audiodrammi (si dice così?) e che alcuni di questi sono anche di buona qualità, ma non ho intenzione di addentrarmi così a fondo.

Non è stato un percorso facile, innanzitutto per la reperibilità delle serie più vecchie, di cui molti episodi sono in realtà perduti per sempre e in certi casi esistono solo come ricostruzione fatta con audio e alcuni fotogrammi presi dal set. Inoltre, il modo di intendere uno show televisivo di fantascienza nel 1963 era molto, molto diverso da quello di oggi. La visione in molti casi è stata piuttosto faticosa, vuoi per i costumi ridicoli o per la recitazione a livello di teatro parrocchiale, vuoi per la colonna sonora a rischio acufene o per le storie sconclusionate e spesso fin troppo dilungate per coprire quattro episodi quando ne sarebbe bastato uno solo. Non dirò quindi che ho adorato ogni minuto di Doctor Who e men che mai consiglio di fare altrettanto a chi è appasionato della versione attuale della serie.

Si dirà, soprattutto in questi tempi in cui sembra che avere un'opinione su un prodotto di intrattenimento comporti "o con noi o contro di noi", che se è stato così faticoso chi me l'ha fatto fare? Potevo lasciar perdere, no? Certo, e ne sono sempre stato consapevole. Ma era un'esperienza che volevo fare, perché nonostante tutti i difetti c'è qualcosa al nocciolo, alla radice di Doctor Who che soddisfa qualche parte remota di me. Non sto dicendo che sia una vritù, magari anzi è una patologia.

Comunque, fatto sta che da ieri sono uno dei pochi italiani che ha visto tutto quanto c'era da vedere di Doctor Who. Non mi spingo a dire di esserne il maggior espereto italiano come con Futurama, sono sicuro che ci sia in giro qualche fanatico più fanatico di me che ha attinto anche a quelle cose non televisive che io invece evito. Ma insomma, anche se non sono il più grande, di certo sono a mio modo una modesta autorità del settore. Quindi, se avete bisogno di consulenza sulla storia di DW, su tutto ciò che riguarda la serie classica che in Italia è per lo più inedita, sapete a chi rivolgervi.

A visione ultimata potrei sfatare un sacco di miti che si sono autoalimentati col tempo, ad esempio che il Sesto Dottore di Colin Baker sia il peggiore di sempre (d'altra parte se ti vestono come un Falstaff daltonico un po' di credibilità la perdi), oppure fare una selezione delle idee migliori che varebbe la pena di riproporre nella serie di oggi, e forse un giorno lo farò, solo non è questo il posto adatto.

Per il momento, mi limito a constatare come per la prima volta da parecchi anni non ho altro Doctor Who in attesa di essere visto in assenza di altre cose più pressanti. E che in tutta onestà considerato il risultato finale dell'ultima serie con Jodie Whittaker non ho nemmeno una grande ansia per la stagione 12 di cui ancora non si sa niente, e forse il film con Paul McGann potrebbe in effetti essere per me l'ultima cosa che vedo di DW per molto tempo.

Ma d'altra parte il tempo è relativo, insieme alle dimensioni nello spazio, quindi non c'è niente da preoccuparsi.

Spore 90210

DISCLAIMER: con questo post non voglio mancare di rispetto nei confronti di una tragedia accaduta a una persona che per combinazione aveva la caratteristica di essere "famosa". Il tono di quanto scrivo è leggero ma non per questo canzonatorio. Grazie per l'attenzione.

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Ogni tanto capita che "la realtà superi l'immaginazione", cioè che accadano cose nel mondo reale che sono straordinariamente simili a cose inventate. La questione si fa più intricata quando si parla di storie inventate che hanno la pretesa di anticipare possibili scenari futuribili, i.e. fantascienza. Anche se lo scopo della fantascienza non è prevedere il futuro, e chi lo sostiene o non ha capito la fantascienza o non ha capito il futuro, può succedere che un'idea o un tema alla base di una storia di sf inventata diventi di stretta attualità.

Quando ho scritto la prima versione di Spore, credo fosse il 2010-2011, il progetto della Infinity Burial Suit era poco più di una curiosità portata a qualche Ted Talk. C'era forse un crowdfunding, ma la possibilità concreta che l'idea venisse realizzata era ben lontana. Per questo mi presi la libertà di ipotizzare una futura diffusione del decompikit infestato di funghi, stabilendo come data d'inizio di questa diffusione il 2019.

Suona familiare questo numero?

Nel 2019 ci siamo, e nel frattempo è sorta la Coeio, l'azienda che materialmente produce e commercializza il decompikit. Certo non le vendono alla Obi o su QVC, ma la possibilità di acquistarle esiste. Qualche tempo fa ho parlato del primo uomo che ha scelto di far finire il proprio corpo nella Infinity Burial Suit, risalente al 2013.

È notizia di pochi giorni che a scegliere questa modalità di inumazione si è aggiunto un nome conosciuto al grande pubblico, un vip. Si tratta di Luke Perry, l'attore americano che ha guadagnato la fama da giovane, interpretando uno dei protagonisti della serie tv (ma all'epoca forse si chiamano in un altro modo) Beverly Hills 90210. Certo, in seguito Perry ha fatto molto altro, ma nell'immaginario collettivo è rimasto legato a questo ruolo iconico in uno dei primi teen drama diffuso a livello mondiale.

Luke Perry è morto a marzo di quest'anno, in seguito a un ictus improvviso da cui non è riuscito a riprendersi. La notizia ha fatto il giro del mondo, qualche giorno di coccodrilli e finita lì, come d'altra parte è giusto che sia per chi è ancora vivo. Ma a distanza di qualche mese, è emerso un aggiornamento interessante sulla sua morte: pare che avesse lasciato disposizione affinché il suo corpo fosse sepolto in una Infinity Burial Suit prodotta dalla Coeio, e così sarà fatto. Ecco quindi che il decompikit, la Coeio e le mie Spore hanno guadagnato un testimonial d'eccezione, che mi rendo conto essere un modo cinico per parlare di una persona scomparsa peraltro in circostanze tragiche, ma d'altra parte è proprio al confronto con la morte che ci spinge l'idea della tuta micotica, e in misura molto minore, il mio racconto.

I primi nodi della Micosfera iniziano a costituirsi, non vorrete mica perdere l'occasione? Pensateci finché siete in tempo.

(No, non mi sponsorizza la Coeio. Non ancora almeno. Ma se, ehm, volesse farlo, sanno dove trovarmi)

Rapporto letture - Aprile 2019

Mese atipico, con autori praticamente esordienti, altri d'esperienza, alcuni di livello internazionale e pure saggi oltre alla narrativa. Poi dite che leggo sempre la solita roba, mi raccomando...


Iniziamo con Cenere, il primo libro di Zona 42 di un'autrice italiana donna (c'era qualche autrice in Propulsioni d'improbabilità ma in misura ridotta sul totale). Peraltro Elisa Emiliani è poco più che esordiente, ha qualche titolo all'attivo ma si tratta più o meno di autopubblicazioni, e non è questo il momento per discutere se l'autopubblicazione sia editoria propria o no. Sia come sia, Cenere è una distopia, di quelle con le ragazze quindicenni come protagoniste. Non lo definirei young adult, perché per struttura e arco narrativo lo vedo più "maturo", nel senso non propriamente pensato per un pubblico giovane, ma questo non vuol dire che non possa essere apprezzato anche dai ragazzi. Il libro racconta la storia di Ash e delle sue amiche, nella provincia romagnola di un futuro molto prossimo, dove la pervasività dei social ha mosso il passo successivo e il sistema politico/economico, qui chiamato semplicemente "corporativismo" detiene un controllo abbastanza capillare sulla vita dei cittadini. Le ragazze non si pongono molti problemi, abituate a questo modello di società, fino a quando non trovano un documento criptato che racconta proprio di quelle libertà personali che loro non hanno e mai pensavano potessero esistere. La cosa miglire di questo libro è come protagoniste e personaggi secondari sono resi, con una loro identità e personalità ben definita, e a leggere sembra quasi di sentire gli aneddoti di vecchi compagni di scuola. Questi personaggi si integrano con perfetta naturalezza nell'ambiente in cui si muovono, e traspare un senso di autenticità davvero appagante. Forse l'impalcatura inizia a scricchiolare un po' nel momento in cui, dopo metà libro, avviene un fatto che fa accelerare la trama e il piano delle ragazze per liberarsi dal regime corporativo. Da lì in poi la storia assume i connotati un po' troppo statici della distopia standard, seguendo alcune trovate che a mio avviso non sono del tutto coerenti con il sistema descritto all'inizio. Si tratta comunque di un buon romanzo, con una fortissima personalità e temi molto attuali. Voto: 7/10


A seguire abbiamo Antropocene, una raccolta di saggi e racconti compilata da Future Fiction e Italian Institute for the Future. I curatori Francesco Verso e Roberto Paura hanno selezionato una serie di racconti di cli-fi, ovvero climate fiction, storie che si concentrano sulle conseguenze dell'alterazione del clima e dell'ecosistema dovute in particolare all'intervento umano. I racconti arrivano da tutto il mondo, con autori che sono già comparsi nel catalogo di Future Fiction come Clelia Farris, Chen Qiufan e Jean-Loius Trudel. A ogni racconto è associato poi un articolo di un ricercatore che illustra il tema principale della storia appena letta. L'accoppiata racconto-saggio si rivela vincente poiché il primo solletica la curiosità su un certo aspetto, che viene approfondito subito dopo fornendo anche altri spunti interessanti a margine di quelli trattati nella storia. Personalmente la coppia che mi ha dato più soddisfazione è il racconto Macaoni giganti di Marian Womack e il successivo pezzo di Gennaro Fucile, ma in generale sia le storie che gli articoli sono di livello, con nozioni tutt'altro che scontate. Voto: 8/10


Infine un autore che ha segnato la fantascienza italiana ed è scomparso da poco più di un anno. Conosciuto soprattutto per le sue Memorie di un cuoco di astronave (scritto quando ancora il mondo non era in fissa per la cucina), Massimo Mongai nella sua carriera ha scritto un sacco di cose, anche al di fuori dello stagno della fantascienza. E infatti Morte a Montecitorio è un thriller investigativo, che parte proprio con la scoperta di un omicidio nel Parlamento italiano. Interessante la scelta del protagonista, che è un commissario di polizia da poco eletto in parlamento, e gode quindi di privilegi derivanti dai due incarichi che lo rendono pressoché intoccabile nelle sue indagini. La storia dietro l'omicidio annoda tra loro intrighi di palazzo, pettegolezzi, mafia, e televisione. Devo ammettere però che ci sono un paio di cose che non mi hanno convinto del tutto. Al di là di aver individuato abbastanza presto chi fosse il colpevole, perché la sua apparizione non è stata nascosta troppo bene, ho trovato in generale la prosa meno brillante di quella che mi aspettavo da Mongai, e inoltre il protagonista duro e puro, che non sbaglia e non cede mai, non mi ha per nulla trascinato con lui. Probabilmente ci sarebbe qualcosa da dire anche sul modo in cui sono rappresentate la maggior parte delle donne nella storia, io non sono uno che crede al test di Bechdel ma qui non c'è una donna che non sia portata in scena a causa della sua relazione sessuale con un personaggio maschio. Lettura moderatamente piacevole, e che ha il pregio di non trascinarsi più del dovuto, ma certo non memorabile: Voto: 6/10