La realtà mi ruba le idee

Un paio di giorni fa mi sono imbattuto nella notizia secondo cui un gruppo di ricercatori dell'Harvard Medical School ha annunciato di aver scritto un libro utilizzando il DNA (ho raggiunto la news tramite la segnalazione del blog Estropico, sempre attento agli aggiornamenti tecnologici e scientifici soprattutto in ambito biologico e medico). Cioè, per capirsi, il DNA è stato utilizzato come base per codificare testo, immagini e pure un software. Può sembrare un procedimento contorto, ma in realtà la codifica delle informazioni è la base stessa della comunicazione intesa nel senso più ampio, e in effetti anche per scrivere e leggere queste parole il testo è stato convertito e codificato tramite impulsi elettrici su base binaria. La stessa cosa si può fare con il DNA, sfruttando le quattro basi ATCG per stabilire un sistema convenzionale in cui includere delle informazioni. Il risultato è certamente d'impatto, e le conclusioni del team (per i dettagli rimando all'articolo linkato) fanno supporre che l'immagazzinaggio di informazioni sottoforma di DNA sia più economico, accessibile e sicuro anche di quello digitale che attualmente pervade il mondo. Per cui potrebbe non essere lontano il giorno in cui invece di andare in giro con una chiavina USB ci porteremo in tasca una fialetta di cellule epiteliali (sto esagerando, in realtà i ricercatori affermano che utilizzare DNA "vivo" non è il sistema più efficiente). Ma si sa che con queste previsioni bisogna sempre andare cauti.

In ogni caso, per quanto la notizia in sé sia eccitante, non la riporto soltanto per porla all'attenzione del pubblico di Unknown to Millions. La ragione per cui cito l'episodio è che questa incredibile applicazione tecnica era l'elemento chiave di un racconto da me scritto un anno o poco più fa, Il diario segreto, che è stato in seguito pubblicato in Il magazzino dei mondi e recentemente in Minuti contati. Nel racconto (spoiler!) il protagonista teneva un diario all'interno del suo codice genetico, in modo che potesse essere l'unico ad accedervi. All'epoca del racconto, questa idea non poteva che considerarsi fantascienza, ma ecco che qualcuno attinge alle mie pensate e le mette in pratica, facendo fare la figura dell'idiota. Perché ora, quel mio racconto diventa in parte obsoleto (in parte, perché il diario nel DNA è solo dei due elementi chiave della storia), e perde così di valore. Come se nel 1491 avessi scritto di una mirabolante avventura attraverso gli oceani che porta alla scoperta di nuovo continente: di certo non sarebbe rimasto un bestseller per più di un anno. È una cosa frustrante, che mi è capitata già altre volte e purtroppo credo che si ripeterà. Non voglio utilizzare le frasi fatte tipo "la realtà supera la fantasia", ma è certamente vero che in ambito tecnologico il divario tra il l'immaginabile e il realizzabile è sempre più esiguo. E così, noi scrittori di fantascienza (spero che da lassù Asimov e Clarke e Heinlein non mi fulminino per essermi accostato a loro) ci ritroviamo con la realtà che ci ruba le idee da sotto il naso.

È un mondaccio, lasciatemelo dire.

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