Coppi Night 24/09/2017 - Dragon Trainer

Il blog è in standby da più tempo del solito, ma queste ultime sono state settimane piuttosto movimentate che hanno tenuto impegnato il mio "tempo libero" lontano da questo spazio. Peraltro, anche le prime settimane di ottobre potrebbero essere simili, quindi nessuno si stupisca se salto fuori con un paio di post o poco più: non sto mollando, ho solo di meglio da fare.

Riprendiamo quindi con un film che negli anni trascorsi da quando è uscito si è guadagnao una certa fama. È risaputo che tra i due grandi studi di animazione digitale Pixar e Dreamworks, il secondo è nettamente inferiore e tende anzi a seguire le orme del primo (vedi Pets che è praticamente Toy Story con gli animali). Nel caso di Dragon Trainer devo ammettere però che c'è del merito, sempre proporzionando le aspettative al prodotto.

La storia del giovane allenatore di draghi ha dei bei momenti, e qualche scena di azione e di volo abbastanza intensa, tanto che ora mi pare che una recente puntata di Game of Thrones possa quasi essere vista come un omaggio a questo film (vedi immagine allegata). La parte più interessante è sicuramente quella in cui vediamo il protagonista iniziare a instaurare il rapporto con il drago, e riconoscere poco per volta che tutto quanto la sua gente aveva sempre pensato delle bestie era errato, viziato da una prospettiva parziale e distorta. Avevo quasi sperato che ci fosse una componente in più di integrazione biomeccanica tra il drago, il cavaliere e i macchinari, creando un insieme uomo-drago-macchina squisistamente steampunk. Il finale fa un passetto in più in questa direzione, ma non credo che sia questo il nucleo principale della vicenda. Certo un uomo-drago bio-meccanico sarebbe stato davvero fantastico.

Ci sono ovviamente anche dei difetti. La storia è in buona parte prevedibile, e diversi anacronismi punteggiano la storia. Certo non si guarda un film del genere pensandolo come un documentario, ma se mi parli di vichinghi e non di una popolazione di un regno inventato, allora mi aspetto che non abbiano i libri stampati. In realtà mi sembra anche che i draghi non siano creature della mitologia nordica, per cui mi suona un po' strano che abbiano scelto questa popolazione invece di un'altra, oppure che appunto non ne abbiano inventata una tipo, chessò, le Isole di Ferro. Forse l'aspetto più fastidioso però è il modo in cui gli altri ragazzetti nella parte finale montano sui draghi e riescono a dirigerli senza alcuno sforzo, cosa che invalida tutta la parte centrale del film in cui Hic costruisce con fatica un rapporto di fiducia con il suo drago. Bisogna anche che qualcuno vada ad Hollywood a spiegare agli autori come funziona il fuoco, e fargli presente che se ti trovi dietro una colonna di legno che sta brucando su tutti i lati, non sei salvo solo perché il fuoco non ti ha toccato. Sai, il calore, le ustioni, la pelle che si squama...? In definitiva, un po' di cura in più avrebbe reso tutto il film più solido e godibile, e quindi insomma, in effetti siamo ancora lontani da Wall-E o Zootopia, fatevene una ragione.

Per la rubrica dei titoli tradotti con fantasia, di cui abbiamo parlato anche in occasione dell'ultimo Coppi Club, qui c'è da notare quell'altra curiosa tendenza a prendere un titolo in inglese e tradurlo con un altro titolo in inglese, che di per sé non è tanto più accessibile dell'originale. Capita più spesso diquanto pensate.

BoJack Horseman è il Boris di Hollywoo(d)?

Pochi giorni fa è comparsa su Netflix la quarta stagione di BoJack Horseman, serie animata ideata nel 2014 da Raphael Bob-Waksberg e prodotta dalla stessa Netflix che ha come protagonista il BoJack del titolo, un uomo-cavallo (in un universo in cui umani e animali antropomorfi convivono normalmente) star di una sitcom degli anni 90, che si sforza per mantenere viva la propria fama vent'anni dopo il successo e dare un senso alla sua vita. Ho scoperto la serie l'anno scorso, quando erano già disponibili le prime tre stagioni, e sto centellinando le puntate di questa quarta, perché sono contrario per principio al binge watching (o al binge-qualunque cosa, per la verità).

BoJack Horseman si presenta come una commedia, con episodi leggeri e ricchi di gag, spesso incentrate sul mondo dello spettacolo e tutto quanto vi gravita intorno. Con il procedere delle puntate inizia però un cambio di tono, e si vira verso il dramma, o quanto meno il dramedy, soprattutto seguendo il tentativo di BoJack di uscire dal tunnel di insoddisfazione e depressione della star in declino, che trascina tanto lui quanto chi gli sta intorno in un baratro di colpa e autolesionismo. Hollywood (o Hollywoo senza la D, come diventa ben presto nella prima stagione) viene rappresentata come una macchina spietata che fagocita e macina la vita delle persone che ne fanno parte, e in qualche modo tutti i personaggi principali sono compromessi dal loro ruolo nello show business.

Questo nucleo della serie mi ha portato a considerare che BoJack Horseman si può considerare, con le dovute proporzioni, una versione hollywoodiana della nostrana serie Boris. Boris è una serie italiana ormai diventata di culto, ambientata sul set di una brutta fiction italiana, in cui si viene a conoscere tutto il mondo di attori, autori, produttori e tecnici che gira intorno alla produzione di una brutta serie tv italiana. Nel cast di Boris ci sono molti nomi che proprio dalla fiction italiana sono emersi, ma che appaiono qui in una luce del tutto diversa (in senso letterale e metaforico), a dimostrazione di come spesso gli attori cani (presenti anche in BoJack Horseman, ma lì sono cani per davvero) non siano il vero problema di queste fiction.

Prima di provare a elencare le attinenze tra le due serie, chiariamo un punto importante. Il protagonista di Boris non è Alessandro, lo stagista che fa da narratore e punto di vista iniziale nella prima stagione: il protagonista è René Ferretti, il regista straordinariamente interpretato da Francesco Pannofino, che prima di questa performance era conosciuto principalmente come doppiatore. Tutti i nodi principali della trama, soprattutto dalla fine della prima stagione al (non riuscitissimo) film, convergono su di lui, mentre gli altri personaggi sono comprimari. Ma è Ferretti il personaggio di cui seguiamo l'arco di sviluppo e delle cui azioni ci importa davvero qualcosa.

Ora, è evidente che BoJack e René non sono del tutto assimilabili, ricoprono ruoli e hanno atteggiamenti diversi. BoJack è manipolatore ed egocentrico; René pavido e disilluso. Eppure entrambi si ritrovano incastrati in una posizione che sentono non gli appartiene, e hanno il proposito di cambiare se stessi e il loro mondo, cercando di fare qualcosa di buon e di meglio. BoJack ci prova interpretando il ruolo del suo eroe di gioventù Secretariat, René tenta in tutti i modi di fare buona televisione invece della solita merda a cazzo di cane che gli viene richiesta. Entrambi sono però destinati al fallimento, tanto per la loro incapacità di superare i loro personali limiti quanto per la pressione esercitata dall'esterno, che li costringe a ripetere gli stessi errori. Entrambi quindi, pur essendo in apparenza apprezzati dagli altri, si sentono vuoti e persi, e sono in cerca di una via d'uscita da questo circolo autodistruttivo.

Anche altri personaggi principali delle due serie possono essere accostati tra loro. Diane in BoJack ha qualcosa di Arianna di Boris: la ragazza forte, che cerca di mantenere il controllo e far funzionare le cose come dovrebbero, ma si scontra con la superficialità con cui gli altri affrontano i problemi. Mr Peanutbutter ha dei tratti in comune con Stanis LaRochelle, un attore a suo agio con se stesso, che non si pone problemi su ciò che lo circonda e sembra vivere sempre a favore di telecamera. Princess Carolyne può per certi versi assomigliare a Diego Lopez: entrambi si muovono nei meccanismi che stanno dietro il set, cercando far girare gli ingranaggi e trovare la miglior combinazione possibile. Todd e Alessandro sono entrambi degli estranei dell'ambiente, anche se reagiscono alle novità in maniera del tutto diversa. La quantità di personaggi secondari e comparse per entrambe le serie è elevata, per cui è complicato tratteggiare uno per uno i ruoli, ma si possono trovare molte similitudini di questo tipo.

È importante notare che Cinecittà non è Hollywood, per cui la componente parodistica e satirica differisce molto nelle due serie. Boris è profondamente italiana, e un pubblico diverso non potrebbe mai capire i riferimenti alla cultura pop e al contesto sociale che contiene, mentre il mondo del cinema americano è più conosciuto al di fuori, per cui BoJack Horseman risulta fruibile anche al di fuori della California. Ma come dicevo prima, considerando i giusti rapporti tra i due ambienti, si può notare che molte dinamiche si ripetono in modo simile. Anche gli archi narrativi seguono percorsi simili, basta pensare al tentato riscatto artistico di René e BoJack, oppure alla commistione tra spettacolo e politica.

Boris nel corso delle stagioni ha mantenuto un tono più leggero, continuando a essere principalmente una commedia, ma non per questo superficiale, in quanto il livello metanarrativo di una serie sulla produzione di una serie aggiune in molti casi una dimensione ulteriore. Dall'altra parte BoJack Horseman proseguendo riesce a toccare temi più universali e si fa decisamente più cupa, arrivando alla morte di alcuni personaggi principali e sfiorando quella del protagonista stesso. Ma in entrambe rimane sempre viva l'idea di sdrammatizzare anche le situazioni più tragiche, tanto che nella presente stagione di BoJack (no spoiler qui!) l'evento tragico della precedente è già diventato una farsa.

Il titolo di questo post naturalmente non vuole insinuare che BoJack Horseman sia un plagio di Boris. Ma è evidente che due show che partono da premesse simili, cioè mostrare la vita dei protagonisti riconosciuti e più nascosti del "mondo dello spettacolo" porta a situazioni e personaggi simili. Per cui, a mio avviso chi ha visto una serie non potrà non apprezzare l'altra, e viceversa. Quindi, alla fine dei conti, prendete questo post come un lungo e articolato consiglio di visione. Peraltro, sono entrambe disponibili su Netflix, quindi vista una si può passare agilmente all'altra. Ma niente binge watching, mi raccomando.

Rapporto letture - Agosto 2017

Altro mese di letture sotto la media, per la mia nota patologia che mi porta a leggere meno durante i mesi estivi e in occasione di ferie e vacanze di vario genere. Peraltro, questo agosto è stato anche piuttosto denso di impegni di altro genere, di cui non è appropriato riferire in questa sede, ma che stanno assorbendo buona parte del mio "tempo libero" negli ultimi mesi. Ma è stato anche un agosto di letture anomale per quel che mi riguarda, niente fantascienza propriamente detta per esempio.

Per iniziare mi sono tirato giù una bella sorsata di cultura italiana, con i Sessanta racconti di Dino Buzzati. Perché i racconti sono narrativa di livello inferiore ai romanzi, come sapevano bene gli uomini di cultura dell'epoca, tant'è che Buzzati era giustamente ostracizzato e considerato una merda qualsiasi. Premesso questo, sono certo che il mondo non abbia bisogno della mia critica a questa raccolta, ma posso dire che la lettura è stata per lo più piacevole, a parte qualche racconto che mi è parso piuttosto inconcludente, nel senso che non hanno una vera e propria storia che si svolge e si conclude, sono quasi degli spunti stiracchiati fino a riempire alcune pagine. Molto gustose sono le incursioni nel fantastico, nella fantascienza e soprattutto nel weird, come lo chiameremmo oggi. Ma all'epoca non lo sapevano che Buzzati scriveva weird, per quello lo mettono ancora sui libri di scuola. Voto: 7.5/10


A seguire ho provato un autore con cui ancora non avevo avuto a che fare, shame on me: di Joe Lansdale non avevo letto mai nulla finora. E se devo essere onesto, basandomi sulle impresioni lasciate da Sotto un cielo cremisi non è che mi sia venuta tanta voglia di proseguire nella scoperta dell'autore, considerato di culto da molti. Può darsi che abbia sbagliato il libro con cui scoprire la sua produzione, visto che si tratta di un una parte di una serie con personaggi ricorrenti con cui non ho nessuna familiarità. Può darsi che conoscendoli fin dall'inizio le avventure di Hap e Leonard assumano un loro valore, ma io le ho assorbite come una serie di "andiamo in posti, facciamo cose". Per essere una storia in cui parecchia gente muore il coinvolgimento dei personaggi stessi non è mai così alto, mi è parso quasi che fossero annoiati loro stessi di quanto stavano facendo. Insomma, non sono rimasto fulminato come molti mi avevano promesso, ma sono pronto a provare con qualcos'altro dello stesso autore, magari scelto al di fuori della serie che coinvolge questi protagonisti. Voto: 6.5/10

Coppi Night 27/08/2017 - Le deliranti avventure erotiche dell'agente speciale Margò

Devo delle scuse a qualcuno. A un'intera categoria, per la verità. È capitato molte volte, anche su questo blog, che facess il raffronto tra il titolo originale di un'opera (in genere un film) e la sua trasposizione italiana, per sottolinare la scriteriatezza della traduzione, che in molti casi sembra più una libera interpretazione da parte di qualcuno che non ha idea di cosa tratti il film e cerca solo assonanze che lo rendano più familiare al pubblico. È vero, spesso mi sono lanciato ad accusare questi fantomatici "titolisti".

Ma stavolta è tutto il contrario. Perché il titolo originale di questo film è semplicemnete Up!, mentre la versione italiana è di svariati ordini di grandezza più eloquente. Quanto ti siedi a guardare un film che si intitola Le deliranti avventure erotiche dell'agente speciale Margò, sai già tutto quello che ti aspetta: delirio, erotismo, avventure, agente, Margò. Non è un titolo, è una sinossi. E contiene pure spoiler, visto che il fatto che la protagonista (ma è davvero la protaognista!?) sia un "agente speciale" si scopre solo alla fine, e dovrebbe essere una sorpresa.

Mi risulta piuttosto difficile parlare in modo organico di questo film, principalmente perché di organico esso stesso ha ben poco. C'è una sorta di storia, che ruota intorno all'omicidio di uno strano personaggio cosplayer di Hitler di cui si dovrebbe scoprire il perpetratore. Ma in realtà pare che a nessuno interessi nulla di questo delitto, tranne alla signorina nuda e saltellante che ogni tanto ricapitola quanto successo finora (niente, di solito) e fa la carrellata dei personaggi elencando i loro possibili moventi per l'assassinio, includendo in questa lista anche personaggi che si sono visti per un'unica scena e poi sono spariti del tutto.

Sulla traballante impalcatura di questa storia, si innesta il vero tema del film: sesso. Tanto, ripetuto, promiscuo, esplicito. Non a livello di pornografia, se per pornografia si intende quando si vede un pene penetrare da qualche parte, ma di peni se ne vedono, solo non nell'atto di penetrazione. Il nudo invece è frequente e abbondante per maschi femmine giovani e vecchi, e indugia spesso su particolari come capezzoli e batuffoli di pelo. Insomma, in questo posto la gente scopa, scopa proprio tanto e con chiunque gli capita sotto, in genere senza porsi problemi di orientamento sessuale. Sono solo due gli episodi di violenza, in apertura e chiusura del film, e finiscono sempre male. Per il resto il sesso è gioioso, colorito, fantasioso, soprattutto quando accompagnato dai commenti della signorina narratrice. Verso la fine si ha un'impennata della tensione e ci sono alcune scene quasi gore, inseguimento, sparatorie e soluzione del mistero. Non che a qualcuno interessasse davvero risolverlo, come si è già detto.

La cosa sorprendente per un film del genere è che si nota comunque un approccio tecnico non scontato, regia solida e fotografia che cerca quantomeno di farsi riconoscere. Infatti scopro che il film è di Russ Meyer, regista di culto che si è dedicato nella sua lunga carriera a fare essenzialmente fin pieni di nudo, sesso e zinne. E alla fine dei conti, a dire la verità, per quanto assurdo e a tratti ripetitivo, il film non annoia e non lascia sensazioni sgradevoli, come avviene spesso per quei film erotomani che sembrano soltanto una scusa per far vedere un culo o un capezzolo.