Voci dal vortice

Segnalazione autopromozionale in leggero ritardo. È uscito da poco il volume Voci dal vortice, antologia contenente i migliori racconti dell'omonimo concorso (letterario/figurativo/multimediale) organizzato più o meno un anno fa sul portale Alastor di Alberto Cecon.


Il libro contiene racconti e illustrazioni ispirate al tema del vortice, inteso in senso letterale ma (soprattutto) metaforico. Il mio breve racconto Il profumo della pioggia è stato premiato dalla giuria con il premio "prosa ipnotica", ed è infatti qualcosa di inusuale per i miei standard, che credo di aver scritto poco dopo il ritorno dalle ferie 2010 a Barcellona, in un trip nostalgico indotto da overdose di ron miel ed M&M's blu. Non mi capacito io stesso di come ho potuto tirare fuori una cosa del genere.

Si tratta di un prodotto amatoriale, come chiarisce fin da subito il nome completo della casa editrice, ma sicuramente di buon livello. Non lo troverete in libreria, potete acquistarlo on-line direttamente sulla pagina  delle Edizioni Sadastor.

Coppi Night 24/07/2011 - Source Code

Gli affezionati seguaci del Coppi Club (se ce n'è qualcuno, lì fuori, alzi la mano) avranno notato che l'ultimo post pseudorecensorio risale a due settimane fa. Il 17 luglio infatti ospiti internazionali mi hanno costretto a saltare la serata. Per gli archivi posso riferire che è stato visto il recente film Unknown, che sul mio blog sarebbe stato decisamente in tema, ma non posso fare il mio resoconto, per cui passo a parlare del film di domenica scorsa, che appartiene a una selezione approntata da me.

Dopo due film piuttosto deludenti, c'è voluto il mio intervento per riportare sugli schermi del Coppi Club qualcosa di davvero interessante. Il nuovissimo film di Duncan Jones, interpretato da un efficace Donnie Darko con la barba mal rasata, ha conquistato la variegata platea del Club. Il film parte da un'idea già sfruttata in altre occasioni: rivivere ripetutamente uno stesso intervallo di vita, e scoprire le differenti conseguenze delle differenti condotte. Ma questo è solo lo spunto, perché in realtà c'è molto di più: la missione anti-terroristica che il soldato Stevens è stato incaricato di compiere infatti aggiunge una dimensione di complessità, oltre a imporre una scadenza per i tentativi che gli è concesso di compiere. Aggiungendo a questo la vicenda personale del protagonista, si ottiene una storia che risulta completa e coinvolgente sotto ogni punto di vista.

Mi piacerebbe parlare di più di questo film, che nonostante lo scetticismo iniziale alla vista dei primi trailer sono stato convinto a provare da un post iguanoide, perché mi ha davvero convinto, e oso definirlo uno dei migliori film di fantascienza che abbia mai visto. Anzi, posso dire che questo è il tipo di fantascienza che più rende giustizia a un genere che troppo spesso è vittima di aberrazioni, che da genere fondato per definizione su idee brillanti lo riducono a una semplice scusa per divertirsi con la CGI. In Source Code non c'è quel dispiegamento di effetti speciali che rendono tanto appetibili i trailer, ma una volta digerito il film lasciano vuoto come una cena a base di sushi. In questo film lo spettatore viene trattato con grande rispetto, gli vengono concessi tutti gli strumenti per arrivare a comprendere quello che sta vedendo, senza esagerazioni né in un senso che nell'altro nella difficoltà di gestione della trama.

Mi piacerebbe parlarne di più, dicevo, ma non voglio farlo, perché è uno di quei film che devono essere sperimentati e goduti, e in cui ogni particolare rivelato anche per sbaglio può rovinare il piacere della visione. Aggiungo solo che, per quanto mi riguarda, Source Code sarebbe stato già perfetto se fosse finito con quel fermo immagine (quello, non posso dire altro: guardatelo!). La sequenza successiva apre un mondo di possibilità ancora più ampio, e lascia forse qualche dubbio sul destino di tutte le iterazioni dell'incidente che si sono viste in precedenza. Grazie a quel tocco finale, una volta arrivati ai titoli di coda il cervello non smette di macinare, e si continua a pensare, ipotizzare, immaginare. Questa è la fantascienza che piace da queste parti.

Douglas Adams & John Lloyd - The Meaning of Liff

Immaginate la scena: siete a cena a casa di un amico, che vi ha invitati insieme ad altri per una semplice serata in compagnia. Le regole dell’ospitalità impongono che per lo meno vi mostriate interessati nell’aiutare durante la preparazione della tavola, e mentre qualcuno si occupa di distribuire i bicchieri, voi pensate bene di stappare la bottiglia di vino che sarà consumata durante il pasto. Ma non siete in casa vostra, e non sapete dove si trovi il cavatappi: così, vi aggirate, creando il minimo intralcio possibile, fino a che un amico vi fissa ed esclama: "Ma che fai?" Il suo sguardo è perplesso, ma si scorge un sorrisetto malizioso, e non sta osservando voi, ma le vostre mani. Perché, fino a quel momento, d’istinto, stavate vagando per la cucina con una mano stretta intorno ad un invisbile collo di bottiglia, e l’altra che, posta poco sopra, ruota intorno al polso, imitando appunto il gesto di avvitare il cavatappi. È un momento di imbarazzo, perché, colti in flagrante durante quel gesto, vi rendete conto di quanto appaia ridicolo e inutile. In condizioni normali, non potreste far altro che glissare, abbozzando un "No, cercavo…" Ma se avete letto The Meaning of Liff, potete rispondere orgogliasamente: "Sto schostropando!" ed uscire vittoriosi dall’apparente stallo.
 
Il libriccino di Douglas Adams e John Lloyd pubblicato nel 1983, infatti, si propone questo specifico obiettivo: dare un nome a tutte quelle sensazioni, esperienze, azioni, oggetti, persone e situazioni che non ne hanno. I nomi scelti non sono casuali, ma sono città, o comunque riferimenti geografici, che non hanno alcuno scopo se non quello di segnare un punto su una cartina. E allora, come viene spiegato nell’introduzione, perché non utilizzare queste parole altrimenti prive di significato per contrassegnare qualcosa che tutti conosciamo? Si ottiene così un duplice effetto: da una parte si inventano nuovi concetti (o meglio, si conferisce una definizione precisa a concetti quotidiani che per qualche ragione non ne hanno una), dall'altra si aggiunge valore a parole già esistenti, evitando di intasare ulteriormente i dizionari.
 
Ma il significato profondo di Liff (il libro, non la città omonima) non si ferma qui. Un'altra ragione valida per compiere questa titanica operazione di riassegnamento di significati, consiste nel dare una dimensione umana a questi concetti, rendendoli parte della vita di tutti i giorni. In questo modo, ognuno, sapendo che anche altri hanno sperimentato qualcosa per cui precedentemetne non esisteva un nome, e che credeva quindi essere una sua esperienza personale, incondivisibile, può sentirsi meno stupido e meno solo. Tutti provano piacere nella freschezza dell’altro lato del cuscino, e questa sensazione, da oggi, si chiama "abilene". E allo stesso modo, a chi non capita di ricevere strane occhiate ordinando qualcosa al bar di un cinema da parte di chi ha già preso quello che voleva? Quello sguardo, che finora pensavate di essere gli unici ad aver notato, è un semplice "tabley superior". Questo libro ha quindi anticipato di 30 anni buoni quella tendenza che si sta riscontrando ultimamente su facebook, in cui vengono create pagine dedicate a sensazioni e avvenimenti di difficile descrizione, ma che tutti conoscono. Anzi, alcune di quelle che mi sono capitate sott'occhio erano prese paro-paro da definizioni che avevo già letto su Liff.
 
Tutto l’opuscolo è permeato, come avviene per ogni opera di Adams (vi suona mica familiare? sì, è quello della Guida Galattica!), di un umorismo english della miglior razza, sul modello Monty Python, di cui in effetti Adams è stato un collaboratore, e ai quali concede un omaggio tramite il titolo del libro. [Trivia-time: per chi non avesse mai visto Il senso della vita (non il mio e-book, il film dei Monty Python!), vale la pena di sottolineare come, nei titoli di apertura, il titolo iscritto su tavole di pietra è The Meaning of Liff, che poi viene corretto da un fulmine in The Meaning of Life. Considerando che la prima edizione del libro e l'uscita del film sono contemporanee, è difficile credere che sia una coincidenza.] Quindi, al di là della sua più o meno autentica funzione di corroborativo sociale, The meaning of Liff è soprattutto di un libro divertente, che con sottile umorismo e una buona dose di satira sociale riesce a calcare l'accento su parecchi aspetti assurdi della vita di tutti noi, e a suo modo ne traccia  un possibile signficato, forse indipendentemente dalle intenzioni originarie.

Ad alcuni anni e diverse ristampe di distanza dall’uscita della prima edizione, i due autori hanno ripreso in mano il libro e lo hanno espanso, aggiungendo molte altre definizioni, modificandone un paio (tra cui, ad esempio, lo stesso “Liff” del titolo) e creando così The Deeper Meaning of Liff, arricchito di illustrazioni, cartine geografiche che riportano i toponimi citati, e un'utilissima appendice.
 
C’è un solo problema: non è stato tradotto in italiano. Forse per semplici scelte editoriali, o forse perché la trasposizione dei termini li priva in molti casi di una parte del significato. Infatti, gli accoppiamenti tra nomi e definizioni non sono casuali, ma rispettano quello che è il suono o il senso della parola: le parole che finiscono in –ing, per esempio, sono di solito verbi al participio, così come quelle con suffisso –er si riferiscono ai soggetti che compiono una tale azione. Per cui, se avete intenzione di sapere come si chiama il pezzo di carta incollato sulla cima di un barattolo di marmellata, o la sensazione di aver sbucciato troppe poche patate, siete tenuti ad imparare un po’ di inglese, o comprare insieme al libro un buon dizionario.

Se poi non volete spendere soldi, qui trovate la trascrizione integrale della prima edizione (senza quindi le aggiunte di The Deeper Meaning of Liff) con cui crogiolarvi. E adesso vi lascio alle vostre affcot e pulizia dei tidpit. Non mettetevi a wokare e fare stoke poges sul monitor per farmi continuare, perché, a costo di sembrare clixby, preferisco dedicarmi a questo amersham.

Dj Mag Italia

Un anno fa  è uscito il primo numero di Dj Mag Italia. Si tratta dell'incarnazione italiana della rivista Dj Mag, che da molto tempo è il punto di riferimento nel settore della musica elettronica, e ha acquisito rilevanza globlale grazie soprattutto alla sua rinomata (e criticata) classifica dei Top 100 Dj. Arrivato al numero 12, il magazine italiano inizia a ottenere i primi riscontri, e mi pare doveroso dedicargli qualche riga.

Anch'io mi sono accorto con un certo ritardo della presenza in edicola della rivista, quando ad aprile in autogrill ho riconosciuto il faccione di Sven Vath in copertina e poco dopo il logo nell'angolo in alto a sinistra. Da allora a oggi ho acquistato le uscite mensili per poter avere una solida base di valutazione, e adesso posso esprimere la mia opinione ragionata.

Ebbene, per quanto ho potuto appurare, Dj Mag Italia è sicuramente un buon prodotto, realizzato con cura e competenza, e soprattutto passione, che si può percepire chiaramente leggendo editoriali, articoli e recensioni. Nei numeri che ho avuto sottomano ho potuto leggere di importanti artisti italiani e stranieri appartenenti a generi e concezioni diversi dell'elettronica: dalla trance di Sander Van Doorn al funk dei Minimono, da un personaggio pop come Martin Solveig a uno più eclettico come Trentemoller, dalla reginetta internazionale Monika Kruse all'icona italiana Mario Più. Questo solo per quanto riguarda le interviste. Ci sono poi validi articoli  riguardo i club, gli store, attrezzatura e software per dj, la musica stessa, e naturalmente paginate di recensioni divise per genere. C'è tanto, anzi, per quanto mi riguarda anche più di ciò che ritengo interessante: le pagine dedicate alla moda, o le recensioni di dischi hip-hop per me potrebbero autocomburersi, ma riconosco che sono comunque argomenti attinenti all'ambito dell'elettronica (perché sì: hip-hop, rap e affini, per ragioni filogenetiche, sono classificate tassonomicamente come sottogeneri dell'elettronica), per cui la loro presenza è giustificata.

Ma soprattutto, Dj Mag Italia è importante perché va a riempire una nicchia che finora era rimasta vuota, quella della rivista specializzata del settore, che ha un ruolo fondamentale nel conferirgli valore e credibilità. In particolare in Italia, dove la club culture, grazie alle distrsioni mediatiche, è vista alla stregua di una perdizione da eradicare (nonostante sia un fenomeno diffuso e vivace, che produce eventi e personaggi di tutto rispetto a livello internazionale), è fondamentale poter attribuire solidità a questo mondo. Per cui, sì al Dj Mag Italia!

La fiera di Hornet River (parte 3)

Ultima puntata del mio cross-over spin-off che ho deciso di proporre qui spezzettato. Tutto quello che vi serve sapere sulla genesi del racconto lo trovate qui.


La fiera di Hornet River
(segue da qui)

5

Non c’era un modo giusto per farsi colpire. Twilight Jackson sapeva che la saetta si sarebbe abbattuta su di lui, ma non aveva modo di prepararsi a quell’esperienza.
L’impatto fu terribile come sempre. Il fulmine sembrò penetrargli contemporaneamente dalla testa e dai piedi, percorrergli le membra in ogni direzione, cercare di aprirsi strada dentro di lui. Il dolore fu atroce, ma era una sensazione che ormai conosceva. E che sapeva controllare.
Con un immenso sforzo di volontà, compresse tutta l’energia dentro di sé, trattenendola e dirigendola dove la voleva, pronto a rilasciarla al momento opportuno. Doveva fare in fretta: era riuscito a mantenere il fulmine dentro di sé anche per mezz’ora, ma ogni secondo era un’agonia.
Si diresse rapidamente verso la piazza, per rilasciare il fulmine sulla macchina di Zibakis, in modo da attivarla e completare così la sua parte dell’accordo. Mentre i primi goccioloni di pioggia iniziavano a inzupparlo, notò che la gente si era assiepata in quel modo particolare che anticipa una rissa o un duello. E al centro dell’assembramento c’era Zibakis.
Cercò di farsi strada per raggiungere lo scienziato, ma si fermò a metà strada quando vide quella cosa che procedeva nella sua stessa direzione.
Twilight Jackson era un uomo mite, ma alla vista dello spaventoso golem di metallo che si muoveva tra sbuffi di vapore, si lasciò scappare una bestemmia che da sola gli sarebbe valsa l’inferno.
– Questa è la mia Unità Automatica Semovente! – sbraitò l’ometto che stava fronteggiando Zibakis. – E adesso distruggerà la tua macchina, così dovrai tornartene alle tue stufe!
Osservando quella macchina dall’aspetto umano in movimento, non si poteva che dar credito alla minaccia. Era difficile pensare di poter fermare quel mostro.
Jackson vide il panico negli occhi di Zibakis, mentre si guardava freneticamente attorno in cerca di una soluzione. Poi lo scorse in mezzo alla folla, e notando i peli della sua barba irti per l’elettricità che gli scorreva dentro, capì che aveva già incamerato il fulmine.
– Presto, Jackson! Colpiscilo! Abbatti quell’affare! – ordinò.
Lui rimase per un attimo imbambolato. Doveva affrontare l’Unità Automatica Semovente? Era fuori discussione. Poi si rese conto che visto che aveva un solo colpo da sparare, tanto valeva dirigerlo su un altro obiettivo. D’altra parte l’automa si muoveva lentamente, e non sarebbe stato difficile colpirlo.
Si fece avanti per prendere la mira, e stava puntando le mani in direzione del bersaglio quando, al di sopra dello scrosciare della pioggia, una voce attirò la sua attenzione.
– Twilight Jackson! – chiamò una donna che stava emergendo in quel momento dalla folla. Era una vecchia, probabilmente anche più anziana di Zibakis, vestita da cowboy e con i lunghi capelli bianchi abbandonati sulle spalle. – Ti ho trovato, finalmente. Sono Patricia Hillwick.
Quel nome non diceva nulla a Jackson, ma la pistola che lei estrasse da sotto il pastrano era abbastanza eloquente. La canna era puntata nella sua direzione.
Non ebbe il tempo di chiedere spiegazioni, che lei riprese: – Ti stavo cercando da un po’, Jackson. Chi immaginava che ti avrei trovato qui? Quando ho sentito che questi due venivano da Elderberry Field ho capito che erano gli inventori del coso che ha ammazzato il vecchio Wilkinson, e li ho seguiti per vedere in azione questo duellante metallico. Ma non sapevo che ci saresti stato anche tu. Questo rende tutto molto più interessante.
Gridando per farsi sentire dall’altra parte della piazza percorsa da raffiche d’acqua, Jackson chiese: – Vuoi gli ottomila dollari della mia taglia? Va bene, mi hai preso. Ma rinfodera quella pistola, prima che qualcuno si faccia male.
– No, non hai capito, Jackson. Io non voglio i soldi. Io voglio un duello. Contro di te.
In quel momento, con un ultimo sbuffo di vapore dalle ginocchia, l’Unità Automatica Semovente si fermò al centro della piazza, alla stessa distanza da Twilight Jackson e Patricia Hillwick. Si trovavano adesso ai tre vertici di un triangolo, ognuno con un’arma diversa e potenzialmente letale per gli altri.
Non era un duello. Era un triello.
Jackson considerò le alternative, insensibile all’acqua che gli scorreva dalle falde del cappello nel collo del cappotto, sordo agli ordini di Zibakis, concentrato solo sulla potenza che non riusciva più a trattenere e che presto avrebbe dovuto rilasciare. Rivolse lo sguardo al mostro, alla vecchia, a uno scienziato, all’altro, al ragazzo che stava accanto a questo. Guardò la folla e oltre.
Un clic lo avvertì che Patricia Hillwick aveva armato la sua rivoltella.
L’Unità Automatica Semovente rimaneva immobile, forse in cerca come lui dell’obiettivo migliore.
Twilight Jackson percepì l’energia salirgli per le braccia, guizzando nelle vene come sangue elettrico, fino a concentrarsi sulla punta delle dita.
Aveva scelto il suo bersaglio.
Sollevò le mani e sprigionò tutta la potenza del fulmine su di esso.

6

– Sta bene, Docwells? – chiese Kiddo preoccupato.
Nella scarsa illuminazione del vagone merci che li stava riportando a Elderberry Field, il dottore richiuse picchiettò affettuosamente sulla corazza di Sam. – Sì, tutto a posto – lo rassicurò. – Purtroppo non è impermeabile. L’acqua è penetrata dentro e ha fermato la combustione del carbone. Si era solo addormentato, per questo si è fermato in mezzo alla piazza.
– Oh, meno male, mi ero proprio spaventato!
– Certo che l’ha scampata bella. Se quel tizio lo avesse colpito, credo che di Sam sarebbe rimasto poco… – notando l’espressione inorridita di Kiddo, Wells si interruppe subito. – Ma è andato tutto bene. Anzi, anche se era fermo, Sam ci ha salvato la vita. Chissà che sarebbe successo, se lui non ci avesse riparato da quell’esplosione.
– Già – confermò il ragazzo, sollevato. – Sam è proprio un grande amico.

Twilight Jackson era riuscito ad approfittare dal caos che aveva provocato alla fiera per scappare e mettersi in salvo. Sapeva di essersi guadagnato le antipatie di molti, ma aveva fatto quello che gli era sembrato più giusto. In ogni caso, aveva deciso di non sfruttare più il suo “talento”: troppo pericoloso.
Ma aveva ancora una questione da risolvere.
Fece trascorrere un po’ di tempo prima di recarsi a Baton Rouge, in cerca di Zibakis. Lo trovò nel suo laboratorio, indaffarato a riparare una stufa.
– Che cosa vuoi? – lo accolse con astio l’inventore. – Non ti devo niente, vattene di qui!
– Non voglio niente, professore – chiarì subito Jackson. – C’è solo una cosa che voglio sapere. A che cosa serviva il macchinario che avrei dovuto attivare con il fulmine?
Zibakis sembrò quasi offeso da quella domanda. – Era un generatore di flussi ionici pressionizzanti.
Quando Jackson non reagì a quella spiegazione, l’altro si sentì in dovere di precisare: – Una macchina per controllare il tempo, idiota! Pioggia e sole a piacimento!
– Ma… non aveva pagato uno sciamando per far piovere?
– Sì, e allora?
Jackson era confuso. – Non le sembra assurdo, usare la magia per ottenere l’energia per una macchina che fa la stessa cosa di quella magia?
– Cosa? Ma che vai blaterando! Questa è scienza, cosa vuoi capirne tu? – Zibakis scosse la testa, infastidito dalla sua ottusità. – E adesso vattene – ordinò. – Non voglio che tu mi sia vicino quando quella vecchia pazza ti troverà. Se voleva ammazzarti prima, figuriamoci adesso, dopo lo scherzetto che le hai combinato… fuori!
Twilight Jackson accontentò il professore, tenendosi per sé i dubbi su scienza e stregoneria.

– Ha visto, signor Biggs?
– Per la miseria, Tip, è la sesta volta che me lo chiedi. Certo che ho visto!
Tip Wilson compì un’altra elegante mossa con la sua bipala, e il mucchietto di terra alle sue spalle si fece più alto. – Centoventimila dollari, signor Biggs!
Il becchino non rispose. A dir la verità gli rodeva che il suo assistente avesse vinto il premio della fiera di Hornet River. Ma quando lord Stockhammer si era presentato, la bipala era l’unica invenzione i cui delicati meccanismi non erano stati compromessi dall’esplosione di uova semisode e acqua bollente scatenata da quello storpio. Il suo fulmine diretto sulla grossa ampolla in cui cuocevano più di cento uova aveva scatenato il caos nella piazza, ma nessuno si era fatto troppo male, e i più sfortunati se l’erano cavata con qualche ustione. La cosa era dispiaciuta a Biggs, perché prendere l’appalto per seppellire qualche centinaio di vittime sarebbe stato un affare.
Invece era stato il giovane Tip a fare il colpo grosso.
Biggs non capiva perché il ragazzo fosse ancora lì con lui a scavare fosse, ora che era immensamente ricco. Forse solo perché era quello che gli piaceva fare. Era un bravo giovanotto, Tip.
– Certo, Tip. Centoventimila. Questo è il numero dei ceffoni che ti beccherai, se non finisci di scavare prima che faccia buio.

[quote] # 13

Questo è un [quote] a tema letterario. Forse non è apprezzabile da tutti, perché potranno capirlo principalmente coloro che si dedicano alla scrittura, oltre che alla lettura. E ancora più nello specifico, si parla di scrittura di fantascienza, quindi il cerchio si restringe ancora. Ma in effetti, anche se gli autori parlano espressamente di fantascienza, credo che quanto dicono possa applicarsi alla scrittura di qualsiasi tipo.

Il brano è tratto dal racconto Jellyfish di David Gerrold e Mike Resnick, racconto contenuto nella raccolta The Solaris Book of New Science Fiction, di cui ho parlato un paio di post fa nell'ultimo rapporto letture. Jellyfish è a sua volta un metaracconto sullo scrivere fantascienza, da due autori che di certo sanno quello che dicono. Il protagonista è appunto uno scrittore di fantascienza, piuttosto disturbato, dedito a un buon mix di droghe pesanti che gli consentono di buttare giu le sue quattro pagine giornaliere di romanzo. Con questa scusa Resnick e Gerrold tirano in ballo la definizine di realtà, di capacità di immaginare, di esistenza e possibilità, il tutto in tono decisamente parodistico, che nonostante la pesantezza degli argomenti li fa percepire con leggerezza. E per quanti sono in grado di cogliere i riferimenti, i due si permettono anche di fare una lista di autori di fantascienza dallo stile e abitudini assurdi, nei quali si possono riconoscere molti dei grandi nomi del passato e del futuro.

Quello che segue è uno dei tanti rant del protagonista, che si lascia andare spesso a flussi di coscienza del tutto incoerenti.

Science fiction was a gutter literature, the bastard child of Thirties-era pulp magazines and Saturday matinee serials.The postwar era had infected more than a few authors with delusions of relevance. They started showing off for each other. It evolved inevitably to a community of cancerous self-indulgence and an annual cycle of tawdry ceremonies where people in blue jeans handed each other awards. And every time, the winners would stand up and talk about the higher aspirations of writing: to seek out new worlds and all that shit and what does it mean to be a human being?
No.
The purpose of science fiction is not out there. It's down here. In the gut. It's about naming the nameless horrors. All that other crap was just wallpaper. This thing we really do at the typewriter, at the keyboard, or even with pad and pencil, it's about giving voice to all that malignant malevolent festering stuff that lurks in the underneath and mutters, like the undigested detritus of last night's falafel, making its presence known with uncomfortable rumblings and occasional bad smells. Forget about the top of tomorrow. This is about the bottom of today and the nightmares that creep out when you stop pasting illusions all over everything like bunny-rabbit wallpaper in a slaughterhouse.
Under oll those self-indulgent and sick civility were the flashing teeth and clasw of bloody truth, violent, unforgiving, heart-pounding, adrenaline-flushed, enraged, muscle-tautening, scraped and scarred, the unspeakable need to battle and rage and conquer and mate and fill oneself with raw organic sensation, all those turbulent storms that we politely call emotion, all the cumulative capacity for violence of a million years of DNA scrabbling to assemble itself into ever-more aggressive combinations, each one more cunning than the last, so it can repeat the process over and over again, each time in a more ferocious form.
That's all it was, all it ever would be, and everything else was pretension. And the best that any human being could ever hope to achieve wasn't escape, but merely respite from the relentless struggle. That's what was under all that crap all those people kept shilling.

Raramente ho trovato una definizione più forte e attendibile di quello che è la scrittura, almeno per chi scrive. Non è arte, non è la volontà di esplorare i confini dello sciibile e what does it mean to be a human being? Magari non è tutto qui, e non è sempre vero, ma leggendo queste parole mi sono sentito come quando a nascondino mi scoprivano alle spalle rannicchiato nel mio anfratto, senza che me ne accorgessi.

Oh, non mi prendo la briga di tradurre. Conto che chi passa di qui possa capire almeno la maggior parte di quello che ho riportato. Se così non fosse, fate un fischio.

Futurama 6x15 - Benderama

Eccoci a uno di quegli episodi classici che iniziano con una nuova invenzione del Professore: una macchina in grado di prendere un oggetto e (con l'utilizzo dell'opportuna quantità di materia) realizzarne due copie identiche di dimensioni dimezzate. La macchina si chiama "Banach-Tarski Dupla-Shrinker" per una ragione. Con queste premesse, quanto può passare prima che qualcuno (magari, un robot...) decida di duplicare se stesso, e le sue copie facciano lo stesso, e così via, fino ad avere un numero esorbitante di microscopici Bender?

L'idea è già di per sé gustosa, e viene giustificata anche in modo eccellente con la pigrizia di Bender. Piuttosto che sprecarsi a piegare due maglioni, preferisce che siano le sue subcopie a farlo per lui. E lo stesso ragionamento origina poi i trilioni di suoi simili. Quando poi il problema dei microBender, affamti di materia per effettuare altre duplicazioni, e di alcool per far funzionare i loro circuiti robotici, assume dimensioni planetarie, le conseguenze sono imprevidibili. In questo senso, gli autori sono stati bravi a non fermarsi alla semplice fiumana di robot che invade il mondo, ma a esplorare le conseguenze che questa invasione comporta.

L'episodio è interamente incentrato su Bender, che anche se viene mostrato in uno dei suoi aspetti più abietti (la totale avversione a qualsiasi tipo di lavoro), alla fine riesce a redimersi salvando addirittura il mondo, e non solo da se stesso. Gli altri personaggi sono solo di contorno, e forse solo l'antagonista ha un ruolo più definito, anzi dispiace che un personaggio così interessante nasca e muoia nell'arco di una sola puntata.

Oltre alla buona componente fantascientifica (non solo per la macchina duplicatrice, ma anche per altre conseguenze dovute alla presenza di un'infinità di Bender grandi quanto un atomo), l'episodio mantiene un buon ritmo, sia nelle simpatiche scene con i robot tutti uguali per aspetto e attitudine, sia per i continui sviluppi della vicenda. Le situazioni sono divertenti e ci sono scene davvero memorabili, come il combattimento tra giganti che ricorda quello di Anthology of Interest I. Voto: 8/10

Rapporto letture - Giugno 2011

Avrei dovuto comipilare prima questa lista, ma sono stato impegnato a segnalare gli ultimi acquisti musicali dello stesso mese (e ci sono voluti tre post!), per cui mi sembrava pesante aggiungere a questi anche le microrecensioni dei libri. Ora invece, archiviati i suoni di giugno, passiamo alle parole.

Come avevo già segnalato nel rapporto letture precedente, già a maggio avevo iniziato a leggere Steampunk! - Vapore Italico un'antologia realizzata dalle Edizioni Scudo in cui è incluso anche un mio racconto, che per inciso è arrivato ai quarti di finale del Circo Massimo da poco concluso. Il libro si presenta in un formato molto accattivante, con grandi tavole a colori dedicate a ogni racconto, ed è sicuramente un bell'oggetto, degno di un'iniziativa mai realizzata prima in Italia. Lo steampunk c'è, e tra grandi macchinari, mutanti metropolitani e personaggi storici rievocati in chiavi ucroniche, si riesce a respirare il vapore che fa muovere tutto in quest'epoca perduta (nel senso: mai esistita). I racconti sono di media qualità, in effetti non ho notato punte di eccellenza, ma nel complesso si riesce a leggere bene, anche se ho storto un po' il naso di fronte a qualche componente un po' troppo "esoterica", che con lo steampunk non dovrebbe avere grande affinità. E purtroppo, c'è da rilevare anche una certa frequenza di refusi. Questo mi porta a non potergli assegnare più di un voto: 6.5/10

More about Supernova ExpressDeve essermi rimasta la voglia di antologie italiane dedicate a un genere specifico, perché in seguito allo steampunk mi sono buttato sul connettivismo (che poi sarebbe una derivazione/contaminazione del cyberpunk, quindi sempre di punk si tratta). Supernova Express, uscito alcuni anni fa per Ferrara Edizioni, raccoglie racconti di breve-media lunghezza di alcuni degli autori "di spicco" del movimento connettivista. Lavori di qualità discreta, scritti con mestiere, e capaci in genere di catturare il lettore, sicuramente al livello di tanti concorrenti stranieri. Ma quello che manca a questa antologia-manifesto, è una vera unità d'intenti. Per essere la raccolta che dovrebbe inaugurare e presentare al mondo il connettivismo, non è così efficace: arrivati alla fine, ci si continua a chiedere quali siano i temi e le intenzioni del momento. I racconti sono buona fantascienza, che spesso tratta argomenti post-cyberpunk, descrivendo un mondo dominato dall'informazione che ormai non è più tanto difficile da immaginare. Non basta che le caratteristiche vengano elencate nell'introduzione da Giovanni De Matteo e Valerio Evangelisti: dalla lettura, queste non emergono. Voto: 7.5/10

More about Crociera nell'infinitoE dopo il connettivismo... sono rimasto sul connettivismo. Infatti è proprio in Crociera nell'infinito (o meglio: The Voyage of the Space Beagle) che Alfred Elton Van Vogt inventa questa scienza, che consiste nell'unificazine di tutte le altre discipline [nota a margine: il connettivismo di cui parlo sopra non ha niente a che vedere con questa "scienza"; la parola è stata solo scelta come evocativa da parte dei fondatori del movimento], e forse a livello subliminale questo spiega come mi sia venuto in mente di prendere in mano questo libro nella sua edizione Urania Collezione. Si tratta di quattro racconti ambientati su un'astronave, la Space Beagle (il riferimento alla Beagle su cui viaggiò Darwin è voluto), in ognuno dei quali l'equipaggio si trova a dover fronteggiare un "mostro spaziale" dai poteri diversi e sempre più letali per le persone o l'umanità o l'universo. Insomma, racconti alla "monster of the week", che infatti erano stati scritti inizialmente per essere pubblicati sulle riviste pulp dell'epoca, e solo in seguito unificati. Avevo già letto Coeurl, il primo dei quattro, e gli altri sono piuttosto simili come struttura. In fin dei conti la lettura è piacevole, perché Van Vogt sa come creare suspence (usava una tecnica ben definita a questo scopo) e le creature hanno quell'aspetto misterioso e distruttivo che le fa apparire affascinanti. Sarebbe meglio se l'autore non tendesse a dare lezioncine sul "bene più grande", in questo già pericolosamente vicino alla dianetica di cui poi è diventato un fervente sostenitore. Tra l'altro, Van Vogt era convinto che la sceneggiatura di Alien fosse un plagio dei suoi racconti (un po' Coeurl e un po' Ixtl). Ha perso la causa, ma l'impressione rimane. Voto: 7.5/10

More about Sognando mondi incantatiNon pago delle antologie di autori italiani, mi sono voluto fare anche Sognando mondi incantati, raccolta di racconti finalisti di alcune edizioni del Trofeo RiLL, con il quale io stesso ho avuto recentemente a che fare. Ho già letto altre pubblicazioni di questo concorso, e l'impressione generale è sempre la stessa: buoni racconti, anche se senza nessun capolavoro. Interessante notare come la qualità dei lavori dei partecipanti al Trofeo non è inferiore a quelli dei giurati, che si presume abbiano una maggior professionalità. Voto: 7/10



More about The Solaris Book of New Science Fiction 2007Dopodiché ho deciso che con la roba italiana avevo già fatto abbastanza, e mi sono fatto un'iniezione di esterofilia. E cosa c'è di meglio di una buona raccolta di racconti di fantascienza in lingua originale? The Solaris Book of New Science Fiction è un'antologia realizzata alcuni anni fa dalla casa editrice Solaris con l'obiettivo dichiarato di ridare alla short story di fantascienza la centralità che merita, in quanto forma originaria in cui la SF si è sviluppata. E l'obiettivo è centarto, perché le storie qui presentate sono davvero buone: ma ci si poteva aspettare altro da autori come Neal Asher, Stepehn Baxter, Mike Resnick, David Gerrold...? I temi variano, dall'invasione aliena alla guerra batteriologica, dalla space opera alla guerra futuristica, e il tono pure, con alcuni racconti che possono essere considerati quasi delle parodie. Ma nel complesso sono tutti azzeccati, e alcuni davvero ottimi, come Cages e Third Person. Voto: 8/10

More about Un oscuro scrutareE si conclude in una parabola ascendente, con un romanzo di Philip K. Dick che molti potrebbero conoscere in seguito al film che ne è stato tratto (e graziaddio non hanno fatto una nuova edizione con in copertina le immagini del film): Un oscuro scrutare, noto ance come A scanner darkly. Ora, io non sono un fan assoluto di Dick. Per dire, le pecore elettriche non è che mi siano piaciute tanto. Ma devo riconoscere che questo tizio sapeva scrivere, e che in pochi riescono come lui a trasmettere un'inquietudine tanto profonda, eppure vaga, inafferrabile. In questo romanzo, che come dice l'autore stesso non è di fantascienza (l'unica invenzione introdotta è la "tuta disinidividuante"), la storia dell'agente incaricato di sorvegliare se stesso mentre si perde nei suoi trip di Morte (il rassicurante nome della droga diffusa nel libro) arriva a una catarsi di alienazione quando il protagonista si trova autenticamente scisso in due persone diverse, e poi anche tre, e chissà quante altre. Il tutto mentre i suoi amici altrettanto assuefatti si perdono ognuno a suo modo nella droga, con comportamenti che se in alcuni casi risultano comici, in altri sono davvero drammatici. In un certo senso, Un oscuro scrutare si potrebbe considerare la controparte dickiana del Pasto nudo di Burroughs, anche se con un impianto molto più solido, e quindi, forse, migliore. Voto: 8/10

Coppi Night 10/07/2011 - All'inseguimento della pietra verde

Tutti i membri del Coppi Club hanno delle caratteristiche peculiari che si traducono in un loro modo di intendere e apprezzare l'arte cinematografica, influenzando così la scelta dei film da proporre per le loro serate da Anfitrioni. Così, come la settimana precedente era il turno del membro dedito al peggior cinema trash (e si sono visti i risultati), questa domenica a scegliere la rosa dei proiettabili era l'elemento la cui cultura filmografica si compone di due parti: i film visti da ragazzino, e quelli di cui vede i trailer in tv. La cosa è ormai tanto assodata che il suo turno è ormai definito "serata blockbuster". Che poi non è necessariamente una cosa negativa, perché alcun film che hanno un ampio riverbero mediatico sono comunque buoni.

Ma domenica scorsa non è andata bene. Anch'io mi sono fidato di Zemeckis, pensando che qusto Romancing the Stone avrebbe potuto essere un buon filmetto d'avventura in qualche paese esotico, con una buona dose d'azione e humor. Qualcosa alla Grosso guaio a Chinatown, che mi sarei visto volentieri. Questo film invece si è rivelato di tutt'altra risma.

Zemeckis deve aver pensato, visto il successo del primo Indiana Jones di qualche anno prima, che bastasse prendere un eroe rude ma dal cuore d'oro, una fanciulla un po' impacciata ma coraggiosa, uno scagnozzo imbranato, un cattivo dalla faccia cattiva, shakerare il tutto con una mappa del tesoro e guarnire con un coccodrillo per avere un buon film d'avventura. Ma la rricetta di Spielberg non gli è uscita così bene, e il risultato è un Indiana Jones farlocco, decisamente sotto tono. L'azione non è abbastanza attiva, le gag non sono incisive, e i personaggi, necessariamente stereotipati, non hanno quel guizzo in più che servirebbe per farli passare da macchietta ad antonomasia. Buone le prestazioni degli attori, ma è l'insieme a non essere incisivo.

Tenetevi la pietra verde (di cui peraltro si scopre l'esistenza a tre quarti di film) e ridateci l'arca perduta!

Ultimi acquisti - Giugno 2011 (parte 3)

Ci è voluto un po', ma finalmente siamo arrivati alla fine della cronistoria degli acquisti musicali di giugno. D'altra parte per microrecensire 15 oggetti (che sono più di 15 cd, perché alcuni sono doppi o anche tripli!) ci vuole un certo tempo, non fosse altro quello per ascoltarli. Così, dopo la prima parte in cui commentavo i cd di genere vario, e la seconda in cui affronto gli album techno e affini, eccoci infine a quello che avanza, ovvero le compilation.

Forward to the Past è una label compilation della Poker Flat, l'etichetta gestita da Steve Bug che se ricordate bene è quella che ha prodotto The Last Resort di Trentemoller. In questo cd sono state raccolte tracce create appositamente per questa occasione, 12 pezzi inediti (e non mixati) di autori quali lo stesso Steve Bug, Deetron, The Revenge, Kink, Ribn. Una buona selezione, suoni piacevoli e alcune tracce abbastanza divertenti. Nessun capolavoro, ma una raccolta che si presta bene al suo utilizzo più immediato.



Anche In the City è una label compilation, in questo caso della Souvenir, etichetta fondata e gestita da Tiefscwharz. Come accade spesso in queste occasioni, ci sono due cd: uno con i "classici" mixati, e un altro con i nuovi singoli. In tutta onestà non è niente di particolarmente esaltante: buone tracce minimal, ma roba che si archivia senza troppa difficoltà dopo il primo ascolto. Con l'eccezione di alcuni pezzi come Jazz di Ohno, Demon di Ruede Hagelstein e Naneci, Wicked Games di Nico che riescono a spiccare, Souvenir non sembra offrire un campionario davvero fresco.

E vabbè, tre label compilation su tre. Dal 2000 al 2010 la Cocoon ha sfornato ogni estate la sua Cocoon Compilation, contenete una decina di tracce esclusive dei migliori artisti della stagione. Dopo la Cocoon Compilation J dell'anno scorso, quest'anno sono usciti invece con questo ElevenYears Cocoon Recordings - Selected Remix Works: una raccolta di remix di alcuni dei pezzi migliori degli ultimi anni, da Acid in My Fridge di Dinky a Titelheld di Extrawelt, con remixer come Kollektiv Turmstrasse e Steve Rachmand. Oltre a questo, anche un bel "retrospective mix" realizzato da Patrick Kunkel, che riunisce ben 21 tracce dell'ottimo catalogo Cocoon in un unico set, con pezzi del calibro di Disco Rout di Legowelt, Subtellite di Timo Maas, All Yours di Jacek Sienkiewicz, Jamaica di Minilogue, eccetera. Non si capisce perché abbiano deciso di fare questa edizione speciale per l'undicesimo compleanno, piuttosto che per il decimo, come sarebbe stato prevedibile. Ma forse la ragione è proprio questa: superare le aspettative. E, ormai è chiaro, alla Cocoon ci riescono, almeno da undici anni a questa parte.

E visto che sono così bravi, non si può non accreditare anche l'uscita di quest'altra compilation: Sechs, mixato da Chris Tietjen, è il sesto set di pezzi Cocoon selezionati e raccolti dal dj, mixati come dio comanda su due piatti, e confezionati in una squisita confezione che permette di farsi un'idea delle migliori produzioni dell'etichetta. Se quindi le Cocoon Compilation danno una buona base di materia prima con i singoli, i sei mix di Tietjen sono invece il più efficace mezzo pronto all'uso per godere delle opere dei grandi autori che pubblicano con Cocoon. In questo cd, per inciso, si trovano diversi dei remix che appaiono nella raccolta di cui sopra. Vale un ascolto, dall'ottimo intro di Arnaud Le Texier al finale tratto dall'ultimo album di Johannes Heil.

E con questa, abbiamo finito davvero. È stata lunga, ma alla fine ve le ho raccontate tutte. Scommetto che la metà dei lettori ha chiuso la finestra a metà del primo post.

100 libri per sembrare fighi

Forse vi è sfuggito. Troppo impegnati a seguire qualche buon sito di planking o ad affiliarvi alle pagine di facebook che esprimono concetti da Meaning of Liff, non vi siete accorti che nel frattempo il web stava partorendo un'altra iniziativa epocale, di quelle che tra vent'anni saranno talmente cult che Peter Griffin le userà per uno dei suoi "questo mi ricorda quella volta che...".

Mentre voi eravate girati dall'altra parte, è partito e arrivato il progetto dei 100 libri per sembrare fighi.


Si tratta di una lista alternativa a quelle classiche del tipo "1001 libri da leggere prima di morire", "666 libri più spaventosi", "42 libri per dare una risposta alla vita l'universo e tutto quanto". Queste di solito vengono elaborate da sedicenti esperti bibliofili, pubblicate su sedigenti testate serie, diffuse da sedicenti lettori onnivori. i 100 libri per sembrare fighi (in breve: 100psf) invece nascono sul web, da un'idea di gelostellato, e sono stati scelti tanto da lui quanto dal nutrito pubblico dei suoi bloggamici, dicussi, approvati, catalogati, rintracciati...

E infine ecco la lista completa! Potete scorrerla per verificare il vostro grado di figosità letteraria apparente. Perché è a questo che servono i 100psf: misurare quanto potete sembrare dei lettori competitivi, aggiornati, forallseasons, pronti a intromettervi in qualsiasi salottino letterario sul bancone del bar. È questa la definizione di libro psf.

Potreste avere da ridire sulla lista finale, che ho contribuito a compilare (c'erano un sacco di informazioni da ricavare per ogni titolo, e i titoli in partenza erano molto più di cento!), ma ormai arrivate tardi. A questo punto non vi resta che prendere atto di quanto sembrate fighi, e comportarvi di conseguenza. E se per aumentare la vostra figosità siete costretti a leggere Tre metri sopra il cielo, beh, valutate voi se è più opportuno rimanere dei buzzurri...

Ultimi acquisti - Giugno 2011 (parte 2)

Nella prima parte degli ultimi acquisti di giugno ho descritto i dischi di genere vario che facevano parte dello stock che ho riportato a casa dalla mia ultima visita a Disco Mastelloni. Rimangono ancora quelli di sapore squisistamente UNZUNZUNZ, e ora che lo sapete siete liberi di ignorare tutto il resto del post. Non dite che non vi avevo avvisato.

Partiamo con qualcosa di soft: Ellen Allien. Ora, non per essere maschilista (non lo sono, anche se sono anti-femminista), ma di fatto buona parte dei dj di livello internazionale sono uomini. Nomi femminili sono pochi, e se si pensa a una classifica per genere Ellen Allien rientra probabilmente nella top five. I suoi album sono sempre particolari, e Dust, uscito nel 2010 non è da meno. Pur essendo un'ottima dj techno, qui, come ad esempio nel precedente Sool, le sonorità sono più varie di quelle pensate per il dancefloor, ricche di melodie e in alcuni casi puramente strumentali, e rendono quest'album una buona playlist "d'atmosfera".


Rimanendo su qualcosa che scavalca le convenzioni di genere, troviamo Breaking the Fourth Wall, album del 2010 di Guillaume & the Coutu Dumonts, che nonostante il nome da big band in realtà è un tizio francese che si chiama semplicemente Guilliaume Coutu Dumont. Un artista che sta emergendo negli ultimi anni, grazie anche alla comparsa su una delle ultime Cocoon Compilation. Nonostante la presenza di alcuni pezzi di pura techno, anche in questo caso ad essi si aggiungono componenti eterogenee, che risultano in una commistione interessante di generi elettronico e strumentale.
Jacek Sienkiewciz è uno degli autori che adoro di più, tant'è che lo trovate qui accanto nella lista dei siti consigliati. Non sapevo dell'uscita recente di questo On the Road, e trovarmelo davanti è stata una sorpresa piacevolissima. Questo perché pur ignorando la pubblicazione dell'album, ero sicuro di cosa avrei trovato. Sienkiewicz, fin dai tempi di Recognition, produce pezzi di uno stile particolare. Si parla di techno, intensa e solida, ma così ricca di calore e sentimento che è difficile non innamorarsi, ed è impossibile annoiarsi anche con pezzi che durano 12 minuti. Non so se il titolo dell'album sia una citazione letteraria, e come vada interpretata, ma risulta adatto al conteuto dell'album, perché ogni traccia è un vero e proprio viaggio, capace di rapire durante l'ascolto. Non è roba per tutti. Ma chi ama la techno intesa come forma artistica, piuttosto che solo come mezzo di intrattenimento, apprezzerà.

Kleinschmager Audio? E chi è!? Boh, ne so quanto voi. Anzi, forse anche meno, perché non conosco il tedesco e non so nemmeno capire il nome di questo duo. Non credo che avrei comprato Audiology senza un pre-ascolto, anche se il titolo dell'album mi attira. E in effetti non l'ho fatto, perché questo cd mi è stato regalato dal buon Roby come bonus al concludersi della mia massiva sessione di acqusti. Mi ha chiesto "ascoltalo e dimmi che ne pensi", e al prossimo giro gli riferirò che si tratta di buona musica techno, dritta e regolare, quella che ultimante è stata un po' troppo trascurata a favore della minimal. Suoni duri e secchi, ma perfettamente armonizzati tra loro, per una serie di tracce che soddisfano l'orecchio appassionato di unzunz vecchio stile.

Ho lasciato per ultimi Stephan Bodzin e Marc Romboy per una ragione. La ragione è che Luna è potenzialmente il miglior album su cui ho messo le mani. E non solo perché era atteso da parecchio, già da quando sei anni fa i due hanno iniziato a realizzare in collaborazione tracce techno/electro tutte battezzate con i nomi di satelliti dei pianeti del Sistema Solare. Ma anche perché hanno realizzato un prodotto di qualità eccellente: un cofanetto che racchiude tre cd: uno coi singoli, uno con un mix delle tracce e, dato che i remix sono una trentina, un bel cd mp3 per raccoglierli tutti. Questo, oltre al librettto con le foto e i dati di tutti i satelliti interessati. Roba da nerd, ok. Ma nerd con stile. Non mi dilungo oltre perché probabilmente di questo album parlerò più a fondo in un post dedicato, aggiungo solo che se non bastassero le tracce originali, finalmente riunite tutte insiemo dopo essere uscite cadenzate negli anni, l'impressionante schiera di remixer dovrebbe convincere chiunque a comprare Luna. Segnatevelo, perché quando verà il momento del "best of 2011" credo propiro che dovrò citarlo di nuovo.

E a questo punto rmiarrebbero le compilation, ma siccome mi sembra che 5 cd per post siano sufficienti, mi sa che rimando la trattazione di queste ad una parte 3 che pubblicherò a breve (anche perché non manca molto prima che torni a riempire il carrello da Mastelloni).

Coppi Night 03/07/2011 - Se tutto va bene siamo rovinati

La sera precedente questa Coppi Night io e gli altri membri del Club eravamo riuniti in una location esclusiva (di cui non posso rivelare il nome), seriamente impegnati a testare i nostri limiti di resistenza fisica ad alcune materie esotiche quali l'alcool, la sugna, le stronzate. La mattina dopo l'effetto era qualcosa tipo The Hangover, con gente che dormiva abbracciata a rotoli di scottex, chiavi finite nelle tasche di persone andat via da dieci ore, incapacità di coordinare le dita per giocare a NBA Live 99. Questa condizione si è protratta quasi per tutta la giornata successiva.
È per questo che, al momento di votare, io stesso mi sono indirizzato su un film che non richiedesse l'utilizzo intensivo del cervello. Ma, a quantoe pare, una cosa è non usare il cervello per guardare un film, un'altra è non usare il cervello per realizzarlo.

Nonostante la coppia comica Gigi & Andrea sia protagonista di uno dei greatest hits del Coppi Club, la loro prestazione in questa commediola erothriller è deludente. Parecchio. Ma non sono solo i due attori a sembrare fuori posto, è tutto il film che sembra "improvvisato": battute recitate a bocconi, con frasi interrotte e riprse, come se invece di un copione ci fosse solo un canovaccio senza delle indicazioni precise; tagli di scena così netti che più che in sala di montaggio siano stati fatti in macelleria; trama sconclusionata con personaggi introdotti e dimenticati, accenni mai ripresi, rapporti di causa-effetto inspiegabili. E oltre a questo, la forza delle gag è molto bassa, del tutto insufficiente a far risalire il livello del film, se non altro sul livello comico.

Il film ha la pretesa di configurarsi come un thriller, da un certo punto in poi, ma è coinvolgente quanto la ricetta della pasta all'olio. Anche se bisogna ammettere che alcuni misteri riangono insoluti: chissà cosa è successo al califfo, il contadino con un harem di mogli tutte gravide che i due hanno incontrato quando andavano in giro con le damigiane a cercare urina di donne incinte da rivendere a un laboratorio a 500 lire/litro? Probabilmente da questo filone avrebbe dovuto partire il seguito, peccato che non sia mai stato realizzato.

Short Stories 11

Ormai il mio sodalizio con le Edizioni Scudo è assodato. Non che ci sia niente di dovuto, ma a quanto pare i miei lavori risultano graditi, visto che se andate a sbirciare tra le pubblicazioni potete verificare che compaio in diversi prodotti della casa editrice: dai numeri precedenti della rivista Short Stories alla recente antologia Steampunk! Vapore Italico, fino all'e-book che raccoglie esclusivamente alcuni miei racconti Il senso della vita.

Ora la lista di collaborazioni si allunga con l'uscita del numero 11 di Short Stories, il cui tema principale sono i viaggi nel tempo e l'ucronia, e intitolato in modo piuttosto eloquente "La macchina del tempo".





Come sempre, i numeri dlla rivista sono acquistabili su Lulu, sia in formato pdf che tramite print on demand. E come sempre, vi suggerisco di sfruttare la ghiotta occasione per appropriarvi di qualche altro interessante volume, come il già citato Steampunk! o magari un paio di tavole di Luca Oleastri.

Bustina # 20

Acqua potabile per lavarsi il culo: non conosco ingiustizia più odiosa di questa.
Da Guerra agli umani di Wu Ming 2


Trattasi del libro che sto attualmente leggendo, che potete vedere sulla barra se leggete questo post in prossimità della sua data di pubblicazione. Non mi dilungo sulla storia, dato che avrò occasione di farlo nel prossimo rapporto letture, basti sapere che il protagonista è un tizio qualsiasi con appena un apunta di fricchettonaggine che decide di andare a vivere in una caverna, "regredendo" al livello troglodita. E lo fa per una serie di ragioni molto valide, tra cui quella qui sopra.

Fa sorridere, dài, l'idea che ci facciamo il bidet con acqua che potrebbe dissetarci. Noi, o tante altre persone. Fa sorridere, pensare che una delle tante cose che diamo per scontate è in realtà un fattore determinante per la sopravvivenza. Nostra, o di tante altre persone. Fa sorridere, sapere che abbiamo raggiunto un tale livello di civiltà da poterci permettere lussi del genere, e che non succederà mai niente che potrà levarci questa sicurezza. A noi, o a tante altre persone.

Fa sorridere, vero?

Futurama 6x14 - Neutopia / Castropia

Il secondo blocco della sesta stagione inizia con un episodio "di gruppo": non c'è nessun protagonista in particolare, anche se a sorpresa la coppia Hermes/Labarbara fa da portavoce degli altri personaggi. Dopo la parte introduttiva, in cui la Planet Express diventa una compagnia aerea, l'equipaggio e i suoi primi passeggeri naufragano su un pianeta deserto. Qui incontrano un alieno costituito di roccia, che utilizza i suoi poteri per decidere quale dei due sessi (concetto a lui sconosciuto) sia superiore all'altro. È chiaro che la morale finale sia quella che non ci sono vincitori in una competizione del genere, ma l'occasione viene sfruttata per mettere in scena qualche stereotipo su maschi e femmine, che una risatina in stile sit-com la scuce sempre.

Il problema, semmai, è che la battaglia dei sessi era stata uno dei temi maggiori di Into the Wild Green Yonder, che in fondo non è così remoto, soprattutto contando in minutaggio della serie. Sembra quindi un po' presto per tirare fuori di nuovo questo argomento. La velocità con cui si susseguono le situazioni, il finale affrettato e la prevedibile morale fanno pensare che tutto questo episodio sia in realtà una scusa per mostrare i personaggi principali a sessi invertiti, da Leela con la barba a Scruffy con le tette (ma sempre coi baffi!), offrendo anche un buon campionario di immagini piuttosto raccapriccianti. In termini di plot, sarebbe stato probabilmente più interessante vedere sviluppata la parte in cui i generi erano stati annullati, e i personaggi erano quindi tutti "neutrali" (da cui deriva il titolo: neutral utopia). Questo spunto invece è solo una fase intermedia prima dell'inversione dei sessi.

Quindi, anche se l'episodio è piacevole, e gustoso per i fan più fedeli, non riesce a convincere a pieno, forse proprio per la mancanza di una storia più solida, che in Futurama è quasi sempre la componente di maggior valore. Le gag sono moderatamente divertenti, ma non ce ne sono di eccezionali, per cui Neutopia non riesce a guadagnarsi la sufficienza, e raggiunge un voto: 5.5/10.

La fiera di Hornet River (parte 2)

Mentre Piombo contro acciaio a Elderberry Field, il racconto di cui il presente La fiera di Hornet River è un seguito, è stato sbattuto fuori dal Circo Massimo (che in compenso ha prodotto risultati soddisfacenti con l'altro mio racconto... questione di karma?), ecco che arriva la seconda parte del mio spin-off/cross-over di Six Shots di Alfredo Mogavero e del mio già citato racconto precedente.

Per chi si fosse perso la prima parte, basta fare un passo indietro e assimilare introduzione e primi due capitoli.



La fiera di Hornet River
(segue da qui)

3

Hornet River era uguale a tutte le cittadine del west con il nome composto di due parole: poche case basse che delimitavano stradine in terra battuta, che erano più l’involontaria conseguenza del continuo passaggio di bestie e carovane, che l’espressione di un preciso piano di viabilità; alcune botteghe grandi quanto bastava per accogliere i due clienti scarsi giornalieri, e molti saloon abbastanza ampi per il resto della popolazione; cani randagi dal pelo sfoltito per la rogna che rincorrevano topi grossi quanto le loro teste, e che comunque risultavano più simpatici degli abitanti del posto. Gli stranieri si vedevano riservare la stessa occhiata che spettava alla merda di cavallo appena pestata, poco prima che uno scaracchio andasse a spiaccicarsi a qualche centimetro dai loro piedi.
Era la città ideale per una fiera della scienza.
Twilight Jackson si era stancato presto di fare il turista, e aveva deciso di rimanere nei pressi della piazza nella quale veniva allestita la manifestazione, per assistere alla processione di ricercatori, inventori e pazzoidi assortiti che erano accorsi nella speranza di vincere il consistente premio.
– Con i centoventimila dollari che vincerò – gli aveva spiegato il professor Solomon Zibakis due giorni prima – potremo sistemarci entrambi. La mia parte mi consentirà di finanziare le mie ricerche senza dover ricorrere ai prestiti degli strozzini, mentre tu con i tuoi trentamila…
– Trentamila? – aveva sottolineato Jackson, sollevando lo sguardo dal bicchiere di scotch.
– Beh, l’invenzione è mia, e insomma…
– Ma se ho capito bene, non può attivare il suo macchinario senza il mio aiuto.
Zibakis aveva lasciato ricadere la testa sul petto in un gesto di sconfitta. – Sì, è così, ho bisogno dell’energia di un fulmine per metterla in funzione.
– Allora ne voglio cinquantamila per me.
– Quarantotto.
Jackson aveva finto di soppesare l’offerta. In realtà già l’idea di un gruzzolo a quattro cifre lo esaltava. – Ci sto. Ma… come può essere sicuro che ci sarà un temporale, il giorno della fiera?
– Ho regalato una bussola a uno sciamano Choctaw perché esegua una danza della pioggia al momento giusto. Fidati, pioverà.
Jackson dubitava che quel piano avrebbe funzionato. Ammesso che la danza della pioggia funzionasse, lui avrebbe dovuto incamerare un fulmine e dirigerlo con cura sull’invenzione del professore, perché lui potesse fare la sua dimostrazione. E questa avrebbe dovuto valergli il primo premio. Tutto molto improbabile.
Passeggiò tra un banco e l’altro, osservando con curiosità e divertimento le esposizioni degli altri scienziati. Alcuni macchinari avevano forme misteriose ed era difficile intuirne la funzione, altri sembravano soltanto delle fantasiose composizioni di ingranaggi e bracci snodati. Si soffermò a studiare le macchine più interessanti, ricevendo dai rispettivi proprietari entusiaste spiegazioni su come gli oggetti rivoluzionassero la vita di tutti. Forse credevano che lui fosse un inviato di Lord Stockhammer, il patrono della fiera che si sarebbe presentato a sorpresa per valutare le invenzioni ed eleggere il vincitore.
Stava osservando bollitore di uova alimentato a gusci d’uova che poteva cuocerne fino a cento tutte insieme, quando un brontolio che con gli anni aveva imparato a riconoscere attirò la sua attenzione.
Si girò di scatto a osservare l’orizzonte, dove un contingente di nuvoloni neri si stava ammassando per muoversi su Hornet River.
– Maledetto di uno sciamano – imprecò a denti stretti.

4

Quello era il giorno più bello della vita di Kiddo. O forse il secondo, considerando quello in cui si era trovato una moneta da dieci cent nelle mutande. Ma cosa c’era di meglio che scoprire le invenzioni di tutti quegli scienziati straordinari? Tutti erano gentili e rispondevano alle sue domande, e lui si divertiva a cercare di capire quello che gli spiegavano, anche se non ci riusciva poi così bene. Ma di una cosa era certo: di tutti quei grandi inventori, nessuno era bravo come il dottor Wells. Quando gli altri avrebbero visto Sam, non ci sarebbero stati dubbi su chi doveva vincere il premio.
Kiddo proseguì il suo giro fermandosi davanti a due signori che non avevano portato niente di più delle due sedie sui quali erano accomodati. Uno di loro aveva un libro in mano e lo leggeva con trasporto, mentre l’altro lo salutò: – Salve amico. Vuoi vedere la mia invenzione?
– Sì, tanto davvero! – esclamò radioso il ragazzo.
– Lascia stare, Tip – ammonì l’altro senza interrompere la lettura. – Risparmiati un’altra figura di merda.
– Perché dice così? – volle sapere Kiddo, che non osava ripetere quelle parole.
– Oh, il signor Biggs sostiene che la mia sia un’invenzione stupida. Ti faccio vedere.
Raccolse da terra quella che sembrava una pala, e che, in effetti, lo era. Mostro l’oggetto al suo spettatore e si apprestò a usarlo. Ficcò la pala nel terreno, la spinse sotto con un piede, poi rovesciò la terra raccolta di lato… e con un abile movimento delle braccia si ritrovò di nuovo con la lama sopra la buca che aveva scavato, senza dover riportare l’attrezzo nella sua posizione iniziale!
– Hai capito? – chiese quindi Tip con un sorriso esitante. – La lama è montata su entrambe le estremità, ma rivolta nel senso opposto, in modo che con una sola mossa si possa depositare la terra ed essere pronti per un’altra palata. Con un po’ di esercizio si dimezza il tempo occorrente per scavare una fossa! Io la chiamo “bipala”. Ti piace?
Kiddo era senza parole. Era geniale! Lui non aveva scavato spesso, nel saloon di Butch puliva e serviva ai tavoli ma non gli capitava di usare la pala, ma quell’invenzione gli faceva venire voglia di cominciare anche lui! Incapace di esprimere in altro modo la sua meraviglia, applaudì il giovane inventore della bipala.
Tip si profuse in un inchino, poi gli strinse vigorosamente la mano, mentre da dietro il suo libro il signor Biggs sbuffava.
Kiddo passò oltre, preoccupato dai primi rombi di un acquazzone in avvicinamento che gli facevano temere che la fiera venisse sospesa per la pioggia. Il cielo era ormai coperto di nubi scure quando sentì, dall’altra parte della piazza, la voce di Wells.
– Truffatore! Impostore! Fedifrago! – stava gridando il dottore. Il ragazzo accorse, sentendo l’agitazione nel tono del suo compagno.
Il dottor Wells si era avvicinato a un altro scienziato, e i due litigavano animatamente. – Truffatore io? Sei tu che mi hai venduto dei giroscopi difettosi!
– Bada a quel che dici, Zibakis! Se non fosse per me tu oggi saresti solo uno stufaiolo! Dovrai essermi sempre riconoscente per tutto quello che ti ho insegnato!
– Non posso avere riconoscenza per il professore che mi bocciava ai corsi, sapendo che ero più intelligente di lui!
– Le tue fantasticherie erano assurde! Uno scienziato deve limitarsi a ciò che è possibile, non sognare l’irrealizzabile!
Ormai tutti i presenti erano riuniti attorno ai due litiganti. Tra la folla Kiddo aveva visto anche la vecchia signora simpatica che avevano incontrato sul treno, e l’aveva salutata con la mano. Il tono della discussione si faceva sempre più teso, tanto da rendere l’aria quasi elettrica… ma forse quello era un effetto del temporale imminente.
– Presto deciderò io i limiti degli scienziati! – ribatté ancora Zibakis. – Con i soldi che vincerò oggi, avrò l’influenza per farti estromettere da qualsiasi circolo accademico.
Il viso di Wells si fece rosso, e le guance gli si gonfiarono in un’espressione di stizza che sarebbe stata comica, in un’altra situazione. – Ma tu non vincerai proprio nulla! – proclamò. Si guardò attorno, e individuato Kiddo, lo chiamò a sé.
Il ragazzo gli si portò accanto: – Tutto bene, Docwells? Sei arrabbiato? Dobbiamo…
– Shh. – Estrasse un foglio da una tasca del panciotto e lo marcò in fretta con sequenze di puntini. – Prendi questo. Conta i punti e traducili per Sam. Poi accendilo.
Kiddo annuì e fece come chiesto. Tornato al loro banco, scoprì Sam dal telo con cui l’avevano nascosto finora. La vista dell’automa metallico sollevò un coro di esclamazioni da parte della folla di Hornet River. Con la sua innata abilità, Kiddo tradusse in base due i numeri segnati da Wells, perforò una scheda secondo le istruzioni corrispondenti e la infilò nello scompartimento sulla nuca dell’uomo d’acciaio. Dopo essersi assicurato che nella fornace avesse carbone sufficiente, lo accese.
Il vapore schizzò fuori dalle articolazioni di Sam in un fischio acuto, ma il suono fu coperto dal fragore di un fulmine che era caduto proprio lì vicino.

(continua qui)