La fiera di Hornet River (parte 2)

Mentre Piombo contro acciaio a Elderberry Field, il racconto di cui il presente La fiera di Hornet River è un seguito, è stato sbattuto fuori dal Circo Massimo (che in compenso ha prodotto risultati soddisfacenti con l'altro mio racconto... questione di karma?), ecco che arriva la seconda parte del mio spin-off/cross-over di Six Shots di Alfredo Mogavero e del mio già citato racconto precedente.

Per chi si fosse perso la prima parte, basta fare un passo indietro e assimilare introduzione e primi due capitoli.



La fiera di Hornet River
(segue da qui)

3

Hornet River era uguale a tutte le cittadine del west con il nome composto di due parole: poche case basse che delimitavano stradine in terra battuta, che erano più l’involontaria conseguenza del continuo passaggio di bestie e carovane, che l’espressione di un preciso piano di viabilità; alcune botteghe grandi quanto bastava per accogliere i due clienti scarsi giornalieri, e molti saloon abbastanza ampi per il resto della popolazione; cani randagi dal pelo sfoltito per la rogna che rincorrevano topi grossi quanto le loro teste, e che comunque risultavano più simpatici degli abitanti del posto. Gli stranieri si vedevano riservare la stessa occhiata che spettava alla merda di cavallo appena pestata, poco prima che uno scaracchio andasse a spiaccicarsi a qualche centimetro dai loro piedi.
Era la città ideale per una fiera della scienza.
Twilight Jackson si era stancato presto di fare il turista, e aveva deciso di rimanere nei pressi della piazza nella quale veniva allestita la manifestazione, per assistere alla processione di ricercatori, inventori e pazzoidi assortiti che erano accorsi nella speranza di vincere il consistente premio.
– Con i centoventimila dollari che vincerò – gli aveva spiegato il professor Solomon Zibakis due giorni prima – potremo sistemarci entrambi. La mia parte mi consentirà di finanziare le mie ricerche senza dover ricorrere ai prestiti degli strozzini, mentre tu con i tuoi trentamila…
– Trentamila? – aveva sottolineato Jackson, sollevando lo sguardo dal bicchiere di scotch.
– Beh, l’invenzione è mia, e insomma…
– Ma se ho capito bene, non può attivare il suo macchinario senza il mio aiuto.
Zibakis aveva lasciato ricadere la testa sul petto in un gesto di sconfitta. – Sì, è così, ho bisogno dell’energia di un fulmine per metterla in funzione.
– Allora ne voglio cinquantamila per me.
– Quarantotto.
Jackson aveva finto di soppesare l’offerta. In realtà già l’idea di un gruzzolo a quattro cifre lo esaltava. – Ci sto. Ma… come può essere sicuro che ci sarà un temporale, il giorno della fiera?
– Ho regalato una bussola a uno sciamano Choctaw perché esegua una danza della pioggia al momento giusto. Fidati, pioverà.
Jackson dubitava che quel piano avrebbe funzionato. Ammesso che la danza della pioggia funzionasse, lui avrebbe dovuto incamerare un fulmine e dirigerlo con cura sull’invenzione del professore, perché lui potesse fare la sua dimostrazione. E questa avrebbe dovuto valergli il primo premio. Tutto molto improbabile.
Passeggiò tra un banco e l’altro, osservando con curiosità e divertimento le esposizioni degli altri scienziati. Alcuni macchinari avevano forme misteriose ed era difficile intuirne la funzione, altri sembravano soltanto delle fantasiose composizioni di ingranaggi e bracci snodati. Si soffermò a studiare le macchine più interessanti, ricevendo dai rispettivi proprietari entusiaste spiegazioni su come gli oggetti rivoluzionassero la vita di tutti. Forse credevano che lui fosse un inviato di Lord Stockhammer, il patrono della fiera che si sarebbe presentato a sorpresa per valutare le invenzioni ed eleggere il vincitore.
Stava osservando bollitore di uova alimentato a gusci d’uova che poteva cuocerne fino a cento tutte insieme, quando un brontolio che con gli anni aveva imparato a riconoscere attirò la sua attenzione.
Si girò di scatto a osservare l’orizzonte, dove un contingente di nuvoloni neri si stava ammassando per muoversi su Hornet River.
– Maledetto di uno sciamano – imprecò a denti stretti.

4

Quello era il giorno più bello della vita di Kiddo. O forse il secondo, considerando quello in cui si era trovato una moneta da dieci cent nelle mutande. Ma cosa c’era di meglio che scoprire le invenzioni di tutti quegli scienziati straordinari? Tutti erano gentili e rispondevano alle sue domande, e lui si divertiva a cercare di capire quello che gli spiegavano, anche se non ci riusciva poi così bene. Ma di una cosa era certo: di tutti quei grandi inventori, nessuno era bravo come il dottor Wells. Quando gli altri avrebbero visto Sam, non ci sarebbero stati dubbi su chi doveva vincere il premio.
Kiddo proseguì il suo giro fermandosi davanti a due signori che non avevano portato niente di più delle due sedie sui quali erano accomodati. Uno di loro aveva un libro in mano e lo leggeva con trasporto, mentre l’altro lo salutò: – Salve amico. Vuoi vedere la mia invenzione?
– Sì, tanto davvero! – esclamò radioso il ragazzo.
– Lascia stare, Tip – ammonì l’altro senza interrompere la lettura. – Risparmiati un’altra figura di merda.
– Perché dice così? – volle sapere Kiddo, che non osava ripetere quelle parole.
– Oh, il signor Biggs sostiene che la mia sia un’invenzione stupida. Ti faccio vedere.
Raccolse da terra quella che sembrava una pala, e che, in effetti, lo era. Mostro l’oggetto al suo spettatore e si apprestò a usarlo. Ficcò la pala nel terreno, la spinse sotto con un piede, poi rovesciò la terra raccolta di lato… e con un abile movimento delle braccia si ritrovò di nuovo con la lama sopra la buca che aveva scavato, senza dover riportare l’attrezzo nella sua posizione iniziale!
– Hai capito? – chiese quindi Tip con un sorriso esitante. – La lama è montata su entrambe le estremità, ma rivolta nel senso opposto, in modo che con una sola mossa si possa depositare la terra ed essere pronti per un’altra palata. Con un po’ di esercizio si dimezza il tempo occorrente per scavare una fossa! Io la chiamo “bipala”. Ti piace?
Kiddo era senza parole. Era geniale! Lui non aveva scavato spesso, nel saloon di Butch puliva e serviva ai tavoli ma non gli capitava di usare la pala, ma quell’invenzione gli faceva venire voglia di cominciare anche lui! Incapace di esprimere in altro modo la sua meraviglia, applaudì il giovane inventore della bipala.
Tip si profuse in un inchino, poi gli strinse vigorosamente la mano, mentre da dietro il suo libro il signor Biggs sbuffava.
Kiddo passò oltre, preoccupato dai primi rombi di un acquazzone in avvicinamento che gli facevano temere che la fiera venisse sospesa per la pioggia. Il cielo era ormai coperto di nubi scure quando sentì, dall’altra parte della piazza, la voce di Wells.
– Truffatore! Impostore! Fedifrago! – stava gridando il dottore. Il ragazzo accorse, sentendo l’agitazione nel tono del suo compagno.
Il dottor Wells si era avvicinato a un altro scienziato, e i due litigavano animatamente. – Truffatore io? Sei tu che mi hai venduto dei giroscopi difettosi!
– Bada a quel che dici, Zibakis! Se non fosse per me tu oggi saresti solo uno stufaiolo! Dovrai essermi sempre riconoscente per tutto quello che ti ho insegnato!
– Non posso avere riconoscenza per il professore che mi bocciava ai corsi, sapendo che ero più intelligente di lui!
– Le tue fantasticherie erano assurde! Uno scienziato deve limitarsi a ciò che è possibile, non sognare l’irrealizzabile!
Ormai tutti i presenti erano riuniti attorno ai due litiganti. Tra la folla Kiddo aveva visto anche la vecchia signora simpatica che avevano incontrato sul treno, e l’aveva salutata con la mano. Il tono della discussione si faceva sempre più teso, tanto da rendere l’aria quasi elettrica… ma forse quello era un effetto del temporale imminente.
– Presto deciderò io i limiti degli scienziati! – ribatté ancora Zibakis. – Con i soldi che vincerò oggi, avrò l’influenza per farti estromettere da qualsiasi circolo accademico.
Il viso di Wells si fece rosso, e le guance gli si gonfiarono in un’espressione di stizza che sarebbe stata comica, in un’altra situazione. – Ma tu non vincerai proprio nulla! – proclamò. Si guardò attorno, e individuato Kiddo, lo chiamò a sé.
Il ragazzo gli si portò accanto: – Tutto bene, Docwells? Sei arrabbiato? Dobbiamo…
– Shh. – Estrasse un foglio da una tasca del panciotto e lo marcò in fretta con sequenze di puntini. – Prendi questo. Conta i punti e traducili per Sam. Poi accendilo.
Kiddo annuì e fece come chiesto. Tornato al loro banco, scoprì Sam dal telo con cui l’avevano nascosto finora. La vista dell’automa metallico sollevò un coro di esclamazioni da parte della folla di Hornet River. Con la sua innata abilità, Kiddo tradusse in base due i numeri segnati da Wells, perforò una scheda secondo le istruzioni corrispondenti e la infilò nello scompartimento sulla nuca dell’uomo d’acciaio. Dopo essersi assicurato che nella fornace avesse carbone sufficiente, lo accese.
Il vapore schizzò fuori dalle articolazioni di Sam in un fischio acuto, ma il suono fu coperto dal fragore di un fulmine che era caduto proprio lì vicino.

(continua qui)

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