Perché comprerò il Premio Urania

Quasi due anni fa, su questo stesso blog scrivevo un lungo articolo in cui elencavo le ragioni per cui non avevo comprato l'ultimo Premio Urania (che si trattava all'epoca di Lazarus di Alberto Cola), spiegando come, dalle tendenze di assegnazione del premio degli ultimi anni, potevo dedurre che il romanzo in questione non facesse per me. Questa politica di boicottaggio si è mantenuta per un paio di anni dopo quel libro, e solo adesso, con il Premio Urania 2012, ho intenzione di rompere l'embrago. Perché ho cambiato idea?

Facciamo un passo indietro. Per chi non lo sapesse, il Premio Urania è probabilmente il più prestigioso premio italiano in ambito di letteratura fantascientifica (magari non di nome, ma sicuramente di fatto), e viene indetto annualmente dall'omonima collana da edicola della Mondadori, che da sessant'anni, nel bene o nel male, ha definito la fruizione della sf nel nostro paese. È opinione pressoché comune che l'italia non sia "terra di fantascienza", e che gli autori italiani del genere non possano ambire a diventare maestri a livello internazionale. Non è questa la sede per discutere la questione, in ogni caso se il Premio Urania esprime "il meglio" della nostra fantascienza, in effetti qualche dubbio è lecito porselo. Nel corso degli anni, se pure ne sono emerse delle opere notevoli (il primo capitolo della sua saga di Nicolas Eymerich di Evangelisti, Mongai con il suo classico Memorie di un cuoco d'astronave), la maggior parte dei vincitori non ha rappresentato niente di memorabile, e in alcuni casi nemmeno al livello di un blando "buono". Io non ho letto tutti i romanzi vincitori, ma cercando le opinioni dei lettori ho notato come questo sia un pensiero abbastanza diffuso, in particolare per le ultime annate del premio, più o meno dal 2003-2004 in poi. È stata questa considerazione a farmi decidere di abbandonare il mio sostegno al premio nell'ultimo periodo.

Ma ecco che tra pochi giorni sarà disponibile in edicola I senza-tempo di Alessandro Forlani, e appena possibile lo acquisterò. Non tanto per la veste grafica rinnovata (che personalmente trovo scialba, ma molti la gradiscono), ma perché, facendo qualche considerazione sull'autore, mi viene da pensare che forse il premio quest'anno sia stato assegnato con effettivi criteri di merito. Ecco perché sono convinto di questo:
Punto 1 - Forlani è uno scrittore presente da anni nel sottobosco di genere italiano, ha già pubblicato diverse cose e si è dimostrato finora un autore abile e originale. Sono anche abbastanza sicuro di aver già letto qualcosa di suo, probabilmente in qualche antologia, però sinceramente non riesco a ricollegare quale fosse il racconto. In ogni caso non deve avermi scatenato l'orticaria, altrimenti lo ricorderei di certo.
Punto 2 - La trama del libro, per come viene presentata, non sembra rifarsi alle solite tematiche techno-thriller-post-cyberpunk che sono state la tendenza degli ultimi anni. È anche vero che temo che ci sia qualche implicazione politica di troppo, ma se il tono si mantiene sul filo del satirico credo sia sopportabile.
Punto 3 -  A quanto mi risulta, Forlani non appartiene a nessuna "corrente" autoproclamata, che inevitabilmente incatenerebbe le sue tematiche e il suo stile. Questo rende il suo romanzo un prodotto potenzialmente "nuovo" rispetto a quelli presentati negli anni precedenti.
Punto 3bis - Non mi risulta nemmeno che Forlani appartenga a quel ristretto gruppo di "professionisti" che da decenni sono considerati il punto di riferimento italiano per la fantascienza, e che costituiscono un po' un circolo chiuso in cui spesso sembra verificarsi un semplice interscambio di premi, pubblicazioni e favoritismi.
Punto 4 - Anche se questo non ha a che vedere con il Premio in sé: in appendice al romanzo sono inseriti anche un racconto di Dario Tonani e uno di Marco Migliori (vincitore del Premio Stella Doppia indetto in collaborazione da Urania e Delos): il primo è un autore che ho sempre avuto modo di apprezzare, anche sulle stesse pagine di Urania; il secondo è un autore "emergente" che ho incontrato spesso in concorsi e forum di scrittura, e so di potermi fidare.

Queste sono le ragioni che mi spingono a dare una nuova possibilità al Premio Urania, sperando che il 2012 possa rappresentare l'inizio di un "nuovo corso". Tengo a precisare che non conosco personalmente Forlani, quindi non ho nessun interesse a promuovere la sua opera (che di fatto non ho letto, quindi potrebbe benissimo essere una ciofeca!), e che altresì non ho acquistato quote societarie della Mondadori e non ho nessun ritorno economico da una maggiore vendita dei libri. Insomma: questo non è un post promozionale. Il mio obiettivo era mostrare come, se in passato mi sono dimostrato piuttosto ostile (sollevando anche un certo volume di polemiche), sono assolutamente disponibile a cambiare opinione, se l'occasione si presenta. Vedremo se queste mie considerazioni avranno lo stesso riverbero di quelle di due anni fa, ma ne dubito.

La cometa di Satana

Quando capita leggo sempre con curiosità La torre di guardia, il giornaletto di propaganda dei testimoni di geova. Non tanto perché ritenga valide le loro argomentazioni, ma più che altro perché spesso riescono a fornire punti di vista interessanti su questioni che, per formazione e tradizione, siamo stati abituati a pensare in un certo modo. È anche vero che altre volte invece si trovano dei fail clamorosi, ma anche questi sono a loro modo divertenti.

In uno dei numeri della rivista in cui mi sonon imbattuto di recente è pubblicata una pagina in cui si illustra il "mito" della stella cometa, quella che avrebbe condotto i re magi al giaciglio in cui era nato Gesù, e ne fornisce un'interpretazione alternativa piuttosto affascinante, che vale la pena condividere. Disclaimer: come sempre quando si tira in mezzo la religione la gente si scalda e si incazza se pensa che qualcuno la stia prendendo per il culo, probabilmente per lo stesso principio delle discussioni a tema politico o calcistico. Chiarisco quindi che, lungi da me voler evidenziare la bontà di una confessione piuttosto di un'altra, il ragionamento che sto per esporre è gustoso per il suo puro aspetto logico. Quindi poi non andate a dichiarare jihad in giro dopo aver letto questo post, prendetelo come un esercizio di induzione.

La versione classica della storia della cometa la sapete tutti, credo: quando aveva da nascere questo presunto figlio di Dio, l'onnipotente pensò bene di appendere un segnale nel cielo per contrassegnare il punto in cui sarebbe apparso; tre "magi" (termine che verrà chiarito in seguito) notarono il segnale e raggiunsero così il messia neonato con i loro omaggi (no, questo termine non deriva da "o-magi"). Questo è quello che vi hanno insegnato e vi hanno fatto inscenare nel presepe. Ma le cose sono andate davvero così?

La torre di guardia mette in discussione questa interpretazione. Il primo punto da chiarire è che la bibbia non indica mai i tre visitatori chiamandoli "re" o "saggi", come viene fatti di solito. La parola "magi" è semplicemente un'altra versione della parola "maghi", con la quale all'epoca si intendeva principalmente un analogo del moderno "astrologi". In ogni caso, praticanti della divinazione, disciplina pagana certo contraria ai dettami di Geovadio. In second luogo, la bibbia sembra smentire anche il fatto che arrivassero poco dopo la nascita del bambino, citando il vangelo di Matteo in cui si legge: "Entrati nella casa videro il fanciullino con sua madre." Se Gesù è un fanciullino, non è più un neonato; e la famiglia vive in una casa, non nella stalla in cui il piccolo avrebbe visto la luce. Infine, fatto fondamentale, la stella non guidò i magi direttamente da Gesù, ma li fece prima arrivare al palazzo di re Erode, quello lì che poi avrebbe ordinato la strage degli innocenti (ma quale strage? una mascalzonata...), e a quanto pare furono proprio loro a mettere in testa al monarca, che di certo non doveva essere un campione di simpatia, che fosse appena nato nel suo territorio il suo futuro usurpatore.

Alla luce di questi fatti, è ancora logico pensare che la stella sia stata posta come segnale da Dio stesso? A quanto pare, la venuta dei magi non è stata realmente un beneficio per il bambino, che anzi ha rischiato di essere trucidato proprio perché loro lo hanno involontariamente suggerito a Erode. Magari il povero Giuseppe è riuscito a mettere su una bottega vendendo l'oro che gli hanno portato in dono, ma questo è stato un vantaggio collaterale, non diretto. Inoltre, perché Dio avrebbe dovuto mandare degli indovini pagani a omaggiare il suo filgiolo prediletto, quando questi sono chiaramente esponenti di una fede da eradicare? Ha più senso che essi fossero invece emissari dei poteri contrari a Gesù e al progetto di Geova. E chi vi viene in mente? Chi è il villain del più grande bestseller di tutti i tempi? Già, proprio lui, Satana! Pensandoci, la cosa ha perfettamente senso, vista in questa prospettiva. Peraltro, il pentacolo (nome scientifico di quella che comunemente viene considerata una stella stilizzata), è da sempre il simbolo del demonio: tutto combacia!

Per cui la prossima volta che preparate il presepio, pensateci due volte prima di aggiungere la stella sopra la capannina. Potreste in questo modo perdere qualche credito per l'ammissione al test finale, con il vostro chiaro appoggio alle forze del Male.

Coppi Night 21/10/2012 - Project X

Mi sono pronunciato spesso in merito agli american teen-movie, anche nell'ultimo Coppi Club si parlava proprio di questo, ma a solo una settimana di distanza ci siamo ricascati. Nonostante il titolo altisonante che evoca qualche misterioso complotto governativo, in realtà questo film non mostra altro che una tipica festa di liceali. E ho praticamente concluso di illustrare la trama, perché davvero accade molto poco. I personaggi sono talmente stereotipati che potrebbero essere le tesserine di indovina chi: il protagonista sfigatello (per stessa ammissione del padre) che compie gli anni e si fa convincere a organizzare la megafesta dal baccello che si crede figo ma non se lo fila nessuno, l'amico nerd ciccione, la ragazza amica d'infanzia di cui scopre di essere innamorato, il bulletto eccetera. E poi c'è il cameraman, perché per fare un film indimenticabile hanno pensato che realizzarlo con quella schifo di tecnica "live" fosse una buona idea (e ho già detto quanto non sopporti questa prospettiva, soprattutto quando non ha senso). Lasciamo stare che questa convenzione è ignorata numerose volte, quando in due sequenze successive la telecamera passa da un capo all'altro della casa.

Quello che rende il film mediocre anche per essere di genere demenziale, è che non ci sono situazioni veramente divertenti. Tutta la parte centrale del film si concentra a far vedere la festa in svolgimento. Migliaia (letteralmente) di persone in una sola casa, che ballano, bevono, scopano. Poi una sequenza con un mezzo dialogo, e di nuovo si balla, si beve, si scopa. Un paio di battute, e ballare, bere, scopare. La cosa va avanti probabilmente per un'ora senza un minimo appiglio di trama a cui aggrapparsi. Insomma, una cosa del genere va bene se si tratta del filmino del matrimonio, ma ehm, questo è un film, devi farmi vedere qualcosa! E le stesse gag non sono certo memorabili: quando il momento migliore di un film è il cane che vola legato a dei palloncini bisogna chiedersi cosa si sta guardando. L'unico guizzo può essere forse la fase finale in cui la festa degenra in guerriglia urbana con intervento della polizia, lancio di lacrimogeni e incendio di un intero quartiere, ma anche queste sembrano cose mostrate giusto per allungare di un quarto d'ora la pellicola. L'epilogo è poi involontariamente surreale, quando il gruppo di tre ragazzini tornano a scuola dopo il disastro e vengono accolti da un applauso, quando prima erano degli imbecilli qualsiasi. I tre sono felici per aver finalmente ottenuto che qualcuno si girasse a guardarli... peccato che per raggiungere l'obiettivo debbano probabilmente farsi quindici anni di carcere a testa. Insomma, facendo due conti non so se ne valeva poi la pena. Ma del resto ognuno ha i suoi sogni da realizzare, e chi sono io per giudicare?

Mi pare incredibile di essere riuscito a scrivere così tanto di questo film. Non mi stupirei se la mia fosse la recensione più lunga mai scritta per Project X.

Corti Terza Stagione: Il ritorno dei Corti Viventi

Ci è voluto forse più del previsto, ma si sa che i non-morti sono anche tipi non-puntuali. Credevate di esservene liberati, ma sono di nuovo tra noi. Oggi, a due anni dall'Invasione che li aveva portati a conquistare il pianeta insinuandosi negli anfratti più inaccessibili (saranno anche minuscoli, ma sono anche letali), ecco che i Corti sono tornati: è Il ritorno dei Corti viventi.

La presentazione a effetto era d'obbligo per una raccolta che prosegue il successo dei suoi due predecessori. Infatti, la prima e la seconda stagione dei Corti editi da XII hanno avuto una discreta diffusione, e almeno per quanto ne so io, hanno soddisfatto i loro lettori. I "corti" di cui stiamo parlando sono, in sostanza, racconti brevi (detti anche "raccorti"). Ma proprio brevi, eh. Tre categorie di lunghezza: storie di 200, 900 e 1800 caratteri. Per darvi un'idea: 1800 è la lunghezza di una mezza paginetta scritta a corpo 12; 900 può essere l'oroscopo che vi leggete sul Metro; e se la mattina al bar chiedete un cappuccino e un cornetto alla marmellata di albicocche, è probabile che abbiate già usato più di 200 caratteri per dirlo. Si capisce quindi che creare delle vere e proprie storie con questi limiti inumani è una sfida notevole, ma i trenta autori che hanno contribuito alla raccolta ci sono riusciti. E questo è il risultato:



Corti - Terza Stagione contiene circa sessanta racconti, appartenenti a una delle tre categorie di "peso", concentrati in poco più di cento pagine grazie alla loro estrema densità. La selezione è stata curata da Raffele Serafini (aka gelostellato) che ha condotto una durissima scrematura in più fasi delle centinaia di testi pervenuti, da parte di autori noti ed esordienti. Il risultato finale si presenta con l'illustrazione di Diramazioni, che sono riusciti a rendere bene l'idea del Corto-ritornato. Sono stati scelti racconti di fantascienza, horror, noir, giallo, weird: tutti i generi che al meglio riescono a esprimere la potenza di una singola idea, anche in poco spazio. Il libro stesso è piccolo, maneggevole, tascabile in senso letterale, da portare in giro come una barretta ai cereali, ma non altrettanto facile da digerire.

E come insegnava il Maestro Yoda, non giudicate dalle dimensioni: i Corti saranno anche minuscoli, ma la loro forza non è da sottovalutare. Per penetrare il significato dei raccorti, dovrete impegnare al massimo le vostre facoltà. Si tratta di lavori che richiedono un estremo impegno sia per lo scrittore che per il lettore. Potete anzi scoprire come gli autori hanno affrontato la sfida di narrare una storia senza lo spazio per farlo, con le interviste che sono state pubblicate sul blog di XII.

Il ritorno dei Corti viventi si può acquistare direttamente sullo shop delle Edizioni XII, per meno di 6 euro. All'interno, tra gli altri, trovate anche miei tre racconti (due di 1800 battute e uno di 900: in questo modo, considerando il 200 con cui ero presente nella Seconda Stagione, sono pesente in tutte e tre le categorie!). Siamo a fine ottobre, ed è l'ora che cominciate a pensare ai regali da fare tra un paio di mesi: questo è l'oggetto ideale per chi "non ha tempo di leggere", ma anche per chi crede che la quantià faccia la qualità, e chi pensa che il racconto di genere non faccia per lui, chi non ha mai provato il sushi e chi pensa che la bicicletta sia un mezzo scomodo. E soprattutto, credo che sia un acquisto necessario per quelli che sono arrivati a leggere questo post fino alla fine, perché se invece di queste parole avreste letto il libro, sareste già a metà strada e avreste goduto molto di più, ve lo assicuro.

Rapporto letture - Settembre 2012

Di solito sono più puntuale con i rapporti letture, ma stavolta sono arrivato lungo, forse perché cercavo di incastrare il post meglio all'interno di quelli che avevo intenzione di mettere sul blog, o forse solo perché non mi era ancora venuta la voglia di scrivere il post mensile che forse richiede più impegno. Passiamo quindi ad analizzare i cinque libri letti a settembre (che è anche il mese in cui ho acquisito il kindle, ma ancora non è entrato a far parte delle mie letture quotidiane).

More about Terra imperialeSi inizia con un classico: Terra Imperiale di Arthur Clarke, di cui sono pochi i romanzi che non si possono considerare "classici". Questo forse è uno dei romanzi minori, nel senso che non è diffuso come 2001, La città e le stelle o Incontro con Rama, ma rientra comunque nel pantheon delle sue grandi opere. La storia segue la solita struttura usata da Clarke: un mondo futuro che il protagonista si trova ad esplorare, e fornendo così all'autore il pretesto per illustrare le scoperte e le idee sul futuribile. In questa storia manca forse "avventura" in senso più stretto, perché si racconta soltanto del viaggio di un titaniano sulla Terra, adibita da secoli a immenso parco naturale, e non ci sono nemici da sconfiggere, complotti da svelare o antichi segreti da acquisire. Tuttavia il complesso delle idee e la solidità della narrazione ne fanno comunque un libro coinvolgente e illuminante, che riesce a tenere ben acceso il cervello. Voto: 8/10


More about L'universo Cyber 1Anni fa avevo letto la racoclta L'universo cyber 3, trovata per caso in una bancarella dell'usato, e allo stesso modo mi sono appropriato de L'universo cyber 1, raccolta di testi cyberpunk curata da Piergiorgio Nicolazzini. Il problema con il cyberpunk, spesso, è che essendo un genere "moderno" soffre in maniera più marcata dell'obsolescenza tecnologica, che paradossalmente influisce meno su certi altri sottogeneri della fantascienza (vedi Clarke qui sopra). Anche qui si risente in alcuni casi di questo dettaglio, ma nel complesso i racconti sono buoni. Anzi, a essere migliori sono le opere di autori "minori", mentre i nomi più noti come Bansk e Gibson sembrano raccontare più degli episodi che delle storie complete. Voto: 7/10


More about KrullAlan Dean Foster è un autore che spesso si è dedicato alla novelization, cioè la trasposizione in libro di film di successi (processo inverso rispetto a quello solito), e ha realizzato per esempio quella di Alien. Krull è appunto la novelization dell'omonimo film del 1983, che pur passando come mezzo fiasco all'epoca è diventato in seguito un cult del cinema sci-fi. In realtà la storia segue più gli archetipi del fantasy, infatti abbiamo il principe eroico che parte in una quest alla ricerca della principessa rapita, raccogliendo sulla strada i compagni del party e combattendo contro i mostri e gli inganni del Mostro (che si chiama proprio così). La trama quindi non è certo originale né sorprendente, ma l'autore riesce comunque a non renderla noiosa, grazie a una caratterizzazione dei personaggi efficace, e una serie di motivazioni e interazioni del tutto credibili. Certo, andrebbe capito quanto deriva dal film stesso (che non ho visto) e quanto sia opera di Foster, ma la lettura è comunque piacevole. Voto: 7/10


More about Brooklyn senza madreBrooklyn senza madre costituisce la mia semestrale incursione in letteratura che non sia "fantastica", anche se Jonathan Lethem nella sua carriera ha scritto anche alcuni racconti di fantascienza. Qui invece siamo in un thriller, in cui il protagonista è un ragazzo orfano, affetto dalla sindrome di Tourette, che lavora insieme ad altri per conto di un piccolo esponente della malavita locale. Ma poi il loro padrone (e un po' padre adottivo) viene fatto fuori, e allora tocca a lui cercare di scoprire chi lo ha ammazzato e perché. La sindrome di Tourette è piuttosto famosa (anche Greg Bear la usa nel suo /Slant), soprattutto perché è nota come quella malattia che costringe a imprecare e insultare gli sconosciuti. In realtà le cose sono più complicate di così, e in questo libro Lethem riesce a renderlo alla perfezione: il "tourettico" è affetto da una sfilza infinita di tic, fisici verbali e mentali, che lo portano a ripetere, enumerare, emulare tutto ciò che lo circonda. Questi sfoghi improvvisi e incontrollabili rendono il personaggio in certe occasioni comico, in altre misero, e fanno oscillare il giudizio su di lui da un estremo all'altro, ottenendo comunque una grande empatia. La storia stessa, pur non essendo né originale né intricata, ha un quoziente di realismo davvero elevato: niente forzature ed esagerazioni, tutto scorre su binari che, per quanto inconsueti, risultano del tutto credibili. Voto: 8/10


More about Il lungo silenzioIl lungo silenzio invece, pur essendo presentato come sf, di fantascientifico ha solo l'ipotetico scenario di un conflitto futuro (cioè, futuro per gli anni 50) a base di armi atomiche e biologiche. Il protagonista è un caporale che si sveglia il giorno del suo trentesimo compleanno e scopre che gli USA sono stati attaccati. Cercando di ritornare alla sua compagnia, si accorge di essere rimasto sul lato sbagliato del Mississipi: il fiume infatti è stato preso come linea di divisione tra la parte infetta e quella sana del paese, e i trasgessori vengon fucilati a vista. Buona parte del libro si concentra appunto sui tentativi del caporale di attraversare il fiume, con incontri e scontri con gli altri sopravvissuti, in un ambiente che si fa via via più violento. Se c'è un aspetto notevole, è la spietatezza con cui Wilson Tucker riesce a narrare questa storia che si basa sulla ferocia e l'inganno, una vera gara di sopravvivenza tra i pochi rimasti. Il protagonista non esita a uccidere e mentire, e le sue azioni non sono minimamente giustificate di fronte al lettore. Per questo è un romanzo sicuramente crudo, ma al tempo stesso vivo. Voto: 7/10

Coppi Night 14/10/2012 - Disturbia

Sarebbe interessante fare un sondaggio su una base molto estesa, chiedendo agli intervistati se gli è mai capitato che nella casa accanto alla loro traslocasse una megafiga, con la quale il secondo giorno dopo il trasloco instaurano un rapporto amichevole e una settimana dopo riescono a deflorare. L'evento è già di per sé raro, ma raggiunge il livello di probabilità dell'autocombustione di un iceberg quando l'intervistato è un ragazzino nerd che passa il tempo a spiare il vicinato col binocolo e ha un amico cinesizzante coi capelli alla Goku. Questa breve introduzione dovrebbe farvi capire con che tipo di film abbiamo a che fare, ma se ancora non fosse chiaro entriamo nel dettaglio.

La storia dall'orribile e inappropriato titolo che fa molto Lucio Fulci (ed è il titolo originale, non la trasposizione italiana!) parte con una stucchevole scena di amore paterno, con papà e figlio che pescano insieme, salvo poi sulla via del ritorno rimanere coinvolti in un incidente stradale che riduce il babbo a conserva di emoglobina (la drammaticità della scena è sottolineata da quattro minuti buoni di primo piano della faccia sconvolta del ragazzo). Dopodiché il protagonista, che io non avevo riconosciuto ma mi dicono essere lo stesso attore di Transformers, ha l'occasione di prendere a cazzoti il professore di spagnolo* che produce un'infelice battuta su suo padre, episodio che gli provoca tre mesi di arresti domiciliari, monitorati tramite cavigliera elettronica che copre fino a un raggio di trenta metri dal ricevitore: se esce dalla zona autorizzata per più di dieci secondi, una pattuglia arriva a controllarlo. È allora che il pischello, in assenza di passatempi più costruttivi (perché sua madre infierisce staccandogli internet e tv, forse sconvolta da quello che le è successo in Matrix), avvia a spiare i vicini dalla finestra, con particolare attenzione per la nuova arrivata che ha l'abitudine di fare il bagno in piscina a qualunque ora e prendere il sole sul tetto della casa. La sua compulsione è facilitata dal fatto che il piano regolatore del vicinato prevede che tutte le case abbiano ampie vetrate che danno sulla strada, in modo che le azioni degli inquilini siano facilmente osservabili. A questo punto, dopo qualche prevedibile equivoco con la fighetta, e una buona dose di inquadrature del pur rispettabile culo della stessa (chiaro omaggio alla tradizione registica di Marino Girolami), comincia a sorgere il sospetto che uno dei vicini non sia poi tanto un brav'uomo, anzi probabilmente si diverte a massacrare donne e occultarne i corpi  in garage nei fine settimana. Quindi la trama "investigativa" portata avanti dal trio di giovani marmotte (protagonista, amico cinese e vicina figa) fa progredire il film mantenendosi in bilico tra la confutazione e la conferma dei sospetti verso l'ambiguo individuo, che per rimanere simpatico mostra di intendersela anche con la madre del ragazzo. Alla fine (sì, vabbè, sarebbe uno spoiler...) viene fuori che il tizio è davvero un maniaco, e in casa ha una specie di dungeon tipo wolfenstein con passaggi segreti all'interno di passaggi segreti e livelli sotterranei multipli. Ma il cattivo viene sconfitto (cioè: ucciso con un paio di cesoie), il giovane viene rilasciato per "buona condotta", perché evidentemente uccidere un'altra persona è considerato un merito se si tratta di un assassino, e tutto si risolve al meglio.

Dal tono che ho utilizzato nel riferire la trama si capisce cosa penso di questo film. Ma cercando di rimanere oggettivi, penso che si possa notare un enorme problema di fondo: Disturbia non ha una direzione precisa. È una specie di teen-thriller, cioè ha tutti gli stereotipi del teen movie conditi da una salsa a grana grossa di tensione, ma non è chiaro come il film debba essere inquadrato. Le situazioni da commedia romantica si intrecciano alla gente sgozzata, per cui non si sa se ridacchiare o trattenere il fiato (e comunque sto esagerando, entrambe le tematiche non sono abbastanza efficaci da provocare effetti fisiologici così notevoli). L'unico guizzo originale sta nel fatto che il protagonista utilizzi il suo bracciale elettronico in senso inverso, proprio per attirare gli agenti durante la situazione di pericolo, ma le decine di situazioni improbabili fanno passare in secondo piano questo particolare: gli omicidi compiuti in piena vista, la sparizione di inseguitori e inseguiti durante le varie fughe, l'implicita presenza di portali per il teletrasporto a disposizione dell'assassino (che passa dal dungeon al soggiorno del vicino nel giro di quattro secondi), e soprattutto come già detto la ragazza che si innamora del nuovo vicino... tutto questo fa del film un'indefinita accozzaglia di elementi mal assortiti, che purtroppo non ha nemmeno il merito di virare decisamente verso il demenziale o lo splatter.


*Alcuni presenti hanno apprezzato molto questa sequenza, asserendo che i professori di spagnolo meritano un trattamento del genere

La musicoteca di Piscu

Ho motivo di credere che i post più ignorati di questo blog siano quelli ad argomento musicale. Questo perché il genere di cui tratto solitamente è già di nicchia a livello mondiale, limitato poi all'ambito italiano è estremamente sacrificato, e i soggetti interessati alle mie recensioni sono forse una centinaio in tutta la nazione, per i quali non è così probabile approdare su queste pagine. Ciò nonostante, proseguo con convinzione nella mia trattazione della musica elettronica, ché di soddisfazioni (a parte su questo blog) me ne dà tante.

Ora, quando parlo dei miei ascolti, o faccio l'elenco dei miei ultimi acquisti, faccio spesso alla mia collezione di cd, rivolgendole aggettivi come "ricca" o "sterminata", ma finora io stesso non avevo una percezione precisa di quanti e quali oggetti la componevano, non disponendo di un archivio altrettanto valido come quello che ho per la mia biblioteca personale. Questo finché non ho scoperto che su Discogs, il portale che utilizzo di frequente per ricercare i dischi e catalogarli, era possibile inserire anche la mia propria collezione. Con pazienza, nel giro di qualche settimana, ho estratto i cd dalle loro colonne, e uno per uno li ho inseriti nella mia collezione, cosicché adesso sono in grado di mostrare a tutti la mia musicoteca, che conta attualmente 376 oggetti*. Ecco qui un'anteprima della visualizzazione delle copertine:


Una simpatica funzione disponibile sul portale consente inoltre di stimare il valore della collezione, calcolato sui prezzi degli oggetti in vendita sullo stesso Discogs, che nel mio caso si aggira intorno a una media di 2.690 €, con un massimo possibile di 4.100. Ok, è vero, sossoldi, ma li considero ben spesi.


*Naturalmente parlo di cd originali, non certo roba masterizzata o scaricata e poi incisa su cd.

Futurama 7x08 - Fun on a Bun / Oktoberfest

Voglio partire spiegando il titolo: "fun on a bun" è un'espressione gergale che significa semplicemente "divertente", e soprattutto a partire dai quattro lungometraggi, e diventata una delle catchphrases di Bender, che proclama ogni tanto "it's gonna be fun on a bun!" Ora, il signifcato letterale della frase si riferisce ai panini in cui di solito vengono serviti gli hot dog, per cui è sembrato appropriato adottare questo titolo per un episodio che inizia con una gara di salsicce.

Ma procediamo con ordine. Purtroppo dovrò rivelare più del solito sulla trama, ma questo è uno di quegli episodi dalle sfaccettature multiple, che bisogna analizzare nel suo complesso. Cercherò comunque di non emettere spoiler letali. La puntata inizia con il Professore che propone a tutto l'equipaggio di fare una gita aziendale all'Oktoberfest. Tutti ne sono entusiasti, Fry compreso, che però giunto lì scopre che nei mille anni in cui è rimasto ibernato la festa è piuttosto cambiata: da orgia di alcool si è trasformata in una raffinata esibizione della tradizine germanica, con tanto di degustazione di birre da espellere poi in apposite sputacchiere. Deluso da questa nuova versione dell'Oktoberfest, il ragazzo troverà il modo di ubriacarsi comunque, mettendo in imbarazzo i suoi colleghi, tanto che Leela decide di lasciarlo. Nel frattempo, Bender ha appreso appunto della gara di salsicce prevista all'interno della fiera, che richiede però l'utilizzo di carni altamante esclusive, e il robot si rassegna a non avere a disposizione niente di questo livello. I due, entrambi disperati (chi per essere stato lasciato, chi per non avere carni pregiate) si ritrovano, e Bender ha l'idea di andare a cercare un mammut congelato per farne delle salsicce. Riesce a trovare trovare l'animale preistorico e ottiene la sua carne esclusiva, ma Fry (completamente ubriaco) si perde nella valle congelata. A questo punto, cercando di limitare al massimo le rivelazioni, dico solo che tutti credono che Fry sia morto, e Leela, presa dal senso di colpa, decide di cancellare i suoi ricordi di lui. Ma Fry non è morto, è "solo" entrato a far parte di una tribù di Neanderthal sopravvissuta nel sottosuolo. Quando poi tutto il gruppo torna all'Oktoberfest, per la cerimonia di premiazione della gara di salsicce a cui Bender è giunto in finale, i Neanderthal emergono dal loro rifugio e attaccano i Sapiens, intenzionati a riconquistare la loro terra (e magari a ottenere un po' di sesso interspecie...).

Messa così può sembrare una trama piuttosto sconclusionata, che procede un po' a caso su filoni diversi, ma non è così. In effetti pure io sono rimasto sorpreso, ma Fun on a Bun è una delle storie più "dense" delle ultime stagioni di Futurama. Fry che viene lasciato perché ritenuto troppo infantile e arretrato (e tutti si aspettavano che prima o poi sarebbe successo), Leela che decide di dimenticarlo in perfetto stile Eternal Sunshine of the Spotless Mind, gli sforzi per gli altri della Planet Express per non ricordarle Fry in nessun modo, la vita di Fry tra in Neanderthal e la loro triste storia di convivenza coi Sapiens, la battaglia tra le due specie, con mammut e smilodonti contro carri armati ed elicotteri, Bender che approfitta del caos per conquistare il primo premio nella sua gara di salsicce, il combattimento tra Fry e Leela reciprocamente dimenticati... tutti questi elementi contribuiscono a rendere la puntata estremamente piena di contenuti, perché non ci sono assolutamente momenti morti, ma ogni sequenza riesce a contribuire all'ampio contesto complessivo.

Dopo A Farewell to Arms, questo è il secondo episodio della settima stagione a concentrarsi in modo specifico sul rapporto tra Fry e Leela, e lo fa in modo davvero efficace, smontando in modo drammatico la loro relazione e ricomponendola con una scena davvero toccante. Inoltre, l'episodio è anche estremamente divertente, con battute e sequenze eccellenti, cosa insolita per una storia incentrata sulla "coppia". In particolare la guerra tra le due specie di umani è fantastica, tra mammut, bradipi giganti, catapulte e Brannigan, che dà sempre il meglio di sé in queste situazioni. Per cui, tutto considerato, Fun on a Bun è fino a questo momento il miglior episodio della settima stagione, e si merita un buon voto 9/10.

La realtà mi ruba le idee

Un paio di giorni fa mi sono imbattuto nella notizia secondo cui un gruppo di ricercatori dell'Harvard Medical School ha annunciato di aver scritto un libro utilizzando il DNA (ho raggiunto la news tramite la segnalazione del blog Estropico, sempre attento agli aggiornamenti tecnologici e scientifici soprattutto in ambito biologico e medico). Cioè, per capirsi, il DNA è stato utilizzato come base per codificare testo, immagini e pure un software. Può sembrare un procedimento contorto, ma in realtà la codifica delle informazioni è la base stessa della comunicazione intesa nel senso più ampio, e in effetti anche per scrivere e leggere queste parole il testo è stato convertito e codificato tramite impulsi elettrici su base binaria. La stessa cosa si può fare con il DNA, sfruttando le quattro basi ATCG per stabilire un sistema convenzionale in cui includere delle informazioni. Il risultato è certamente d'impatto, e le conclusioni del team (per i dettagli rimando all'articolo linkato) fanno supporre che l'immagazzinaggio di informazioni sottoforma di DNA sia più economico, accessibile e sicuro anche di quello digitale che attualmente pervade il mondo. Per cui potrebbe non essere lontano il giorno in cui invece di andare in giro con una chiavina USB ci porteremo in tasca una fialetta di cellule epiteliali (sto esagerando, in realtà i ricercatori affermano che utilizzare DNA "vivo" non è il sistema più efficiente). Ma si sa che con queste previsioni bisogna sempre andare cauti.

In ogni caso, per quanto la notizia in sé sia eccitante, non la riporto soltanto per porla all'attenzione del pubblico di Unknown to Millions. La ragione per cui cito l'episodio è che questa incredibile applicazione tecnica era l'elemento chiave di un racconto da me scritto un anno o poco più fa, Il diario segreto, che è stato in seguito pubblicato in Il magazzino dei mondi e recentemente in Minuti contati. Nel racconto (spoiler!) il protagonista teneva un diario all'interno del suo codice genetico, in modo che potesse essere l'unico ad accedervi. All'epoca del racconto, questa idea non poteva che considerarsi fantascienza, ma ecco che qualcuno attinge alle mie pensate e le mette in pratica, facendo fare la figura dell'idiota. Perché ora, quel mio racconto diventa in parte obsoleto (in parte, perché il diario nel DNA è solo dei due elementi chiave della storia), e perde così di valore. Come se nel 1491 avessi scritto di una mirabolante avventura attraverso gli oceani che porta alla scoperta di nuovo continente: di certo non sarebbe rimasto un bestseller per più di un anno. È una cosa frustrante, che mi è capitata già altre volte e purtroppo credo che si ripeterà. Non voglio utilizzare le frasi fatte tipo "la realtà supera la fantasia", ma è certamente vero che in ambito tecnologico il divario tra il l'immaginabile e il realizzabile è sempre più esiguo. E così, noi scrittori di fantascienza (spero che da lassù Asimov e Clarke e Heinlein non mi fulminino per essermi accostato a loro) ci ritroviamo con la realtà che ci ruba le idee da sotto il naso.

È un mondaccio, lasciatemelo dire.

Coppi Night 02/10/2012 - The Abyss

Questo è un film di cui avevo spesso sentito parlare, e solitamente in termini positivi. Uno dei tanti che rientrava nella mia lunga, e costantemente in crescita, lista dei "film che prima o poi dovrò vedere". Ero quindi abbastanza soddisfatto di avere l'occasione di vederlo, aspettandomi una storia sci-fi di buon livello.

E, tutto sommato, The Abyss è una storia sci-fi di buon livello. O almeno lo sarebbe se si fermasse a un'ora e qualcosa di circa 170 minuti di durata. Questo perché finché il mistero riguardo le strane luci sottomarine rimane vivo, la tensione si mantiente alta e si assiste a tutta quella classica serie di dinamiche da "gruppo ristretto costretto in ambiente chiuso", che si ritrova in tutti i film ambientati su astronavi, da Alien a Sunshine. La caratterizzazione forse è un po' ingenua, e risulta fin troppo netta la separazione tra l'eroe splendente, la principessa permalosetta ma coraggiosa, il gruppo di fidati compagni e i mercenari senza valori. Ma facendosi andare bene questa leggerezza, le vicende nella stazione sottomarina riescono a farsi abbastanza avvincenti per la prima metà di film. Quando però si cominciano ad avere i contatti con le creature che abitano il fondale marino, le cose virano pericolosamente verso il prevedibile, fino a schiantarsi del tutto contro il guardrail della banalità. Insomma, farmi vedere gli esseri (presumibilmente extraterrestri, ma non è rivelato in modo esplicito) che, nella loro immensa saggezza e benevolenza, hanno deciso di sterminare senza appello l'umanità, ma che poi si trattengono perché un singolo esemplare della specie (ovviamente l'eroe) ha mostrato segni di nobiltà, nonché di solida tradizione patriarcale nel rivolgersi a sua moglie (dal quale ha divorziato) chiamandola "moglie"... ecco, questo mi smonta tutto quello che è stato costruito fino a quel momento. Cioè, ho sopportato i centosessanta minuti precedenti per vedermi somministrare questa lezioncina da papà castoro?

Questa impressionante caduta di stile mi porta a classificare il film come mediocre, nonostante alcuni bei momenti nella prima parte. Ci sono anche altre incongruenze (qualche problema di sistema metrico decimale, eccessiva leggerezza nella discesa dei sommozzatori a profondità estreme protetti da una semplice tuta, e poi gli alieni che proiettano i telegiornali!?), ma sarebbero particolari su cui si potrebbe sorvolare se la portata finale del film fosse e un'altra, e l'immagine conclusiva non fosse il bacio tra l'eroe e la principessa. Volendo evidenziare gli aspetti positivi, sempre in quella prima parte c'è un'ottima gestione degli ambienti claustrofobici della stazione e del sottomarino affondato, e più di un pa rallelo dell'ambiente degli abissi con quello dello spazio interstellare (tute e caschi, scarsità di ossigeno, difficoltà di movimento, oscurità...) che riescono a far pensare che davvero se là sotto esistesse un'intera civiltà tecnologicamente avanzata noi potremmo non essercene mai accorti. Ma anche questi aspetti più affascinanti perdono di efficacia dopo aver perso sangue sugli ultimi quaranta minuti di film.

Per quanto si possa apprezzare la tendenza di Cameron verso i "kolossal" e stornando anche l'anzianità del film precedente agli anni 90, in The Abyss rimane poco da poter salvare, per cui se alla fine gli alieni avessero lasciato procedere il loro tsunami non sarebbe stato poi così terribile.

Dirk Gently (2010)

Douglas Adams è diventato un autore di culto per la sua Guida Galattica per autostoppisti e i relativi seguiti, opera metatestuale che è nata come show radiofonico, poi è diventata libro, poi film, videogioco, rappresentazione teatrale e così via. Anche tra i fan della serie però gli altri lavori dell'autore sono meno conosciuti. Adams infatti nella sua troppo breve carriera ha lavorato a numerosi progetti (tra le altre cose, ad esempio, ha scritto alcuni episodi di Doctor Who), e in ambito letterario, oltre alla Guida ha scritto anche un'altra serie, quella di Dirk Gently.

Il ciclo è composto di due libri: Dirk Gently, Agenzia di investigazione olistica e La lunga oscura pausa caffè dell'anima (originali: Dirk Gently, Holistic Detective Agancy e The Long Dark Tea-Time of the Soul). Adams aveva iniziato a lavorare a un terzo capitolo, Il salmone del dubbio, ma è riuscito a completarne solo un paio di capitoli prima dell'improvvisa morte. Come si evince dal titolo del primo libro, si tratta di romanzi investigativi, ma certo con Douglas Adams non ci si può aspettare niente di ordinario, infatti il suo protagonista è appunto un "investigatore olistico". Questa definizione significa che il suo metodo investigativo si basa sull'intrinseca interconnessione tra tutte le cose, per cui un problema può essere risolto partendo da qualunque altro. In poche parole, le sue indagini procedono a caso. Le due avventure di Dirk Gently sono brillanti, contorte, divertenti, oscillano tra il noir, la fantascienza e il weird, e non vi farebbe male procuarvele (ne ho anche tratto una bustina, tempo fa), ma non è dei libri che volevo parlare in questo post. Nel 2010, Dirk Gently è stato adattato dalla BBC in una serie tv, che è passata piuttosto inosservata.

In effetti la versione televisa è stata una meteora, perché conta appena quattro episodi (pilot uscito nel 2010 + tre episodi regolari nel marzo 2012), dopodiché non è stata portata avanti per incassi troppo bassi. Tuttavia, nonostante il mercato l'abbia penalizzata, Dirk Gently è un prodotto di buon livello, che riprende efficacemente i temi dei romanzi e ne sviluppa di nuovi perfettamente in linea con il tono tenuto da Adams. Volendo classificare la serie, la si può definire investigativa/umoristica, perché se è vero che ogni episodio ruota intorno a un mistero da risolvere, è altrettanto evidente che l'intento è soprattutto quello di divertire lo spettatore piuttosto che stupirlo. Non ci sono supercattivi e sangue e autopsie in diretta, ma vecchiette, gatti scomparsi, scienziati visionari, assassini imbranati. Insomma, più un Monk che un CSI.

Nel pilot della serie sono ripresi alcuni elementi e personaggi presenti in Dirk Gently (il primo libro), ma le affinità con i romanzi di fatto si fermano qui. Gli episodi successivi trattano enigmi del tutto nuovi, anche se si attinge comunque al bacino degli argomenti preferiti di Adams, stiracchiando la realtà quel tanto che basta per farci entrare qualche elemento "fuori del comune": intelligenze artificiali, viaggi nel tempo, supercomptuer eccetera. Anche la componente umoristica corre sulle stesse note dei libri, e in generale dello stile dell'autore: situazioni paradossali, contraddizioni, dialoghi assurdi, in pratica tutto l'arsenale che fa la comicità english in stile Monty Python (certo non a livelli così demenziali). I personaggi sono ben definiti, a partire dal protagonista. Il Dirk Gently della serie è un uomo sì acuto, ma anche permaloso, egocentrico, materialista, che non esita a presentare in qualsiasi occasione la sua parcella, e in questo è perfettamente fedele alla sua versione letteraria, grazie anche all'ottima interpretazione di Stepehn Mangan. Gli altri personaggi, nonostante il ruolo secondario, riescono comunque a distinguersi, dal collega-vittima MacDuff alla segretaria rancorosa Janice, fino al rivale ispettore Gilks. Purtroppo per loro non c'è stato modo di svilupparsi ulteriormente, visto il poco spazio concesso alla serie, quindi non si può sapere quali dinamiche avrebbero potuto instaurarsi.

Quando ci si trova davanti a un adattamento postumo ci si chiede sempre se l'autore avrebbe apprezzato. Con Douglas Adams, questo discorso è valso anche per il film della Guida (di cui in effetti lui stesso aveva scritto la sceneggiatura), e in entrambi questi casi ritengo si possa dire che il prodotto finale coglie in pieno lo spirito dell'opera originale. La serie Dirk Gently è un ottimo concentrato di mistero, azione e divertimento, ed è un peccato che sia durata così poco. Tuttavia anche i soli quattro episodi possono regalare qualche ora di ottimo intrattenimento, per cui vale la pena ricercarli, anche se non esiste ancora (e probabilmente non esisterà mai) una trasposizione italiana.

E-lettori e lettori

Qualche settimana fa in giro per la blogsfera si è aperta di nuovo l'aspra diatriba tra i sostenitori del libro di carta e quelli della sua versione elettronica. La polemica si è scatenata a partire da un post* pubblicato da un giornale "serio", che operava il confronto in maniera superficiale e pregiudiziata, e ha scatenato una slavina di commenti (più di 300 solo sul sito) e contro-post. Ad emergere è spesso una contrapposizione piuttosto netta tra le fazioni, quasi una vera e propria identità di partito che porta a confutare sempre e comunque la parte opposta. Insomma, più che i lettori, sembra che a contrapporsi siano gli e-lettori (dovevo in qualche modo spiegare il titolo del post, no?).

Ma qual è il nucleo dello scontro? Quali argomenti vengono evidenziati dalle parti? E come si colloca in merito il modesto autore di Unknown to Millions, che non sarà tante cose, ma un lettore lo è di sicuro? Fino a qualche settimana fa non mi sarei pronunciato sull'argomento, visto che non avevo ancora accesso al mondo degli e-book. Ma da metà del mese scorso sono entrato in possesso di un Kindle 4, quindi  adesso so bene di cosa si parla, e posso intervenire.

Per chi capitasse qui senza seguire regolarmente il blog, faccio presente che il mio impegno con la lettura è piuttosto intenso: basta dare un'occhiata alla mia libreria aNobii, aggiornata costantemente dal 2009 in poi, per capirlo. Quindi, so cosa vuol dire avere 500 volumi per casa e un libro sempre in mano. Per chi, come me, legge tanto (io mantengo una media di 5-6 libri al mese, ma anche un paio penso siano sufficienti per rientrare in questa definizione), l'utilizzo di un e-reader si rivela rivoluzionario, e non credo di esagerare. Finora, lo ammetto, non ho ancora sfruttato appieno il mio nuovo Kindle, principalmente perché prima di portarmelo in giro ho bisogno di acquistare anche un'apposita custodia protettiva (potete anche regalarmela, se vi va...), ma le poche prove che ho fatto mi hanno ampiamente convinto delle enormi potenzialità del dispositivo. Non voglio stare a fare un elenco dei vantaggi, perché di recensioni online ne trovate a bancali interi, ma posso dire con criterio che hanno ragione! Nemmeno io ci credevo del tutto finché non ho iniziato a usarlo, ma ora che con un investimento di 80 euro ho praticamente a disposizione tutta la bibliografia mondiale (visto che ho la fortuna di saper leggere in inglese) ritengo di aver fatto un grande passo in avanti.

Ne consegue che mi schiero in maniera evidente a favore dell'e-book. Ma la fazione opposta, perché si oppone? La ragione più gettonata è che il libro "fisico" non si può sostituire. Che niente può equivalere il piacere di avere delle pagine da sfogliare, una copertina da ammirare, un inchiostro da odorare. E in parte, devo dire, sono d'accordo. Perché è vero, la sensazione di tenere un libro in mano è unica e inimitabile, tutti i lettori sono cresciuti con essa e non potranno abbandondarla. Ma, appunto, possedere e utilizzare un e-reader non significa dover buttare al macero tutti i libri che si hanno! Paradossalmente, la maggior parte di questi sostenitori del libro non sono altrettanto rigorosi nel difendere l'ascolto di un CD (o persino un vinile) rispetto a un mp3 ricavato dal video caricato su youtube. Eppure, il principio è lo stesso: la "fisicità" opposta alla "virtualità". Niente può eguagliare il suono del vinile, non si può negare. E allora, come conciliare le due cose? Perché è legittimo avere una musicoteca completamente digitale (personalmente oltre ai 500 libri ho pure un 400 CD originali, ma non siamo qui per parlare di questo), ma non una libreria della stessa natura?

A mio avviso, la giustificazione di questo atteggiamento è implicita, e non si tratta di una ragione fine a se stessa, ma di un vero e proprio paradigma: il paradigma del "libro-oggetto". Da secoli, il libro inteso come un insieme di pagine stampate, rilegate e racchiuse da una copertina, si è radicato nell'immaginario collettivo, è diventato un fenomeno non solo scientifico o culturale, ma sociale, di costume. Il libro non è solo un veicolo di informazioni, ma è anche uno status symbol (intendo il termine in senso neutrale, non nell'accezione negativa di "oggetto inutile che serve a identificarsi"): il libro è qualcosa da possedere, fare proprio, esibire. Ripeto: non sono estraneo a questa definizione, anzi. Io stesso amo possedere i libri, ne traggo un piacere quasi sensuale. Ma, anche qui in modo paradossale, ad attenersi più strettamente a questo aspetto sono coloro che i libri li leggono meno. Per chi infatti è un lettore occasionale o anche sporadico, il rapporto informazione/oggetto è fortemente a favore del secondo termine. Mentre un lettore forte, come lo sono io, ha una percezione ben diversa di quanto sia importante il contenuto dell'oggetto, e pertanto riesce ad apprezzare qualunque miglioramento che renda più accessibile quell'informazione (è questa la stessa ragione che mi ha portato a benedire e pubblicizare il Thumb-Thing). Ecco perché nel partito dei sosenitori si trovano soprattutto coloro che i libri li leggono davvero, mentre dall'altra parte ci sono per lo più coloro per cui è più forte il valore "simbolico" del libro, che il suo contenuto. Oltre a portatori di interessi diversi, come certi editori, giornalisti "professionisti" e così via.

Sicuramente la mia analisi non prende in esame molti punti della questione, ma visto che l'obiezione più spesso rivolta all'e-book risiede tutta in quella "e" iniziale, mi pare che essa sia ampiamente risolvibile con queste considerazioni. Non c'è nessun motivo per cui un lettore, un vero lettore, il cui obiettivo primario è attingere quanta più "informazione" possibile, non debba trasformarsi in e-lettore (e questo spiega di nuovo il titolo, pensavate che non ci avrei messo un doppio senso?). Il che, ripeto ancora, non implica il totale abbandono della carta, solo il suo affiancamento con un mezzo più maneggevole, più rapido, più accessibile, più economico, più ecologico.

Concludo aggiungendo che, con l'acquisizione del Kindle, presto nei miei rapporti letture inizieranno a comparire anche recensioni di e-book. Devo ancora valutare se riuscirò a tenere traccia anche di questi su aNobii o meno, ma nel giro di qualche mese faranno sicuramente comparsa tra la lista mensile dei libri assimilati.


*Tengo a precisare che uso il termine "post" con criterio: il fatto che il pezzo sia stato pubblicato sul sito di un giornale "vero", da un presunto giornalista "vero", non lo rende più autorevole di qualsiasi testo pubblicato da qualunque altro blogger. Pertanto, non adotto termini più ufficiali quale "articolo".