Doctor Who 10x07 - The Pyramid at the End of the World

Dopo il cliffhanger di Extremis che aveva rivelato il primo two-parter di questa stagione (salvo poi scoprire che in realtà è un three-parter), questo episodio aveva una responsabilità pesante: riprendere una storia intensa lasciata a metà e ricavarne una maggiore tensione e senso di pericolo, dal momento in cui la vicenda si sposta "nel mondo reale". Purtroppo, non è stato all'altezza.

La piramide del titolo è quella che compare dal nulla al centro di una zona di guerra contesa da russi, americani e cinesi. Il Dottore, informato dal suo alter ego simulato, sa che questa apparizione in prossimità dei tre eserciti più forti del pianeta non è un caso, e capisce che i nemici (i Monaci) vogliono attirare l'attenzione del pianeta. Richiamato al suo ruolo di Presidente della Terra come alla fine della stagione otto, il Dottore tratta con gli invasori e scopre cosa vogliono: dominare il mondo, chiaramente, ma solo quando l'umanità è disposta a cederglielo. È una sorta di ricatto al contrario: i Monaci prenderanno il comando quando gli uomini acconsentiranno al loro dominio, salvandoli dall'imminente catastrofe che si sta per scatenare per via di qualche bioingegnere distratto. Il Dottore è chiaramente contrario a affidare il pianeta alle mani dei mostri, quindi cerca di inviduare la causa dell'apocalisse che si sta avvicinando, per impedirla e invalidare così il ricatto dei Monaci.

Ci sono diversi problemi nel modo in cui la trama si svolge, divise tra superficialità, incoerenze e plot hole veri e propri. Innanzi tutto per quanto sia anomala la comparsa della piramide, il ricatto dei Monaci si basa su una proiezione da loro eseguita, per cui la distruzione del pianeta non è affatto credibile come moneta di scambio sulla quale basare l'offerta di dominio. Il fatto che poi il ricatto si basi su una circostanza fortuita (il classico scienziato che scatena accidentalmente la fine del mondo) piuttosto che su un piano ben costruito dei Monaci, riduce la portata della loro minaccia: se devono contare sulla presenza di un evento imprevedibile per poter portare avanti la loro conquista, non sono poi così onnipotenti, no? Possibile che nella loro simulazione perfetta non abbiano trovato occasioni più sostanziose di questa per intervenire?

Ma la cosa che forse mi irrita di più è come il potenziale della cecità del Dottore sia stato sprecato. Certo, alla fine si rivela determinante perché è questa a impedirgli di salvarsi e costringere Bill ad accettare il patto, ma il modo in cui l'handicap si manifesta è forzato e poco plausibile: una tastiera numerica con un quadrante analogico? Ma quando mai è esistito un dispositivo del genere, a maggior ragione in un laboratorio biologico che dovrebbe avere misure di sicurezza impenetrabili? Il momento della confessione del Dottore a Bill è comunque toccante, ma solo grazie (come sempre) all'interpretazione di Capaldi, perché la situazione è al limite del ridicolo.

Forse l'unico spunto degno di nota è quello dei Monaci che hanno bisogno di un esplicito e onesto consenso, non motivato dalla paura o dal calcolo strategico, per poter mettere in atto la loro invasione. Ma il resto dell'episodio è mal strutturato e totalmente in discesa dopo il climax di Extremis. Ma soprattutto, che fine ha fatto Missy? Pareva che il Dottore la stesse per liberare per aiutarlo a combattere la minaccia, perché non l'ha fatto prima di affrontare i Monaci?

A questo punto speriamo che il prossimo episodio sia all'altezza, probabilmente vedremo una sorta di distopia con il Dottore dalla parte dei cattivi, il che potrebbe essere interessante. Per adesso, il perno di questa ipotetica trilogia è poco efficace. Voto: 5/10

Coppi Night 21/05/2017 - Air

Uno dei colpi più azzeccati di Lost fu ai bei tempi della seconda stagione, quando i naufraghi scoprono il bunker sotterraneo in cui un unico occupante vive in quarantena, a occuparsi di antiquati calcolatori anni 70 con il fine ultimo di salvare il mondo. Sembra che Air, film del 2015 in cui compare Norman Reedus (il Daryl di The Walking Dead) debba molto a questa idea, sia nello sviluppo della trama che nell'estetica. I due protagonisti vicono in un bunker sigillato, programmato per risvegliarli ogni tot mesi per verificare le condizioni di abitabilità della superficie esterna, dopo quella che si presume un'apocalisse nucleare. Non è specificato quando la storia è ambientata, ma dal livello tecnologico delle attrezzature si può supporre che la catastrofe sia avvenuta negli anni 80, o per lo meno una linea temporale alternativa in cui negli anni 80 esistevano celle per l'animazione sospesa.

La storia si svolge tra il bunker e i cunicoli che lo circondano e praticamente coinvolge solo questi due attori (salvo pochi secondi di apparizioni di una terza). È sempre rischioso basare un intero film su un unico set e la performance di un paio di attori. A volte funziona bene (vedi Moon), altre meno; Air rientra nel secondo caso.

Naturalmente in un film del genere il punto di interesse principale è il rapporto tra i personaggi e lo svilupparsi di tensione, inevitabile in un contesto di forzata convivenza e incertezza del proprio futuro. E infatti dopo un primo incidente all'interno della base, ecco che iniziano a emergere divergenze, diffidenze e sospetti. Ed è qui che sorge uno dei problemi principali: il film per qualche ragione decide che uno dei due è il "buono" mentre l'altro è egoista e folle. A mio avviso però quello che viene presentato come pericolo è in realtà il personaggio che si comporta in modo più razionale: è cinico, demotivato, ma estremamente coerente. D'altra parte la situazione non dà molto spazio alla speranza, a maggior ragione quando si scopre lo stato delle altre stazioni di monitoraggio. E infine, è lui a essere vittima del primo tentativo di attacco. Quindi quando verso la fine il conflitto esplode e il film fa di tutto per presentare l'altro come il virtuoso non mi sono più fidato di quello che vedevo.

Un altro grande problema è la noia. Molte scene si trascinano fino a diventare estenuanti, e molti tentativi di trasmettere claustrofobia e oppressione vanno a vuoto. Viene da pensare che con un montaggio più selettivo il film avrebbe potuto essere un cortometraggio senza perdere niente di quello che ha da dire. Una prova mediocre quindi, che non si salva né per originalità né per qualità tecnica.

Doctor Who 10x06 - Extremis

Ci sono molti modi per raccontare una storia in cui quello che accade "non è reale", nel senso che si svolge su un piano diverso da quella che si considera la realtà condivisa da tutti. Che si tratti di sogno, universo parallelo, simulazione, se alla fine della storia si incappa nella rivelazione "niente era vero!" e finisce lì, allora siamo di fronte a una storia di merda; se invece ciò che avviene nell'altra dimensione, per quanto "non reale" ha comunque peso sullo svolgersi degli eventi, allora si parla di una storia ben costruita. Extremis prende la strada pericolosa (e già percorsa in altre occasioni) della simulazione: tutto ciò che si vede dopo i titoli di testa (tranne i flashback tra il Dottore e Missy) avviene all'interno della simulazione che il misterioso invasore della Terra ha messo in atto. Simulazione che contiente tutto, anche i simulati senzienti in grado di capire di essere all'interno di una simulazione.

Di per sé non è niente di originale. L'esempio più noto al pubblico è Matrix, ma ce ne sono di precedenti e più profondi, come Simulacron 3 di Daniel Galouye e che diamine, addirittura io ho scritto un racconto con questo tema. Non è quindi la scoperta della simulazione a costituire il perno dell'episodio, per quanto le modalità con cui si arriva a questa rivelazione sono comunque ben congegnate.

Il senso ultimo di Extremis sta nel motto proncunciato dal Dottore (quello "finto") al momento del suo confronto finale con l'invasore, quando ha ormai capito di non potere in alcun modo contrastare il nemico:
Without hope, without witness, without reward. Virtue is virtue only in extremis.
È questo il messaggio più importante: la dimostrazione di ciò che siamo veramente avviene solo nel momento finale, quando non c'è più speranza, non c'è nessuno ad assistere, non c'è niente da ottenere. Solo allora si possono esprimere gli ideali più puri, quando non c'è nessuna occasione di poter beneficiare delle proprie scelte. È un gran bel concetto, che non sfigurerebbe in un poema epico. E non si fatica a credere che il Dottore sia capace di un ragionamento del genere, soprattutto questo Dottore, quello che ha preso a pugni per quattro miliardi di anni una lastra di diamante sapendo che ogni volta sarebbe morto e tornato lì. Ho la sensazione che questo possa in qualche modo essere anche l'epitaffio del Dodicesimo Dottore, già menomato dalla cecità e come sappiamo in punto di cambiare nella sua prossima incarnazione. E non importa che a pronunciare le parole sia il Dottore simulato, perché lui è il Dottore, e non si possono davvero considerare come due entità separate quelle da un lato e dall'altro della simulazione.

Per questo Extremis non è soltanto un set-up per la prossima puntata, in cui la minaccia dei monaci alieni non-morti (in mancanza di nomenclatura ufficiale) si paleserà nel mondo reale. Perché ciò che accade nella simualzione rivela particolari importanti di cosa ci si può aspettare fuori di essa, nell'immediato o a breve termine. Da non sottovalutare anche il fatto che per riacquisire pochi minuti di vista il Dottore è stato disposto a sacrificare potenzialmente le sue future rigenerazioni: un baratto che potrebbe ripresentarsi presto in una forma simile.

Al di là del fine ultimo dell'episodio, Extremis colpisce bene anche in altre sezioni. Si scopre finalmente (senza grande sorpresa, ma meglio così) che è Missy/Master ad occupare la stanza sorvegliata dal Dottore, ed è in qualche modo confortante che la rivelazione arrivi a metà stagione invece di trascinarsi fino alla fine come succede di solito. I pochi momenti comici sono molto validi, e la coppia Nardole/Bill isolata dal Dottore funziona perfettamente. Interessante anche notare come questa sia a quanto mi ricordo la prima volta che il Dottore ha a che fare con un'autorità religiosa esistente, invece che una delle tante religioni inventate della serie: è un passo tutt'altro che scontato, visto quanto è sensibile la gente su questo argomento.

Un ottimo episodio che conferma la tendenza crescente di questa stagione, sicuramente molto Moffatiano, ma l'attuale showrunner si è sempre distinto per la sagacia delle singole storie. Vedremo se il confronto con i monaci sarà all'altezza della loro introduzione (sono davvero così pericolosi?), ma per il momento possiamo attestarci su un voto 7.5/10

Propulsioni d'improbabilità

La notizia sta iniziando a girare, quindi mi aggrego alle news in transito e annuncio anche dal mio blog l'imminente uscita di Propulsioni d'improbabilità, raccolta di 18 racconti pubblicata da Zona 42 e curata da Giorgio Majer Gatti che contiene una mia storia.

Il progetto che sta dietro questa antologia è piuttosto ambizioso. Come si può leggere nell'introduzione di Gatti (scaricabile con l'anteprima dalla pagina del libro), l'intento è quello di offrire uno stato dell'arte della fantascienza italiana di oggi, ma senza imporre ad autori e lettori limiti derivanti da definizioni, contesto storico, critica letteraria, per staccarsi dal paradigma del "noi contro loro" che vede spesso contrapposte la fantascienza (e tutta la narrativa di genere) e il cosiddetto mainstream. Il volume cerca l'attenzione tanto del pubblico di appassionati quanto di quello generalista, ma non ponendosi come un esempio contaminato di literary fiction come in passato qualcuno ha provato a fare, poiché non si parte dall'assunto che la fantascienza abbia bisogno di essere legittimata. Scrive il curatore: "Quello che sappiamo è che la fantascienza non ha bisogno di costruirsi quarti di nobiltà letteraria, così come non ha bisogno della consacrazione sociale della letteratura o della critica mainstream. Le basterà non prendersi troppo sul serio: Douglas Adams insegna."

Il riferimento ad Adams, già presente nel 42 della Zona, ritorna anche nel titolo: la propoulsione a improbabilità infinita è quella che permette all'astronave Cuore D'oro della Guida Galattica per Autostoppisti di attraversare gli spazi siderali in pochi istanti. E, incidentalmente, di essere ovunque in qualunque tempo e qualunque forma. Il che è una buona analogia per cosa la raccolta nel suo complesso cerca di dire al lettore.


I nomi presenti sulla copertina possono essere familiari ai lettori di fantascienza che si dedicano anche agli autori italiani contemporanei. Naturalmente ognuno sarà giudicato per la qualità delle sue storie, ma per chi crede in queste cose si potrebbe fare un medagliere di premi e nomination ricevute dall'intero gruppo: tra Premi Italia, Urania, Robot e così via si raggiunge una cifra ragguardevole. Ma non solo: nell'ipotetico medagliere si trovano anche dei Premi Strega, autori che possono essere sconosciuti all'appassionato di sf (per esempio io), ma con un profilo ben noto in altri ambienti. È anche questa la scommessa della raccolta, mostrare come la fantascienza non sia (e non debba essere) un piccolo orticello coltivato solo da pochi per quanto meritevoli fan, ma un modo di parlare delle cose che tutti possono praticare e comprendere.

Il mio contributo all'antologia è il racconto Infodump. Senza stare a dare particolari sulla storia, il tema di fondo è quello dell'onnipresenza delle informazioni, con qualche trucchetto metatestuale sul nozionismo di cui spesso è imputata la narrativa di fantascienza che è anche un po' un inside joke. Sono stato "invitato" a partecipare all'antologia verso la fine dell'anno scorso (l'annuncio del progetto è stato dato a Stranimondi 2016), ma questo non comportava in nessun modo un posto garantito per il mio racconto, pur costituendo fino ad ora la metà del parco autori italiani di Zona 42. Ho inviato prima la mia idea e poi la bozza del racconto a Giorgio Majer Gatti, con cui sono stato contento di lavorare di nuovo dopo l'esperienza con Parallàxis. Ho ricevuto i suoi suggerimenti e dopo qualche scambio di testi e idee siamo arrivati alla versione definitiva che troverete nel volume. So anche che lo stesso approccio è stato seguito con tutti gli autori, senza favoritismi di sorta e con qualche illustre escluso. Il livelllo qualitativo si preannuncia quindi medio-alto, così come la varietà di temi, registri e stili. Dice ancora Gatti nell'introduzione: "I racconti che leggerete hanno legami invisibili tra loro, che non sono stati mai voluti né decisi: lunghi e brevi, più o meno narrativi, immediatamente fantascientifici o più duri da scavare nel loro guscio fantastico, tutti i racconti esorcizzano tensioni narrative sottostanti, rivelano politiche, muovono critiche sociali, attraversano disturbi e ossessioni, mettono sul piatto felicità malinconiche o illuminate, psicologie pubbliche e oscurità private, timori storici e paranoie."

Il volume uscirà in cartaceo e digitale a fine mese, ma è già disponibile in preordine sul sito di Zona 42. La prima presentazione sarà fatta nell'ambito dell'Italcon, il 27 maggio a Chianciano Terme, ma ne seguiranno altre a cui con tutta improbabilità sarò presente anch'io.

Doctor Who 10x05 - Oxygen

Nelle serie tv si tende spesso a sottovalutare l'autore che scrive i singoli episodi, soprattutto per le serie più moderne che costituiscono una storia unica divisa in più capitoli, dove l'apporto alla scrittura è dato soprattutto dall'autore principale. Nelle serie invece con episodi più indipendenti tra loro, come possono essere quelle investigative o il qui presente Doctor Who, il contributo di uno specifico autore può spesso essere determinante, ricordiamo ad esempio come Steven Moffat prima di diventare lo showrunner ha scritto alcuni degli episodi più memorabili della serie rinnovata fin dalla stagione uno (The Empty Child, Blink, Silence in the Library). Abbiamo avuto un caso recente di un autore che ha dimostrato per due volte (nella stagione otto e dieci) di avere le idee un po' confuse, mentre invece Jamie Mathieson è un nome che sembra associarsi a episodi di qualità, se non altro solidi e coerenti dal punto di vista della scrittura e con qualche twist azzeccato.

Con Oxygen abbiamo la prima avventura spaziale di Bill, che finora era stata nel passato e nel futuro, ma sempre con i piedi solidamente per terra (al più sott'acqua). Il Dottore si lascia prendere dalla nostalgia dello Spazio e porta la nuova companion e Nardole con sé su una stazione mineraria semiabbandonata. Lo sfruttamento del personale su questa stazione è tale da far pagare ai lavoratori anche l'ossigeno, presente in scorte limitate e di cui molto presto anche il trio di nuovi arrivati ha bisogno (Nardole dovrebbe essere un mezzo androide ma a quanto pare conserva ancora diverse funzioni fisiologiche). A complicare le cose c'è il fatto che i 36 operai asfissiati finora non se ne stanno morti come dovrebbero, ma seguono i sopravvissuti cercando di terminare anche loro. L'impressione è quella di un'orda di zombie, spiegata dagli automatismi delle tute spazial in grado di muoversi da sole, anche con il loro occupante inerte.

L'episodio è ben costruito perché riesce a creare in maniera impeccabile la sua tensione. Qualcuno nel team di DW si è accorto di quanto Peter Capaldi renda bene nei monologhi, e così la puntata inizia con una sua lezione tenuta all'unversità proprio sui rischi dell'esposizione al vuoto dello spazio. Un infodump che si rivela utile quando mezza puntata dopo, è Bill (che aveva seguito la lezione) a trovarsi nella situazione di dover attraversare l'esterno della stazione spaziale senza protezioni. Sono attimi intensissimi: si sa quello che può succedere e non c'è modo di evitarlo, il Dottore cerca di ricordarle cosa fare per aumentare le possibilità di sopravvivenza, i sensi si offuscano, e tutto finisce nel buio. Naturalmente Bill non muore, ma ci va di nuovo vicina poco dopo, quando il Dottore sembra abbandonarla agli zombie-tute (il modo in cui Bill sopravvive a questo è forse l'unico dettaglio un po' stonato e incoerente con quanto visto prima). Il Dottore alla fine riesce a fermare la minaccia dando agli aggressori quello che vogliono, in una scena che ricorda il finale di Mummy on the Orient Express sempre di Mathieson.

Ma la vittoria non è indolore. Il Dottore ha sofferto una perdita non da poco ed è rimasto cieco. E se un in un primo momento le cure disponibili sul Tardis sembrano risolvere il problema, si scopre che in realtà non è così, la vista non è tornata. È molto raro che le azioni di un episodio si ripercuotano sui successivi, in genere anche se c'è un generico "progresso" della storia (soprattutto nelle relazioni tra i personaggi e negli elementi che vengono aggiunti all'arco narrativo della stagione), ogni puntata è un capitolo a sé e all'inizio di quella successiva le condizioni di partenza si resettano. Non stavolta. Naturalmente la speculazione si apre sul fatto che il Dottore possa rimanere cieco per tutto il resto della stagione oppure se sfutterà la rigenerazione per tornare a vedere. La mia teoria è che tenterà una rigenerazione "parziale" per ripristinare la vista, ma questo avvierà il processo che lo porterà inevitabilmente al cambiamento, e che sarà costretto a tenere sotto controllo nel corso degli episodi rimanenti.

Oxygen è un ottimo episodio (finora il migliore della stagione dieci) perché per la prima volta il pericolo si percepisce in modo serio. Merito non solo della scrittura, ma anche di regia e montaggio, che sottolineano con precisione i momenti più intensi. Voto: 8/10

Ultimi acquisti - Aprile 2017

È un dato di fatto ormai che i miei acquisti musicali si sono notevolmente ridotti da un anno a questa parte, infatti gli ultimi risalivano a ottobre. Certo il portafoglio ringrazia, ma lo stimolo che arrivava ogni due-tre mesi da nuova musica è qualcosa che a tratti mi manca. Cerchiamo se non altro di compensare con la qualità.


Tra i nuovi acquisti c'è un album di cui ho già parlato, perché mi ha sorpreso oltre ogni aspettativa. Voyage de la planète di Marc Romboy è un disco che unisce in maniera sublime due generi apparentemente antitetici, musica classica ed elettronica, con una chiave tematica gustosamente fantascientifica. Non serve aggiungere altro a quanto già ampiamente espresso nel post dedicato, quindi rimando a quello.




Altro album di cui non mi rimane molto da parlare è Live dei Moderat. Si tratta come intuibile di una versione live dei pezzi del gruppo, registrato durante il tour del 2016 tra Berlino e Milano. Non contiene solo pezzi tratte dall'ultimo album III (di cui ho parlato qualche mese fa) ma anche dei due precedenti. Si trovano così le interpretazioni sul palco di pezzi diventati classici come A New Error e Bad Kingdom, così come le nuove aggiunte come Reminder e Intruder. Di scarsa consolazione per chi avrebbe potuto essere presente, ma comunque coinvolgente.



Passiamo alle novità anche se ci manteniamo sui nomi familiari di questo blog. Fritz Kalkbrenner si è visto spesso da queste parte, sia parlando dei suoi album che per l'inclusione in diversi miei dj set. Il suo lavoro Grand Départ è uscito verso la fine del 2016 e l'ho recuperato solo adesso. Tredici pezzi techno-folk come ci ha abituato da anni, col suo stile particolare e riconoscibile. Niente di stravolgente per la verità, un buon equilibrio tra tracce strumentali e lyrics e l'aggiunta di qualche strumento che contribuisce a rendere l'atmosfera per lo più malinconica di questo viaggio. Affidabile come sempre.


Nicolas Jaar è probabilmente quanto di più hipster troverete su questo blog in termini musicali. La sua house/downtempo avvolgente piace molto in certi ambienti, e devo dire che per molti versi piace anche a me. Pezzi lenti dari ritmi semplici con qualche incursione tribal, testi basilari e mai invadenti, attenzione ai suoni. Sirens, uscito anch'esso verso la fine del 2016, è un album tutto sommato di ascolto non così facile, con le sue poche tracce alcune delle quali al confine con l'ambient più astratta. Si percepisce però un criterio e un progetto, e l'impronta dell'autore, per quanto non assimilabile da tutti, è ben presente.


Infine torniamo da uno dei miei patroni favoriti della techno propriamente detta, il polacco Jacek Sienkiewicz, che ha fatto uscire Hideland l'anno scorso. Sienkiewicz è uno che non cede ai cormpromessi delle tendenze, la sua è una techno dritta, essenziale nella struttura ma complessa nella realizzazione. Pezzi psichedelici e ripetitivi, ma nonostante questo mai monotoni o uguali a se stessi, impossibili da ridurre a minimi termini. Siamo ovviamente dalle parti che i profani commentano con "ma è tutto così?", ma chi sa cogliere le sfumature può apprezzare la perenne asimmetricità e circolarità di ogni traccia. Non lo consiglio a chi è digiuno di techno old school.

Doctor Who 10x04 - Knock Knock

Ogni tanto Doctor Who si concede di giocare con alcuni trope di altri generi come l'horror e reinterpretarli i chiavi fanascientifica, o quantomeno whoviana. Gli esempi più recenti sono la mummia e il mostro sotto il letto della stagione otto, ma ce ne sono molti altri sia nella serie moderna che in quella classica. In questo episodio torniamo a visitare una "casa stregata", cliché che a sua volta era stato rivisitato nella stagione sette nell'episodio Hide, anche se in quel caso si trattava esplicitamente di una casa infestata da un fantasma, mentre stavolta si parla più di un edificio sinistro in cui accadono strane cose.

Knock Knock nonostante si basi sulle assi scricchiolanti si regge bene nella prima parte. Bill e i suoi compagni di studi si trasferiscono nella nuova casa, incomprensibilmente economica per le dimensioni, e subito notano le varie stranezze, dai rumori all'inquietante proprietario. La tensione cresce bene fino a quando si arriva al punto in cui la casa sembra viva e dotata di una sua volontà di intrappolare gli occupanti, e alcune scene possono effettivamente far salire qualche brivido a chiunque abbia mai sentito suoni inspiegabili nel cuore della notte. La tensione però si smonta come maionese impazzita quando viene rivelata l'origine delle stranezze: non è un'entità-casa, ma la presenza di milioni di tarli (presumibilmente alieni) che infestano e anzi costituiscono la casa stessa. Insetti sotto il controllo del proprietario, che ha a sua volta un segreto più grande, e una ragione più profonda per la necessità di consumare un gruppo di ragazzi ogni vent'anni.

Diciamo pure che si arriva alla fine di Knock Knock soddisfatti è grazie soprattutto alle interpretazioni degli attori. In primo luogo il landlord, l'attore brittanico David Suchet (famoso soprattutto per il personaggio di Poirot nella longeva serie omonima) che riesce a rendere alla perfezione i diversi ruoli e atteggiamenti del suo personaggio: la sequenza più intensa dell'intero episodio funziona solo grazie a lui. Per Capaldi non c'è bisogno di ulteriori conferme, e la nuova companion continua a confermare la sua efficacia e alchimia con il Dottore. Ma bravi, pur nel loro ruolo marginale e per forza di cose macchiettistico, anche gli altri coinquilini. Gli attori rendono quindi l'episodio gradevole, perché se ci si fermasse a riflettere sulla storia, assurdità e incongruenze sarebbero troppo pesanti, insieme a qualche scelta di design poco originale (di creature-albero ne abbiamo già viste diverse, a partire dalla stagione uno fino a uno speciale natalizio di Matt Smith).

Non so se è un caso o un tema volutamente ricorrente, ma finora tutti gli episodi di questa stagione si basavano su un cattivo-che-non-è-davvero-cattivo, vuoi per necessità di compagnia, vuoi per un errore di interpretazione, o perché prigioniero o perché ha spinto all'estremo la sua necessità di proteggere qualcuno di caro. Forse è un po' nella natura del Doctor Who moderno fornire villain che non sono del tutto negativi, ma in questi primi quattro episodi della stagione dieci il trend è decisamente marcato.

Da notare il breve accenno del Dottore ai Time Lord e alla rigenerazione, argomento che sembra pungerlo, come se già sapesse che la sua fine è vicina: noi lo sappiamo per ragione off-universe, ma quali indizi potrebbe avere lui? Nel finale si torna anche alla stanza sigillata sotto l'università, e si scopre che in effetti il Dottore può accedervi, e dentro c'è effettivamente qualcuno con cui conversa. I sospetti si concentrano sempre di più sul Master, ma sembra quasi troppo scontato.

Knock Knock rimane un episodio tipico di DW, con qualche buona idea e una realizzazione non del tutto all'altezza, che si salva soprattutto per un paio di momenti molto forti. Due-tre episodi così di fila sono sostenibili, dopodiché si spera in una scossa un po' più forte per mantenere alta l'attenzione. Voto: 6.5/10

Rapporto letture - Aprile 2017

Magro bottino il mese scorso, visto che ho completato un unico libro. Anche se, in effetti, si tratta di un volume che contiene quattro romanzi insieme.

Sto parlando di Tschai, il libro uscito nel 2006 (cioè ce l'ho da più di dieci anni in casa e non l'avevo ancora toccato) nella collana Urania "Le grandi saghe", durata lo spazio di 3-4 numeri. Il libro contiene i quattro romanzi di Jack Vance ambientati sul pianeta Tschai, partendo dal naufragio di Adam Reith fino alla sua fuga. Una saga di un gustoso planetary romance che pochi altri autori erano in grado di scrivere a questi livelli, piena di avventura, esplorazione, passione, colpi di scena e nemici sempre più letali. Sapevo a cosa andavo incontro e ho cercato apposta qualcosa con questo livello di leggerezza, sempre con l'intenzione di disintossicarmi dalla hard sf dopo l'impegnativa lettura di Seveneves. Tschai fa bene il suo lavoro, fornire evasione e sense of wonder al lettore, anche se soffre di un paio di difetti minori dovuti forse all'epoca e alla storia editoriale delle opere. Abbiamo innanzitutto un protagonista infallibile: forte, astuto, coraggioso, esperto in molte discipline. Da solo riesce a sovvertire più di un regime in vigore su un pianeta alieno, e questo nonostante non avesse nessuna preparazione particolare oltre a quella di membro dell'equipaggio dell'astronave naufragata. Peraltro di lui non si sa quasi nulla, in quattro romanzi non si trova mai il tempo per raccontare qualcosa del suo passato e della sua vita sulla Terra. In secondo luogo, ho notato un certo atteggiamento nei confronti dei personaggi femminili che oggi farebbe rabbrividire. Quando ancora è immobilizzato e ostaggio di una tribù nomade, Adam Reith si concede di afferrare una donna e baciarla. La poveretta poco dopo verrà uccisa, ma Reith non imparerà la lezione e in seguito avrà comportamenti simili con tutte le altre donne che gli capitano a tiro, e dal tono usato dell'autore si capisce che questo atteggiamento è pienamente lecito. Infine c'è una certa tendenza in ogni storia a concludersi bruscamente, trovando una soluzione al problema in corso nello spazio di poche pagine. Quella più clamorosa è proprio la fuga finale dal pianeta, quando finalmente Reith riesce a ottenere un'astronave funzionante, e la sua partenza dal pianeta che ha occupato quattro romanzi si svolge letteralmente in mezza pagina, a poche righe di distanza dal confronto finale col nemico di turno. Per la verità mi sarei aspettato un finale diverso, come una grande rivoluzione degli umani di Tschai (che si capisce essere stati importati come schiavi dalla Terra millenni prima) guidata da Reith, invece il prodigioso cavaliere si accontenta di fare retromarcia e tornarsene alle comodità del suo pianeta natale. In fondo, chi può biasimarlo? Voto: 7/10
A essere onesto, devo ammettere che ho preso in mano un altro libro ad aprile. Dico "preso in mano" perché in effetti, dopo qualche giorno di lettura, l'ho abbandonato. Una cosa che a mia memoria non avevo mai fatto, ma stavolta dopo le prime 100 pagine non mi sono sentito di andare avanti, sia la storia che la scrittura erano di livello davvero basso. Non avendolo completato non posso commentarlo, e preferisco così, per non dover dare spazio al facile fuoco di fila su materiale scadente che è la linfa vitale di tanti altri recensori.

Doctor Who 10x03 - Thin Ice

Già nel finale di Smile avevamo visto la nuova coppia Dottore-Bill comparire per uno dei soliti errori (forse non del tutto involontari) del Tardis in un'epoca diversa da quella da prevista, e guarda caso l'approdo è avvenuto nella Londra del diciannovesimo secolo, che deve essere evidentemente un nodo spaziotemporale molto potente visto che almeno una volta su dieci il Tardis si materializza da quelle parti. Nello specifico l'anno è il 1814, nel bel mezzo dell'ultima Frost Fair (di cui ignoravo totalmente l'esistenza), ovvero un festival tenuto occasionalmente  sul Tamigi congelato. E come il titolo suggerisce, è proprio il ghiaccio, o meglio quello che si nasconde al di sotto, a rappresentare la minaccia dell'episodio.

Dal punto di vista della trama, Thin Ice riprende lo schema frequente del mostro trattenuto contro la sua volonta da malvagi schiavisti umani che approfittano delle sue capacità. Nel corso del Doctor Who moderno questo trope si è ripetuto più e più volte, la più recente nell'episodio Time Heist della stagione 8, ma come già si diceva nel commento della puntata precedente, è difficile poter mantenere l'originalità come criterio guida di una serie tanto longeva. Per cui cerchiamo di ricavare quanto di megio dallo svolgimento della storia piuttosto che dalla sua premessa.

In realtà spremendo il succo di questo episodio si torna di nuovo allo sviluppo del rapporto tra il Dottore e la nuova companion. Il primo viaggio nel passato è l'occasione per Bill di imparare alcune nozioni sul viaggio nel tempo, partendo dalla solita domanda "cosa succede se schiaccio una farfalla?" La preoccupazione di Bill di poter influenzare gli eventi futuri è risolta dal Dottore facendole notare che le sue scelte hanno sempre conseguenze sul futuro, il che è un'ottima risposta considerando che le regole del viaggio nel tempo in DW non sono mai state definite e si prestano a diverse interpretazioni a seconda delle necessità del caso.

Ma questa è anche la prima volta che Bill inizia ad avere qualche dubbio sulla moralita del Dottore. Quando lui afferma di non poter fare niente per salvare il bambino sprofondato nel ghiaccio, lei ne rimane sconvolta e delusa. Capisce che il suo insegnante non è l'eroe perfetto che credeva, e arriva a chiedergli direttamente se ha mai ucciso qualcuno. La risposta evasiva del Dottore è sufficiente a farle capire che il suo professore è un personaggio più oscuro di quanto appaia. Poco dopo però il Dottore ha l'occasione di riscattarsi, con un discorso ispirato sulla natura umana che ripristina la fiducia di Bill. Nel finale dell'episodio poi, è di nuovo il Dottore a passarle la palla, con una dinamica simile a quella vista in Kill the Moon: quando si arriva a scegliere tra liberare la creatura e mettere in pericolo gli abitanti di Londra, la scelta viene passata alla ragazza. Dopo averlo accusato di non dare valore alla vita umana, Bill deve quindi compiere la stessa valutazione, e decidere quale sia la cosa giusta da fare, secondo parametri più ampi di quelli in cui era abituata a ragionare. Il dilemma morale dura poco e naturalmente si risolve per il meglio, ma è comunque una riproposizione efficace delle responsabilità che comporta il ruolo di companion del Dottore.

L'episodio si sofferma anche brevemente su tematiche antirazziste, all'inizio notando quanti abitanti non-bianchi siano presenti nella Londra del 1814 (non so quanto questo sia accurato, ma funziona nel modo in cui viene proposto) e con la reazione ai commenti sprezzanti del cattivo di turno. Dopo l'attenzione data a una protagonista lesbica, qualcuno potrà storcere il naso pensando che anche Doctor Who si sia lasciato trascinare nel circolo dei Social Justice Warriors per attirare consensi, ma a mio avviso questi elementi di politically correct sono gestiti in modo abbastana delicato, senza appesantire la storia, quindi ben venga se si riesce a lanciare in modo incidentale qualche messaggio di tolleranza.

L'ultima nota relativa a questo episodio è la scena finale, in cui un Nardole ancora ligio al suo dovere parla alla stanza sigillata dal cui interno qualcuno inizia a bussare. Si inizia quindi a delinare la possibilità che il Dottore stia sorvegliando qualcuno di importante, e le ipotesi più convincenti sono quelle del Master o del Primo Dottore (che si vocifera comparirà nello speciale natalizio, interpretato da David Bradley che già lo aveva impersonato in An Adventure in Space and Time). Thin Ice alla fine rimane un episodio piacevole, certo non memorabile, il cui punto di forza è ancora l'evoluzione del rapporto con la nuova compagna di viaggio. Voto: 6.5/10