Rapporto letture - Maggio/Giugno 2024

Metà 2024 è passato e quindi sarebbe il caso di fare un semibilancio delle letture dell'anno, ma non lo faremo perché why bother. In compenso ripercorriamo le letture degli ultimi due mesi, rilevando come anche stavolta abbia avuto una discreta variabilità di generi, epoche, nazionalità, temi. Bravo me.

Iniziamo con uno dei miei esperimenti di lettura di autori self del fantastico. Ho provato con Incantesimo di Giulia Canteri che non mi ricordo in che modo ho selezionato. La storia di una principessa fuggita da un regno caduto che viene salvata da una misteriosa regina magica che sembra volerla legare a sé per sempre. Questo libro è un caso anomalo tra i self letti nell'ultimo anno e mezzo, perché laddove nella maggior parte dei casi questi erano irredimibili sotto tutti i punti di vista, stavolta ho percepito la presenza di un messaggio, di un nucleo tematico su cui la stori avrebbe potuto reggersi. Il rapporto ambiguo e quasi tossico tra la regina e la principessa, i sospetti incrociati, i tratti da thriller psicologico: elementi che ben diretti avrebbero potuto formare un fantasy se non altro più originale e personale della media che si trova in giro. Purtroppo l'esecuzione è gravemente insufficiente, la scrittura è scolastica, piena di ripetizioni ed errori di soggetti/tempi verbali, la struttura è assente, molti capitoli sono solo "cose che succedono" e non contribuiscono in nessun modo alla storia. Questo è il caso da manuale di libro (e autrice) che avrebbe avuto bisogno di un affiancamento, di maggior cura ed esperienza. Non è stato così, e anche l'"editing" dell'"editore" (Bookabook...) non ha portato nessun miglioramento. Se questo è il risultto di un testo sottoposto a revisione, si fa presto a immaginare le competenze di chi ci ha lavorato. Apprezzo le intenzioni, e ho fiducia che Canteri se continuerà a scrivere e a studiare, con meno fretta e più umiltà, potrà fare qualcosa di valido. Questo purtroppo rimane un voto 4/10

Una delle mie grandi lacune nell'ambti della fantascienza è il ciclo della Cultura di Iain M. Banks. Di questo autore ho letto varie altre cose (se lo cercate qui dovrebbe uscire fuori) ma niente della sua saga più apprezzata nell'ambito della space opera. Mi ero preso La mente di Schar (aka Consider Phlebas) nella vecchia edizione Nord da Libraccio, e quindi ho pensato che fosse il caso di provare. Se da una parte si percepisce che è una storia scritta negli anni 90, per il modo di condurre la narrazione, dall'altra questa rimane una space opera fatta come si deve, con tanta immaginazione, un contesto ampio e variegato, personaggi memorabili e finale dolceamaro. Forse avrebbe potuto essere un po' più corto, e alcune parti dell'avventura sembrano slegate dal resto, quasi come se fossero puntate filler, però è tutto così avvincente che comunque si va avanti con piacere. Ci tornerò sicuramente, un giorno. Voto: 7/10


Non parlerò de La strada. Quello che c'è da dire è già stato detto, e io non potrei aggiungere niente alla discussione. È la mia prima esperienza con la scrittura di Cormac McCarthy (un altro dei recuperi che volevo far da tanto) e nonostante un po' di spaesamento iniziale, quando sono entrato nel flusso è stato totalizzante. Questo libro mi ha fatto male. Lo aveva fatto anche il film, quando l'ho visto anni fa. Non è un'analisi critica, è una questione personale. Non c'è niente di oggettivo, sto ragionando solo di pancia e di magone. Non voglio più leggere un libro così, anche se ho bisogno di altri libri così. Non posso esprimere un voto.

 

Tra gli eventi che capita occasionalmente di presentare alla libreria Il Giardino delle Parole di Pistoia (passateci), l'ultimo della stagione 2023/2024 è stato il romanzo Gente alla buona di Mattia Grigolo. La storia di un borgo qualsiasi, nella campagna lombarda, uno di quei paesi dove tutti si conoscono e la gente mormora. Due generazioni contrapposte, con un eveno traumatico in mezzo a separarle, o forse unirle. Il romanzo si prende il suo tempo inizialmente per dare spazio a ognuno dei personaggi principali, molti dei quali sono una sorta di archetipo dei piccoli paesi (il matto, il prete, il contadino, il becchino) e la vicenda principale che fa da motore a tutto ci mette un po' a uscire sulle pagine. Nonostante ci sia una sorta di mistero alla base, in realtà la ricerca della soluzione non è il punto della storia, e quando la otteniamo è quasi anticlimatica, non risolve niente e anzi ci fa sentire ancora più privi di appigli, perché ora che sappiamo non abbiamo idea di cosa dovrebbe succedere (probabilmente niente). In questo senso il libro riproduce bene le dinamiche di questi posti in cui tutto cambia per rimanere sempre uguale. Manca forse un po' di mordente, perché la storia di per sé non è fatta per catturare e la scrittura non ha particolari guizzi (ho letto altro di Grigolo, e so che può essere più incisivo di così), per cui in diverse occasioni si ha la sensazione che si sarebbe potuto chiudere tutto molto prima, e che il racconto sia il pretesto per una sessione di autoanalisi. La presentazione comunque è stata una delle più divertenti che mi è capitato di condurre, e abbiamo potuto parlare dei personaggi dei rispettivi paesini di origine. Voto: 6.5/10

 

Altro libro di cui avevo già visto il film prima, e a me Cloud Atlas delle Wachoswski era anche abbastanza piaciuto, in controtendenza all'impressione generale. Avevo da tempo il libro di David Mitchell e mi sono deciso a iniziarlo. Interessante la struttura "nidificata" con le epoche che progrediscono dal passato verso il futuro e poi indietro, con il futuro remoto postapocalittico come cuspide di questa progressione. Veramente interessante il gioco letterario di usare forme diverse di narrazione, dal diario alle lettere al noir alla confessione, con le rispettive variazione della lingua e del tono delle storie. Non tutte le storie hanno lo stesso valore, in particolare la prima che apre e chiude il volume forse è proprio la più insipida, anche perché tra quando si inizia e quando si termina sono passate centinaia di pagine e non ci si ricorda nulla. Nel complesso però il gioco funziona, e il messaggio delle storie personali che attraversano le epoche e ispirano chi viene dopo a fare la propria piccola parte è motivazionale ma non consolatorio. Il climax della parte centrale del libro, con la storia nel futuro remoto, l'ho trovato abbastanza commovente, anche grazie ai title drop sapientemente distribuiti. Un romanzo ambizioso, che anche se non è riuscito al 100% merita sicuramente la lettura (come il film, del resto). Voto: 8/10

 

A distanza di qualche anno dalla mia ultima incursione nel Regno di Taglia, ho ripreso la serie di Luca Mazza/Jack Sensolini perché a breve uscirà l'ultimo capitolo. Ho letto quindi Apocalemme, che rimette l'etica e l'epica nella saga che vantava niente di epico e niente di etico. La storia segue da una parte Re Sudario, impegnato nella sua guerra santa (cappiata, in quanto guerra nel nome del messia impiccato) alle porte dell'inferno, contro schiere di demoni ispirate ai semi della briscola. Sì, è esattamente così, ci sono scartini, fanti e re di bastoni, spade, coppe e denari, ognuno con raffigurazioni e poteri particolari. Dall'altra parte ci sono i Fratelli di Taglia, la lega di mercenari senza affiliazione che devono decidere se riunire le forze per combattere l'imminente minaccia che straripa dall'inferno. Il livello di questo testo mi sembra di molto superiore a quello di Vilupera, che pure era elevato. Se in quello si indugiava più nel citazionismo e nell'esagerazione, qui anche grazie a una costruzione più solida del mondo che si è accumulata andando avanti nel progetto, la storia assume una sua identità autonoma, e l'audacità letteraria porta a qualcosa che credo non si sia mai visto nel fantastico italiano. Continuano a esserci esagerazioni e catchphrase, caricature e splatter, ma è tutto estremamente serio nonostante la frivolezza, così che si riesce a ridere e appassionarsi allo stesso tempo. Un equilibrio sottile ma perfetto tra la farsa e il dramma, che mi ricorda gli spaghetti western (che io adoro). Probabilmente non tutti gli appassionati dei fantasy lo apprezzerebbero, e ci sarebbe una bella schiera di trigger warning da premettere, ma questo libro e questa serie, a mio avviso, è una delle poche cose che potrà rimanere del fantastico italiano di questo decennio. Voto: 9/10


Hallucigenia

Era da un po' che non mi coinvolgevano in un'antologia, anche perché ultimamente mi sto tirando indietro da vari progetti perché il tempo e la voglia mancano sempre di più. Tuttavia quando il buon prof aretino Andrea Berneschi, con cui ho condiviso alcuni dei miei primi passi editoriali (faceva parte di quel gruppo variegato con il quale è uscita la mia prima antologia Spore e la sua prima antologia Necroniricon), mi ha proposto di scrivere un racconto "fantasy psichedelico", io ho risposto "checazzo vuol dire". Poi mi ha spiegato che voleva dei racconti fantastici surreali e allucinati, che forse più che fantasy penso che si possano inquadrare nell'ambito del weird che tanto ingloba tutto quello che è oco definibile, ispirati da Dalì, Bosch, Jodorowsky. È  stato a causa sua che mi sono procurato e ho letto L'Incal, e questo avveniva alcuni anni fa perché il progetto era nato prima con una certa intenzione, si è perso per la strada e poi è stato recuperato e finalmente ha trovato la sua via nell'antologia Hallucigenia.


Che poi, chiedi a me di partecipare a una raccolta che porta come titolo il nome di una enigmatica creatura preistorica della notte dei tempi, cioè, stiamo a posto proprio. Onestamente non ho letto niente degli altri racconti presenti, ma ci sono nomi interessanti che si muovono nel sottobosco sia dell'editoria tradizionale che self, come gli stessi curatori Andra Berneschi e Michele Borgogni, ma anche Lorenzo Davia, Giorgio Smojver, Ambra Stancampiano, Flavio Torba, Stefania Toniolo. Insomma le prospettiva sono buone. L'introduzione è di Cristiano Saccoccia e abbiamo endorsement e blurb di Vanni Santoni.

Il mio racconto che chiude la racoclta (presumo per mere questioni alfabetiche) è Il canto della gigattera, una storia di guerra in cui il protagonista è un gastronauta (sic), un pilota di balene che per dirigere queste bestie sottomarine deve farsi ingoiare e sottoporsi a una digestione controllata che gli permette di entrare in contatto con il loro subconscio... e potenzialmente con quello del padre morto digerito da quella stessa gigattera prima di lui.

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Doctor Who 14x07+08 - The Legend of Ruby Sunday + Empire of Death / Il dio della morte + Morte e rinascita

Forse se avessi fatto il commento separato per i due episodi che fanno da finale di stagione la prospettiva sarebbe stata diversa, ma visto che ero in ritardo di una settimana, recupero così. In ogni caso fondamentalmente sul primo del doppio episodio c'è poco da dire, visto che tutto si concentra sull'investigazione del mistero di "Susan", la donna che compariva continuamente nel corso della stagione in varie occasioni, e della madre di Ruby che la abbandona davanti alla chiesa la notte di natale 2004 e che è impossibile da identificare. Tutto questo avviene grazie all'aiuto della UNIT, con Kate Stewart e Mel che avevamo già rivisto in The Giggle. Il Dottore ha motivo di sospettare che quella Susan sia sua nipote, abbandonata sulla Terra migliaia di anni prima, anche perché ha fondato un'azienda che si chiama Triad Technology, e quindi S. Triad = Tardis. Per qualche ragione crede che il mistero di Susan e quello di Ruby siano collegati, quindi li investiga in parallelo finché scopre che Susan non c'entra niente con tutto questo ed era solo una trappola preparata dal vero nemico, che era S. Tech = Sutekh.


Sutekh è uno dei villain storici della serie classica, per la verità comparso in un unico episodio The Pyramids of Mars con il Quarto Dottore, tuttavia è rimasto impresso perché era uno dei più potenti esseri mai affrontati e che inizialmente aveva avuto la capacità di sottomettere il Dottore. Alla fine era stato "esiliato" nel time vortex e quindi si presumeva che fosse rimasto lì per sempre. A quanto pare invece, fin da allora Sutekh si era agganciato al Tardis e quindi aveva viaggiato con il Dottore per tutto il tempo e solo adesso si rivela con i suoi araldi di morte per annientare tutta la vit dell'universo, poiché in quanto dio della morte questo è il suo unico scopo.

The Legend of Ruby Sunday si conclude con il cliffhanger della rivelazione del nemico, ma l'inizio di Empire of Death rende subito chiaro che le stakes saranno basse perché a tre minuti dall'inizio tutto il cast secondario (a parte Ruby e Mel) viene eliminato: Kate, Rose Noble, vari compagni e amici della UNIT, tutti polverizzati (oltre, presumiamo, anche al Quattordicesimo Dottore con la faccia di Tennant che è ancora lì da qualche parte...). Di qui si deduce che l'episodio finira con un reset totale della situazione, e quindi tutta la tensione si dissipa. È chiaro che ci aspettiamo che il Dottore in qualche modo risolva sempre la situazione e sconfigga anche il dio della morte, ma mostrando subito una devastazione così totale, si perde completamente l'ansia che qualcosa di definitivo possa succedere davvero.

Purtroppo i problemi di questo episodio non si fermano qui, perché quello che segue è una serie di eventi inconsequenziali e incoerenti. Per qualche ragione Sutekh stesso (che è il dio della morte e che non desidera altro che l'annientamento di tutta la vita) è ossessionato dall'identità della madre di Ruby, e non uccide in maniera rapida lei e il Dottore solo perché cerca questa rispota. Il Dottore stesso è convinto che la soluzione a tutto il mistero stia lì (un sillogismo che non ha nessun fondamento), e quindi la sua preoccupazione principale di fronte all'universo completamente privo di vita è scavare ancora nei ricordi di Ruby o farle un test del DNA per scoprire chi è sua madre. Questa scoperta è così importante che permette al Dottore e Ruby (dopo che anche Mel è stata posseduta da Sutekh) di avvicinrsi al dio della morte e metterlo al guinzaglio. Letteralmente, al guinzaglio. Perché ha la forma di un cane, capito?

E quindi lo agganciano al Tardis (che peraltro finora era "in suo potere" era "il suo tempio" e non sarebbe "mai stato suo di nuovo") e lo portano a correre nel time vortex. Questo per qualche ragione resetta gli effetti della polvere di morte che aveva diffuso (la spiegaizone è che "death of death is life", e anche se possiamo accettare questa doppia negazione, non è chiaro in che modo trascinare Sutekh nel vortice debba innescare questo effetto, tanto più che il vortice Sutekh lo ha attraversato per millenni aggrappato al Tardis). Quindi Sutekh si disspia, venti minuti e due incontri dopo la sua rivelazione nel finale dell'episodio precedente. Tutti vivono, tutti felici.

C'è ancora da risolvere il mistero della madre di Ruby. Che si rivela essere: nessuno. Nessuno di speciale, così come Ruby. Non ha niente di speciale, ed era speciale solo perché loro le stavano dando importanza. Non è cozy e confortante? Che bel messaggio...

...se non fosse che non è stato il pubblico a pensare che la madre di Ruby fosse speciale, ma è stato lo show a puntare continuamente in quella direzione. Ruby faceva nevicare soltanto pensando a sua madre, il segreto sepolto dentro di lei ha fermato il dio della musica Maestro che ne era rimasto spaventato, la madre di Ruby sfuggiva all'identificazione del Tardis e del dio della morte, ha alterato i ricordi del Dottore durante il loro incontro nel 2004 e inoltre aveva fatto quell'azione dramamtica di puntare verso il Dottore/Tardis/qualcosa come un avvertimento e hanno passato un'intera puntata a investigare questa cosa.

Per cui arrivare a dire che la madre era solo una ragazzina quindicenne che la notte di natale vestita con un mantello con cappuccio va ad abbandonare la figlia davanti una chiesa e poi indica il cartello col nome della strada per dare il nome alla bambina e non ha niente di speciale nessun potere nessuna backstory nessun segreto, non ha assolutamente senso. Non tanto perché dovesse esserci la grande sorpresa, ma perché ciò che è stato settato all'interno della storia contraddice completamente la risoluzione che è stata data. E non si può giustificare con il fatto che questa cosa è "tematica" e porta il messaggio ("tutti possono essere speciali") ma è stata ottenuta con l'inganno e non chiarisce alcune delle dinamiche che sono state presentate (la nove, l'alterazione dei ricordi, la mimesi). Inoltre non ha senso nemmeno dal punto di vista mondano, perché le azioni della madre di Ruby durante l'abbandonon della figlia non sono affatto plausibili per il contesto.

Qui Davies ha portato avanti dei misteri e li ha trattati tutti come red herring, false piste che non avevano una soluzione e non intendono averla. Il mio sospetto in realtà è che abbia cambiato idea tr l'episodio di natale con i goblin e questo, e quindi la scena dell'abbandono è cambiata (e non ha potuto fare finta di nulla) ma non aveva una soluzione pronta e quindi l'ha trattata così. Questa però non è una soluzione soddisfacente, è incoerente e anche disonesta perché si basa su una costruzione portata avanti con estrema attenzione dalla storia per poi dissolverla in niente. E sarebbe più accettabile se quella della madre di Ruby fosse una storyline collaterale, ma è integrale alla disfatta del villain epico che è stato riesumato dall'alba dei tempi, per cui non si può trattarla come una spetto secondario. Aggiungendo a questo anche il red herring su Susan, diventa del tutto inaccettabile.

La verità, e sarebbe il caso che il fandom di DW lo accettasse, è che RT Davies non ha mai saputo scrivere archi narrativi. Non ho mai capito come si sia diffusa questa idea che Davies sapesse scrivere le stagioni e Moffat i singoli episodi, perché la costante nelle stagioni e nei finali di Davies è al contrario un anticlimax totale. L'unico arco degno di questo nome della tenuta di Davies è stato quello di Harold Saxon, per il resto da Bad Wolf in poi non c'è mai stato niente di efficace, coerente e ben programmato, ma sono sempre state rivelazioni con vaghi foreshadowing sparsi a caso nel corso degli episodi precedenti. Al contrario tutto l'arco di Melody Pond, delle crepe nell'univeros, dei Silence, anche dell'ibrido, ma addirittura il Timeless Child, per quanto abominevole, aveva comunque più senso e coerenza in quanto arco narrativo. Questo no.

Questa stagione nel complesso è stata più che soddisfacente, nei commenti degli episodi precedenti ho epsresso tutto il mio apprezzamento, ma questo finale è uno dei peggiori, mi sbilancio a dire anche peggiore di quelli di Chibnall, che per quanto deludenti almeno davano delle risposte. Non sto dicendo che rimpiango Chibnall, assolutamente, i suoi episodi eran insipidi e non sapeva come gestire il Dottore e le potenzialità dello show, cosa che Davies invece è capace di fare, ma questa conclusione nello specifico è davvero detestabile.

In tutto ciò, alla fien dell'episodio Ruby se ne va e il Dottore piange (ancora: va bene che questo è un Dottore molto emotivo, ma non è che gli deve scendere la lacrimuccia ogni volta), eppure sappiamo già che Millie Gibson sarà presente nella prossima stagione quindi... non se ne va davvero? Insomma anche qui sembra che siamo davanti a qualche red herring. Intanto aspettiamo l'episodio di natale, che tonerà in mano a Moffat, per grazia di dio.

Nel complesso il primo episodio del finale è sufficiente, ma il secondo terribile per cui la media di questo finale è un voto 5/10


Doctor Who 14x06 - Rogue / Nessuno è quel che sembra

Avevamo bisogno di un episodio regency in Doctor Who? Evidentemente sì, perché Rogue è proprio questo, portando il Dottore e Ruby in piena atmosfera Bridgerton con balli di corte scandali e tradimenti. Non è nemmeno una citazione o un parodia, è un riferimento diretto e forse gli stessi alieni antagonisti della puntata sono lì proprio per quello. Un po' come in Futurama gli omicroniani attaccano la Terra perché appassionati delle sue serie tv interrotte, qui questi mutaforma vengon a fare cosplay sulla Terra nelle loro epoche preferite.


Da una parte l'idea che i motivi degli avversari fossero così futili mi è sembrata azzeccata: per una volta non abbiamo piani di conquista morte e distruzione, ma soltanto qualcuno che vuole giovare e divertirsi, in questo caso a impersonare umani inconsapevoli nei loro futili intrighi amorosi. Dall'altra, introdurre ancora dei mutaforma che prendono il posto degli originali, quando già abbiamo gli Zygon, e quando di recente abbiamo fatto lo stesso giochino in Wild Blue Yonder forse si poteva evitare.

Ma al di là del monster of the week, la cosa notevole probabilmente è proprio il Rogue del titolo (quello originale almeno, quelli italiani lasciamo perdere). Rogue è un cacciatore di taglie che al pari del Dottore si è infiltrato in questa occasione per stanare e catturare gli alieni cosplayer, e fin dal loro primo incontro l'affiatamento è evidente. Dopo il solito bickering di due frenemies alla pari (molto simile a quello con River Song, si vede che il Dottre si innamora così) arriviamo alla prevedibile alleanza e a un autentico innamoramento del Dottore per questo fascinoso avventuriero. Ora, come ho già detto altre volte a me non piace molto il Dottore romantico e piacione (per quello nell'epoca moderno ho preferito Capaldi agli altri) però ne posso accettare la caratterizzazione, e bisogna ammettere che questo tipo di personaggio esce molto bene a Gatwa. Qui però mi è sembrato che il Dottore cadesse troppo facilmente e troppo velocemente nell'amore totale, pronto a lasciarsi tutto indietro per stare con Rogue. Insomma, anche se immagino che abbia bisogno di colmare qualche vuoto affettivo (anche se dovrebbe essersi curato dopo la bigenerazione, a quanto sappiamo), qui mi è sembrato al limite del macchiettitsico, uno di quegli instant love da wattpad.

Questo aspetto mi ha fatto un po' uscire dall'immersione, ma tutto sommato l'episodio è gradevole e ben costruito, seppur non troppo sorprendente. Un buon filler senza pretese e con qualche sequenza d'effetto. Voto: 6.5/10


Doctor Who 14x05 - Dot and Bubble / Il pianeta dei mostri

Prima di commentare questa puntata mi vorrei soffermare un attimo sulla traduzione dei titoli degli episodi, che io scopro al momento in cui scrivo questi commenti perché seguo la serie in lingua originale. L'algortimo della morte / Il cerchio delle fate / Il pianeta dei mostri / Nessuno è quel che sembra (questo è il prossimo ma il titolo si sa già). Insomma, seriamente? Spero che il doppiaggio sia all'altezza...

 

Detto ciò, questo episodio è probabilmente il più blackmirroresco mai visto nella serie. Ce ne sono altri che hanno una vena distopica bleak che possono essere assimilati, ma qui l'ambientazione in un mondo in cui tutti sono così assuefatti dal proprio spazio social da dimenticarsi come si cammina (letteralmente) è qualcosa che subito richiama il titpo di critica sociale che si vede in Black Mirror. E anche questo, come il precedente, è tutto sommato un episodio low Doctor, perché il Dottore e Ruby, a parte la scena finale, sono presenti in maniera molto marginale durante le interazioni su schermo con la protagonista. Quindi di nuovo, una formula un po' più originale del classico episodio di DW.

L'episodio è ben costruito e si basa in buona parte sulla conduzione della protagonista, una delle ragazze che fanno parte di questo mondo colonizzato e circoscritto in una "bolla" (facile capire il gioco di parole) che le tiene sempre in contatto con una cerchia ristretta di contatti, ma al tempo stesso impedisce loro di vedere poco oltre il proprio naso (anche qui, letteralmente). Anche qui le metafore sono ben evidenti, e la minaccia dei mostri che stanno in attesa di mangiare chi gli va incontro è a sua volta interpretabile a diversi livelli di allegoria.

A questo punto, devo ammettere che questo episodio mi ha fregato. Pur apprezzando tutti questi aspetti, mi ero convinto che il finale sarebbe andato nella direzione di rivelare che i lumaconi fossero parte integrante del sistema, che non fossero un'invasione esterna ma un modo in cui era previsto che la loro società deviata venisse ripulita, perché troppo flaccida per riuscire anche a scappare da creature quasi immobili. Questo viene in parte accennato, ma in realtà non è il punto di arrivo della storia. Perché verso la fine, e il primo segnale è il momento in cui la protagonista lascia sacrificare il suo salvatore, qualcosa cambia bruscamente, e la prospettiva di tutto quello che abbiamo visto viene cambiata.

Il Dottore che è lì per salvare queste persone, si trova davanti a persone che non vogliono essere salvate. Che rifiutano il suo aiuto (dopo averlo avuto) solo sulla base di un pregiudizio e della loro posizione privilegiata di entitled rich kids. Questo anche dopo aver vissuto una situazione che li ha forzati a prendere coscienza di un mondo più complesso e pericolo di quello che conoscevano, che li ha forzati a uscire dalla bolla in cui però hanno scelto di continuare a vivere. In molti ci hanno visto anche una metafora razzista, e la diffidenza iniziale e continuativa verso il Dottore rivolta anche a questo, e se questo aspetto sicuramente è presente (infatti tutti gli abitanti del mondo ideale sono giovani bianchi), a mio avviso non è quello predominante, non è tanto il discorso della razza a separare loro e noi, quanto la diversa appartenenza di base, che si sarebbe espressa anche con la razza in comune (infatti a Ruby non viene riservato un trattamento diverso).

Qui Ncuti Gatwa riesce a rendere un'interpretazione eccellente di un Dottore frustrato e incredulo, che sente di aver fallito nonostante abbia fatto quello il suo meglio e che è costretto ad ammettere che a volte nemmeno lui può cambiare le persone più spregevoli. Siamo quindi a due episodi di fila in cui il Dottore viene fondamentalmente sconfitto, non si sta mettendo bene per il Quindicesimo...

Dot and Bubble è un altro episodio coraggioso ed efficace, capace anche di sorprendere gli spettatori più scafati come me. Il che inizia a rendere questa stagione davvero di buon livello. Voto: 8/10


Doctor Who 14x04 - 73 Yards / Il cerchio delle fate

Ogni tanto in Doctor Who capita di avere degli episodi Doctorless, in cui il Dottore è pressoché o del tutto assente. Uno dei più famosi della nuova era è Blink, in cui il Dottore appare pochissimo ma è comunque più presente di quanto lo sia in questo 73 Yards, dove sparisce a pochi minuti dall'inizio e ricompare solo nel finale, e per tutto il resto della durata rimaniamo soli con Ruby. Sono sempre episodi stimolanti, che cambiano un po' la formula, anche se forse siamo un po' troppo indietro nella conoscenza sia del Dottore che della companion per poter fare un esperimento del genere. Alla fine direi comunque che ha funzionato.

 

Fondamentalmente questo episodio è un crossover tra Blink e il film It Follows, in cui una ragazza è continuamente inseguita da un'entità invisibile agli altri che le cammina incontro cercando di raggiungerla. In questo caso invece la ceratura si mantiene a distanza (73 iarde, quantunque valga questa misura) e non cerca nessun contatto, si limita a fare gesti (che a quanto pare sono traducibil nella lingua dei segni) e parlare con chi le si avvicina. Ruby si trova perseguitata da questa strana entità dall'aspetto di una vecchia dopo che il Dottore ha inavvertitamente calpestato un cerchio delle fate e lei ha letto alcuni messaggi lasciati su di esso. Non è ben chiaro perché (e non verrà spiegato) ma dopo questo incidente il Dottore scompare completamente e il Tardis rimane inaccessibile. Dopo qualche tentativo di rintracciarlo Ruby si rassegna a tornare a casa e vivere la sua vita, con la vecchia che la stalkera a distanza e fa fuggire inorridito chiunque le si avvicini. A quanto pare l'essere convince le persone che Ruby sia una persona orribile da cui bisogna allontanarsi in fretta e senza nessun appello, ed è così persuasiva che pure sua madre e il personale addestrato della UNIT ci cascano.

Questa dinamica si intreccia a quella dell'ascesa di un leader pericoloso, che al giorno stesso delle sue elezioni medita di acquisire delle armi nucleari e lanciarle, e che Ruby si convince di essere in grado di fermare grazie alla conoscenza futura di quello che farà. Tuttavia, pur sfruttando in maniera ingegnora il "superpotere" dell'apparizione che la segue (il semperdistans), questo non basta a liberarla della maledizione. La vita di Ruby prosegue e la vediamo diventare adulta e vecchia, la vediamo sul letto di morte, la vediamo in punto di morte. E il tutto si riallaccia poi in un loop temporale in cui è lei stessa a cercare di mettersi in guardia dal calpestare il cerchio delle fate. Un loop chiuso (e si potrebbe obiettare non del tutto coerente), ma il punto non è questo visto che il potere dell'entità (che sia o meno Ruby che si "proietta" nel passato) e la sparizione del Dottore non vengono spiegati.

È vero che come ammesso anche da Kate Stewart, questa epoca (ovvero questa stagione) sembra dare più spazio ai fenomeni semplicemente soprannaturali, senza rivestirgli di gimmick fantascientifiche technobabblose, e quindi in questo caso potremmo accontentarci di magia, fokllore, faerie, maledizioni. Forze ed entità che possono "bandire" il Dottore senza nessuna difficoltà e che non hanno difficoltà a manifestarsi al di là dello spazio e del tempo. Ma tutto è allegoricamente interpretabile anche come una rappresentazione della paura dell'abbandono: Ruby è orfana e quindi è cresciuta con il trauma di essere stata abbandonata e che tutti possano lasciarla, come dice lei stessa da vecchia alla fine della sua vita. In questo senso anche il fatto che salvare il mondo  non la liberi dalla maledizione è significativo, perché mostra come questo problema non si può affrontare cercando uno "scopo" più grande, che dia un senso a questa paura e al sacrificio che stiamo compiendo. Si rimane comunque soli, se non si riesce ad affrontare la paura in sé, cosa che Ruby non ha saputo fare.

Insomma, un episodio atipico, che non concede risposte ma è costruito in modo efficace come mistery metafisico, e in cui l'assenza del Dottore non pesa. Forse un po' ingenuo il trucco con cui vogliono convincerci che Ruby abbia quarant'anni e un po' ripetitivo che per due episodi di seguito il Dottore combini casino non guardando dove va... ma è comunque un livello davvero alto e ambizioso per la serie. Voto: 8/10


Doctor Who 14x03 - Boom / L'algoritmo della morte

Moff's back baby!

Vedere il nome di Steven Moffat sulla title card è stato subito un momento di grande sollievo.  Non ho mai fatto mistero del fatto che Moffat sia il mio scrittore preferito di DW, quello che maggiormente riesce a sfruttarne le potenzalità, e probabilmente anche quello che utilizza di più le gimmick fantascientifiche (dal che forse deriva il mio maggior interesse). Ma del ruolo e della scrittura di Moffat ho parlato già in un video su Story Doctor OFF quindi vi rimando a quello se volete approfondire il mio punto di vista. Qui rimaniamo su Boom.

 

In piena tradizione Moffat (don't blink, don't breathe, don't dream) questo episodio mette il Dottore nelle condizioni di non fare qualcosa: don't move, nello specifico. Bloccato su una mina (premessa affine a quella del film Mine), il Dottore è costretto a non muoversi e non usare nessuno dei suoi strumenti di risoluzione più tipici: il tardis, il cacciavita e la corsa. Gli rimane solo la parola, che insomma, per il Dottore non è poco.

Da qui inizia quindi la progressiva opera di convincimento prima di Ruby, poi dei soldati chierici che stanno combattendo la guerra, per intervenire e fermare il conflitto, così che la mina si disattivi prima di eliminare lui e buona parte del pianeta. È quindi tutta una battle of wits, dove il Dottore non solo è fermo ma anche vittima degli attacchi degli altri, e impossibilitato a intervenire per salvare Ruby. Non capita di frequente che Dottore e companion vengano colpiti, quindi vederlo succedere fa sempre una certa impressione.

L'abilità di Moffat (come dettaglio meglio nel video linkato sopra) sta nel collegare tra di loro i vari elementi di worldbuilding e relazioni tra i personaggi in modo da rendere appassionante e ricca di rivelazioni quella che è sostanzialmente una conversazione ferma in un unico posto. Nelle mani di altri sceneggiatori già l'idea di base sarebbe bastata per costruire tutto l'episodio, ma qui si riesce anche ad ampliare il raggio e includere il discorso sulla guerra e la sua inutilità, sulla disumanità e l'insensatezza dei conflitti che possono essere portati avanti senza criterio da algoritmi automatizzati. E non mancano anche i momenti emotivi, a partire dalla canzone iniziale fino alle catchphrases ripetute.

Volendo trovare un punto da criticare, forse la bambina sembra fin troppo ingenua e impermeabile a quello che succede intorno a lei, soprattutto all'età che dovrebbe avere pare che ragioni come un'infante di due-tre anni, e questo la fa risultare spesso irritante. Ma fortunatamente la storia non si concentra troppo su di lei e non viene utilizzata come oggetto per ispirare compassione, quindi questo fastidio rimane trascurabile.

Anche se i precedenti fondamentalmente mi erano piaciuti, questo è il primo epsiodio dai tempi di Capaldi che avrei voglia di rivedere. E ci voleva Moffat. Voto: 8.5/10



Rapporto letture - Marzo/Aprile 2024

Primavera di letture variegate. Alcune non ve le aspettate, garantisco. E alcune altre se le rispettive autrici sapessero di essere accomunate in un post darebbero di matto. Così va la vita.

Premetto che odio Italo Svevo e la sua collana di libri da tagliare. Mi dispiace, non la reggo questa idea, questo feticismo per l'oggetto-libro da prof di lettere di liceo classico. Infatti le pagine non tagliate di Lingua madre non le ho aperte io, ma sono stato aiutato da una persona con più pazienza e passione per la cartoleria. (Mi si dice che IS ha smesso di fare i libri così e le ultime uscite hanno le pagine normali: grazie). Ciò detto, ho voluto legger questo romanzo di Maddalena Fingerle per una congiunzione particolare: il completamenteo della mia Trilogia delle Lingue (vedi sotto) e la sua presentazione che avrei dovuto condurre a fine marzo (vedi ancora più sotto); also: funghi in copertina. La storia di Lingua madre è quella di un giovane bolzanino cresciuto in un paese di bilinguismo che però proprio nella lingua trova tutto il suo disagio, infatti non riesce a sopportare l'uso "sporco" che viene fatto delle parole, e questa sua fissazione diventa un'ossessione che porterà a risvolti drammatici nel finale. L'idea è valida e si aggancia bene al concetto di identità e appartenenza, e l'ossessività del protagonista è ben resa, tuttavia ho avuto l'impressione che la parte centrale della storia vagasse un po' a vuoto, attendendo il momento in cui le cose si sarebbero poi compiute verso la fine. Comunque una lettura piacevole e stimolante anche per lo stile ben controllato. Voto: 7/10

Poi, la tragedia. Scusa Maddalena  per averti messo sopra e sotto Colleen Hoover. È andata così signori, a gennaio sono stato ospite dell'evento Ape Booktok a Viterbo (se volete recuperare c'è il video qui) e dopo l'amabile chiacchierata, la host Arianna mi ha regalato non uno ma due libri: La Strada di McCarthy e It Ends With Us di Hoover. Se non avete familiarità con questo titolo, si tratta di uno dei maggiori successi mondiali degli ultimi anni, inquadrabile nel genere "dark romance", ovvero storia d'amore tormentata di protagonisti coi probbblemi, e trallaltro è da poco uscito il trailer del film che arriverà tra qualche mese, perché ovviamente ci fanno il film. Colleen Hoover è amatissima e odiatissima e questo libro in particolare ha ricevuto grande visibilità soprattuto negli ambienti booktok, nel bene e nel male. La storia è quella di una ventenne che si trasferisce a Boston e qui trova l'amore a prima vista di un neurochirurgo megaricco e strafigo che normalmente non si innamora ma per lei fa un'eccezione. Ah, e ogni tanto alza le mani. Quindi il racconto segue l'evolversi di questa relazione tossica con il partner abusivo e il modo in cui la protagonista giustifica le sue azioni. Ora: il tema è delicato, e certasmente bisogna essere sempre cauti ad approcciarlo. E Hoover scrive di merda, è la scrittura tipica delle fanfiction. Il libro quindi non è bello. Tuttavia, rispetto a cosa avevo sentito dire, ovvero che fosse diseducativo perché romanticizzava le relazion tossiche, che minimizzava le violenze e gli abusi, che promuoveva la sottomissione delle donne, ho trovato tutt'altro. La storia è raccontata dal punto di vista di una ragazza che, proprio perché si trova in un rapporto tossico tende a giustificare le violenze del partner, almeno fino al momento in cui si rende conto di quello che sta succedendo e quidi riesce a troncare. Non mi sento di poter confermare che sia diseducativo e pericoloso, anzi l'ho trovato fin troppo didascalico nel veicolare questo messaggio. Del tipo che non lo si può proprio mancare, non c'è verso che non si capisca cosa vuole dire. Ci sono tanti motivi per odiare questo libro e Colleen Hoover, ma il fatto che promuova gli abusi domestici, no, davvero. Al netto di tutto ciò, è comunque una sofferenza di lettura, quindi non gli si può dare più di un voto 4/10

Come dicevo, a fine marzo mi sono trovato a presentare l'ultimo romanzo di Maddalena Fingerle alla libreria Il giardino delle parole di Pistoia (passateci, nda), e per questo mi ero preparato leggendo Lingua madre ma poi ho dovuto leggere anche quello oggetto della presentazione, cioè Pudore. Questo romanzo racconta la storia di una ragazza abbandonata dalla sua compagna, che però non riesce a staccarsi da questa relazione e mantiene il legate cercando trasformarsi in lei: si veste come lei, si trucca come lei, si mette una parrucca come la sua, prova a parlare come lei (ma non ci riesce). In tutto questo possiamo vedere che la protagonista comunque ha una vasta schiera di problemi psicologici e relazionali, molti dei quali derivanti dal suo rapporto con la famiglia che da una parte detesta ma dall'altra non riesce a lasciare. Anche qui, la sensazione che avevo avuto con l'altro libro è simile, ovvero un'idea di base forte, una scrittura capace di trascinare nell'ossessione, e una risoluzione finale improvvisa e drammatica... ma nel mezzo un po' di vuoto, quasi che non si sapesse come riempire il tempo che deve passare dalla situazione iniziale della stori alla sua conclusione. Quasi come se avesse potuto essere un racconto, o al più una novella, piuttosto che un romanzo. Sommato al fatto che qui la situazione è molto più quotidiana e non c'è quella traccia di bizzarria dell'altro romanzo, Pudore mi è parso inferiore al precedente, e per me si assesta su un voto 6/10

Il terzo libro della Trilogia delle Lingue (il primo, se ve lo state chiedendo, era Lingua nativa) è Lingua Ignota di Hildegard Von Bingen / Huw Lemmey / Bhanu Kapil, che è il primo libro che leggo della casa editrice Timeo che fa roba fuori di testa (tipo il romanzo di Nicolas Jaar, di cui ho parlato occsaionalmente anche qui nelle sue vesti di dj [quando ancora su questo blog parlavo di musica *sigh*]). Ho messo tutte queste autrici perché Ildegarda di Bingen e le sue visioni sono l'ispirazione principale, intorno a queste è costruita sia la biografia poetica di Bhanu Kapil sia il racconto postapocalittico di Huw Lemmey. Difficile dire con precisione cosa si trovi in questo libro: rivelazione, fine del mondo, morte, rinascita, comunicazione, anticapitalismo, misticismo, epifania, femminismo, vuoto. Devo dire però che seppure affascinato dal tema e dal personaggio centrale, il libro mi è parso un po' disgiunto, i tre blocchi messi insieme (c'è anche una sorta di ted talk finale) non sembrano davvero coesi, e anche se ruotano intorno a Ildegarda sembrano puntare in direzioni diverse. Il racconto principale (quello di Lemmey) forse è un po' diluito e si trascina un po' troppo, e forse ha anche una bassa densità di Hildegard. Insomma, mi piace l'idea di aver letto questo libro e di poter parlare di questo libro, ma non sono sicuro che consiglierei la lettura di questo libro. Voto: 6.5/10

Siccome non vogliamo farci mancare una presentazione al mese, ad aprile mi sono trovato a presentare alla libreria Ornitorinco di Firenze (andateci, nda) due tardigradi di Eris: Creature dell'assenza di Bernareggi/Riva (di cui avevo già parlato [peraltro linkando il post noto ora che era nello stesso periodo in cui leggevo la biografia dello stesso Nicolas Jaar citato sopra]) e Il focolare è una bestia affamata di Angelo Maria Perongini, che mi sono letto per l'occasione. Si tratta di una novella ambientata nel giorno di natale, con il protagonista fuori sede che torna a casa della mamma piuttosto controvoglia per il pranzo coi parenti, e qui si instaura la solita dinamica di conflitti familiari causati soprattutto dal rancore della sorella per l'averla abbandonata con la mamma demennte senile. Sembrerebbe che tutto ciò non abbia niente di fantastico, quando verso metà la nipotina sparisce e la casa stessa inizia a manifestare strane proprietà. Nel complesso, la migliore definizione che ho trovato durante la presentazione è stata "Parenti serpenti incontra The Others". Forse ci mette un po' a ingranare, ma poi accelera bene nella parte finale. Voto: 7/10

Satollo di tutta questa narrativa, ho deciso di prendere qualche lezione da Philip Pullman e mi sono letto il suo Daemon Voices, che non è un manuale vero e proprio ma una raccolta di articoli, saggi, interventi, introduzioni che l'autore di Queste Oscure Materie ha tenuto nel corso della sua carriera, su temi assortiti intorno alla scrittura, i libri per ragazzi, il fantastico, le fiabe, la poesia, l'arte e Paradise Lost. Ho trovato degli spunti interessanti, che credo approfondirò altrove, probabilmente sul canale youtube per dedicargli lo spazio che meritano. A parte forse tutti i pezzi dedicati alla poesia di Milton (interessanti per carità, ma un po' offtopic), credo che sia un volume utile soprattutto a chi vuole scrivere fantasy e ha bisogno di farsene una prospettiva dall'esterno del genere, visto che Pullman stesso non si dichiara appasionato di fantasy e anzi ne sarebbe rimasto volentieri fuori fino a quando non si è accorto che ne stava scrivendo uno.

Infine un altro libro che mi tenevo sul kindle da un po', e che ho voluto provare per approfondire la narrativa sulle api: The Last Beekeper è il primo volume della serie Silenk Skies di Rebecca J. Farnley, una storia ambientata in un mondo postapocalittico (non ho capito con certezza se è la Terra o un altro pianeta) flagellato dal cambiamento climatico, in cui insetti e uccelli sono estinti e le sparute comunità di umani si barcamenano come possono cercando di tirare fuori un raccolto (impollinando manualmente  i fiori) anno per anno. Tutto ciò finché il fratellino della protagonista non scopre una singola ape regina (o meglio, un bombo) che da sola può dare vita a un'alveare e quindi aiutare in modo determinante la sopravvivenza della comunità. Il problema è che questo sarebbe un vantaggio troppo grande che le altre tribù vorrebbero evitare, ed è la ragione per cui decenni prima si è scatenata una vera e propria guerra che ha sterminato tutte le api e insetti impollinatori. La storia è scritta con un ritmo avvincente e riesce a trascinare, tuttavia ci sono alcuni cliché relazionali che servono a forzare conflitti insesitenti, oltre che un paio di occasioni in cui è evidente che la protagonista stia sbagliando nelle sue decisioni ma il fatto che le cose fossero diverse viene presentato come una grande rivelazione, che invece non è. Nel complesso una storia onesta e soddisfacente, anche se non mi ha lasciato con una voglia così soverchiando di proseguire la saga. Voto: 7/10


Doctor Who 14x02 - The Devil's Chord / Maestro

Well, that escalated quickly...

Siamo solo al secondo episodio e già Russel T. Davies mette in campo un supervillain, con collegamenti al Toymaker battuto nello speciale del 60° che ha causato la rigenerazione da 14 a 15, e anticipazioni per quello che probabilmente sarà l'arco orizzonate della stagione che portera al season finale. Considerando che il primo episodio invece era sembrato un po' troppo frivolo, questo sembra pesare dalla parte opposta, per motrare un Dottore già spaventato e in fuga da forze più grandi di lui.

Maestro a quanto pare fa parte del pantheon di entità che rappresentano alcune delle forze fondamentali dell'universo, figlio (non so bene come intendere questa parentela) del Toymaker stesso, e incarnazione della musica stessa. È sempre ineteressante vedere rappresentate forze cosmiche di questo livello, e la scelta dell'attrice è stata assolutamente azzeccata, perché Maestro ruba la scena in ogni occasione con la sua presenza volutamente ingombrante.

Il tutto si collega bene all'ambientazione anni 60 e alla musica dei Beatles, che però sarebbe stato bello vedere meglio integrati all'interno della vicenda. C'era l'occasione per un altro episodio con personaggi storici che si trovano a dover intervenire per salvare il mondo (come Shakespeare o Mary Shelley), e anche se tecnicamente 2/4 dei Beatles fanno proprio questo, non sono davvero cinvolti all'interno della storia, per cui il loro intervento finale è un deus ex machina poco soddisfacente. Poco male però perché risoluzione a parte, la costruzione e la tensione nel resto della puntata è davvero eccellente, e riesce a portare avnati sia la minaccia del villain del giorno che la promessa di quelli futuri, oltre al mistero che si sta costruendo intorno a Ruby, la cui ascendenza probabilmente nasconde qualcosa di rilevante, che lo stesso Maestro ha notato. Non che ci fosse bisogno di un'altra companion predestinata e importantissima, ma vedremo dove porta tutto questo (forse sarà davvero la volta che compare Susan?).

Sono curiosi in questa puntata anche i diversi momenti di rottura della quarta parete, che iniziano prima dei titoli quando Maestro si rivolge al pubblico e suona il tema di DW, e in seguito con le altre occhiate o occhiolini rivolti agli spettatori, così come la battuta sulla musica diegetica, che apre tutto un altro livello di metanarrazione. La cosa viene poi ulteriormente rafforzata dal momento (luuungo momento) musical finale, che sembra piuttosto self-aware. Viene da chiedersi se tutte queste occorrenze siano semplicemente da considerare rispondenti al tono di questo episodio, dominato dalla presenza poliedrica di Maestro, oppure se ci sia qualcosa di più profondo che dovrà ancora emergere e si potrebbe ricollegare al "the one who waits" che dovrà rivelarsi. Personalmente credo che non ci sia molto di più oltre la battuta occasionale, e dubito che DW diventerà uno show metanarrativo come a volte dimostra di essero per esempio Rick&Morty, anche se non sarebbe la prima volta che il Dottore si rivolge al pubblico.

The Devil's Chord quindi è una puntata solida, che riesce in questo caso a unire la frivolezza tipica di DW con la tensione più drammatica. Un'ottima controparte di questa doppia season (series?) premiere. Voto: 7.5/10


Doctor Who 14x01 - Space Babies / La stazione spaziale dei bambini

Togliamoci subito il dubbio: lo so che la chiamano "stagione 1" affermando il fatto che questo sia un reboot, ma non prendiamoci in giro, non è davvero così e quindi qui proseguiremo la numerazione precedente, per cui questa diventa la stagione 14.

È però importante tenere presente che di fatto questa si propone come una "stagione 1" e quindi questa in pratica è una season premiere. Lo si nota dalla lunga introduzione con cui il nuovo Dottore spiega a Ruby i rudimenti della sua lore: Timelords, Tardis, viaggio nel tempo e nello spazio, eccecc. Naturalmente per chi conosce già DW tutto questo è superfluo, ma non risulta troppo pesante ed è giustificato dalla presenza a bordo della nuova companion.


Arrivando all'avventura vera e propria, personalmente posso dire che l'ho detestata. Non per la storia in sé (che ha i suoi problemi) ma perché ci sono dei neonati parlanti. E mi dispiace, io lo trovo uncanny alla massima potenza, non riesco davvero a vederli come cute o come divertenti: sono terrificanti e basta. Partendo da questo punto, è difficile riuscire a empatizzare con il resto della puntata, ho comunque provato a seguire tutto con distacco come se non fosse uno film dell'orrore.

Possiamo dire che la storia è effettivamente sciocchina, ma sappiamo bene che DW è anche questo: il camp è uno dei valori che la serie esprime al meglio, quando vuole, grazie anche a una lunga tradizione di scenografie implausibili e prop fatte in casa. Va bene così, lo amiamo per questo. Semmai, il dubbio è più sulla conclusione, che diventa eccessivamente melodrammatica, percorre territori già visti (quante creature erano "l'ultime della loro specie", anche ignorando il Dottore in sé, e sono state quindi infine risparmiate?) ma lo fa in maniera didascalica, senza davvero portare a una rivelazione o risoluzione autentica. Si arriva al finale wholesome senza davvero guadagnarcelo, ma solo perché il Dottore è di buon cuore (e questo Dottore, pare che lo sia più del solito).

Niente da dire sul Dottore in sé come personaggio e performance, certo dobbiamo ancora conoscerlo, ma l'interpretazione di Ncuti Gatwa è abbastanza caratteristica e personale, e finora è sembrato credibile e anche riconoscibile rispetto agli altri. L'assortimento con Ruby funziona... forse anche troppo. Considerando che si sono conosciuti letteralmente ieri nella cronologia della serie, sembra che siano fin troppo affiatati e in confidenza, e Ruby stessa è quanto mai disposta ad accettare l'incredibilità di ciò che la circonda senza porsi troppe domande. Ovvio che avere la companion che chiede continuamente cosa succede risulta noioso, ma così sembra invece di avere a che fare con qualcuno che già faceva questo di mestiere.

In definitiva, un episodio nel range del mediocre, certo non brutto ma nemmeno brillante. E forse qualcosa di azzardato per essere considerato "season premiere" visto che spinge un po' troppo in quella campiness che da DW ci si può aspettare, ma che forse non è digeribile da tutti gli spettatori, soprattutto quelli che la trovano come primo impatto. Voto: 6/10


Rapporto letture - Gennaio/febbraio 2024

 

Iniziamo a ristabilire la tradizione dei rapporti letture anche per il 2024, ovvero il 15esimo anno o giù di lì di blog. Che noia. Comunque, un inizio di anno abbastanza sorprendente, con alcuni titoli di livello e altri meno prevedibili ma mediamente interessanti.

 

Volevo leggere la novella di Amal El-Mohtar e Max Gladstone da tempo, ma stavo rimandando al momento più adatto, ed è stato il tragitto andata e ritorno a Viterbo per una presentazione. Sapevo già un po' cosa aspettarmi da Così si perde la guerra del tempo perché ne avevo sentito parlare, ma nonostante questo è riuscito comunque a coinvolgermi ed emozionarmi. Gli scambi epistolari contrapposti alle esperienze delle due protagoniste, la contrapposizione tra le fazioni e il modo in cui dalle provocazioni si passa alla comprensione profonda fanno di questo racconto una spirale travolgente. Forse le dichiarazioni d'amore a un certo punto si fanno un po' teatrali, e il plot twist finale non è del tutto un twist (o almeno, io che forse sono un po' sgamato sui paradossi temporali l'avevo intuito), ma sono sbavature minime in un lavoro di grande livello. Uno dei migliori esempi di storia d'amore in ambito fantascientifico. Voto: 8.5/10

 

Per staccare nettamente ho poi letto il romanzo di un autore italiano (anzi pistoiese) pubblicato da Polidoro. Il libro di Riccardo Romagnoli è quanto di più lontano potrebbe esserci dalle mie solite letture, perché si avvicina pericolosamente all'autofiction e si concentra poi sulla vita di un artista tanto emarginato quanto bohemien della Firenze degli anni 60. Ho letto Cuore in esploso perché mi era stato proposto di fare da relatore per la presentazione del romanzo (cosa che sta avvenendo sempre più di frequente, vedi sotto) e se il mio approccio era scettico, alla fine devo dire che ne sono rimasto se non altro sorpreso. La narrazione è limpida, serrata, e i personaggi sono veri, feroci. Non ci si sofferma su considerazioni morali ma si riporta le cose come sono, e in certi casi è inquitante vedere come erano. Il percorso artistico del protagonista (raccontato dal narratore che l'ha conosciuto e parla anche di sé in prima persona) è senza dubbio interessante e pone quesiti profondi sul valore dell'arte e il ruolo dell'artista. Sono convinto che per chi ama questo genere di racconti "di vita vissuta" possa essere una lettura di grande impatto, personalmente è piuttosto lontano da quello che cerco nella lettura quindi pur riconoscendone alcune qualità non posso dire che mi abbia sconvolto. Voto: 6.5/10

 

Torniamo nel confrotevole alveo della fantascienza con un tema classico del genere, le abduction. We Are the Ants è un romanzo che utilizza il meccanismo dei rapimenti alieni per esprimere il disagio di un adolescente che deve capire cosa fare della sua vita, dopo che il suo ragazzo si è suicidato, i bulli lo prendono di mira (e uno di questi lo sfrutta come amante) e la sua famiglia va a rotoli. Gli alieni offrono al ragazzo la possibilità di salvare la Terra dall'imminente distruzione, se lui sceglie di farlo, e nel corso dei mesi di narrazione dovrà trovare la ragione per evitare la fine dell'umanità. La storia di Shaun David Hutchinson non si occupa certo di raccontare l'esobiologia degli alieni o le loro motivazioni, quello dei rapimenti è un pretesto per mostrare l'isolamento e l'inadeguatezza del protagonista, che soffre di terribili violazioni personali e non viene creduto. Che è poi un tema ricorrente nelle narrazion sulle abduction, cosa di cui abbiamo parlato anche in un episodio del podcast. Chi cerca storie di invasioni e battaglie con gli extraterrestri gli stia pure alla larga, perché qui ci si concentra principalmente sui traumi e le relazioni. Voto: 7/10

 

Torniamo poi all'ultima tornata di Nodi di Zona 42, con il racconto Trofeo di Emanuela Cocco, che anche questo ho avuto occasione di presentare e ho descritto come "Toy Story in casa di un serial killer". La novella viene presentata come un thriller/horror, perché raccontata dal punto di vista degli oggetti appartenuti alle vittime di un assassino di donne, tuttavia lo scopo della storia non è quello di creare suspense o tensione riguardo il mostro e la sua cattura, quanto di mostrare il lato nostalgico di questo legame tra gli oggetti e i loro proprietari uccisi, il che può apparire paradossale se ci si ricorda che si sta parlando di corpi smembrati e seppelliti in giardino. Se quindi i temi trattati sono forti, viscerali, la delicatezza e il ritmo della scrittura inducono quasi a provare pena (se non addirittura tenerezza) per il killer, senza arrivare però a romanticizzarlo come avviene spesso nei tanto seguiti prodotti true crime. Voto: 8/10

 

Ci stava a questo punto un'immersione nei classici e così mi sono rispolverato un testo di Alexandre Dumas. Forse vi stupirà sapere che in gioventù mi sono letto e goduto assai tutto il ciclo dei tre moschettieri, quindi tornare a leggere il suo romanzo "minore" Il signore dei lupi mi ha trasmesso una certa familiarità per il modo di raccontare. Questa storia è una delle poche di Dumas che contiene elementi soprannaturali, in questo caso in buona sostanza un patto col diavolo da cui il protagonista può ottenere di realizzare i suoi desideri che però lo portano su una strada di continua perdita e perdizione. Come ci si può aspettare da Dumas, il racconto è abbondante di descrizioni, digressioni, considerazioni del narratore, e ironia. Naturalmente chiunque si approcci sa quello che potrebbe aspettarsi, per cui non sto a fare troppi disclaimer sul fatto che è una narrazione molto lontana dai canoni attuali. Voto: 7.5/10


Avevo rimandato la lettura dell'ultimo romanzo di Alessandro Forlani da troppo tempo, e quindi mi sono preso qualche giorno per Non tutti certo moriremo. Ora, di Forlani io ho letto tutti i romanzi di ambito scifi e li ho sempre trovati notevoli. Mi rendo conto che non è un autore facile da leggere, bisogna in qualche modo "sbloccare" la sua poetica come lo si fa con Dick, e faccio un nome non a caso perché questo è sicuramente il libro più dickiano che abbia mai scritto. Non è un romanzo unico ma frammentato, singoli episodi che compongono un mosaico di personaggi tra loro interconnessi ma senza un arco narrativo definito, singole storie di apocalissi personali in una realtà che perde i suoi riferimenti temporali e cognitivi. Ci sono tanti riferimenti ad altri suoi romanzi, così come satira profonda e sottile verso molti settori, dai media all'insegnamento, dalle istituzioni all'editoria. Siccome i singoli episodi sono scollegati, l'ho letto dalla fine verso l'inizio, e ha comunque funzionato. Come sempre con Forlani, non so se consigliarne la lettura. È uno di quei libri di cui è difficile identificare il pubblico ideale, perché può far parimenti incazzare chi legge fantascienza (che non è nemmeno così vistosa) così come chi legge generalista. Quindi fate voi. Dimenticavo, è scritto in ottonari. Voto: 8.5/10


E per ultimo un altro libro letto per presentare l'autore Claudio Pozzani, che forse è il personaggio più editorialmente illustre che mi è capitato di conoscere finora, visto che è fondatore e direttore del più grande festival internazionale di poesia italiano, tradotto in 14 lingue e collaboratore per vari progetti con gente come Jodorowky e tanti altri che nemmeno conosco. Il che mi ha messo un po' in difficoltà quando mi sono dovuto approcciare al libro sapendo che poi ne avrei dovuto parlare, anche perché io di poesia so quello che mi hanno insegnato a ragioneria e temevo che questo romanzo ne facesse ampio uso. Al contrario, Confessioni di un misantropo è scritto in prosa asciutta, funzionale e immediata, che si concede solo qualche metafora, e procede spedita a raccontare a posteriori l'ascesa e caduta della "dittatura dei creativi", un regime che nel 2030 prende il potere e governa per otto anni, sovvertendo l'ordine sociale e istituzionale e combattendo (o più spesso: mitragliando) lobby, burocrati, raccomandati, pigri, e così via. La misantropia del titolo emerge sicuramente quando il protagonsita, unico sopravvissuto del quadriumvirato che ha messo in opera il golpe, arrivato alla fine della sua vita concede un'intervista in cui conferma la fedeltà in tutti i principi che hanno sostenuto la dittatura, che voleva scardinare valori quali la "dignità del lavoro" e imporne di nuovi come l'arte e la bellezza. La storia segue l'intervista e viene intervallata da flashback della rivoluzione e momenti personali del protagonista, che ha dovuto infine cedere al ritorno del solito sistema interiorizzato dalla popolazione, in una sorta di dittatura al contrario, che non opprime da fuori sui corpi ma da dentro nelle anime. Le idee ciniche ed estreme sono estremamente accattivanti, e nonostante il protagonista sia un personaggio volutamente sgradevole si finisce gradualmente per empatizzare con lui, tuttavia ho trovato che la storia avrebbe potuto dare più spazio a mostrare i cambiamenti imposti alla società, per farci credere che davvero si stava meglio "qvando c'era lvi". Poiché l'unica esperienza che facciamo della dittatura dei creativi è quella raccontta quarant'anni dopo, in mondo del 2070 che per la verità sembra molto quello del 1994. Sarà una mia deformazione professionale, ma quando vedo spunti fantapolitici e potenziali rivoluzioni innescate dalla tecnologia (visto che l'uso dei robot come forza lavoro è un punto cruciale del programma), mi piace sempre vederli in opera, cosa che qui mi è mancata. Rimane comunque un libro provocatorio che va volutamente contro le convenzioni del buon costume e le derive del politicamente corretto, cosa che ogni tanto è rinferscante. Voto: 6.5/10



Doctor Who Christmas Special 2023 - The Church on Ruby Road

E così dopo aver salutato il breve ma intenso 14° Dottore (ma l'abbiamo salutato davvero?) siamo pronti alla prima avventura di Quindici, interpretato dal giovane e brillante Ncuti Gatwa che abbiamo avuto modo di vedere già in azione in The Giggle.


Come molti episodi che introducono una nuova companion, anche questo si concentra principalmente su di lei, facendoci conoscere la sua vita e quotidianità prima di far irrompere il Dottore a salvare e/o sconvolgere le cose. Conosciamo quindi Ruby, orfana abbandonata davanti a una chiesa la viglia di natale, e adottata da una donna che si occupa di bambini abbandonati e se ne prende cura fin quando non vengono dati in affidamento. Abbiamo quindi fin da subito il mistero sulle origini di Ruby, che viene evidenziato anche dall'insistenza con cui si mostra la persona sconosciuta che lascia la neonata davanti la chiesa,e considerando che il Dottore era presente e non coglie l'occasione di scoprirlo, si può pensare che diventerà rilevante più avanti (ma potrebbe anche non esserlo: il Dottore potrebbe anche pensare che in fondo non importa, come è avvenuto per lui).

L'avventura è decisamente un monster of the week, con i monster che sono mostri più letterali del solito, infatti si tratta di goblin che goblinano, facendo dispetti, mangiando bambini e viaggiando con galeoni volanti, che li puoi anche giustificare dicendo che sono astronavi che viaggiano nel tempo (anche se non è proprio viaggio viaggio nel tempo), ma sempre goblin rimangono. Non è certo la prima volta che DW prende dei semplici mostri e li usa senza troppe spiegazioni, e questo non è un problema visto che a volte sono gli alieni a comportarsi da mostri quindi tanto vale non fare nemmeno finta. Interessante lo spunto delle concidenze e della sfortuna come concentrazioen di potenziale da sfruttare, anche se mi sembra che si sia espresso ben poco oltre la motivazione per cui i goblin volessero mangiare proprio quella bambina (e d'altra parte non spiega perché la sfortuna di Ruby passasse anche agli altri).

Certo, c'è pure il momento musical. Che, devo dire, sono riuscito anche ad apprezzare. Credo che sia la prima volta che il Dottore canta. Si è visto ballare qualche volta, ma a mia memoria dal 1963 non aveva mai cantato, quindi sfruttare il talento di Gatwa per un pezzetto musicale non è una cattiva idea (ammesso che non diventi una cosa frequente, eh). Da apprezzare anche la prontezza di Ruby che riesce ad assecondare il groove senza preavviso, vero spirito di avventuriera. Semmai, ho il dubbio che mettere una sequenza del genere in quello che è il reboot della serie potrebbe confondere un po' di gente sulle intenzioni e i mezzi di DW... sempre che non sia davvero previsto un cambio di tono così deciso. Staremo a vedere.

La parte "drammatica" dell'episodio dura poco e non è niente di troppo complicato né originale, la solita timeline alternativa brutta che il Dottore si adopera per abortire. La sua reazione mi è sembrata fin troppo teatrale in queto caso, forse Gatwa deve ancora calibrare il personaggio quando è serio piuttosto che piacione. Notevole che la soluzione per liberarsi dei goblin sia impalare il loro re sul campanile di una chiesa, a dimostrazioen che questo Dottore non ha poi grandi scrupoli a trucidare creature viventi e senzienti, che peraltro avevano anche apprezzato la sua musica.

Dopodiché il Dottore ci fa il solito abbocco di far finta di andarsee da solo ma comunque rimane lì ad aspettare Ruby. Momento "bigger on the inside" e si vola. Tutto bene, tranne quell'ultima battuta che rompe la qurata parete e fa sospettare sull'identità della vicina di casa, sulla quale si sono già accumulate le teorie: Rani, Susan, River, Master, Ruby stessa. Personalmente credo che non ci sia una risposta, nel senso che potrebbe essere tranquillamente solo una battuta senza conseguenze così come un setupo generico da tirare fuori all'occorrenza per poter dire poi tra tre anni "visto, avevamo programmato fin dal primo episodio il ritorno di xyz!". Insomma, credo che per adesso non abbia senso specularci sopra, perché non c'è una risposta definita.

In definitiva, un episodio sicuramente gradevole e un'ottima performance dei due nuovi protagonisti. La coppia Gatwa-Gibson sembra già molto affiatata, per cui mi aspetto una buona continuazione della stagione 14 (o 1bis, se preferite). Non so però se questo fosse stato il mio primo episodio di DW se avessi pensato che sarebbe valso la pena continuare, ma forse solo perché sono vecchio e cinico. Voto: 6.5/10


Rapporto letture - Novembre/dicembre 2023

Ultimi colpi del 2023 per un anno di letture che tutto sommato posso considerare soddisfacente. Se da una parte ho scoperto libri che mi sono piaciuti in modo inatteso, dall'altra ho avuto anche modo di godermi la lettura in compagnia di qualche schifezza, mantenendo saldo il contatto con la parte trash dell'editoria. Per un recap più specifico dei libri migliori e peggiori dell'anno vi rimando all'episodio del podcast, mentre qui adesso parliamo degli ultimi libri dell'anno.

 

Il primo libro che leggo di Tullio Avoledo è il suo primo romanzo. Avevo trovato L'elenco telefonico di Atlantide nella sua prima edizioni al salone del libro, ed essendo lui un autore che volevo scoprire ho pensato che fosse il momento di leggerlo. Devo dire che mi ha sorpreso, forse perché avevo aspettative diverse... in realtà non so bene cosa mi aspettavo, qualcosa di più "letterario" e meno "popolare", invece mi sono trovato con un thriller storico soprannaturale davvero godibile, una lettura che mi ha ricordato certe cose che leggevo in adolescenza di Michael Crichton, o anche Wilbur Smith, o certi Stephen King. La vicenda quotidiana del protagonista sconvolta da forze più grandi di lui che in qualche modo coinvolgono divinità egizie e nazisti (i nazisti ci stanno sempre bene) è avvincente e un efficace page-turner, tipologia di narrazione a cui di solito sono abbastanza refrattario ma che qui mi ha preso bene. Ci sono anche dei limiti, un protagonista forzatamente sopra le righe, dialoghi un po' troppo da film action, finale che non chiarisce del tutto la vicenda e in l'epilogo assolutamente non necessario (al limite del "era tutto un sogno"). Inoltre come dicevo più nel dettaglio nel video sul canale, si sente davvero tanto il cambio di sensibilità dal 2003 a oggi non solo per come sono trattati certi argomenti (battute omofobe e razziste) ma anche per la struttura e lo svoglimento della storia. Ciò non impedisce di godersi la storia ma forse sarebbe più difficile da proporre a un pubblico contempraneo. Voto: 7/10

 

Siccome poi era da tanto tempo che non leggevo qualcosa del mio mentore Christopher Priest, mi sono preso uno dei libri che avevo in attesa da anni e ho letto il suo prequel/crossover di La guerra dei mondi e La macchina del tempo di H.G. Wells, The Space Machine. Priest è stato davvero abile a scrivere una storia come l'avrebbe scritta Wells in quell'epoca, con lo stesso tipo di narrazione e di struttura (e avendo letto molto altro di Priest, so bene che normalmente non scrive così, quindi è una scelta deliberata). La storia è quella di due giovanotti che un po' per caso si trovano sbalzati sulla macchina del tempo e finiscono su Marte (anche se ci mettono un po' a capirlo), e vivono sul pianeta abbastanza da scoprire i preparativi per l'invasione della Terra. Seguono quindi i marziani e cercando di fermarli, unendo le forze con lo stesso Wells e convergendo quindi verso il finale che già conosciamo della guerra dei mondi. Un romanzo godibile se si è appassionati delle storie classiche di HG Wells e della sua protofantascienza, con momenti carichi di tensione ma anche lunghe descrizioni di città, marchingegni e relazioni umane. Simpatico il modo in cui Priest ha sovvertito la damsel in distress, con questa damigella vittoriana che rifiuta le avance del gentleman, anche quando si trovano in situazioni di estremo pericolo (comunque alla fine scopano). Voto: 7.5/10

 

Dopo due romanzi lunghetti avevo voglia di qualcosa di più breve e quindi ho ripescato un'antologia che avevo sugli scaffali da tempo, Nostra Signora degli Alieni, una raccolta di racconti di "fantareligione" di autori italiani (uso il maschile esteso perché appunto, sono tutti uomini tranne una) curata da Walter Catalano e Gian Filippo Pizzo. È stata una tragedia. Molti racconti sono davvero miseri nel concept (viaggi nel tempo, gesù un varie salse, divinità che si rivelano, roba che va bene per i primi racconti che scrivi a dodici anni), in molti casi la scrittura è appena sufficiente e si percepisce spesso quel tocco di male gaze e oggettificazione della donna che non manca mai nelle raccolte boomerone. Alcuni racconti sono brevissimi ma anche senza alcun nucleo, per esempio quello in cui un giornalista va su una stazione spazione e scopre che c'è un altarino di san nicola; that's it. Ci son due-tre racconti meritevoli (Kremo, Carducci/Fambrini, Ricciardiello), gli altri vannod al mediocre allo scadente. Voto: 5/10


Altro racconto breve nell'ultima settimana dell'anno è stata L'impronta, uno degli ultimi Nodi di Zona42 di Andrea Cassini. Cassini l'ho già letto ed editato in altre occasioni, quindi so di potermi fidare della sua scrittura, in questo caso la sua narrazione è affidata tutta a personaggi non umani, animali che popolano un  bosco (chiamato appunto "impronta") e che vedono il loro territorio in pericolo per le attività umane. Io sono sempre un po' scettico con gli animali antropomorfizzati nei pensieri, per cui mi ci vuole un certo sforzo di fiducia per seguire una storia basata su quesa premessa, ma superato questo ostacolo (che credo sia una sensibilità molto personale) dire che la storia funziona. Non si tratta di un racconto basato sul plot, è più un racconto corale con le voci e le esperienze di animali diversi che devono scegliere se e come cambiare, perché come dicono "gli animali non cambiano". Forse la dicotomia "natura buona / uomini cattivi" è un po' semplicistica, ma si sente che viene proposta per rispetto nei confronti di una parte del pianeta che spesso ignoriamo. Voto: 6.5/10

 

Infine, terminato proprio il 31 dicembre, abbiamo l'ultimo esponente del viaggio nel self del 2023, ovvero Fabio Suraci con il suo romanzo fantasy, primo volume di una serie di x, Melissa e il popolo Celdi. Si tratta di un middle grade piuttosto classico, con protagonista ragazzina predestinata che finisce un un altro mondo e qui fa cose e vede gente. Tutto sommato funziona, ma ha qualche problema piuttosto evidente. Il primo è la lunghezza e la prolissità: un buon 30% della storia è tagliabile, soprattutto la prima parte, antecedente all'arrivo nel mondo fantastico, in cui seguiamo la protaognista e la sua famiglia e la sua amica e la sua scuola in una serie di eventi di cui non ci interessa niente e che non hanno nessun impatto sulla storia. E al di là di questo, anche nella maggior parte delle sequenze ci si dilunga troppo su aspetti del tutto secondari che non arricchiscono in nessun modo la narrazione. Questo diventa un problema soprattutto se si pensa che il libro si rivogla idealmente a un pubblico di 8-11 anni (già un adolescente troverebbe stucchevoli molte delle situazioni e la stessa protaginista e il suo attaccamento morboso all'amica, con cui ha un rapporto credibile sol per una bambina di 6-8 anni, non certo per una di 15). Ci sono poi dubbi nella gestione del plot (twist che non sono tali perché il lettore li aveva caiti ben prima dei protagonisti, che quindi ci passano per idioti, deus ex machina e mancanza di tensione in quallunque scontro) e incoerenze nel mondo e nel sistema magico, che non sembra avere limiti ma che funziona a tratti seguendo regole arbitrarie che sembrano inventate di volta in volta in base alle necessità. Infine la scrittura è decisamente da migliorare, a parte la prolissità spesso ci sono anche ambiguità nei soggetti, dialoghi implausibili, tantissimo show-then-tell, e livello di umorismo poco efficace, anche per dei bambini. Se si considera questo libro come rivolto a quella fascia di età può anche avere un suo senso, ma avrebbe comunque bisogno di una decisa sforbiciata e una bella ripulita. Voto: 5/10