Questo è un film che all'epoca della sua uscita aveva solleticato la mia attenzione ma che poi non ero riuscito a vedere subito, dopodiché, ammetto, me ne sono candidamente dimenticato e solo ora che mi è apparso su Netflix mi sono ricordato dell'interesse che aveva suscitato. L'interesse nasce soprattutto dal fatto che è una produzione internazionale, proposta come un qualunque b-movie hollywoodiano (da intendersi non in senso qualitativo, ma come produzione con budget relativamente basso, ma scritto e diretto da due italiani. Roba che non si vede tutti i giorni, anche se i due in questione, che si firmano Fabio&Fabio e sono Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, non è la prima volta che si dedicano a produzioni di questo tipo, dato che hanno anche scritto la sceneggiatura di True Love, visto tempo fa e in buona parte apprezzato.
L'idea alla base di Mine è molto semplice: un soldato in terreno di guerra si accorge di aver pestato una mina, deve quindi rimanere immobile con il piede piantato sull'ordigno per evitare di saltare in aria, cercando il modo di salvarsi. Talmente semplice che, chiaramente, non è banale costruirci sopra un film funzionante. Quando il tuo protagonista deve rimanere per tutto il film immobile in mezzo al deserto, devi inventarti qualcosa per rendere la sua storia avvincente.
Difatti Mine cambia più volte registro nel suo svolgimento. Inizia come un film di guerra come se ne vedono tanti, in genere classificati sotto l'etichetta "americanata": il nostro eroe cecchino, il compagno d'armi chiacchierone che è pure il migliore amico, gli scrupoli morali verso l'omicidio di un possibile innocente, il comando insensibile alle richieste dei suoi soldati. La situazione poi cambia quando il protagonista (Mike, interpretato da Armie Hammer) rimane piantato sulla mina come già sapevamo che sarebbe successo: diventa un survival movie, con la ricerca di un modo per rimanere in vita il tanto che basta da ricevere soccorsi. Questa è la fase più lunga del film, durante il quale Mike deve affrontare una serie di difficoltà, rimanendo fermo dove si trova: tempeste di sabbia, sciacalli, disidratazione, delirio, e abitanti del deserto un po' rompicoglioni. Ma poi anche questa fase passa, e dopo qualche piccolo indizio sparso nelle scene precedenti si arriva al vero nucleo della storia: e siamo passati al dramma.
Arrivati a questo punto, non è più tanto la sorte di Mike a importare, ma ciò che lo ha portato a essere lì, adesso. Il fastidioso berbero che gli ronza intorno lo porta proprio a pensare a questo, in una catena di domande che all'inizio sembrano una presa in giro ma poi si fanno più profonde: "perché hai messo il piede sulla mina / persché stavi scappando / perché sei in guerra / perché hai voluto partire". E con l'aiuto di qualche goccia di droga allucinogena (non so bene cosa coltivino nel deserto dell'Afghanistan, oppio forse?) iniziamo a conoscere il suo passato rappresentato in poche, brevi sequenze: il rapporto con i genitori, il padre abusivo e la madre malata, e poi la fidanzata Jenny, che lo aspetta a casa, o forse no, non l'aspetta più. Ed ecco che Mike, in tutte queste occasioni, fa un passo sbagliato, mette il piede su una mina, click, e deve riuscire a trovare il modo di fare quel passo che potrebbe portare alla sua distruzione. Lo vediamo in ginocchio, come adesso, a cercare il modo e la ragione per andare avanti. È una parte relativamente breve nell'economia del film, ma ne racchiude tutto il senso, e lo fa evolvere al di là del semplice giocattolo ben costruito, lo fa diventare una storia personale e universale. Perché le mine che Mike ha calpestato nella sua vita sono quelle che rischiamo di pestare tutti (ok, forse esclusa quella in Afghanistan) e la forza che ha cercato lui è quella di cui abbiamo bisogno tutti.
È un grande risultato per un film con queste premesse, sicuramente oltre tutte le mie aspettative. Forse da un certo punto di vista diventa anche il suo unico punto debole, perché la retorica del "andare avanti" viene esplicitata e ripetuta fino allo sfinimento, nel passato e nel presente, da parte di tutti. Sembra quasi che gli autori avessero timore che non si capisse che loro non stavano facendo un film di guerra e volessero sottolinearlo, perché fosse chiaro oltre ogni dubbio, che c'era un senso nascosto sotto tutto questo. Ci hanno insistito così tanto che la frase diventa quasi melensa, soprattutto nell'ultima parte.
Ma mi sento comunque di perdonare questa sbavatura, attribuirla all'ansia da prestazione di qualcuno che ha qualcosa da dire e ha solo un'occasione per farlo, e teme di essere frainteso. Quindi nonostante qualche difetto trascurabile, che avrebbe potuto essere evitato con qualche limatura, posso dire che Mine è un ottimo film e che adesso seguirò con più attenzione la carriera di Fabio&Fabio, ad esempio a partire da Ride uscito poche settimane fa.
L'idea alla base di Mine è molto semplice: un soldato in terreno di guerra si accorge di aver pestato una mina, deve quindi rimanere immobile con il piede piantato sull'ordigno per evitare di saltare in aria, cercando il modo di salvarsi. Talmente semplice che, chiaramente, non è banale costruirci sopra un film funzionante. Quando il tuo protagonista deve rimanere per tutto il film immobile in mezzo al deserto, devi inventarti qualcosa per rendere la sua storia avvincente.
Difatti Mine cambia più volte registro nel suo svolgimento. Inizia come un film di guerra come se ne vedono tanti, in genere classificati sotto l'etichetta "americanata": il nostro eroe cecchino, il compagno d'armi chiacchierone che è pure il migliore amico, gli scrupoli morali verso l'omicidio di un possibile innocente, il comando insensibile alle richieste dei suoi soldati. La situazione poi cambia quando il protagonista (Mike, interpretato da Armie Hammer) rimane piantato sulla mina come già sapevamo che sarebbe successo: diventa un survival movie, con la ricerca di un modo per rimanere in vita il tanto che basta da ricevere soccorsi. Questa è la fase più lunga del film, durante il quale Mike deve affrontare una serie di difficoltà, rimanendo fermo dove si trova: tempeste di sabbia, sciacalli, disidratazione, delirio, e abitanti del deserto un po' rompicoglioni. Ma poi anche questa fase passa, e dopo qualche piccolo indizio sparso nelle scene precedenti si arriva al vero nucleo della storia: e siamo passati al dramma.
Arrivati a questo punto, non è più tanto la sorte di Mike a importare, ma ciò che lo ha portato a essere lì, adesso. Il fastidioso berbero che gli ronza intorno lo porta proprio a pensare a questo, in una catena di domande che all'inizio sembrano una presa in giro ma poi si fanno più profonde: "perché hai messo il piede sulla mina / persché stavi scappando / perché sei in guerra / perché hai voluto partire". E con l'aiuto di qualche goccia di droga allucinogena (non so bene cosa coltivino nel deserto dell'Afghanistan, oppio forse?) iniziamo a conoscere il suo passato rappresentato in poche, brevi sequenze: il rapporto con i genitori, il padre abusivo e la madre malata, e poi la fidanzata Jenny, che lo aspetta a casa, o forse no, non l'aspetta più. Ed ecco che Mike, in tutte queste occasioni, fa un passo sbagliato, mette il piede su una mina, click, e deve riuscire a trovare il modo di fare quel passo che potrebbe portare alla sua distruzione. Lo vediamo in ginocchio, come adesso, a cercare il modo e la ragione per andare avanti. È una parte relativamente breve nell'economia del film, ma ne racchiude tutto il senso, e lo fa evolvere al di là del semplice giocattolo ben costruito, lo fa diventare una storia personale e universale. Perché le mine che Mike ha calpestato nella sua vita sono quelle che rischiamo di pestare tutti (ok, forse esclusa quella in Afghanistan) e la forza che ha cercato lui è quella di cui abbiamo bisogno tutti.
È un grande risultato per un film con queste premesse, sicuramente oltre tutte le mie aspettative. Forse da un certo punto di vista diventa anche il suo unico punto debole, perché la retorica del "andare avanti" viene esplicitata e ripetuta fino allo sfinimento, nel passato e nel presente, da parte di tutti. Sembra quasi che gli autori avessero timore che non si capisse che loro non stavano facendo un film di guerra e volessero sottolinearlo, perché fosse chiaro oltre ogni dubbio, che c'era un senso nascosto sotto tutto questo. Ci hanno insistito così tanto che la frase diventa quasi melensa, soprattutto nell'ultima parte.
Ma mi sento comunque di perdonare questa sbavatura, attribuirla all'ansia da prestazione di qualcuno che ha qualcosa da dire e ha solo un'occasione per farlo, e teme di essere frainteso. Quindi nonostante qualche difetto trascurabile, che avrebbe potuto essere evitato con qualche limatura, posso dire che Mine è un ottimo film e che adesso seguirò con più attenzione la carriera di Fabio&Fabio, ad esempio a partire da Ride uscito poche settimane fa.
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