Black Swan

È da un po' che non metto un racconto-lampo qui sul blog, perché tutto sommato mi pare che ci siano cose più interessanti di cui parlare, e se proprio volete leggere la mia narrativa andate a vedere nelle pubblicazioni e vi scegliete qualcosa (sì, anche a gratis, pidocchiosi che non siete altro...). Ma ogni tanto fa bene staccare dalla routine, quindi oggi mi sento di buttare lì una storiella claustrofobica di paranoia da astronave. Non fatevi ingannare dal titolo, non include scene lesbo tra Natalie Portman e Mila Kunis.



Black Swan

SYSTEM CHECK: OK
HULL CHECK: OK
ENGINE CHECK: OK
CRYOCELL CHECK: OK

Desmond lesse le righe di testo che il computer gli chiedeva di verificare a ogni inizio del periodo di veglia. In alto, in un angolo, era presente il numero progressivo del periodo, dal quale, calcolando l'alternanza delle dodici ore di veglia con le otto di sonno, poteva ricavare che il viaggio finora era durato quattordici anni, dieci mesi e un paio di settimane.
E ne mancavano ancora più undici, prima che la Black Swan raggiungesse Vega.
Undici anni in cui avrebbe continuato a eseguire le stesse operazioni, ogni periodo, dieci ore sveglio e otto ore dormendo. Un ciclo infinito, senza possibilità di uscita.
Perché era toccato a lui?
Soffermò lo sguardo sull'ultima riga: la criocella funzionava alla perfezione, come tutto, del resto. Desmond si voltò a osservare la cella. Nell'angusto spazio abitabile della nave, bastava girarsi per trovare qualsiasi cosa. Aveva imparato a memoria ogni dettaglio di quell'ambiente, riusciva a riconoscere alla perfezione tutti i particolari. Paradossalmente, l'unica cosa che non poteva vedere era se stesso, visto che l'abitacolo non conteneva nessun tipo di superficie riflettente. L'unico modo di scorgere il suo stesso volto era osservarlo ritratto sul tesserino di riconoscimento che era incluso sul pettorale della tuta.
Al di là del vetro temperato spesso sei centimetri della criocella poteva scorgere la sagoma di Kelvin, il suo compagno di missione, sospeso in ibernazione fin dal lancio in orbita. Per lui, il viaggio sarebbe durato solo un battito di cuore, e poi si sarebbe risvegliato, fresco e giovane, come se non fosse passato nemmeno un minuto, mentre Desmond nel frattempo era invecchiato di venticinque anni, accudendolo quotidianamente.
Non solo: Desmond avrebbe dovuto anche accompagnarlo nelle prime delicate fasi di recupero, quando, emerso dalla lunga ibernazione, Kelvin sarebbe stato troppo confuso per ricordare chi fosse o dove si trovasse. Gentilmente, pazientemente, Desmond avrebbe dovuto scongelare i suoi ricordi cristallizzati dal criosonno.
Perché era toccato a lui? Era profondamente ingiusto, che di due professionisti equivalenti, lui fosse stato scelto per quel sacrificio.
E allora, dopo quattordici anni, pensò che forse poteva rimediare l'ingiustizia. Forse avrebbe potuto risvegliare Kelvin, e convincerlo che lui era Desmond Bowman, incaricato della manutenzione della Black Swan. Dopo quattordici anni, poteva pur chiedere il cambio...
Forzò il sistema, e avviò la procedura di scongelamento. Si preparò ad estrarre il corpo inerte di Kelvin, ma quando i vapori della criocella si dispersero notò qualcosa di insolito.
Il viso del collega non corrispondeva a quello riportato sul pettorale della criotuta. Eppure, in qualche modo gli era familiare.
Capì troppo tardi, quando l'altro aveva già riaperto gli occhi: se si escludeva la barba incolta, quel volto corrispondeva all'immagine sulla sua tuta. Davanti a lui c'era il vero Desmond Bowman.

Doctor Who 8x10 - In the Forest of the Night

Vedendo il trailer di questo episodio avevo pensato che si sarebbe trattato di una versione dark di una o più fiabe, immaginavo avesse qualche collegamento con Cappuccetto Rosso, e magari Hansel e Gretel, o Pollicino, insomma, tutte quelle che si svolgono nei pressi di un bosco. La cosa avrebbe avuto senso nell'arco di una stagione che già altre volte ha preso dei temi classici dell'immaginario collettivo (come il mostro sotto il letto) declinandoli opportunamente in chiave sf. Le cose si sono mostrate però diversamente, anche se qualche accenno a questo collegamento tra uomo e foresta è stato fatto. Durante la visione invece, quando cercavo di capire cosa stesse succedendo, a un certo punto ho pensato "Vashta Nerada!", e ho voluto credere che questa puntata si ricollegasse al migliore episodio ever del nuovo Doctor Who. Ma neanche questo è successo.

Comincio elencando ciò che questa puntata non ha fatto, perché se devo descrivere quello che c'è stato la recensione si farebbe molto breve e poco simpatica. Perché ci sono parecchi aspetti che rendono In the Forest of the Night il più brutto episodio della stagione attuale, e certamente uno dei peggiori degli ultimi anni. L'idea di una vita vegetale cosciente e impegnata a mantenere vivo il pianeta ha un suo fascino, ma qui si esprime in modo troppo semplicistico. Intanto una gigantesca foresta che copre tutto il mondo (anche i deserti africani, a quanto si vede) nello spazio di poche ore non si può onestamente accettare. Soprattutto se si considera che nessuno se ne è accorto: com'è possibile che su tutta la Terra non ci fosse una persona sveglia a vedere una sequoia di trenta metri crescere nel giro di venti minuti? In secondo luogo, i danni che questa crescita abnorme provocherebbe nei luoghi civilizzati (per fare un esempio, il centro di Londra) sarebbero incalcolabili, basta vedere come si riducono le strade quando le radici affiorano. Infine, se anche volessimo accettare tutto questo, e riconoscessimo agli alberi (o quei fuochi fatui che ne rappresentano la coscienza) il ruolo di guardiani del pianeta, allora, dov'erano finora? Tutte le volte passate che, tanto nella storia reale che nello show, la Terra si è trovata in pericolo (a volte la minaccia era simile a quella mostrata qui), dov'erano gli alberi salvatori? Senza contare che, a mio avviso, un pianeta così completamente verde avrebbe un tasso di ossigeno tanto alto da favorire la combustione, non evitarla...

Insomma, non ci siamo quanto a nucleo narrativo. E nemmeno tanto con lo svolgimento. A parte il fatto che credo ne abbiamo avuti abbastanza, in questa stagione, di episodi con ragazzini come co-protagonisti, ma oltre a questo il triangolo Doctor-Clara-Danny inizia a stufare, visto che non porta da nessuna parte. Cioè, io lo so dove porta, con ogni probabilità il ruolo di mr. Pink è fare da solida àncora di salvezza per quando Clara vorrà abbandonare il Dottore (momento che si avvicina, a quanto pare), però appunto, rimarcare così tanto la differenza di atteggiamento tra i due nei confronti del Time Lord e delle avventure da lui ricercate si fa frustrante. Questo peraltro è uno di quegli episodi in cui Clara è effettivamente stupida e ottusa, quando altre volte si dimostra invece sorprendentemente audace e sveglia. Tutto ciò contribuisce a rendere ancora più irritante quello che si vede, e quando non c'è una trama abbastanza forte da sorreggere tutto la visione diventa sgradevole.

Rimangono poi due cose da spiegare: il titolo, che io non ho capito a cosa si riferisca, a meno che non sia una citazione di qualcosa, che comunque non mi sembra ci azzecchi tanto; e soprattutto, ma da dove è uscita fuori la sorella morta della bambina che sussurrava agli abeti!? Voto: 4/10

La mia esperienza con la Factory Editoriale

Mi ritaglio cinque minuti del vostro sabato pomeriggio per un breve post che riassuma quello che potreste esservi persi della mia esperienza con la Factory Editoriale I Sognatori. Non sto a ripercorrere tutta la storia, che è iniziata l'estate dell'anno scorso, mi ha portato in breve tempo alla pubblicazione di Spore e ha celebrato il suo primo anno di attività con il Factory Day 2014, una manifestazione letterario-culturale tenuta a Viareggio a fine agosto. Voglio spendere questo post perché vista dall'esterno forse la Factory non appare diversa da molte altre case editrici, piccole ma agguerrite, che si affacciano ogni tanto nel panorama underground italiano. Ma vivere quotidianamente l'esperienza dal dentro è un'altra cosa, e vorrei provare a farlo capire a chi è solo di passaggio e magari incrocia la realtà della Factory senza sapere cosa c'è dietro.


Per il suo pubblico tutto sommato I Sognatori si può definire una casa editrice di piccola dimensione, ma nondimeno virtuosa, perché punta su talenti italiani da coltivare e proporre coraggiosamente su canali alternativi (per scelta editoriale non distribuisce direttamente in libreria). Voglio dire, nel suo primo tris di pubblicazioni ci sono rientrato io, con una raccolta di racconti di fantascienza: l'antitesi del bestseller. Eppure l'intenzione si è confermata anche in seguito, con la stampa di libri che in buona parte sfidano i trend di mercato. Da questo punto di vista quindi probabilmente I Sognatori possono essere assimilati ad altre case editrici passate o attuali, come la Gargoyle che fu (non quella attuale, le mitiche Edizioni XII e la nuova arrivata Zona 42 (cito quelle più attive nella letteratura fantastica perché è il settore che conosco meglio). E tanto dovrebbe bastare.

Quello che però non emerge all'esterno è il modo in cui la casa editrice lavora, che giustifica la sua definizione di "Factory Editoriale". Senza addentrarsi troppo nello specifico, basta sapere che il gruppo di autori riunti dall'editore compone una nutrita squadra che mette a disposizione le proprie capacità per tutti gli altri. È stato grazie a questo gruppo che sono riuscito a organizzare la mia prima presentazione al Caffè Letterario Volta Pagina di Pisa (e per inciso, questo pomeriggio sarò di nuovo lì, per la presentazione di Y di Claudio Selva), e ho stabilito contatti per altri eventi simili in posti diversi (dovrei riuscire a dare qualche dettaglio presto). Certo, io sono stato tra i primi a poter approfittare di questa rete, ma lo stesso vale per gli autori che sono stati pubblicati in seguito. La cosa straordinaria è che, se alla partenza del progetto il principio su cui ci si basava (o almeno su cui io stesso pensavo di contare) era il semplice do ut des, ovvero uno scambio di "favori" reciproci di cui alla lunga tutti avrebbero beneficiato, a distanza di un anno posso dire che non è più così. Adesso, un successo della Factory è un successo che percepisco come mio, perché dopo aver conosciuto (attraverso il forum dedicato e di persona) gli autori che compongono il gruppo, il rapporto si è evoluto oltre la collaborazione professionale. Tanto che adesso, quando ancora cerco di stabilire contatti per prossimi eventi o promozioni, la mia logica non è più "come posso spingere il mio libro?", ma "come posso spingere la Factory?"

C'era dello scetticismo all'inizio del percorso, quando Aldo Moscatelli ha lanciato dal suo blog l'idea e poi ha composto la squadra. Io stesso non ero certo sicuro al cento per cento che l'approccio fosse vincente (e forse non posso ancora dire che lo sia in tutto), ma adesso so con certezza che la direzione è sicuramente quella giusta. Qualcuno, soprattutto chi ha una minima conoscenza dei meccanismi editoriali, può ravvisare nella formula della Factory un modo furbo dell'editore per liberarsi del lavoro e delle responsabilità che spetterebbero a lui. Beh, in parte è vero, ma tutto sommato se il fine è quello di diffondere e vendere i libri pubblicati, e la condivisione (ancora più che la suddivisione) dei compiti lo rende più facile, qual è il problema? È meglio fossilizzarsi su posizioni sterili, o impegnarsi personalmente per ottenere un risultato migliore a beneficio di tutti? In secondo luogo però, bisogna anche considerare che l'editore si comporta in tutti i sensi come tale, e non c'è dietro nessun sistema ingegnoso di EAP o vanity press che sia: il gruppo si consulta, propone, valuta, ma poi la decisione finale spetta al capo, che di fatto stabilisce la linea da seguire. Ciò non vuol dire nemmeno che ci sia una dittatura incontestabile, anzi, già in diverse occasioni le proposte dell'editore sono state bocciate dal gruppo, o viceversa una proposta di un membro è stata accolta come parte integrante del "regolamento interno".

Quando sono approdato nella Factory io ero forse uno degli iniziali 80-90 membri (ad oggi sono molti meno, forse poco più di 50) con maggiore esperienza di pubblicazioni e mercato editoriale. Questo per chiarire che non mi sono fatto abbagliare dalla prospettiva della rapida e facile pubblicazione (poi di fatto è stato così, ma per un caso!), e sapevo bene che c'era da dubitare fortemente. Avevo già partecipato a più presentazioni, anche di editori "professionisti", ma non si era mai trattato di eventi ben organizzati come quelli che sono riuscito a realizzare con gli amici factoriani. Ad oggi posso quindi dire che l'idea era azzeccata, non fosse altro per questa intensa rete di collaborazione e rapporti umani che si sono instaurati nel gruppo. Io so che fino a fine 2015 non potrò nemmeno prendere in considerazione l'idea di pubblicare qualcos'altro per I Sognatori, ma non per questo smetto di seguire le iniziative e sostenere i miei compagni. Si parla spesso di come l'editoria sia un settore sterile, marketizzato, dove la qualità non rappresenta un criterio essenziale e la barriera tra i tre soggetti coinvolti (autore - editore - lettore) risulti invalicabile. Qui il sistema è diverso, perché gli autori sono i primi lettori, e l'editore consulta gli autori, e i lettori rispondono direttamente all'editore, e così via. Senza stare a scomodare i paradigmi del socialismo, a me sembra solo un sistema pragmaticamente efficace e soddisfacente per tutte le parti in gioco.

Con tutto questo non sto facendo uno spottone per dire "ehi, guardate quanto siamo bravi e innovativi, leggeteci!". Il pubblico deve giustamente valutare solo sulla base di quanto viene pubblicato e letto, e a essi non si risponde con nient'altro che la qualità. Ma per chi ha la curiosità di sapere come ha fatto il libro che tiene in mano ad arrivargli in mano, questo breve resoconto credo sia interessante. La Factory Editoriale non sarà la panacea in grado di risanare l'editoria, non arriverà mai a competere con i big del settore, i suoi autori non verranno mai invitati da Fazio e probabilmente ci sarà ancora molto da dover mettere a punto e imparare. Insuccessi ce ne sono stati e ce ne saranno, ma niente che non ci si aspettasse, quando ci si muove in un settore così saturo e distorto in partenza. La mia esperienza, finora, è stata una delle più complete e soddisfacenti dal punto di vista "autoriale", e mi ha portato senza dubbio a maturare molto non solo come scrittore, ma anche come "operatore artistico" in genere (perché quando ti sbatti due mesi per organizzare una presentazione nella biblioteca a 40 metri da casa tua impari molto). E non è certo merito esclusivamente mio, ma di tutte le persone disponibili, competenti, eclettiche, sopra le righe, con cui mi sono trovato a condividere il percorso.

Se seguite regolarmente questo blog ci sono buone probabilità che abbiate letto Spore (se non è così, dovreste sentirvi un po' delle merde), e per quanto mi riguarda non avrei altro da richiedervi. Ma fidatevi di me quando vi dico che questi ragazzi meritano di essere conosciuti, e se sfogliate i profili degli autori o il catalogo troverete sicuramente qualcosa di interessante. Le anteprime free abbondano ed è da poco disponibile anche il primo ebook collettivo gratuito, quindi il giudizio potete formarlo in autonomia senza rimetterci più di un'oretta del vostro tempo. You'll thank me later.

Coppi Night 19/10/2014 - Ralph Spaccatutto

Forse è un mio problema, o forse soltanto una fase passeggera, ma l'insofferenza che provo ultimamente nei confronti dei film, soprattutto quelli più popolari, mi sta portando a preferire di gran lunga la visione di un bel "cartone", termine con il quale intendo tutto il cinema d'animazione che a mio avviso, negli ultimi anni, spesso ha molto più da dire rispetto al resto. È per questo che al mio turno del Coppi Club ho proposto un'intera rosa di film d'animazione, e per inciso me ne sono visti un paio nel frattempo (non avevo ancora visto Il gigante di ferro, stupido che ero!).

In effetti avevo già visto Ralph Spaccatutto poco dopo la sua uscita, ma ho voluto proporlo e alla fine è stato questo a spuntarla. Il titolo mi aveva attirato fin dall'inizio perché la sua prospettiva sul mondo dei videogiochi, intesi soprattutto come i vecchi arcade da sala giochi, era estremamente interessante. Non mi posso definire un videogiocatore, ma le mie ore ce le passo (anche in questo caso, a periodi, alternando fasi di picco ad altre di stasi), e graziaddio faccio parte (per un soffio) di quella generazione che ha messo le mani sul Commodore 64, il Dreamcast e il Super Nintendo. Insomma, conosco tutti i giochi "classici" della storia, e soltanto vedere i riferimenti a questi sparsi per tutto il film basterebbe a ritenersi soddisfatti.

Ma il film non si limita a questo, e gli autori sono stati più bravi che furbi, perché in effetti sarebbe stato anche troppo facile fondare un'intera storia sul senso di nostalgia provato dagli spettatori vedendo Qbert e Bowser. La storia di Ralph, cattivo dei videogiochi intenzionato a redimersi, è molto più complessa di quanto possa apparire in partenza, e se all'inizio può sembrare che il film non porti da nessuna parte, arrivati alla fine si realizza che l'eroe ha compiuto l'intero percorso di riscossa-affermazione-caduta-rivincita tipico di tutte le saghe epiche. Se al di là delle citazioni il livello delle gag è forse più adatto agli spettatori più piccoli, la storia una volta dipanata interamente ha una complessità che richiede un impegno ben maggiore, così come i momenti più drammatici raggiungono un'intensità notevole (all'interno del contesto). La forza maggiore di questo film è forse la coerenza con cui il "mondo segreto" dei videogame viene illustrato, con i suoi meccanismi e le sue regole, e come gli eventi si costruicano proprio sulla base di queste regole, o sulla loro deliberata elusione. Questo è quel tipo di coerenza che appunto non ritrovo in molti dei film moderni, e basta rileggere quanto dicevo di The Winter Soldier per capire a cosa mi riferisco. È chiaro che il livello di credibilità è diveros, ma fatte le giuste proporzioni, all'interno del suo universo narrativo Ralph è molto più coerente di Capitan America.
 
C'è anche da dire che forse lo svolgimento della trama non è del tutto equilibrato, e che probabilmente la parte centrale fatica a trovare una collocazione, con la presenza della bambina come controparte di Ralph che risulta piuttosto irritante, almeno fino a quando non si inizia a scoprire che c'è qualcosa di più di quello che si vede inizialmente. Tutte le rivelazioni sono poi concentrate negli ultimi venti minuti, quando forse avrebbero potuto essere diluite meglio per mantenere l'attenzione viva anche nelle parti precedenti. Tuttavia, come molti altri "cartoni", Ralph Spaccatutto non si può definire un film per bambini. La sola presenza di tanti riferimenti ai videogiochi degli anni 80-90 basta da sola a far capire che il pubblico ideale è maturo, di almeno 30 anni o giù di lì, e che forse solo per poter approdare sul mercato il tiro è stato poi corretto cercando di rendere il prodotto appetibile anche al pubblico più giovane. La classica situazione in cui il genitore usa la scusa del "porto i bimbi al cinema" e poi esce lui coi lacrimoni.

Doctor Who 8x09 - Flatline

Ogni tanto Doctor Who ci propone un episodio in cui il protagonsita della serie è per lo più assente, e a sbrigarsela in sua assenza devono essere gli altri personaggi, companion attuali prima di tutto. Nella nuova serie, a parte il caso eclatante e ormai cult di Blink, ci sono anche altre istanze simili, come Fear Her nella seconda stagione, Turn Left nella quarta, The Girl Who Waited nella sesta. In Flatline ci risiamo, e stavolta il Dottore è impossibilitato a partecipare all'azione perché non può fisicamente uscire dal Tardis, che ha avuto un insolito collasso dimensionale e adesso è molto più piccolo on the outside. Il Dottore in effetti non è del tutto assente, e riesce a comunicare con Clara, ma diventa lei l'agente sul campo, tenuta ad affrontare la minaccia in corso e dirigere (possiblmente salvare) i malcapitati di turno.

Il nemico in questo caso è uno di quei pochi antagonisti che riescono ad andare oltre la comprensione del Dottore stesso: forse esseri di un altro universo, creature bidimensionali che si affacciano sul nostro universo 3D e cercano di interpretarlo. Non è del tutto chiaro se gli esseri transdimensionali siano davvero ostili o se le vittime da loro provocate sono soltanto un indesiderato effetto collaterale dei loro tentativi di contatto. Il Dottore prova a comunicare con loro, ma il tentativo non dà risultati apprezzabili, per cui ci si trova a dover affrontare il problema in modo pragmatico: questi flatlandiani malefici stanno facendo del male, e anche se questo risultato fosse involontario, devono essere fermati.

L'idea che stà alla base di questo episodio è una delle più interessanti finora, e il modo in cui non si riesca a stabilire un contatto al di là dell'estrema alienità di questi esseri è affascinante. Anche il modo in cui il Tardis reagisce a questo scombussolamento dimensionale è degno di nota, e sottolinea uno dei tanti "poteri" della macchina del tempo che spesso vengono dati per scontato. Il Tardis è per definizione (Time and Relative Dimensions in Space) un apparecchio che permette di alterare le dimensioni spaziali degli oggetti, e il suo essere bigger on the inside ne è la prova più immediata (il Quarto Dottore, a suo tempo, spiegò a Leela come questo era possibile), ma a volte questa sua capacità può provocare degli inconvenienti, come nell'avventura del Primo Dottore Planet of the Giants, dove tutti i viaggiatori erano stati ridotti alla dimensione di insetti. Personalmente gradisco sempre quando le storie si focalizzano su un aspetto del Tardis, che è un personaggio centrale almeno quanto il Dottore stesso. Inoltre bisogna riconoscere che l'avversario di questo episodio non è un semplice mostro/alieno di un altro pianeta/tempo, ma qualcosa di più complesso, che richiede uno sforzo maggiore per essere compreso. Si tratta di un approccio più "maturo", che forse potrà anche mettere in difficoltà qualche spettatore ma ribadisce che lo show si è evoluto da quando ha ripreso nel 2005 e portava in scena alberi umani e alieni scoreggioni.

Quello che magari potrebbe non andare giù a molti fan è il ruolo da protagonista di Clara. Molti si sono lamentati che la sua presenza in questa stagione è fin troppo pesante, e che sembra quasi che lo show segua le sue avventure in giro per l'universo piuttosto che quelle del Time Lord che se la porta appresso. Questo episodio pende pericolosamente in questa direzione, quindi può apparire per certi versi indigesto, però io non lo reputo debole in questo senso, perché anzi il fatto che Clara abbia dovuto fare le veci del Dottore, e ricoprirne il ruolo in sua assenza, ha contribuito a mostrare qualcosa che già era stato visto in Kill the Moon, che essere un eroe, quello che arriva e salva tutti, non è facile, e comporta spesso scelte pesanti, oltre che una serie infinita di menzogne.

La puntata si conclude con un altro teaser di Missy, e stavolta lei parla direttamente di Clara, dicendo di aver scelto bene. Non è dato di sapere per cosa la ragazza sia stata scelta, e in che senso Missy l'abbia scelta (scelta per diventare companion del Dottore, e quindi pilotata in quella direzione? scelta per qualcosa che dovrà fare in seuito?), ma altri indizi si aggiungono al plot che si svolgerà, ormai tra un paio di puntate, e chiuderà l'ottava stagione, che a mio avviso finora si sta dimostrando più stabile di molte delle precedenti (sicuramente più della settima). Voto: 7/10

Coppi Night 12/10/14 - Coffee and Cigarettes

Non sono molti il film nella storia del Coppi Club che vantano il discutibile primato di non essere stati visti fino in fondo: Coffee and Cigarettes è tra questi, un ristretto club che conta solo un altro titolo: Assolto per aver commesso il fatto, film con Alberto Sordi visto agli albori del Club.

Diciamo subito una cosa, che in realtà ho già detto molte altre volte: io non sono un cinefilo, un esperto di cinema, arte, fotografia o sailcazzo, io non so nulla-di-nulla di storia della cinematografia, non so come si chiamano i diversi tipi di inquadrature e dal punto di vista tecnico mi limito a riconoscere un film in bianco e nero da uno a colori. Il mio parere quindi è sempre ed eslcusivamente quello dello spettatore "generico", forse un po' più smaliziato del normale, che ha un occhio in più per certi meccanismi e strutture che spesso vengono ignorate.

Però.

Però dai, cioè. Stiamo scherzando? Questo non è un film. Checcazzo, questa è una telecamera lasciata accesa in una stanza, e di solito si vedono personaggi e storie più interessanti nel circuito chiuso dei market pakistani 24/7. Io non so quale fosse l'intenzione del regista, ma questa serie di scenette che non solo non hanno un collegamento, ma nemmeno un punto di partenza e di arrivo. Voglio dire, ce n'è una, non mi ricordo se la quinta o la sesta, in cui tutto quello che si vede è questa ragazza che legge il giornale con il caffè sul tavolino, e il cameriere che arriva per riempirle il caffè ma si ferma perché lei non vuole. Nient'altro. Niente. Altro. E questa è solo la più clamorosa, ma quelle precedenti non sono da meno, Benigni o Iggy Pop che sia. Un altro corto dei 12 che compongono il "film" (ma di cui ne ho visti solo 6, forse ho iniziato e poi abbandonato il settimo) ci sono due neri, non ho capito se sono parenti o solo amici, sempre in un bar, si trovano lì e uno dice "mi hai chiamato perché qualcosa non va" e l'altro "no va tutto bene" e poi "no, qualcosa non va", "no, davvero, tutto a posto", "davvero tutto a posto?", "sì tutto a posto", "ok allora ciao".

Cioè, cosa mi dovrebbe rimanere di tutto ciò? Io siccome non mi reputo l'ultimo degli imbecilli, ho pensato "boh, magari mi è sfuggito qualcosa", e per la prima volta sono andato su google a cercare qualche recensione per capire se davvero avevo sbagliato io approccio. Ma niente, il film è mediamente apprezzato perché dice che sia ironico e che mostri le ossessioni e le consuetudini e le idiosincrasie della vita moderna. Scopro addirittura che uno dei cortometraggi ha vinto anche un premio, una palma d'oro o roba simile.

Ma per cosa? Perché è girato bene? Ma si tratta di un film o di un'operazione chirurgica? È un'opera, qualcosa che dovrebbe trasmettere delle sensazioni e idee allo spettatore, o il bilancio di un'azienda? Non lo so, io davvero non ci arrivo e boh, sarà un limite mio, nessuno lo mette in dubbio. Ma io con questa roba non voglio averci a che fare, e forse è quasi peggio questo di quel trashume che mi capita di vedere di tanto in tanto, perché qui c'è la pretesa di fare ARTE. In questi casi sì che mi sento di dirlo: andate a lavorare.

E poi si può sapere quella cosa di brindare con le tazze del caffè, chi ve l'ha messa in testa?

Doctor Who 8x08 - Mummy on the Orient Express

Quando ho visto il trailer di questo episodio, ho pensato che sarebbe stata una di quelle storie un po' facilotte: il treno nello spazio, il mostro "tradizionale" che insegue le vittime e tutti che scappano da un vagone all'altro, il tutto poi spiegato con qualche technobabble. Il paragone più immediato è con l'episodio sul Titanic (in space), o i famigerati pirati e la loro sirena (in space). Episodi così ce ne sono tanti (erano lo standard nel DW classico), e non è detto che siano brutti, solo non lasciano certo una traccia indelebile nello spettatore.

Invece questa mummia si è rivelata più appassionante del previsto, perché non si tratta solo di fuggire da un mostro ma anche di studiarlo, nel brevissimo lasso di tempo che questo concede alle sue vittime. Il titolo non a caso richiama Murder on the Orient Express, perché è evidente che oltre a un mostro da sconfiggere che anche un mistero da risolvere, una serie di morti annunciate ma inevitabili da cui bisogna trarre uno schema per scoprire il disegno dell'assassino. Mi è piaciuta molto la soluzione finale, il modo in cui viene spiegata sia la modalità che la ragione degli attacchi della mummia, anche se alla fine non mi è chiaro se fosse in effetti la mummia classica delle maledizioni egizie o solo una cosa che sembrava una mummia. Mi è piaciuto così tanto che avrei voluto anzi saperne di più sulla mummia, scoprire la storia di questo soldato immortale e condannato ad attaccare, che aspetta soltanto di sapere che la sua guerra è finita da parecchi millenni. Diamine, è una storia con un potenziale immenso, come quei vietcong che non hanno mai appreso che la guerra era finita e hanno continuato a nascondersi nella giungla per quarant'anni. Solo che in questo caso sono quattromila, ecco. Da apprezzare anche la resa estetica delcadavere imbalsamato deambulente, realizzata in modo eccellente.

Fatti tutti i complimenti del caso al valoroso soldato, va anche segnalato che qualcosa scricchiola in questa puntata. Intanto il setup è forse un po' forzato, soprattutto per la presenza dell'entità (che sia un computer o un maniaco in collegamento col treno) che ha appositamente raccolto intorno a sé gli specialisti necessari per studiare la mummia: mi pare esagerato che questo complotto vastissimo sia stato messo insieme con l'unico scopo di scoprire la natura del mostro per semplice curiosità. Anche i ruoli a bordo dell'Orient Express (in space) forse sono poco coerenti: va bene fingere di essere su un treno di inizio 900 (d'altra parte se sei ricco puoi permetterti di pagare per credere quello che vuoi), ma nel momento in cui l'illusione viene rimossa e il treno si rivela essere un laboratorio, a che scopo continuare a comportarsi come dignitari europei? Insomma, mi pare che i due elementi (l'ambientazione e il mostro) non combacino alla perfezione. Si sarebbe potuta sfruttare la mummia in un altro contesto, così come l'Orient Express avrebbe potuto essere teatro di una serie di omicidi con una spiegazione più immediata.

Per quanto riguarda le scintille tra Dottore e companion, non saprei dire se si è vista un'evoluzione o una regressione del rapporto. Quello che doveva essere l'ultimo viaggio insieme si trasforma in un'occasione di riappacificazione, e sembra che tutto sia tornato com'era all'inizio tra i due. Ma è davvero così? Non ne sono tanto sicuro, e d'altra parte il Dottore ha mostrato ancora di essere un bel pezzo di merda rispetto alle sue versioni precedenti: quando le nuove vittime vengono prescelte dalla mummia, lui non si perde in una sequela di "I'm sorry. I am so, so, sorry. Very sorry" come avrebbe fatto il Dieci, ma si limita a constatare "Sì, stai per morire, ma puoi anche essermi utile". Il Dottore mente a Clara, e le chiede di mentire, e anche se alla fine riesce a salvare l'ultima vittima, non era sicuro che ci sarebbe riuscito, e la ragazza sarebbe potuta morire dopo essere stata tradita dalla sua nuova amica. E poi, siamo davvero sicuri che il Dottore abbia salvato tutti i passeggeri del treno, invece che soltanto Clara e il macchinista? Lui stesso non lo ammette apertamente, e il dubbio potrebbe ancora aleggiare, ma la companion sembra sottovalutare questo aspetto, dà per scontato che lui sia davvero l'eroe che nega di essere.

Tutto considerato ci si trova davanti a un episodio migliore delle aspettative, anche se non ben inquadrato nell'arco narrativo della stagione. Si merita comunque un buon voto 7/10

Rapporto letture - Settembre 2014

Tre libri letti a settembre, e ancora una volta sono riuscito a tenere un buon equilibrio tra autori italiani ed esteri, e addirittura non anglofoni! Un mese di ottime letture, questo, infatti ricordo raramente una media di voto così alta in altri rapporti mensili.


Più riguardo a YIniziamo con gli autori italiani. Claudio Selva è un collega di Factory, uno degli ultimi pubblicati dalla casa editrice che ha pubblicato anche il mio Spore. Ammetto di essere rimasto incuriosito da Y soprattutto per la copertina, e beh, ve lo dico, tanto non è spoiler, in effetti la doppia copertina: Y infatti si legge sia da un lato che dall'altro, e arrivati a metà libro ci si trova davanti a pagine a testa in giù, si capisce che bisogna cambiare letteralmente prospettiva. Questa particolarità non è solo un giochetto, ma funzionale ai fini della storia, accompagna il lettore nel senso di straniamento che si prova a passare dalla prima alla seconda parte. Nella prima infatti abbiamo una serie di racconti, alcuni molto brevi, vagamente collegai tra loro, mentre la seconda parte è una storia unica, ambientata in una città distopica nella quale si trovano insoliti collegamenti suggeriti a quanto letto in precedenza. Sì, vabbè, mi direte, questa è la struttura, ma la storia? Di che parla il libro? Ecco, non è facile fornire una descrizione semplice e completa. I temi principali sono probabilmente la creazione e la distruzione, sia in senso materiale che artistico, e la follia, e la prospettiva attraverso la quale vediamo il mondo. Non è un libro in cui si possano identificare introduzione, svolgimento, epilogo. Ma è un libro che dice molto, che fa vibrare delle corde che tutti abbiamo dentro, anche se di solito le teniamo ferme. La cosa più simile che mi viene da accostare a questo libro è il film Mulholland Drive, con la differenza che qui le cose hanno senso. Voto: 8/10


Più riguardo a Forbici vince carta vince pietraPer secondo abbiamo un altro libro di Ian MacDonald, e sono stato grato a Urania di aver ripubblicato questo titolo che cercavo da tanto. Forbici vince carta vince pietra (che poi, a logica, dovrebbe essere "sasso", non pietra, perché il gioco a me risulta si chiami forbici-sasso-carta, chi è che dice forbici-sasso-pietra?) è la storia di un programmatore che scopre delle immagini, semplici segni grafici, che scatenano con la sola visione reazioni devastanti e improvvise: gioia, estasi, esperienze mistiche, guarigione, oblio, dolore, morte. Sconvolto da questo potere, si incammina in un pellegrinaggio dei templi giapponesi, ma scopre che c'è qualcuno che vuole ancora sfruttarlo. L'idea è molto intrigante, e la storia costruita bene, con la narrazione presente (come sempre MacDonald riesce a rendere fedelmente le ambientazioni asiatiche) che si alterna a quella passata. Il libro è arricchito anche di altri quattro racconti più brevi, tra i quali spicca La ruota di Santa Caterina, che in qualche modo si può considerare un prequel di Desolation Road. Nel complesso un ottimo volume di un autore che sta vivendo un periodo di meritato riconoscimento in Italia. Voto: 8/10


Più riguardo a Memorie di un viaggiatore spazialeE concludo con un altro autore che solo nominato dovrebbe suscitare rispetto e ammirazione. Non ho letto moltissimo di Stanislaw Lem, ma ogni volta rimango sorpreso e stordito dalla vastità di temi e idee che ogni suo opera trasmette, e di come sia in grado di passare da un tono leggero e umoristico (come in questo caso) a quello profondo e intimista come in Solaris o La voce del padrone (lettura che non a caso consigliavo agli appassionati di sf). Memorie di un viaggiatore spaziale consiste in una serie di racconti di lunghezza variabile, che costituiscono le annotazioni dell'astronauta/avventuriero Ijon Tichy, che nella sua lunga carriera ha visitato innumerevoli mondi e civiltà. Volendo ridurre al massimo, questo libro si potrebbe considerare una versione fantascientifica dei Viaggi di Gulliver, perché Ijon scopre civiltà grottesche e usanze assurde, che però hanno una loro perfetta giustificazone e un chiaro intento satirico. Ma c'è anche dell'altro, perché tutti i temi tipici della fantascienza sono in qualche modo affrontati e sovvertiti: dal viaggio nel tempo e i suoi paradossi all'origine dell'universo, dalla percezione del mondo all'ingegneria genetica, dall'etica dei robot alla singolarità tecnologica. Il tono è sempre leggero, ma non per questo le idee sono banali e scontate, anzi, credo che da queste storie siano scaturita buona parte di tutta la fantascienza umoristica successiva (dalla Guida di Douglas Adams a Futurama), e se non si tratta di un'ispirazione diretta, lui non è stato sicuramente il precursore. Un'opera eccezionale, di un autore che credo non abbia mai sbagliato un colpo. Voto: 9/10

Doctor Who 8x07 - Kill the Moon

Nell'ambito della scrittura si dice a volte che non c'è più niente da inventare, che tutto è già stato detto e raccontato, e che a fare la differenza non è tanto quello che viene raccontato, ma come questo viene fatto. Per quanto la limitatezza del nostro alfabeto implichi necessariamente che le storei articolabili siano un numero finito, io non sono così drastico nell'affermare l'inesistenza dell'originalità, tuttavia qualche dubbio mi viene, quando vedo che Doctor Who fa un episodio basato su un'idea che io ho usato anni fa in un racconto (era un raccontino breve, scritto in occasione di un'edizione del Fun Cool n. 75 della lista). Ovvio, non sto accusando nessuno di plagio, è che trovo curioso come certe premesse (una formazione scientifica di base e un senso delle proporzioni flessibile) conducano a risultati simili. Evoluzione convergente, potremmo dire, oppure great minds think alike. Sia come sia, la storia della Luna che è in effetti una creatura vivente (embrionale, ma pur sempre in crescita) ha sicuramente un suo fascino, e all'interno dell'episodio quest'idea di partenza viene usata in modo intelligente. D'altra parte non ci sono teorie accertate sulle origini della Luna, che presenta delle caratteristiche un po' aberranti per essere il satellite di un pianeta roccioso, per cui potrebbe anche essere che sia in realtà un uovo, no?

Già vedendo il trailer dell'episodio, avevo per un attimo pensato che il villain fossero i ragni visti in Planet of the Spiders, l'avventura in cui il Terzo Dottore arriva a rigenerarsi (cosa che mi avrebbe fatto piacere, visto che a mio parere il Dodicesimo ha molto in comune con il Terzo), ma i ragni, che poi non sono tali, si rivelano essere solo un effetto collaterale della vera minaccia in corso. Della storia raccontata in questo episodio mi è piaciuto molto il contesto storico, con la civiltà del 2049 sull'orlo dell'annientamento a causa di sconvolgimenti climatici che hanno messo a dura prova la resistenza dell'umanità. Un ultimo shuttle recuperato da un museo (un programma spaziale quindi inesistente, sintomo di una società già in declino) mandato a fare tutto il possible per fermare la minaccia ignota anche a costo di distruggere il corpo celeste che ha accompagnato l'umanità dall'inizio della storia. Io ci vedo qualcosa di molto drammatico in questo, perché la Luna ha un posto speciale nell'immaginario collettivo, e la sua sparizione credo che sarebbe un grande trauma per l'umanità intera. Il fatto poi che essa si riveli non essere solo una palla di roccia sterile ma una vita che si sviluppa, rende la decisione ancora più difficile, e costituisce il tipico dilemma: è giusto uccidere qualcuno per una colpa di cui non è a conoscenza, o che deve ancora compiere? Sarebbe giusto uccidere Hitler da bambino (il Dottore fa questo preciso esempio). La cosa interessante è che se di solito è il Dottore a confrontarsi con questo dilemma (lo ha fatto numerose volte, la più famosa è probabilmente in Genesis of the Dalek dove il Quarto ha la possibilità di distruggere il laboratorio da dove usciranno i primi Dalek e decide di non farlo), in questo caso lui se ne va e lascia gli umani a decidere del destino del loro pianeta, e dell'opportunità di uccidere una creatura relativamente innocente.

Ecco che riemerge questo Dottore ruvido, antipatico, che sembra fare di tutto per farsi odiare ma mantiene saldi i suoi principi. Già in episodi precedenti il rapporto tra Clara e Dodici era sembrato più quello tra padre e figlia che tra due amici sottilmente invaghiti. Adesso il Dottore glielo dice esplicitamente: è l'ora di togliere le rotelle alla bicicletta. Parla dell'umanità, ma si rivolge a Clara, e il sottinteso è chiaro. Lei ci rimane male, ad essere trattata così, e lo lascia dicendogli di non tornare più, perché viaggiare con lui non è più divertente come un tempo, e sentirsi messi alla prova, sotto osservazione di questo individuo antico e potente, non è piacevole per niente. Potrebbe essere l'inizio di un'incrinatura nel loro rapporto, che mr. Pink si impegna a mantenere vivida.

Ci sono dei difetti, chiaramente. La presenza della ragazzina, di cui non ho compreso il ruolo (anche se si è dimostrata meno odiosa e stereotipo-di-adolescente-complicata del previsto), un finale non proprio credibile (la creatura rompe l'uovo, se ne va, e lascia dietro di sé un altro uovo altrettanto grande?), e qualche somiglianza di troppo con The Waters of Mars: ancora una volta un evento che decide il cammino dell'esplorazione spaziale dell'umanità, una capomissione donna decisa e disposta a mettere la sua vita in pericolo. Qui però la reazione del Dottore è diametralmente opposta a quella avuta allora: invece del delirio di onnipotenza in cui afferma di essere lui a controllare il destino dell'universo, stavolta fa un passo indietro e lascia che siano i piccoli umani a scegliere la loro via.

Quando commentando l'episodio precedente dicevo che per mostrare l'evoluzione del rapporto tra i personaggi non serve annacquare la storia principale, intendevo qualcosa come questo: in Kill the Moon abbiamo tanto una vicenda appassionante quanto un'interessante sviluppo parallelo delle dinamiche tra i protagonisti. Era così difficile? Nel prossimo episodio sembra che Clara non ci sia, può darsi che sia davvero questo l'inizio del suo allontanamento? Forse qualcosa si sta smuovendo davvero, e questo episodio riesce a esprimere bene la svolta di metà stagione che ci si sarebbe aspettati. Dovrei penalizzare la valutazinoe per il pessimo gusto di Capaldi nella scelta delle camicie, ma assegno comunque un voto: 7/10

Coppi Night 28/09/2014 - Capitan America: The Winter Soldier

Da qualche mese ho preso a seguire regolarmente il canale Youtube CinemaSins, il cui prodotto di punta è la serie di video Everything Wrong With, in cui i film vengono esaminati scena per scena e viene tenuto il conto dei "peccati" commessi, soprattutto a livello di sceneggiatura, evidenziando le incoerenze e le falle logiche. Ne emerge che i peccati più gravi sono compiuti nei grandi blockbuster, dal filone catastrofista fino ai supereroi. In questi si nota spesso come lo sforzo di stupire a tutti i costi cozzi inevitabilmente con la credibilità di buona parte delle storie, il tutto sommato a una serie di cliché tipici del cinema (come la mira approssimativa dei cattivi). Giusto per farvi un'idea, vi invito a guardare gli Everytingh Wrong dedicati a Green Lantern (che anch'io avevo descritto in modo simile) e i vari Transformers. Chiaramente sono in inglese, ma con i sottotitoli dovrebbe essere abbastanza facile seguirli.

Dicevo appunto che da tempo seguo CinemaSins, e forse questo ha contribuito ad acuire ancora di più il mio senso critico, in particolare proprio verso questo tipo di film di azione/avventura/ka-boooom!. Ecco quindi che The Winter Soldier, film che da ogni direzione era stato apprezzato e considerato come uno dei migliori di tutta la saga Marvel uscita finora, mi è parso piuttosto mediocre e anche irritante. Preciso che non sono un fanatico dei supereroi, non ho mai aperto un fumetto in vita mia e anche di tutto l'arco narrativo Marvel mi limito ai tre Iron Man (no, non ho visto nemmeno Avengers), quindi forse il mio parere è distorto in negativo, perché magari non riesco a cogliere tutti quei riferimenti incrociati tra film e fumetti che invece fanno impazzire i fan autentici.

Tuttavia, credo che gli aspetti che mi portano a dubitare della bontà di questo film siano indipendenti dalla sua posizione nella continuity della super-saga. Non sto a elencare punto per punto tutte le perplessità (anche perché per buona parte potete riscontrarle proprio nell'Everything Wrong With), ma ci sono una serie di elementi che rendono veramente dubbioso dare fiducia alla storia, anche al netto della sospensione della credulità richiesta da un film del genere. Ne butto lì qualcuna in ordine random, giusto per attizzare le fiamme: ma perché le mega-astronavi dovrebbero puntare e uccidere 20 milioni di persone in tutto il mondo? Ma perché costruirle con un pannello di controllo isolato e accessibile dall'esterno? Ma perché Capitan America a volte tira cazzotti che fanno volare in aria gli avversari, e altre invece nemmeno li scalfisce? Ma perché i nemici sparano sullo scudo invece che, per esempio, alle gambe? Ma perché nell'archivio dello SHIELD avrebbe dovuto esserci registrata l'impronta retinica dell'altro occhio di Nick Fury, anche dopo che questo è stato dichiarato morto e le sue credenziali sono state appositamente cancellate da evil Robert Redford? And so on, so on, so on...

Volendo riassumere, c'è una generale un affidamento su coincidenze, deus ex machina e impossibilità fisiche che alla lunga stanca. Quando per la quarta volta nello stesso film un personaggio si getta alla cieca fuori da una finestra al quarantesimo piano, inconsapevole che ci sia qualcuno ad aspettarlo, e quel qualcuno in effetti lo acchiappa, le mani mi cominciano a formicolare. E poi possibile che un film di alte pretese come questo debba ancora sfruttare il trucchetto della droga che ferma i battiti del cuore e simula la morte? Ma soprattutto perché, dopo la creazione del gruppo degli Avengers, quando capitano cose come quelle che si vedono qui (eccheccazzo, delle meganavi che stanno per ammazzare qualche milione di persone in pochi secondi!), non intervengono anche tutti gli altri? Che cazzo stavano facendo Hulk, Iron Man, e gli altri che non mi ricordo? Insomma, credo che per una saga ambiziosa come quella Marvel (pare abbiano piani fino al 2026), ci si potrebbe permettere di perdere 10 minuti in ogni film per spiegare i rapporti tra gli eroi. Posso a concordare che Capitan America qui abbia una buona caratterizzazione, e che sia un personaggio insospettabilmente più interessante di altri, ma questo non basta a rendere più maturo un film che si basa quasi interamente su giochetti del chi-è-chi e improbabili salvataggi all'ultimo secondo. Siamo molto lontani dalla maturità di temi e meccanismi.

Quindi no, The Winter Soldier non è un buon film, e se è il migliore della saga Avengers, ringrazioddio di non averne visti molti. Credo inoltre che dopo questo eviterò accuratamente tutti gli altri, precedenti o successivi, perché ormai ho scoperto che non c'è gioia per me, qui.

Futurama 7x26 - Meanwhile / Nel frattempo

E così, ci risiamo. Futurama si trova di nuovo a dover scrivere un finale, e come le altre volte in circostanze piuttosto incerte. Ripercorriamo un attimo la storia: The Devil's Hands Are Idle Playthings non era un episodio concepito come finale, ma dopo le 4 stagioni su Fox c'era il sospetto che la serie non sarebbe stata rinnovata, pertanto si cercò di fare in modo che il potenziale ultimo episodio fosse una conclusione degna (e lo è, si tratta del mio episodio preferito ever!); in seguito, dopo che la serie viene riesumata per quattro film (cosa mai successa nella storia delle serie animate), la fine di Into The Wild Green Yonder era probabilmente un addio: "We don't know if we'll ever return" dice il Professore; senonché poi ritornano davvero, stavolta su Comedy Central, ma il contratto è solo per una stagione (26 episodi suddivisi in due blocchi di 13), quindi anche stavolta bisogna fare in modo che l'ultimo episodio sia valido, se dovesse davvero essere l'ultimo, e il risultato è il meraviglioso Overclockwise; ma poi CC rinnova per un'altra stagione, e siamo daccapo, l'ultimo del blocco deve essere abbastanza buono da poter essere la conclusione di tutta la serie. Che stavolta, probabilmente, è davvero.

Come tutti i finali, l'episodio si basa fortemente sul rapporto Fry/Leela, che da sempre è stato uno dei motori principali della storyline di Futurama. In questo caso però viene aggiunto anche un altro elemento perturbativo, uno di quelli forti, capaci di creare delle storie potenti: il viaggio nel tempo. Già sfruttato con risultati eccellenti in altre occasioni (da The Why of Fry a Bender's Big Score, fino all'eccezionale The Late Philip J. Fry, secondo mio episodio preferito ever!), questa volta però la formula è ancora diversa: un semplice apparecchio che alla pressione di un pulsante riporta l'universo di 10 secondi nel passato, mantenendo solo il suo utilizzatore immune da questo "reset". Il meccanismo però richiede a sua volta 10 secondi per ricaricarsi, quindi non si può usarlo di continuo per viaggiare indietro, ma si può al più ritornare costantemente al momento della prima pressione del comando. L'idea di Fry è che, in questo modo, si potrebbe rivivere infinite volte un momento particolarmente bello, ed è per questo che decide di tenerlo in mano nel momento in cui chiederà a Leela di sposarlo. Le cose poi si complicano, perché chiaramente quando c'è di mezzo il viaggio nel tempo viene fuori sempre qualche pastrocchio, e Fry rimane incastrato in un loop nel quale continua a morire ancora e ancora e ancora.

Il punto centrale tuttavia rimane proprio quello: il matrimonio tra Fry e Leela, un passo che sembrava quasi obbligato fin da quando la loro relazione si è consolidata (dalla stagione 6 in poi), e che per molti potrà sembrare melenso e scontato. Per uno spettatore occasionale in effetti può davvero apparire così, ma chiunque abbia seguito la serie con regolarità sa quanto questo passaggio fosse non solo auspicabile ma quasi obbligato. Il pubblico fedele di Futurama è troppo smaliziato per credere nel "vissero felici e contenti", ma l'affermazione del legame tra i due era ampiamente dovuta da molto tempo, e in questo senso la decisione di assecondare questa richiesta non si tratta di superficialità degli autori, e nemmeno di un semplice tributo ai fan: è un atto di rispetto nei confronti dei personaggi stessi, un riconoscimento del loro valore e della loro dignità. Fry e Leela meritavano di arrivare a questo, e gli autori lo hanno riconosciuto.

Il fatto che tutto ruoti intorno al matrimonio (per quanto sia un matrimonio particolare, e alla fine della puntata si possa discutere sul fatto che sia avvenuto o no) è allo stesso tempo la forza e il punto debole dell'episodio: nei precedenti finali infatti non avevamo solo Fry/Leela, ma anche un qualche tipo di contrasto, un avversario che si frapponeva e doveva essere sconfitto; nell'ordine: il Robodiavolo, The Dark One, Mom. Da questo punto di vista quindi Meanwhile non è avvincente quanto altri finali precedenti, ma la storia rimane comunque impressionante ed intensa. La conclusione ha l'amaro retrogusto del "reset button" tanto temuto anche nelle stagioni precedenti, quando si credeva che dopo i film la serie sarebbe tornata a uno stato precedente, in cui i sentimenti tra Fry e Leela sarebbero stati retconizzati. Ma è un reset comunque blando, che se cancella gli avvenimenti non ne cancella comunque le premesse, e fa quindi sperare che qualcosa di simile possa nascere comunque. Era d'altra parte necessario, come in tutte le occasioni precedenti, lasciare aperto il campo per un possibile ritorno della serie.

Perché sì, Futurama potrebbe tornare. Non perché qualcuno ci stia già lavorando, ma perché dopo tre resurrezioni la quarta non sembra così improbabile, e perché attualmente ci sono modi per far avanzare una serie che fanno a meno dei grandi network e produttori (crowdfounding, netflix et simila). Ma questo è argomento per un altro post.

Rimane quindi da stabilire: Meanwhile è un buon season finale? Sì, lo è sicuramente. È il miglior season finale? No, penso che ad esempio Overclockwise fosse più efficace in questo senso. Ma non importa, perché quello che era necessario si è compiuto, e a questo punto della magnifica storia che abbiamo visto, quasi commosso solo a pensare che questa è la FINE, non posso nemmeno costringermi ad assegnare un voto all'episodio, perché vorrebbe quasi dire giudicare l'intera serie, e non me la sento.

Per cui non concludo con un numero, ma con una parola: grazie.