– Quanti di voi pensano che sia
giusto ribellarsi a una tirannia?
Immediatamente si alzarono alcune mani.
Poi qualche altra, incerta, come se avessimo paura che significasse
offrirsi volontari per il fronte. Poi qualche altra ancora. Whitlaw
non aspettò di vedere se c'era l'unanimità. Indicò uno di quelli
che non avevano alzato la mano. – E tu? Non credi che sia giusto?
– Penso che lei dovrebbe definire
meglio i termini della questione. È stato troppo generico. Quale
tirannia? Di che tipo?
Whitlaw si irrigidì e fissò il
ragazzo con occhi socchiusi. – Fai parte del circolo culturale? No?
Dovresti prendere in considerazione questa possibilità. Sei il tipo
adatto... eviti di affrontare il problema. Va bene, ti voglio
aiutare... – chiuse il libro. – Diciamo che questa stanza è lo
stato di Miopia. Io sono il governo. Voi siete i cittadini. Voi
sapete che i governi hanno bisogno di soldi. Così la prima cosa che
faccio è imporre le tasse. Voglio un casey [la moneta in uso
nell'epoca in cui è ambientato il romanzo] da ciascuno di voi. –
Cominciò a camminare fra i banchi. – Dammi un casey. No, non sto
scherzando. Queste sono le tasse che dovete pagare. Dammi un casey.
Anche tu. Mi dispiace, non accetto assegni o banconote id carta.
Cos'hai detto? Sono i soldi per il pranzo? Cribbio, questo è un
guaio! Purtroppo le esigenze del governo hanno la precedenza.
– Ma questo non è giusto!
Whitlaw si fermò, la mano pian di
monete. – Chi è che ha parlato? Portatelo fuori e giustiziatelo
per sedizione!
– Un momento! Ho il diritto a un processo equo!
– L'hai appena avuto. E ora sta
zitto. Sei stato giustiziato. – Whitlaw continuò a raccogliere i
soldi. – Mi dispiace, voglio il denaro contato. Non ce l'hai? Non
ti preoccupare, allora trattengo gli altri quattro casey come
soprattassa. Considerala una multa per il fatto di aver pagato le
tasse con banconote di carta. Grazie. Grazie... cinquanta,
settantacinque, un casey. Grazie. Allora, ho racolto quarantotto
casey. Il che significa che posso andare a farmi una bella mangiata.
Domani ricordatevi di portare tutti un altro casey. Da oggi in poi
riscuoterò le tasse tutti i giorni.
Ci guardammo l'un l'altro preoccupati.
Chi avrebbe avuto il coraggio di protestare per primo? Ma non era
scorretto che un insegnante prendesse soldi dalla sua classe?
Una mano si alzò incerta. – Mmm,
signore... vostra maestà...
– Sì?
– Mmm... posso fare una domanda?
– Mmm... dipende da quale domanda.
– Possiamo chiedere cosa farà con il
nostro denaro?
– Non è vostro, è mi.
– Ma prima era nostro...
– … e ora è mio. Io sono il
governo. – Aprì il cassetto della cattedra e vi fece cadere le
monete con grande rumore. – Eh!? Hai la mano ancora alzata?
– Il fatto è che a me sembra... a
tutti noi sembra...
– A tutti?
– Whitlaw ci fissò con le sopracciglia alzate. – Si tratta forse
di un'insurrezione? Sarà meglio che mi procuri dei mercenari. –
Arrivò faticosamente fino in fondo all'aula e puntò il dito verso i
ragazzi più alti e robusti della classe. – Tu, tu e... sì, tu. E
anche tu. Venite con me. Siete arruolati. – Aprì il cassetto e ne
tirò fuori alcune monete. – Ecco, due casey per ciascuno. E ora
non fate avvicinare questa marmaglia al palazzo reale.
I quattro ragazzi
sembravano incerti. Whitlaw li spinse tra sé e la classe. –
Allora... cosa stavate dicendo?
– Signor
Whitlaw? – Janice MacNeil, una ragazza alta e bruna, si alzò in
piedi. – Va bene, abbiamo capito. Adesso ci ridia i nostri soldi...
– Janice era una rappresentante degli studenti. Un Whitlaw
ghignante fece capolino da dietro le spalle dei due “soldati” più
alti: – Ah, ah. Ma questo non è un gioco. Che cosa hai in mente di
fare?
Janice non
s'innervosì. Disse: – Mi rivolgerò a un'autorità superiore.
Whitlaw stava
ancora ghignando. – Non ce ne sono. Questo corso è autonomo. Vedi
quel cartello sul muro? È lo statuto del Sistema Federale Educativo.
Sei stata in quest'aula tutti i giorni per diciotto settimane e
scommetto che ancora non l'hai letto, vero? Peccato... perché quando
ti sei iscritta a questo corso hai automaticamente accettate quel
regolamento. Io ho potere assoluto su tutti voi.
– Certo,
lo so! – ribatté lei. – Ma io sto parlando del mondo
reale, quello in cui viviamo.
Lei deve darci indietro i soldi!
– No,
tu non hai capito niente. –
Whitlaw le sorrise. – È questo il mondo reale. Proprio questo. E
io non devo darti
proprio un bel nulla. Il governo federale mi ha autorizzato a fare
qualunque cosa io consideri necessaria per lo svolgimento del corso.
Questo significa che posso imporre tasse... se lo ritengo necessario.
La ragazza incrociò
le braccia. – Va bene, ma noi possiamo rifiutarci di collaborare.
Whitlaw si strinse
nelle spalle. – Benissimo. Ti farò arrestare.
– Che
cosa!? Mi manda dal preside?
– No,
ho detto arrestare nel senso di “conosci quali sono i tuoi diritti”
e ti sbatto in galera, agli arresti, in guardina, alla Bastiglia,
alle Tombe, alla Torre di Londra, all'Isola del Diavolo, ad
Alcatraz... mi sono spiegato?
– Lei
sta scherzano.
– Niente
affatto. Vuoi vedere?
– Ma
non è giusto!
– E
allora? Hai accettato il regolamento e dunque perché adesso ti
lamenti? – Sospinse due dei suoi soldati. – Sbattetela fuori... e
anche quell'altro, quello che abbiamo giustiziato prima. Sono
espulsi. – I soldati di Whitlaw non avevano un'aria molto
soddisfatta, ma cominciarono a dirigersi verso i due ragazzi.
Janice sembrava
veramente impaurita, e raccolse i suoi libri e il bloc-notes e uscì.
– Aspettate
nell'aula acanto fino alla fine della lezione – disse Whitlaw. –
C'è nessun altro che vuole mettere in dubbio l'autorità di questo
governo?
No. Non c'era
nessuno.
– Bene
– Whitlaw sedette e appoggiò i piedi sulla cattedra. – Espellerò
chiunque apra bocca a sproposito. – Prese un libro e una mela e
aprì il libro. Di quando in quando dava un morso alla mela facendo
molto rumore per ricordarci la sua presenza.
L'esercito sembrava
incerto sul da farsi. – Ci possiamo mettere a sedere, signore?
– No,
naturalmente. Siete in servizio.
Noi ci scambiavamo
occhiate. Dove voleva arrivare? Il tipo al quale Whitlaw aveva
consigliato di entrare in un circolo culturale si chinò in avanti e
bisbigliò a un amico. – Ci sta sfidando a fare qualcosa.
– Be',
provaci tu. Io non voglio essere sbattuto fuori.
– Ma
non capisci... se ci organizziamo...
Whitlaw balzò in
piedi lanciando occhiate di fuoco. – Che cosa!? Questa è
sovversione! – Si avvicinò al tipo da circolo culturale, lo
afferrò per la camicia e lo sollevò di peso. – Non te lo
permetterò! – e lo trascinò fuori dall'aula.
Durante i pochi
istanti che rimase fuori dalla porta scoppiò il pandemonio.
– Quell'uomo
è pazzo...
– … tutto
questo è assurdo...
– … non
possiamo fare qualcosa?
Mi alzai in piedi.
– Ascoltate! Noi siamo in tanti e lui è uno solo! Non dobbiamo
permettergli di farla franca!
– Sta'
zitto, Jim! Così ci metti in guai ancora più grossi.
– Fallo
parlare...
– Hai
qualche idea, Jim?
– Be',
no... però...
In quel momento
rientrò Whitlaw e io m'infilai di nuovo nel banco a tutta velocità.
Whitlaw si rivolse
alle sue truppe: – Che razza di esercito siete? Lascio la stanza
per meno di un minuto e quando torno trovo degli agitatori che
incitano la marmaglia a insorgere! Vi ordino di arrestare ed
espellere chiunque si è lamentato... o caccerò voi!
Toccò a cinque di
noi.
– Non
c'è nessun altro? – ringhiò Whitlaw. – Se vi fate sfuggire
qualcuno, saranno le vostre teste a cadere.
L'esercito sembrava
impaurito. Si consultarono tra loro bisbigliando e poi indicarono
altri tre ragazzi che insieme a noi cinque furono accompagnati fuori
dalla classe. – Ma io non ho detto niente! – Joey Hubre stava per
piangere. – Diglielo! Implorò rivolto al suo gemello.
– Fallo...
– urlò Withlaw –... e caccerò anche te. Anzi, è meglio che te
ne vada comunque anche tu... è probabile che siate tutti e due dei
piantagrane.
Ormai nella classe
accanto alla nostra eravamo in dodici e stavamo seduti a guardarci
con aria depressa. Eravamo confusi, sorpresi, e veramente offesi.
Potevamo sentire Whitlaw che urlava. E poi all'improvviso si fece
silenzio. Un momento dopo tre nuovi esiliati si aggiunsero al nostro
gruppo.
– Cos'ha
fatto? Ha fatto giustiziare tutta la classe?
– No,
ha dichiarato silenzio nazionale – disse Paul Jastrow. – È per
questo che ci ha cacciato fuori... io ho passato un biglietto e lui h
detto che stavo organizzando una congiura.
– Cosa
sta cercando di provarci? – si lamentò Janice.
– Che
cos'è la tirannia, credo. È così che ha incominciato, no?
– E
allora che cosa dobbiamo fare?
– È
ovvio, dobbiamo ribellarci!
– Ma
figurati! Non possiamo nemmeno aprire bocca per protestare, come
facciamo a organizzarci?
– Certo
che possiamo organizzarci – dissi. Proprio qui. Organizziamo un
esercito di liberazione. I compagni che sono rimasti in classe ci
sosterranno.
– Sei
sicuro? Whitlaw li ha così terrorizzati che si stanno pisciando
addosso.
– Beh,
comunque dobbiamo tentare – disse Hank Chelsea alzandosi in piedi.
– Io ci sto.
– Io
no – disse Paul Jastrow.
Mi alzai in piedi.
– Credo che sia l'unica cosa da fare.
Janice si alzò. –
A me... non piace molto, ma ci sto anch'io perché dobbiamo fargli
vedere che non può comportarsi così.
Altri due ragazzi e
una ragazza si alzarono in piedi. Dai John. Joey?
– No,
no. Non voglio sentirlo ancora urlare.
– Ma
non ce l'hai con lui?
– Voglio
solo indietro i miei soldi.
– Paul?
– Ci
sbatterà di nuovo fuori dall'aula.
– Aspetta
un momento, Jim. – Era Mariette. – Che cosa vuoi che facciamo?
Qual è il tuo piano?
– Entriamo
nell'aula e gli diciamo che la dittatura è finita.
– Che
bella idea! Lui ci urlerà dietro e ci farà sbattere fuori
dall'esercito. Ha arruolato ancora due criminali.
– Non
sono due criminali...
– Tutti
i giocati di calcio lo sono, secondo me. In ogni modo adesso sono in
sei. Allora, che facciamo?
Cominciarono a
rispondere in sei, ma Hank Chelsea alzò la mano e disse: – No,
aspettate... Mariette ha ragione! Dobbiamo fare un piano! Sentite,
proviamo così. Apriamo tutte e tre le porte dell'aula nello stesso
momento. Questo li prenderà di sorpresa. Poi, prima che lui riesca
a parlare, le ragazze si avvicineranno all'esercito... no,
ascoltatemi. Ci scommetto che non avranno il coraggio di colpirle.
Quello che dobbiamo fare è mettere una ragazza vicino a ogni
soldato. Poi lei lo abbraccia e lo bacia e gli chiede di unirsi a
noi...
– ...e
poi?
–...e
gli dice che gli daremo il doppio
di quanto lo ha pagato lui
– Ma
lui gli ha dato tre casey a testa.
– No,
vedrete che si uniranno a noi. Ma solo se ogni ragazza si dedica a un
ragazzo. Afferrategli il E gli uomini cosa fanno?
– Noi
ci occupiamo del capo e pretendiamo che ci consegni il tesoro
nazionale.
Discutemmo il piano
ancora per qualche minuto e nel frattempo fummo raggiunti da altri
due esiliati che immediatamente aderirono alla rivoluzione e dettero
alcuni suggerimenti per perfezionare l'attacco. Eravamo quasi pronti
quando Joey Hubre tirò su col naso e disse: – E se qualcuno si fa
male, cosa facciamo?
Questa osservazione
provocò un momento d'esitazione e fummo costretti a rivedere il
piano. Ma Paul Jastrow disse: – E allora? Siamo in guerra, no?
– No,
Joey ha ragione – disse Hank. – Forse a Whitlaw non importa
niente se qualcuno si fa male, ma noi siamo un esercito di
liberazione e non dobbiamo fare male a nessuno.
– A
meno che proprio non lo vogliano – borbottò Jastrow.
– No,
nemmeno in quel caso – ribatté Hank.
– Qualcuno
ti ha nominato generale? Io no!
– E
va bene... – Hank alzò le mani. – Votiamo...
– No!
– dissi io. – Abbiamo già un piano e siamo pronti ad agire. Gli
eserciti non votano!
– Adesso
sì! – disse Jastrow.
– Ma
non in tempo di guerra! C'è qualcuno che vuole che si voti?
– Sì,
io voglio ridiscutere questo piano d'attacco...
– Ah,
splendido! È così che si fanno le rivoluzioni! Ci mettiamo a fare
le battaglie parlamentari! Aspettate un momento, ho una copia dei
Regolamenti d'Ordine di Robert...
– McCarthy,
smettila, non fare il cretino!
– Ah
sì?
– Ehi,
aspetta un momento... stiamo perdendo di vista il nostro obiettivo.
Ci stiamo dimenticando chi è il nostro vero nemico! – Hank Chelsea
si mise fra di noi. – Sentite, abbiamo un piano, mettiamolo in
atto. Va bene?
Jastrow guardò la
mano tesa di Chelsea con aria scettica. – Non sono d'accordo...
– Dai,
su, Paul... – dissero Mariette e Janice e poi tutti gli altri. Paul
sembrò imbarazzato, si strinse nelle spalle e disse: – E va bene.
– Ci preparammo tutti insieme a invadere il corso di Etica Globale
di Whitlaw.
Lui ci stava
aspettando.
Aveva fatto
ammucchiare tutti i banchi per formare una barricata a metà aula. Il
regno di Miopia aveva costruito la sua linea Maginot.
Ci fermammo e ci
guardammo in faccia.
– Parlavano
di paranoia, ma questo è proprio pazzo! – disse Janice.
– Sì,
hai ragione, ma io vi avevo detto che non avrebbe funzionato –
borbottò Paul.
– E
adesso che facciamo? – disse Mariette.
Restammo fermi a
scambiarci occhiate. – Possiamo buttarli giù?
– Possiamo
provare – dissi. – Ma non credo che sia questa la maniera di
risolvere il problema.
– E
va bene signor Extrastrong – disse Paul Jastrow. – Che cosa
proponi?
– Non
lo so. Ho solo detto che la maniera forte non mi sembra la soluzione
migliore. Credo che dobbiamo usare il cervello. – Mi resi conto che
stavo fissando Whitlaw al di là della barricata. Stava prendendo
appunti sul suo bloc-notes, ma in quel momento si era fermato e mi
fissava con un leggero sorriso. – Mmm... – cercai di dire
qualcosa, ma avevo la testa vuota. – Facciamo una riunione. Nel
corridoio. Credo di avere un'idea.
Uscimmo tutti
insieme nel corridoio. Io dissi: – Penso che dovremmo entrare a
negoziare un trattato di pace.
– Ma
Whitlaw non ha nessuna intenzione di negoziare con noi.
– Invece
credo di sì – dissi io.
– Perché
ne sei così sicuro?
– Perché
altrimenti non possono uscire di lì. Noi controlliamo la parte
dell'aula dove si aprono le porte e non credo che abbiano voglia di
uscire da una finestra del terzo piano.
Ci fu un attimo di
silenzio soddisfatto. Si potevano quasi sentire i sorrisi che
spuntavano sulle nostre bocche.
– È
vero, andiamo. Chi ha un fazzoletto? Abbiamo bisogno di una bandiera
bianca...
Rientrammo in forze
e annunciammo: – Veniamo in pace. Vogliamo trattare.
– E
perché dovrei essere d'accordo? Siete un branco di radicali
sovversivi espulsi dal sistema perché non avete voluto collaborare.
Questo sistema non
funziona – disse Janice. – Ne vogliamo uno migliore.
– Sì
– disse Mariette. – Un sistema in cui anche noi possiamo dire la
nostra.
– Ma
voi dite già quello che volete. Siete dei ribelli. E a noi i ribelli
servono per punirli e dare l'esempio.
– Allora
non vogliamo più essere dei ribelli!
– Peccato
– disse Whitlaw da dietro la barriera. – Siete dei mestatori. E
il vostro ruolo è quello di ribelli. Siete buoni solo a questo. –
Potevamo vedere che stava ghignando.
– Lei
deve prenderci indietro, Whitlaw... – era Paul Jastrow.
– Cosa?
Io non devo fare
proprio niente!
– Sì
che deve – dissi io. – Non potete uscire dalla stanza se noi non
ve lo permettiamo.
– Ahh!
– disse Whitlaw. – Avete trovato un terreno di trattativa. E va
bene, cosa volete?
– Vogliamo
indietro i nostri soldi! – strillò Joey Hubre. Ma era proprio
Joey?
– Vogliamo
tornare in classe – disse Janice.
– ...amnistia!
– disse Paul.
– ...un
trattamento equo! – dissi.
– ...una
carta dei diritti e dei doveri – disse Hank a bassa voce. Ci
voltammo tutti a guardarlo. – Eh?
Ma Whitlaw
sorrideva. – Tu... come ti chiami? Chelsea? Bene. – Scrisse
qualcosa sul suo taccuino. – Un punto a tuo favore. Ora vediamo se
sei capace di andare avanti. Quali sono questi diritti?
Hank stava dritto
davanti alla barriera con le braccia conserte. – Niente tasse,
signor Whitlaw, a meno che noi non possiamo dire la nostra su come
devono essere impiegati i nostri soldi. Niente più espulsioni dalla
classe senza un giusto processo. Niente più uso illegittimo della
forza. Vogliamo poter esprimere liberamente il nostro dissenso senza
rischiare di essere cacciati via.
– Questo
è il mio corso e il regolamento dice che posso gestirlo come voglio.
– Bene,
allora vogliamo cambiare il regolamento.
– Mi
dispiace ma questo regolamento non l'ho fatto io e quindi non posso
cambiarlo.
– Non
importa. Può cambiare il modo di gestire il corso. Lei ha detto che
ha completa autonomia. Allora trattiamo qualche modifica che renda
questo corso accettabile per tutti noi.
– Da
quando in qua gli studenti hanno il diritto di dire agli insegnati
come insegnare?
– Da
quando possiamo controllare tutte le porte!
– Sss...
– disse Hank.
– Chi
ti ha nominato presidente?
– La
vuoi smettere? Vuoi stare zitto? È meglio che parli uno solo per
tutti.
– Non
mi va bene!
– Non
importa se non ti va bene... le cose stanno così!
– Tu
sei peggio di lui! Va' all'inferno! – Paul andò in fondo all'aula
e si mise a sedere furioso.
Hank ci guardò in
preda al panico. – Ascoltate, gente.... se non collaboriamo fra
noi, la cosa non funziona. Non dobbiamo mostrare che siamo deboli.
– È
vero – disse Janice. – Hank ha ragione. Non possiamo permetterci
di litigare.
– Certo,
ma questo non significa che tu debba fare il prepotente – disse
Mariette. – Paul ha ragione. Non abbiamo eletto nessuno.
– Un
momento – dissi. – Non voglio litigare... e sono d'accordo sul
fatto
che dobbiamo
restare uniti perché altrimenti ci faranno a pezzi... Ma credo che
dobbiamo ammettere che ciascuno di noi si ribella per ragioni diverse
e ciascuno di noi vuol dire la sua nelle trattative. Io sono
d'accordo con Paul... voglio essere ascoltato.
– Poso
dire una cosa? – si fece avanti John Hubre, il gemello che non
parlava mai. – Mettiamo giù un elenco delle richieste e votiamo
quelle che vogliamo che Whitlaw ci conceda.
Hank sembrava
sconfitto. – Va bene. Chi ha un po' di carta? Io scrivo.
– No
– disse John. – Proiettiamolo sullo schermo in modo che tutti
possano vedere. Credo che la classe dovrebbe discuterle e votarle. Va
bene, signor Whitlaw?
– Ho
qualche scelta
John trasalì. –
Mmm... no. Naturalmente.
– Mmm...
va bene.
– Smontiamo
questa montagna di mobili in modo da poter lavorare meglio. La guerra
è sospesa fino a nuovo ordine.
In breve tempo
l'aula aveva ripreso il suo aspetto abituale, salvo il fatto che
invece di tiranneggiare, Whitlaw se ne stava tranquillo da una parte,
ci osservava e solo di tanto in tanto ci dava qualche suggerimento.
In poco meno di
cinque minuti la lista delle ricerche era arrivata a trenta.
Whitlaw gli dette
un'occhiata e disse: – Non fate gli stupidi.
Le reazioni della
classe andarono da – Eh? Cosa c'è che non va in queste richieste?
– a: – Lei non ha scelta!
Whitlaw alzò una
mano. – Per favore... vorrei che deste un'occhiata a questa lista.
La maggior parte delle vostre lamentele sono giustificate, ma dategli
un'altra occhiata e ditemi se notate qualcosa.
– Beh,
qualcuno non è molto importante – disse Paul Jastrow. – Per
esempio la numero sei. Non strappare più camicie. Forse è
importante per Doug... ma per tutti gli altri?
Janice disse: – E
altre sono ripetitive... per esempio il diritto di potersi esprimere
liberamente comprende quello di riunione, quello di parola e quello
di stampa. Mi pare che non ci sia bisogno di elencare gli ultimi tre,
no?
Si sentirono altre
voci fare nuove proposte. Whitalw dovette alzare la mano per ottenere
silenzio. Disse: – Avete tutti ragione, naturalmente. È importante
essere protetti in ogni situazione, sia che lo specifichiamo o no. Mi
sembra che quello di cui voi sentite il bisogno è una specie di
ombrello al riparo del quale poter lavorare... una legge per tutti
gli usi.
Ci lasciò
discutere per qualche momento poi ci riportò al nocciolo del
problema. – Le vostre richieste sono valide. Studiate di nuovo le
regole che avete formulato e guardate se potete riassumerle in una o
due frasi.
Facemmo come ci
aveva detto. A un certo punto con un po' d'aiuto da parte sua
arrivammo a: “Il governo sarà responsabile delle sue azioni
davanti al popolo. Il popolo avrà il diritto di esprimere
liberamente il proprio dissenso.”
– Congratulazioni
– disse Whitlaw sorridendo. – Cosa succede se ora rifiuto di
accettare le vostre richieste.
– Lei
non ha scelta – disse Mariette.
– Perché
no?
– Perché
se non lo fa, noi ci ribelleremo di nuovo.
– Ho
capito. E se io arruolo qualche altro calciatore?
– Ma
lei non può arruolarne quanti ne vuole.
– Imporrò
nuove tasse.
Queste parole
provocarono immediatamente la reazione di uno dei ragazzi che non
erano stati espulsi. – Dove posso firmare per aderire alla
rivoluzione?
– È
questa la ragione per cui lei non ha scelta... i cittadini si
rifiutano di pagare le tasse.
– Hai
ragione – disse Whitlaw. Tornò verso la cattedra. – Va bene,
allora... siamo d'accordo su questo punto? Se un governo non è
responsabile davanti ai suoi cittadini, i cittadini hanno il diritto
di togliergli il potere... con qualunque mezzo.
Tutti annuirono.
– Mmm...
il trucco è proprio nelle ultime parole. “Con qualunque mezzo.”
Naturalmente. Compresa la ribellione aperta. E allora il terrorismo?
E l'assassinio? In che momento decidete che queste azioni sono
necessarie?
Paul Jastrow era
ancora teso. Disse: – Quando non c'è altra via d'uscita.
– Va
bene, parliamone. La vostra ribellione era giustificata?
Tutti annuirono.
– Perché
io non volevo ascoltare quello che volevate dire, giusto?
Di nuovo tutti
annuirono.
Whitlaw disse: –
Supponiamo che io installi una cassetta per i reclami. La ribellione
sarebbe ancora giustificata?
Ci fu un momento di
pausa di riflessione. Alzai la mano. – Che cosa ne farebbe dei
reclami messi nella cassetta?
Whitlaw ghignò: –
Li butterei via tutte le sere senza leggerli.
– Allora
sì... – dissi. – La ribellione sarebbe ancora giustificata.
– E
se invece li leggessi?
– E
poi cosa farebbe?
– Niente.
– Allora
la ribellione sarebbe ancora giustificata.
– E
se facessi qualcosa solo rispetto alle cose su cui fossi d'accordo?
Quelle che non mi disturbano troppo?
Ci pensai un
momento. – No, non sarebbe ancora sufficiente.
Whitlaw era
esasperato. – Ma allora cosa pretendente?
– Che
le nostre lamentele siano prese seriamente in considerazione.
– Ahhh...
adesso cominciamo a ragionare. Cominciate a capire? Le vostre
convinzioni sono corrette, ma non valgono nulla se non esistono
garanzie che le sorreggono. Che tipo di sistema chiedi... mmm,
McCarthy, vero?
– Sissignore.
Che ne dice di una commissione di arbitraggio formata da tre
studenti? Lei ne sceglie uno, noi scegliamo il secondo e i due
scelgono il terzo collega. L'associazione di cui fa parte mio padre
adotta questo sistema in caso di disaccordi.
– Va
bene, allora io prendo la decisione di attuare questo sistema.
– No
signore, dobbiamo votare. Dobbiamo essere d'accordo tutti. Altrimenti
saremmo ancora sotto una dittatura.
Whitlaw annuì e
guardò il suo orologio. – Congratulazioni. In meno di un'ora
abbiamo ricostruito più di mille anni di storia dell'umanità. Avete
abbattuto un governo, formulato la base per un nuovo sistema politico
e creato un sistema giudiziario che lo applichi. Oggi abbiamo fatto
un buon lavoro.
Suonò la
campanella. Avevamo utilizzato tutti i novanta minuti di lezione.
Mentre cominciavamo a raccogliere i libri, Whitlaw alzò una mano. –
Un momento. Restate seduti. Oggi salterete la prossima lezione. Non
vi preoccupate, i vostri insegnanti sono stati avvertiti e sanno che
non devono aspettarvi. Qualcuno deve fare pipì? Va bene, dieci
minuti di intervallo. Vi aspetto pronti a ricominciare alle undici e
quaranta.
Quando riprendemmo
la lezione Joey Hubre fu il primo ad alzare la mano. – Quando
riavremo indietro i nostri soldi?
Whitlaw
lo guardò sarcastico. – Ma non hai ancora capito? Non li
riavrete indietro. Il governo fa sempre sul serio.
– Ma...
ma... noi pensavamo che questo fosse...
– Che
cosa? Un gioco? – Whitlaw sembrava arrabbiato. – Ma non siete
stati attenti? Era una tirannia! Avreste forse abbattuto un governo
se non aveste pensato che facesse sul serio? Naturalmente no!
– Ma
io voglio indietro i miei soldi...
– Fanno
parte del tesoro nazionale ora. E se anche io volessi ridarveli, non
potrei. Sono stato sconfitto. Tocca al nuovo governo decidere cosa
fare dei soldi.
La classe stava di
nuovo diventando nervosa. Janice si alzò in piedi e disse: –
Signor Whitlaw! Lei ha sbagliato a prendere i nostri soldi!
– No,
non ho sbagliato... fintanto che rappresentavo il governo era mio
diritto farlo. Avete sbagliato voi a farmeli prendere. Tu... –
puntò il dito verso il primo studente che gli aveva dato un casey. –
Hai sbagliato a darmi la prima moneta. Perché l'hai fatto?
– Me
lo ha detto lei.
– Ti
ho detto che ti avrei dato qualcosa in cambio?
– No.
– Ti
ho detto che te l'avrei ridata indietro alla fine della lezione?
– no.
– Allora
perché me l'hai data?
– Mmm...
– Me
l'hai data tu. Non te l'ho presa io. Perché allora continui a dire
che sono stato io a sbagliare?
– Lei
aveva un esercito!
– Non
l'avevo fino a quando voi non mi avete dato i soldi per pagarlo –
disse rivolto a tutta la classe. – Il vostro solo sbaglio è stata
la mancanza di tempestività. Dovevate ribellarvi quando io ho
proclamato di essere il governo. Non avevo nessuno diritto di farlo,
ma voi me l'avete lasciato fare. Avreste dovuto chiedere in quel
momento di rispondere delle mie azioni prima che io avessi abbastanza
denaro per pagarmi un esercito.
Aveva ragione. Era
da quel momento che ci aveva avuti in mano. Ci sentivamo tutti un po'
in imbarazzo.
– Bene,
che cosa dobbiamo fare ora? – domandò Mariette.
– Non
lo so. Io non sono più il governo. Mi avete sconfitto. Mi avete
tolto ogni potere. Tutto quello che posso fare è eseguire degli
ordini. I vostri ordini. Di questo denaro farò quello che la
maggioranza deciderà.
Ci vollero meno di
trenta secondi per far passare la decisione di chiedere la
restituzione di tutti i fondi prelevati durante la tassazione.
Whitlaw annuì e
aprì il cassetto della scrivania. Cominciò a contare le monete. –
Mmm... abbiamo un problema... in classe siete quarantaquattro. Ma ci
sono solo trenta casey qui. Come vi ricorderete, il passato governo
ne ha spesi diciotto per pagare l'esercito.
Quattro ragazzi si
alzarono in piedi per esprimere l'opinione che gli ex membri della
Guardia Nazionale dovessero restituire i soldi. Whitlaw mise il veto.
– Mi dispiace. Ma questa si chiama confisca. Vi ricordate il
biglietto da cinque casey che ho preso illegalmente? Vi siete
ribellati proprio perché non volevate un governo che si comportasse
in quel modo. E ora invece volete un governo che faccia esattamente
la stessa cosa.
– Ma
ora è diverso...
– No,
non lo è! Una confisca è una confisca! Non importa chi è che la
fa... si tratta sempre di qualcuno che perde qualcosa!
– Ma...
allora come possiamo raddrizzare le ingiustizie passate?
– Non
so nemmeno questo. Adesso siete voi il governo. Ditemelo voi.
– Allora
perché non possiamo semplicemente riprenderci indietro i soldi?
– Perché
l'esercito è stato pagato secondo le regole. Hanno fatto il loro
lavoro e sono stati pagati per questo. Voi non potete prendere quei
soldi perché ora sono loro di diritto.
– Ma
lei non aveva il diritto di darglieli!
– Certo
che lo avevo! Io ero il governo!
In quel momento si
alzò Hank Chelsea. – Un momento, signore! Credo che abbiamo capito
quello che sta cercando di insegnarci. Tocca a noi trovare il modo
corretto per riavere i nostri soldi, non è vero?
– Se
ci riesci, vorrà dire che sei più bravo di me. Sono undici anni che
tengo questo corso e in tutto questo tempo non c'è mai stata una
classe che sia riuscita a trovare un modo, che fosse al contempo equo
e legale, di prendere i soldi dalle tasche di una persona per
metterle in quelle di un'altra. – Fece cenno a Hank di scendere. –
Permettete che vi dica qualcosa su cui riflettere. Un governo,
qualsiasi governo, non
è nient'altro che un sistema per ridistribuire benessere. Prende
soldi da un gruppo di persone lo dà a un altro. Quando accade che un
numero sufficiente di persone non sono d'accordo su come questo
benessere è ridistribuito, è il momento in cui quel governo viene
sostituito da un altro che incontra il favore della popolazione.
Proprio come è successo qui! Ma non si può usare il nuovo governo
per raddrizzare le ingiustizie di quello precedente senza creare più
problemi di quelli che si vogliono eliminare. Si finirebbe con
l'avere un governo interessato solo al passato e non al presente. Ed
è proprio il miglior modo di fallire. Se si vuole avere successo si
devono gestire le situazioni reali, non quelle passate o quelle che
vorreste che si verificassero. In altre parole, bisogna gestire solo
le circostanze sotto controllo. È questo il solo modo per ottenere
risultati. La domanda allora diventa: che cos'è che abbiamo sotto
controllo? Passeremo tutto il resto del semestre cercando di
rispondere a questa domanda. Ora però occupiamoci del problema
immediato. – Aprì il cassetto della cattedra. – Ci sono trenta
casey e voi siete quarantaquattro. Se decidete di non rimborsare i
sei membri della Guardia Imperiale, mancano sempre otto casey. E uno
di voi perderà comunque quattro casey perché gliene ho presi
cinque.
La proposta di
restituire a Geoff Miller quattro casey per equilibrare la sua
perdita con le nostre fu discussa e approvata. Questo ridusse il
tesoro nazionale a ventisei casey. Adesso mancavano dodici casey se
volevamo che tutti riavessero i loro soldi.
Uno degli ex membri
della Guardia Imperiale si alzò in piedi. – Ecco, restituisco i
due dollari in più che mi ha dato Whitlaw. Non credo che sia giusto
che io li tenga. – Dette di gomito al suo amico che si alzò in
piedi. – Sì, anch'io. – Altri due ex soldati tirarono fuori i
soldi, ma gli ultimi due restarono seduti in fondo all'aula con le
braccia incrociate.
– Li
abbiamo guadagnati onestamente e abbiamo il diritto di tenerli.
– Bene
– disse Whitlaw. – Questo fa diminuire il debito nazionale a due
casey. Niente male. Ora tocca a voi decidere a chi tocca rimetterci.
– Ma
non è giusto! – disse di nuovo Mariette.
Whitlaw si disse
d'accordo. – State cominciando a rendervene conto. Anche se ci
impegniamo al massimo non riusciremo mai a fare in modo che il
governo sia equo verso tutti. Non può. Tutto quello che può fare è
di essere equamente ingiusto con tutti.
Il problema
immediato fu risolto quando John ci ricordò che il casey non è
indivisibile. A trentotto studenti che avevano sborsato un casey
ciascuno, furono restituiti novantaquattro cent. Whitlaw cominciò a
rimetterli in tasca, ma Hank Chelsea disse: – Scusi... ma quello è
il tesoro nazionale. Lo terrà uno di noi, se non le dispiace.
Whitlaw ce lo dette
con un sorriso. – State imparando – disse.