Ultimi acquisti - Giugno 2012 (parte 2)

Nella prima parte degli acquisti di giugno ho elencato gli album acquisiti nell'ultima razzia al miglior negozio di dischi della Toscana. Mi manca adesso da elencare compilation e raccolte, che spaziano anche su generi estranei alla elettronica "pura".


Devo riconoscere a Chris Tietjen, che ha mixato tutte le label compilation della Cocoon, il merito di avermi insegnato i numeri in tedesco (almeno fino al sette, finora). Sieben è appunto il settimo capitolo della serie, che idealmente fa da controparte all'annuale Cocoon Compilation (che esce in estate, e probabilmente otterrò alla prossima occasione), e contiene alcuni degli ultimi successi usciti sull'etichetta tedesca che sta facendo la storia della techno da dieci anni buoni. Niente da obiettare alla qualità dei pezzi e la validità del mix, con tracce di Maetrik (aka Maceo Plex), Nick Curly (di cui parlavamo giusto nell'altro post), Boys Noize, Guy Gerber, Dinky. Il tutto si conclude poi con la meravigliosa True Romance di David August, ed è l'epilogo giusto per mettere voglia di ascoltare il prossimo capitolo.


Altro mix-cd è Body Language vol. 11, compilato e mixato da Nico, ovvero metà formazione dei Noze, duo francese che si distingue ultimamente, e il cui album Dring avevo indicato tra i migliori del 2011. Incaricato dai suoi colleghi della Get Physical di realizzare il periodico set, "Nico from Noze" mette insieme un percorso variegato, che se da una parte contiene pezzi di buona techno, dall'altra trova spazio anche per inserti più eccentrici con punte di etnicità, grazie all'apporto di tracce di Nicolas Jaar, Ruede Hagelstein, Oliver Koletzki. Notevole, e decisamente sopra le righe, l'inserimento di Tu veux ou tu veux pas, classico del francese Zanini, attivo principalmente tra gli anni 50 e 70 del secolo scorso, che sorprendentemente si mescola alla perfezione con le due tracce che lo racchiudono. Un omaggio che Nico ha voluto riservare al suo conterraneo cantante, e che concorda in pieno con lo stile proposto dai Noze.


Diary n. 2 è a sua volta una label compilation curata da Marcus Meinhardt della Upon.You. In questo caso non si tratta di un mix, ma di una semplice raccolta delle più recenti e valide tracce pubblicate dall'etichetta. Per la verità niente di entusiasmante, pezzi techno-house di buona qualità, alcuni superiori alla media e altri regolari. I contributi più interessanti sono forse quello di Douglas Greed, che fa da intro, Santorini e Melhoman & Javi Bora. Tra gli altri nomi notevoli si trovano Pele, ONNO, e lo stesso Meinhardt.



Si esce poi dall'ambito strettamente techno/house, con un'altra raccolta (non mixata) che, pur uscita nel 2011, ha soprattutto un valore storico. Philadelphia International: the re-edits è composta di due cd, per un totale di 21 tracce che raccontano la storia della musica soul/jazz tra gli anni 70 e 80, quando proprio a partire da questi generi si andava evolvendo il prototipo di quella che sarebbe stata la musica elettronica, la figura del dj e il concetto di clubbing. So che a leggerla questa cosa vi sembra incredibile, e che mai direste che possa esserci un legame tra il tunztunz e il jazz, ma le cose sono andate proprio così. I "re-edits" sono appunto versioni editate, di solito estese rispetto alle tracce originali, di questi pezzi di autori principalmente afroamericani che all'epoca hanno avuto un estesissimo successo. A risentirli adesso certo il legame con la techno non è evidente, ma si comincia a intuire nell'utilizzo di certi loop e nell'attenzione che viene dedicata ai ritmi di base. Roba da cultori.


Concludiamo con un altro doppio cd, che stavolta non è in realtà nemmeno una compilation, ma un live. Si tratta del live di Fela Kuti a Detroit del 1986. Anche qui, in questo afrobeat, si scorgono le origini di quella che si stava già affermando come elettronica, anche se in questo caso le sonorità calde, i cori, l'improvvisaizone e i testi cadenzati nell'inglese fortemente accentato di Fela Kuti, evocano atmosfere ben diverse da quelle postindustriali della house che proprio lì a Detroit era appena nata. Cd che mi è stato consigliato, e che, nonostante si discosti parecchio dai miei soliti ascolti, non posso negare di aver apprezzato. Certo, per quanto la qualità audio sia perfetta, non si può fare a meno di pensare che essere presenti sarebbe stata un'esperienza ben diversa. Peccato che quando il concerto si è tenuto io ero ancora in gestazione...

Bustina # 15

Capital letters are always the best way of dealing with things you don't have an answer to.
Concedere a qualcosa l'iniziale maiuscola gli infonde una personalità, quasi una volontà propria, che quindi non rende necessarie ulteriori spiegazioni se non quella che "è così". Il fenomeno risale già ai tempi in cui il Sole mostrava evidenti segni di percorrere un percorso nel cielo, e si trascina fino all'Ufficio Relazioni col Pubblico del Comune. In alcuni casi si è tanto fortunati da riuscire a ridurre il tutto a qualcosa di prevedibile e misurabile (il Sole è solo una stella!), ma per ora nessuno è ancora riuscito a smitizzare l'URP.

Di Douglas Adams e le sue opere si è già parlato altre volte in questo blog, sia direttamente sia come semplice citaizione, e trattandosi di uno degli autori che più mi hanno influenzato, non è escluso che si tornerà a citare qualcuna delle sue frasi o idee, dato che il geniale autore inglese nella sua seppur breve carriera artistica ha fornito centiania di spunti interessanti e divertenti allo stesso tempo. Il libro da cui è citata questa frase era inedito da parecchio tempo in italia, infatti avevo provveduto a reperirlo in lingua originale per completare la pur ridotta bibliografia dell'autore. Di recente però la Mondadori ha ripubblicato sia questo Dirk Gently - Agenzia di investigazione olistica e il seguito La lunga oscura pausa caffè dell'anima, che compongono la "saga" di questo trasandato investigatore che indaga sistematicamnte a caso, convinto che in virtù del principio olistico qualunque fatto sia collegato a qualunque altro. Da segnalare anche che la BBC ha prodotto una serie, purtroppo cancellata dopo quattro puntate, che segue proprio le avventure di Dirk Gently.

Ultimi acquisti - Giugno 2012 (parte 1)

A tre mesi dall'ultima paccata di acquisti musicali, il bisogno di nuova musica iniziava a farsi fisiologico, per cui ho dovuto prendere un giorno di ferie per spendere qualche ora da Mastelloni, e rifornirmi di suoni. Ho fatto ritorno a casa con una paccata di 11 nuovi cd, che come di consueto suddivido in due parti per facilitare la fruizione dei post. In questa prima parte parlerò degli album, nell'imminente parte 2 ci saranno le compilation.

Si inizia con qualcosa di gustosamente minimal ed estremamente recente. Questo disco di appena due mesi fa di Âme in realtà è più un greatest hits che un vero e proprio album. Vi si trovano infatti tutti i pezzi più importanti di produzione della coppia, come Rej e Setsa, più alcuni pezzi di altri grandi nomi come Underworld e Gui Boratto da loro remixati. Sonorità principalmente cupe, con punte di autentico nichilismo (come in Where We At), che si mantengono per tutto il percorso. Il titolo Live inoltre esplicita che non si tratta delle versioni originali, ma di una lunga sessione live, leggermente mixata, in cui vengono presentate le tracce migliori dei due.


Altrettanto recente è l'album Between the Lines di Nick Curly, uscito sulla sua etichetta Cecille nel marzo 2012. Anche qui l'impronta minimal è dominante, ma si fanno sentire anche influenze latine, che non sono estranee allo stile di Curly (basta pensare a Pujante, uno dei suoi pezzi di maggior successo), che emergono con suoni e testi in spagnolo. I tredici pezzi sono di lunghezza medio breve, e alcuni si limitano ai tre minuti tipici del "radio edit", senza troppe variazioni sul tema principale. Forse non si riscontra una grande originalità, ma le tracce sono ben costruite e si basano tutte su un'ottima concezione del ritmo, per cui l'ascolto risulta del tutto gradevole.



Questo Hawkinson in realtà non l'avevo presente, ma sapevo di potermi fidare dell'etichetta Muller, diretta da Beroshima. Non sono rimasto deluso, perché in Klaf, uscito nel 2011, [il link punta alla versione in vinile, con solo quattro tracce, a quanto pare l'album su cd con undici pezzi non è catalogato] si trova una successione di tracce di ottima techno, solida e dalle sonorità vagamente "spaziali", che ricordano lo stile più hard che andava per la maggiore prima che negli ultimi anni si affermasse come tendenza principale la minimal. Volendo fare un paragone, lo stile è simile a quello dell'album Audiology di Kelinschmager Audio, che avevo acquistato a giugno dell'anno scorso.



La scoperta di The Analog Roland Orchestra è stata forse la più interessante di questa sessione di acquisti. Già ero rimasto attratto dalla minimalista copertina in cartone con solo un motivo geometrico e nessuna scritta. Quando poi ho chiesto un preascolto per capire con cosa avevo a che fare, mi sono definitivamente convinto ad acquistare Home. L'orchestra, che in realtà è composta da una sola persona, come suggerisce il suo nome utlizza gli strumenti analogici classici della tradizione elettronica, a partire dai TR 808 e 909, ed altri come il Jupiter 6, Vermona 2010 eccetera. Ok, in realtà non ho un orecchio così raffinato da saper riconoscere tutte queste diverse componenti, ma nel libretto (cioè, cartoncino) del cd viene elencata per ogni traccia gli strumenti utilizzati, di cui questi sono i principali. Come ci si poteva aspettare da qualcuno che usa tanta perizia da elencare i suoi apparecchi, le tracce sono complesse e ricche, composte da suoni puri, e durante l'ascolto si può avvertire la cura che è stata riservata a ogni singola parte che compone le tracce. Un disco per veri appassionati, che può soddisfare chi apprezza le basi stesse dell'elettronica.


Contrariamente a quanto suggerirebbe il suo nome, Roberto Rodriguez è finlandese. Il suo album Dawn è uscito nel 2012 sull'etichetta Serenades, e se a un primo ascolto può apparire un po' cheesy, in realtà scorrendo più volte le tracce si percepisce che c'è una seria conoscenza dell'ambiente elettronico-dance degli ultimi decenni. Lo stile infatti varia da tracce house e deep-house, a qualcosa che ricorda la italo disco, fino a pezzi di stampo più techno. Un disco quindi che si presta a più situazioni, e funziona tanto per l'ascolto, come excursus sulle variazioni possibili sul tema della "canzone elettronica", quanto per la diffusione, visto che i pezzi composti di melodie e vocal risultano ben orecchiabili.



Paul Van Dyk è uno di quei nomi che hanno raggiunto popolarità anche al di fuori dell'ambito strettamente "clubbistico", e che (per quanto valore possa avere) spunta sempre un posto nella top ten nell'annuale Dj Mag Chart. Considerato uno dei guru della trance, in realtà negli ultimi tempi la sua posizione è passata in secondo piano, mentre nuovi talenti (e soprattutto nuovi generi) raggiungevano la fama. Personalmente però ritengo che, tra quelli che sono stati i maestri del genere (Van Buuren, Tiesto, Corsten, per dire...) è quello che è riuscito a mantenersi meglio. Conferma è questo nuovo album: Evolution infatti contiene quindici tracce che, seppure con qualche aggiornamento nello stile ai canoni più moderni, si mantiene coerente con i suoni e i temi che ha sempre utilizzato da oltre un decennio. Buona parte dei pezzi inoltre è stata realizzata in collaborazione con altri artisti, tra i quali Austin Leeds, Arty, Adam Young (aka Owl City), Giuseppe Ottaviani. In sostanza, un album non eccessivamente brillante, ma di buona qualità se si considera l'evoluzione (appunto) del genere trance degli ultimi anni.

Coppi Night 17/06/2012 - Strange Days

Colpa mia, lo ammetto. Non avevo mai visto questo film, in quasi venti anni che è in circolazione. Se anche l'avevo sentito nominare di quando in quando, non gli avevo mai dato più attenzione di un "uhm, sì, poi me lo vedo". Forse a stimolarmi poco è stato il titolo, che in effetti vuol dire ben poco: gli "strani giorni" possono essere qualsiasi cosa. Ma, dopo averlo visto, Strange Days schizza di botto nella mia personale top 20 dei migliori film (nella top 10 non so, dovrei ricalcolare tutte le posizioni).

Perché mi sbilancio tanto? Nella lunga serie di relazioni delle Coppi Night raramente sfoggio una tale convinzione, anzi si può notare che ci vuole parecchio per suscitare il mio entusiasmo. Non è nemmeno un fatto di generi più o meno favoriti, perché anche rimanendo nella fantascienza non ho avuto problemi a demolire delle obiettive cagate. Strange Days, al contrario, e un ottimo film e basta, indipendentemente dai canoni coi quali lo si valuta. Tutti gli elementi concorrono a fane un'esperienza coin- e scon- volgente: dalla storia che si snoda su più livelli ai personaggi ben inquadrati, dall'eccezionale recitazione alle scenografie, dagli effetti speciali alla colonna sonora. Un accostamento cinematografico può essere fatto con Johnny Mnemonic o Nirvana, che nei temi, nell'ambientaizone e nei toni (di orientamento cyberpunk) gli sono affini, ma qui lo sviluppo del prodotto è di qualità parecchio superiore.

Per poter entrare nel merito del film, riassumo brevemente la trama, evitando gli spoiler. La vicenda è ambientata negli ultimi giorni del 1999, in una Los Angeles prossima al collasso che si prepara al cambio di millennio, che sembra avere in serbo guai più seri del millennium bug. Le strade sono continuamente occupate da rivolte e scontri armati, e tra le varie fazioni in lotta la tensione più aspra è quella tra la polizia (accusata di abusare del suo potere) e la comunità nera, il cui leader è un famoso rapper che scrive canzoni contro il potere, alimentando il malcontento. Il protagonista, Lenny Nero (interpretato da un eccezionale Ralph Fiennes) è invece di tutt'altra estrazione: ex agente di polizia (questo è un po' un classico, ma no pesa troppo sulla vicenda), riciclatosi in seguito come spacciatore di wire-trip, ovvero registrazioni di "tracciati sensoriali", autentiche esperienze vissute da una persona e che possono essere sperimentate da chiunque altro. Nero è un personaggio determinato e sicuro di sé, ma tutto sommato non è un uomo d'azione, e la sua abilità sta soprattutto nelle chiacchiere e nello charme con cui riesce ad accalappiarsi nuovi clienti. Nero ha avuto una relazione con Faith (Juliette Lewis), una ragazza che in seguito lo ha abbandonato per seguire la sua carriera musicale. E i problemi vengono fuori proprio quando la incontra di nuovo, e si trova suo malgrado coinvolto in un circolo perverso di omicidi, minacce e giochi di poteri più grandi di lui, dai quali dipende l'esplosione della crisi che anima la città. Nella sua ricerca (o forse è più una fuga) sarà aiutato da alcuni compagni spinti da motivazioni diverese, tra i quali il ruolo più centrale spetta a Mace, una donna alla quale durante la sua carriera di poliziotto Nero ha salvato la vita, e a cui da allora è rimasto legato. Come poi le scenario si conclude non spetta a me rivelarlo, ma posso garantire che la soluzione non è affato banale.

Quello che veramente rende Strange Days un ottimo film è il modo in cui i vari elementi della trama si intrecciano a livelli diversi: l'idea (non originale, ma sfruttata in modo non banale) dei wire-trip registrati e spacciati sul mercato nero non è fine a se stessa, ma diventa solo una parte del conflitto che lentamente si sviluppa. Inoltre gli inserti derivanti dai trip, ripresi in prima persona dal punto di vista dell'osservatore, riescono a raggiungere livelli di tensione molto alti, in particolare nelle sequenze di stupro e omicidio "in diretta". E anche questo si incastra nel resto, e costituisce solo un pezzo della partita che coinvolge tutti i personaggi, in maniera evidente o occulta, e del quale non è facile capire il quadro generale fino alle ultime fasi. La trama si sviluppa poi su più piani, e mentre il percorso di Nero è più orientato a ottenere risposte per sé e per il suo rapporto con Faith, la sua controparte Mace lo affianca con intenti diversi, portando avanti una battaglia per l'affermazione della giustizia. Il finale, con l'inevitabile esplosione della rivolta, e le parallele risposte agli interrogativi sorti durante il film, lascia ben poche speranze, ancora meno rendendosi conto che, alla fine dei conti, niente di quanto è successo è stato pilotato da forze superiori, ma si è trattato solo di un gigantesco, clamoroso intreccio di meschini interessi personali. Insomma, alla fine, si scopre nichilisticamente che non c'è speranza per nessuno, e anche se Mace dice "Ce l'abbiamo fatta", la sua frase si riferisce forse più alla sua dimensione personale che al mondo appena entrato nel Terzo Millennio, per il quale non sembra davvero che ci siano possibilità di riscatto.

Che il film mi è piaciuto si capisce da quanto sono riuscito a scriverne. Volendo trovare dei difetti (ma giusto perché voglio mostrare di saper essere obiettivo), si può pensare che le ultime scene siano alquanto melense, ma d'altro canto ripagano i toni cupi che il film mantiene per tutta la sua durata. Inoltre, gli autori della sceneggiatura (originale, non tratta da racconti di altri autori) hanno toppato sui tempi, prevedendo che nel 1999 esistesse una tecnologia in grado di registrare e riprodurre esperienze direttamente tramite il cervello, ma non è questo particolare a svuotare la storia del suo significato, dato che appunto i wire-trip sono elementi funzionali della trama. Per tutto ciò, questa è una delle poche volte che mi sento di dover proprio suggerire: guardatelo.

Futurama stagione 7 in USA

E così, mentre da noi hanno finalmente iniziato a trasmettere la stagione 6 con soltanto due anni di ritardo, oggi si conclude il countdown che ha accompagnato gli ultimi cinquanta giorni, con la messa in onda sul canale americano Comedy Central dei primi due episodi della stagione 7 (che, come era avvenuto per la precedente, sarà divisa in due blocchi di 13 episodi, i primi trasmessi da qui all'autunno e i prossimi nello stesso periodo del 2013). Il season premiere consisterà in due puntate trasmesse di seguito, The Bots and the Bees e A Farewell to Arms, dopodiché avremo un episodio a settimana tutti i mercoledì.

Da parte mia, cercherò di stare al passo e pubblicare nell'apposita rubrica le mie recensioni con il minor intervallo possibile... ma anche prendendola con calma avrei di certo qualche anno di anticipo rispetto alla messa in onda italiana. Per cui, che siate interessati a seguire la stagione 6 italiana, o quella 7 americana, il posto in cui le trovate è comunque questo blog!

C'è di che essere contenti, e una sbronza celebrativa è consigliata.



Rapporto letture - Maggio 2012

Questo mese ho già parlato abbastanza di libri, con il lungo excursus in tre parti sull'epilogo della saga di Dune, ma i post letterari non sono ancora finiti. Infatti, prima che la mia memoria a medio termine subisca perdite permanenti, è bene stilare il rapporto letture del mese scorso. La quota di maggio rientra nella consolidata media di sei libri, vediamo di ripercorrerli in ordine.


More about La colazione dei campioniIl primo libro completato è stato La colazione dei campioni, di Kurt Vonnegut. Come ho già avuto modo di dire, di Vonnegut ho in lista d'attesa diversi libri da leggere, ma tendo a centellinarli, perché ogni sua opera è a suo modo una perla, e richiede un certo impegno. Nonostante lo stile sia sempre leggero, autoironico, e i contenuti spesso ai limiti del grottesco, tutte le sue storie hanno un modo particolare di catturare il lettore e spedirlo in una dimensione del tutto imprevedibile. In questo libro si ripresentano alcuni dei personaggi ricorrenti nei romanzi di Vonnegut: Kilgore Trout, lo scrittore di fantascienza sfigato, Eliot Rosewater, il milardario suo fan, e lo stesso Vonnegut, in quanto creatore di tutti loro. Ora, se devo dire la verità, La colazione dei campioni mi ha preso un po' meno di altri suoi libri come Mattatoio n. 5 o Le Sirene di Titano. Questo forse perché in questo libro manca quella parte di pura invenzione fantascientifica che invece è presente in quasi tutti gli altri. Lo stesso autore, in una autograduatoria dei suoi romanzi, assegnava a questo la posizione più bassa. In compenso, ci sono molti più disegni, alcuni dei quali anche osceni. Quindi siamo comunque soddisfatti. Voto: 7/10


More about Il funzionarioCambiando completamente ambito, sono passato da un autore plurimamente consacrato a livello mondiale a una manciata di scrittorini italiani di poco conto... tra i quali per poco potevo rientrare pure io. Il funzionario e altri racconti è infatti la raccolta dei finalisti del XVII Trofeo RiLL, dei quali tecnicamente facevo parte, ma che sono stati pubblicati solo fino alla quarta posizione (il mio La legge dei padri è poi comparso in digitale in Aspettando Mondi Incantati 2011). Solitamente nelle antologie derivate da questo premio si trova un'equilibrato mix di bei racconti e altri mediocri (questi ultimi soprattutto nei lavori dei giurati del concorso), in questo caso invece il livello mi è parso mediamente più alto, con un assortimento di racconti tutti di buona qualità, sia da autori conosciuti che da altri meno noti. Il racconto che dà il titolo alla raccolta è davvero molto affascinante e merita sicuramente di aver vinto. Voto: 7.5/10


More about Miliardi di tappeti di capelliAvevo visto spesso in libreria, nella limitata porzione di scaffale dedicata alla fantascienza, questo libro di Andreas Eschbach, autore tedesco che ha raggiunto una certa fama internazionale negli ultimi anni. Non mi ero arrischiato a comprarlo perché da tempo diffido dai libri di sf che raggiungono le librerie, conscio che sono lì per un preciso calcolo di markettabilità. E in effetti, non ho comprato Miliardi di tappeti di capelli, ma mi è stato regalato dall'amica e collega Michela, a sorpresa in seguito a una conversazione in macchina a proposito proprio di questo libro. Devo ammettere che la storia di questo libro, che si dipana lungo numerosi racconti tra loro indipenenti ma collegati all'interno del contesto complessivo, è davvero molto particolare, e non si può rimanere insensibili di fronte alle proporzioni dello scenario descritto. Tuttavia, quando si raggiunge la soluzione dell'enigma che sta dietro ai tappeti di capelli, viene da pensare che sia stato piuttosto forzato per riuscire a dare coerenza a una serie di storie nate per scopi diversi (come infatti è il caso, per stessa ammissione dell'autore). Si tratta comunque di una lettura estremamente affascinante, anche se non riesce ad essere all'altezza delle promesse iniziali. Voto: 7.5/10


More about Le pedine del Non-ASono poi tornato ad un classico, con Le pedine del Non-A, sequel di Non-A in cui Alfred Elton Van Vogt esplora ulteriormente lo scenario futuro in cui si muoveva la sua ideale società di individui Non-Aristotelici. Rispetto al primo romanzo, questo è molto più ampio, in quanto la prospettiva si sposta dal Sistema Solare all'intera Galassia, e vengono mostrati i piani delle forze che sul finire del primo libro avevano invaso Venere. Come sempre la scrittura di Van Vogt è piena di azione e colpi di scena senza sosta, enigmi, tranelli e false piste, e quando si raggiunge la conclusione tutto si dipana frettolosamente e senza un vero e proprio epilogo. Un modo di scrivere che può non piacere del tutto, ma che di certo riesce a tenere incollati sulle pagine. Interessanti anche gli "estrati di filosofia Non-A" che aprono ogni capitolo, elemento che proprio nel primo libro era mancato (tutto si basava su questi efficientissimi agenti del Non-A, ma non si capiva che cosa fosse!). Voto: 7/10


More about Infected filesSi torna poi agli autori italiani, stavolta con Dario Tonani, che è probabilmente una delle più valide voci della nostra fantascienza contemporanea, e di cui avevo già parlato nella recensione di Toxic@. In questo Infected Files troviamo una decina di racconti (alcuni già visti, altri inediti) che illustrano in modo abbastanza chiaro il futuro immaginato dall'autore, nel quale il progresso nelle tecnologie informatiche e bioingegneristiche rendono sempre più labile il confine tra uomo e macchina, con macchine semiviventi e uomini semimeccanici. Il confronto tra questi due mondi di solito è burrascoso, spesso drammatico, ma comunque intrigante. Chiudono il volume alcuni brevi racconti ambientati nell'universo narrativo di Infect@, dai toni più leggeri. Voto: 7/10


More about Tre millimetri al giornoCome reagite se dico che non avevo mai letto un romanzo di Richard Matheson prima di questo? Mi erano capitati diversi racconti, ma un romanzo intero ancora no... no, nemmeno Io sono leggenda, che ormai si trova in giro solo con Will Smith in copertina (cosa che odio [cioè, non dico Will Smith, ma le copertine con le immagini tratte dai film di cui il libro stesso è l'ispirazione]). La lettura di Tre millimetri al giorno (e per una volta siano benedetti i traduttori, che hanno trovato un titolo più evocativo dell'originale The Incredible Shrinking-Man!) mi ha soddisfatto in pieno. Matheson è abilissimo nel mostrare come la riduzione della dimensione metrica del protagonista corrisponde a un equivalente allontamento dalla dimensione umana: quando il protagonista si trova costretto a scalare una sedia per accaparrarsi una briciola di cracker, in fuga da un ragno famelico, c'è ben poco spazio per considerazioni riguardo il mondo "civilizzato" in cui aveva vissuto fino a pochi mesi prima. La conclusione è poi sorprendente e, dopo una storia da toni essenzialmente cupi, riesce a concedere uno ultimo sprazzo di speranza, completando al meglio questa ottima storia. Voto: 8/10

Coppi Night 10/06/2012 - Impostor

Questa domenica stava a me proporre i film al Coppi Club, e per dare un tema alla mia selezione ho individuato una lista di film incentrati sui robot, da Io, robot a Corto circuito, da Metropolis a Wall-E (ci riuscirò a farglielo vedere!). Il robottino spazzino è anche arrivato in finale, ma poi ha perso contro questo Impostor, trasposizione dell'omonimo racconto di Philip K. Dick. E non è la prima volta che nella mia rosa prevale un film basato su un'opera di questo autore, ma stavolta l'esito si è rivelato piuttosto diverso.

Non avevo mai visto Impostor, e se l'avessi fatto prima credo che non l'avrei proposto. Questo perché, semplicemnte, è un film brutto. Ma procediamo con ordine. Dick, il cui successo come guru è arrivato in buona parte postumo, non era uno scrittore molto sicuro di sé, e anzi tendeva a sminuire i suoi lavori. Da qualche parte (forse nei commenti di qualche sua raccolta di racconti), ho letto che, di tutta la sua produzione, c'era un'unica idea di cui andava fiero, e che riteneva di aver cristallizzato all'interno dell'immaginario fantascientifico: l'idea del robot che non sa di esserlo. Attenzione, non stiamo parlando semplicemente di robot umanoidi come quelli di Asimov, in tutto simili agli uomini, ma anche di robot convinti di essere umani.Questa, appunto, è l'idea di base di Impostor... o almeno, del racconto. In un'ipotetica guerra interstellare contro degli alieni cattivi (mai mostrati), uno scienziato che lavora all'arma finale in grado di salvare l'umanità viene arrestato e accusato di essere un robot, progettato dai nemici per infiltrarsi all'interno dell'organizzazione degli uomini e sterminarne i capi in un attacco suicida. Ma il protagonista non è un robot, o comunque, lui è convinto di questo. Per cui fugge, e va in cerca dell'astronave che avrebbe dovuto condurre il suo assassino-doppelganger, in cerca delle prove per dimostrare la sua umanità. Quello che trova, e come va a finire, ve lo lascio scoprire leggendo il racconto (credo si possa trovare in Rapporto di minoranza e altri racconti, edito da Fanucci, che contiene proprio una serie di racconti di Dick da cui sono stati tratti dei film, tra cui questo, Minority Report, Atto di forza, ecc...).

L'idea è intrigante, e infatti il racconto è molto valido, anche se datato. Ma la sua resa in questo film del 2001 è davvero imbarazzante. Colpa forse dell'insipida interpretazione di Gary Sinise, che ricordiamo, oltre che per il suo ruolo in Forrest Gump, anche per quello in Pianeta Rosso, il film che ci ha insegnato che le tute da astronauti hanno la patta apribile per fare la pipì? Sì, sicuramente ci ha messo del suo (e pure Tony Shalhoub non è ai suoi massimi), ma sarebbe disonesto prendersela solo con lui. Il problema di questo film è molto più radicale. Volendo anche accettare che, per esigenze cinematografiche, la trama del racconto sia stata alterata, in realtà il film è proprio realizzato male. Sequenze in slow motion, inquadrature fantasiose, panoramiche inutili, scenografie ridicole... tutto puzza di b-movie, al punto che sembra di guardare un lungometraggio di Walker Texas Ranger, senza però il gusto del puro trash. Non si può dire che sia noioso, perché comunque è un film composto principalmente di azione (nonostante parecchie sequenze si rivelino alquanto irrilevanti ai fini della trama), tuttavia è esasperante, a causa di queste sue evidenti mancanze. Insomma, se non altro, Impostor riesce a mostrare come nemmeno una buona storia basti per realizzare un buon film, ma che la realizzazione, soprattutto a partire dalla regia, è fondamentale.

Futurama stagione 6 su Italia 1

Aggiornamento: per vedere la lista degli episodi della seconda parte della stagione 6, in onda a partire da settembre 2012, vedere questo post.

Mentre procede il countdown, e Comedy Central dall'altra parte del mondo sta per mandare in onda gli episodi della stagione 7a, con giusto due anni di ritardo ecco che arrivano in Italia gli episodi della sesta stagione. A partire da questa settimana (quindi da ieri, sono in leggero ritardo ma io l'ho scoperto pochi minuti fa!), tutti i giorni alle ore 13:40 su Italia 1 verranno trasmesse le puntate finora inedite qui da noi, a partire da Rinascita e, si spera, fino al ventiseiesimo Reincarnation.

In effetti ci si può già porre qualche dubbio, infatti nel palinsesto previsto per la settimana non sono presenti In a Gadda-da-Leela e Proposition Infinity, rispettivamente secondo e quarto episodio. Sarà una banale scelta di cambiare l'ordine della messa in onda, o ha a che fare con il tema delle storie? Ricordiamo che in In a Gadda-da-Leela, Leela e Zapp naufragati su un pianeta vergine fanno la parte dei nuovi Adamo ed Eva, mentre in Proposition Infinity Bender e Amy si battono per legalizzare il matrimonio robosessuale. Non voglio arrivare a penasre che il contenuto altamente anti-bigotto di questi episodi abbia portato alla loro censura. Altrimenti, il moige avrà il suo bel da fare anche con Origine meccanica, la cui messa in onda è già stata prevista per martedì 19 giugno: sia mai che ai piccoli venga mostrato come l'evoluzione sia una spiegazione valida dell'origine della vita!




In ogni caso, vi consiglio di seguire la serie, che come ho già avuto modo di riassumere, contiene alcune puntate davvero eccezionali. In particolare vi consiglio di non perdere:


Dopo la visione, potrete anche spulciare le mie recensioni, che pur essendo alquanto datate si riferiscono comunque agli episodi appena trasmessi. Per renderle più accessibili, aggiungerò ad ognuna anche il titolo della versione italiana.

Ricardo Villalobos - Fizheuer Zieheuer

Può un disco che contiene solo due tracce definirsi un album? Beh no, dai, al massimo lo si può considerare un EP. Ma, allo stesso tempo, può considerarsi un singolo un disco che dura circa 74 minuti? Anche qui, la questione è ambigua. Per questo non è facile dare una definizione univoca di Fizheuer Zieheuer, disco di Ricardo Villalobos uscito nel 2006 sull'etichetta Playhouse. Infatti, le due tracce del CD si snodano rispettivamente per 37 e 35 minuti più spiccioli.

Ora, se avete mai avuto la pazienza di leggere uno degli altri post musicali presenti su questo blog, sapete bene  che il genere di cui tratto (con alcune rare eccezioni), è quello elettronico, con particolare attenzione per techno e sottogeneri correlati, ma spazio anche per i suoni più sperimentali. Nel caso di Villalobos, il discorso si fa complesso. Perché non c'è dubbio che si tratti di uno dei veri profeti della techno, o più nello specifico della minimal, quel genere che probabilmente più di tutti incarna la meccanicità del suono elettronico. Ma è anche vero che, da sempre, le produzioni di Villalobos non sono mai solo techno. In questo senso, Fizheuer Zieheuer è forse l'esempio più eclatante della duplice natura di questo artista.

La title track, quel pezzo di 37 minuti e rotti, è una vera e propria sinfonia di percussioni e brani d'orchestra. Con qualche ricerca, si scopre che le melodie di base sono state prese da Pobjednicki Cocek, un pezzo di musica tradizionale bulgara. Da esso sono tratte sia le trombe in levare (suppongo siano trombe o comunque strumenti a fiato simili) che intervallano ogni tanto la struttura ritmica, sia l'accordo che accompagna fin dall'inizio tutta la canzone. Partendo quindi da questa semplice melodia, Villalobos ha creato un pezzo che si sviluppa, si evolve, torna indietro, esplode, si quieta, si rianima, e procede in modo così naturale che i 37 minuti scorrono in tutta naturalezza, senza il minimo accenno di noia che una traccia così lunga si suppone debba provocare. Fizbeast, il secondo pezzo del disco, è a sua volta una variazione di Fizheuer Zieheuer, e ne riprende in pratica bassi e percussioni, sviluppandoli in autonomia senza l'aggiunta delle parti melodiche. Anche qui, l'alternarsi di ritmiche diverse, l'aggiunta, la comparsa, la sottrazione e il ritorno di suoni che si susseguono, riesce a creare un percorso unico e continuo, che non lascia spazio per notare la presunta monotonia del beat.

Sta proprio qui la genialità dell'autore: riuscire a portare avanti la sua musica, dalla struttura essenzialmente ripetitiva, in modo da trarne continuamente nuove sfumature, così che l'ascoltatore si trovi di fronte a qualcosa di familiare ma continuamente nuovo. Questo, si può azzardare, è lo stesso principio su cui si basa la musica "classica", che come credo di aver già detto in altre occasioni, paradossalmente è molto più vicina a composizioni di questo genere che alle "canzoni" (base + vocal) che comunemente vengono diffuse e commercializzate. Ecco perché Fizheuer Zieheuer, che infatti è stato accolto con estremo entusiasmo tanto dal pubblico che dalla critica (ma c'è anche da dire che difficilmente Villalobos ha raccolto reazioni fredde nel corso della sua carriera), si può forse definire un "Bolero elettronico", in cui una lunga progressione di strumenti che si alternano conduce verso un ideale apice, in un climax che consuma tutte le energie dell'ascoltatore.

Ma, mi chiedo, perché dovreste fidarmi della mia parola, quando l'attuale Era dell'Informazione vi consente di provare in prima persona quest'esperienza? Ecco qui quello di cui abbiamo parlato finora, da utilizzare come sottofondo per la vostra prossima mezz'ora. Poi mi saprete dire:




Tremare senza paura - Autori uniti per l'Emilia Romagna

Tra le etichette di questo post inserisco anche "autopromo", ma in realtà la promozione che sto facendo in questo caso non è tanto a me stesso, quanto all'iniziativa nel suo complesso. L'associazione Nero Cafè, molto attiva da qualche tempo nell'ambito letterario dei generi horror, thriller e noir, per contribuire a suo modo ad aiutare le zone colpite dai recenti sismi in Emilia Romangna, ha realizzato a tempo di record un e-book il cui ricavato sarà interamente devoluto al Comune di San Felice sul Panaro.

Il libro si chiama Tremare senza paura, una frase simbolica che vale da incoraggiamento per chi nelle settimane scorse ha subìto il capriccioso dondolio della terra, nella speranza che i brividi suscitati da questa raccolta possano essere molto più sani godibili.



La raccolta ospita una trentina di autori, nei quali rientro anch'io insieme ad altri nomi noti dell'underground letterario "di genere", alcuni dei quali residenti anche in zone colpite dalle scosse. Non esiste prezzo di copertina, ma solo un'offerta libera che ognuno può valutare in autonomia. Insomma, se con 2 euro mandate un sms, e non sapete dove va a finire, con la stessa cifra potete ottenere questa raccolta di storie del terrore, ed essere sicuri che il vostro contributo arriverà dove serve.

Coppi Night 03/06/2012 - Sherlock Holmes: gioco di ombre

Il vecchio blog ormai è morto, e tutto ciò che ne rimane sono alcuni post riportati qui contrassegnati dall'etichetta flashback, ma io ricordo distintamente che il primo post dedicato al referto di una Coppi Night (che pure arrivava dopo forse due anni dalla fondazione del Coppi Club), parlava del film Sherlock Holmes, quello interpretato da Robert Downey jr e Jude Law. Film che avevo gradito, per il modo in cui era riuscito a dare una nuova immagine di questo personaggio immortale. Posso ripetere quello che dicevo allora, tanto quel post ormai è andato perduto: l'immagine di Holmes serio e riflessivo, moderato e, fondamentalmente, moscio, in realtà è un retaggio più delle trasposizioni cinematografiche, piuttosto che dei racconti originali. Nelle storie di Doyle [o Conan Doyle? Non ho mai capito se "Conan" fosse il secondo nome o il primo cognome], infatti, spesso l'investigatore agisce in prima pesona, insegue, scappa, si maschera, affronta direttamente gli avversari. Certo non è un supereroe, ma non si tira indietro quando c'è da sporcarsi le mani. E parlo con cognizione di causa, perché ho letto tutte le storie di Sherlock Holmes scritte dall'autore originale (ho preferito evitare gli apporti successivi di altri scrittori, e dovreste capire perché). Per cui,  questo Holmes moderno, istrionico e cialtrone, mi piace e mi pare sommariamente coerente con il personaggio, anche se un po' esagerato.

Il secondo (e probabilmente non ultimo) capitolo della serie da un lato si rivela migliore del primo, dall'altro lascia comunque alcune perplessità. Quello che nel primo Sherlock Holmes mi aveva convinto meno era il fatto che la storia celasse un caso troppo in stile CSI, in cui l'enigma stava tutto nella conoscenza di particolari sostanze/tecniche che consentivano trucchi apparentemente impossibili. In questo senso, tutta l'abilità deduttiva di Holmes veniva sprecata, perché la soluzione non veniva tanto dalla raccolta di indizi, ma dalla nozione di questi elementi. In Gioco di ombre, invece, questo approccio viene abbandonato, e il problema da risolvere comporta proprio l'accumulazione di indizi che portano a individuare i punti chiave della vicenda. Fa anche piacere vedere chiamati in causa alcuni personaggi importanti citati nei racconti, a partire dal professor Moriarty (la cui presenza era accennata nel finale del primo film) fino al fratello di Sherlock, Mycroft. Non ricordo in effetti se Mycroft fosse davvero un ambasciatore o quel che è nel film, ma in ogni caso il suo personaggio è sicuramente reso in modo valido, se anche non del tutto coerente con i libri. Moriarty dal canto suo si rivela un ottimo villain, a un livello pari di Holmes, e il suo esteso complotto è certamente abbastanza malvagio da renderlo un nemico temibile. Apprezzabile anche la conclusione dello scontro diretto tra i due, che corrisponde in effetti a quanto viene raccontato nei libri da parte di Watson.

Quello che invece non è stato centrato, secondo me, è di nuovo il modo in cui Holmes è "geniale". Nei racconti di Conan Doyle [una delle due forme sarà giusta], viene calcato molto l'accento sulla "scienda della deduzione", cioè quella capacità (in cui Holmes eccelle) di collegare tra loro elementi apparentemente privi di significato per trarne delle conclusioni. Nel film, ci sono certo deduzioni di questo tipo, ma l'abilità del protagonista sembra basarsi più sull'anticipazione di eventi/incontri/scontri futuri, piuttosto che sull'analisi di quello che il detective si trova di fronte. Si tratta di una prospettiva sottilmente differente, ma non di poca rilevanza. Per quanto riguarda lo svolgimento della trama, l'unico punto poco credibile mi è parso l'utilizzo di lenti a contatto colorate, che a fine XIX secolo mi sembrano una tecnologia troppo raffinata, ma per il resto tutto fila.

In ogni caso, se non si vuole stare a forzare il collegamento con i libri, il film è indubbiamente godibile, pieno di sorprese, battaglie, e clamorose esagerazioni parecchio gustose. Sicuramente ce n'è abbastanza per concedere il dubbio al terzo (e a quel punto, probabilmente ultimo) capitolo della serie.

Addio a un marziano

Come in altre rare occasioni, recinto un piccolo spazio all'interno del mio blog per commemorare una grande persona che ci ha lasciati. Questo pomeriggio Ray Bradbury è morto, e non si può rimanere indifferenti.

Con lui perdiamo uno degli ultimi Grandi Maestri dellaa fantscienza. Credo che non ci sia bisogno di dilungarsi a spiegare di chi si tratta. Uno scrittore che è stato per la letteratura mondiale un punto di riferimento fondamentale. Poco importa che il suo campo d'azione fosse principalmente la fantascienza, Bradbury era prima di tutto un grande scrittore, forse anche un poeta. Cronache marziane, Fahrenheit 451, L'uomo illustrato, e decine e decine di altri racconti indimenticabili, che a loro modo hanno ridefinito il genere, dando il via a quella che viene definita a volte "fantascienza umanistica", che si concentra più sull'uomo e le sue emozioni, piuttosto che sulla scienza e le sue implicazioni.

Non esagero dicendo che dopo averlo appreso ho avuto alcuni minuti di autentico sconforto, come se si trattasse di una persona a me vicina. Ma forse, quando qualcuno riesce a toccarci nel profondo, non importa se condividiamo una manciata di geni. Siamo vicini. Perciò il mio non è un commiato istituzionale, ma un saluto fraterno.

Ciao, e grazie di tutto.

Coppi Night 27/05/2012 - Solo per vendetta

Era da un po' che durante una Coppi Night non eravamo allietati dall'inespressiva faccia di Nicholas Cage! L'ultima istanza è stata Kick-Ass, ma per buona parte del film è mascherato per cui non conta (giacché la maschera è già più caratterizzante del suo volto originale). A essere onesti, a differenza di altre boiate inclassificabili, questo film (il cui titolo originale Seekin Justice, che già di per sé non brilla per originalità, non è nemmeno stato stravolto troppo) ha una storia moderatamente interessante. Tutto inizia quando la moglie del buon vecchio affidabile Nicola viene assalita e violentata. Determinato a ottenere giustizia, accetta un'offerta che gli arriva da uno sconosciuto: qualcuno si "occuperà" dello stupratore, ma in cambio lui dovrà rendersi disponibile per fare qualcosa di simile, quando verrà il momento opportuno. Si scopre quindi che esiste una specie di organizzazione segreta che pilota questi scambi di delitti, in modo che tutti i membri coinvolti possano ottenere la loro giustizia (o vendetta) senza rischiare di venire coinvolti. Un'ingegnosa variazione/estensione del tema del "delitto per delitto", che di recente era stato anche sfruttato in una delle migliori commedie degli ultimi anni.

Poi, ovviamente, le cose iniziano ad andare male: Nicola si ritrova fin troppo coinvolto nell'organizzazione, viene ingannato a uccidere una persona che non ha nessuna colpa, e così comincia a cercare di opporsi ai manipolatori che tengono in ostaggio lui e minacciano di fare di nuovo del male a sua moglie. Qui le cose iniziano a farsi più prevedibili, indirizzandosi sul classico percorso dei buoni vs cattivi, anche se in effetti, per lo spettatore, non è così facile determinare chi sia in torto. Infatti, da una parte lo strupratore è stato davvero punito, e al protagonista non viene chiesto altro che ripagare il suo debito; dall'altra però, diventa presto chiaro che l'organizzazione di scambio di delitti è un meccanismo diretto da logiche più perverse di quella semplicemente "umanitaria" che ne era l'iniziale principio ispiratore. Per cui non è facile collocarsi, e tra inseguimenti, arresti e fughe, ci si trova inaspettatamente a partecipare dei dubbi del protagonista. Il tutto chiaramente si risolve per il meglio (quando con "meglio" si intende un eccidio in cui tutti i cattivi, anche i buoni-cattivi-buoni, sono tolti di mezzo). Ma viene anche lasciato un ultimo spiraglio di dubbio, e un possibile appiglio per un seguito.

Ho citato in apertura l'inadeguatezza di Nicholas Cage ad adattarsi a un qualsiasi ruolo che non sia di estrema indolenza e passività (ritengo infatti che l'unica sua interpretazione degna di rilievo sia quella ne Il ladro di orchidee, ma quello è un film di Charlie Kaufman, e lui interpreta Charlie Kaufman!). A questo proposito, va anche notato l'involontario effetto comico della scena in cui corre via dai suo inseguitori: vederlo arrancare scompostamente a una velocità pari a quella di un prosciutto usato per fare curling sulla moquette vale il prezzo del biglietto. E forse per questo, l'effetto non è nemmeno tanto involontario. Si segnala infine la presenza anche qui di un attore preso da Lost: Harold Perrinau, che peraltro ricopre un ruolo praticamente identico.

In ogni caso, per essere un film "d'azione", e per di più un film d'azione con protagonista Nicholas Cage, Seekin Justice merita un livello di considerazione notevolmente superiore alla media.