Ricardo Villalobos - Fizheuer Zieheuer

Può un disco che contiene solo due tracce definirsi un album? Beh no, dai, al massimo lo si può considerare un EP. Ma, allo stesso tempo, può considerarsi un singolo un disco che dura circa 74 minuti? Anche qui, la questione è ambigua. Per questo non è facile dare una definizione univoca di Fizheuer Zieheuer, disco di Ricardo Villalobos uscito nel 2006 sull'etichetta Playhouse. Infatti, le due tracce del CD si snodano rispettivamente per 37 e 35 minuti più spiccioli.

Ora, se avete mai avuto la pazienza di leggere uno degli altri post musicali presenti su questo blog, sapete bene  che il genere di cui tratto (con alcune rare eccezioni), è quello elettronico, con particolare attenzione per techno e sottogeneri correlati, ma spazio anche per i suoni più sperimentali. Nel caso di Villalobos, il discorso si fa complesso. Perché non c'è dubbio che si tratti di uno dei veri profeti della techno, o più nello specifico della minimal, quel genere che probabilmente più di tutti incarna la meccanicità del suono elettronico. Ma è anche vero che, da sempre, le produzioni di Villalobos non sono mai solo techno. In questo senso, Fizheuer Zieheuer è forse l'esempio più eclatante della duplice natura di questo artista.

La title track, quel pezzo di 37 minuti e rotti, è una vera e propria sinfonia di percussioni e brani d'orchestra. Con qualche ricerca, si scopre che le melodie di base sono state prese da Pobjednicki Cocek, un pezzo di musica tradizionale bulgara. Da esso sono tratte sia le trombe in levare (suppongo siano trombe o comunque strumenti a fiato simili) che intervallano ogni tanto la struttura ritmica, sia l'accordo che accompagna fin dall'inizio tutta la canzone. Partendo quindi da questa semplice melodia, Villalobos ha creato un pezzo che si sviluppa, si evolve, torna indietro, esplode, si quieta, si rianima, e procede in modo così naturale che i 37 minuti scorrono in tutta naturalezza, senza il minimo accenno di noia che una traccia così lunga si suppone debba provocare. Fizbeast, il secondo pezzo del disco, è a sua volta una variazione di Fizheuer Zieheuer, e ne riprende in pratica bassi e percussioni, sviluppandoli in autonomia senza l'aggiunta delle parti melodiche. Anche qui, l'alternarsi di ritmiche diverse, l'aggiunta, la comparsa, la sottrazione e il ritorno di suoni che si susseguono, riesce a creare un percorso unico e continuo, che non lascia spazio per notare la presunta monotonia del beat.

Sta proprio qui la genialità dell'autore: riuscire a portare avanti la sua musica, dalla struttura essenzialmente ripetitiva, in modo da trarne continuamente nuove sfumature, così che l'ascoltatore si trovi di fronte a qualcosa di familiare ma continuamente nuovo. Questo, si può azzardare, è lo stesso principio su cui si basa la musica "classica", che come credo di aver già detto in altre occasioni, paradossalmente è molto più vicina a composizioni di questo genere che alle "canzoni" (base + vocal) che comunemente vengono diffuse e commercializzate. Ecco perché Fizheuer Zieheuer, che infatti è stato accolto con estremo entusiasmo tanto dal pubblico che dalla critica (ma c'è anche da dire che difficilmente Villalobos ha raccolto reazioni fredde nel corso della sua carriera), si può forse definire un "Bolero elettronico", in cui una lunga progressione di strumenti che si alternano conduce verso un ideale apice, in un climax che consuma tutte le energie dell'ascoltatore.

Ma, mi chiedo, perché dovreste fidarmi della mia parola, quando l'attuale Era dell'Informazione vi consente di provare in prima persona quest'esperienza? Ecco qui quello di cui abbiamo parlato finora, da utilizzare come sottofondo per la vostra prossima mezz'ora. Poi mi saprete dire:




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