Apparat - Krieg und Frieden

Mentre a casa nostra Romina Power tira fuori una canzone contro le scie chimiche* e i tg dedicano 10 minuti ognuno al nuovo album di Vasco Rossi (ma non si era ritirato?), nel resto del mondo gli interpreti della musica elettronica nelle sue varie forme vengono trattati con un certo rispetto, e c'è anche chi pensa di affidare a loro la stesura di composizioni di notevole spessore culturale. Per citarne un paio al volo, è il caso di Jeff Mills con la sua opera musical-visiva-teatrale Chronicles of Possible Worlds, o Ellen Allien che scrive LISm come accompagnamento di uno spettacolo di danza del Centre Pompidou, o Paul e Fritz Kalkbrenner che realizzano la colonna sonora del film Global Player. Ed è anche il caso di Apparat, il cui talento è stato richiesto per curare la parte musicale di una rappresentazione di Guerra e pace. Ne è risultato questo Krieg und Frieden, che in seguito è stato raccolto e pubblicato sull'etichetta Mute.

Se fin dall'inizio della sua carriera, Sascha Ring aka Apparat ha dimostrato di saper unire con cognizione le strutture tipiche dell'elettronica con sonorità e atmosfere classiche, qui il gioco è praticamente ribaltato: si tratta di "musica vera", nella quale si possono però scorgere le influenze della formazione EDM dell'autore. Già nel suo ultimo album prima di questo, The Devil's Walk, si esprimeva  la necessità di superare gli schemi ricorrenti dell'elettronica, con un focus più accentuato su ambience e quella cosa indefinibile che alcuni chiamano leftfield. In Krieg und Frieden il percorso si completa, e ci troviamo ad ascoltare qualcosa che difficilme può essere racchiuso in una o due etichette specifiche.

Certo per valutare al meglio l'opera bisognerebbe vederla eseguita per lo scopo originale, ovvero come colonna sonora di questa interpretazione di Guerra e pace, ma anche ascoltandola a sé la qualità e la forza dell'ispirazione sono evidenti. Si riesce a percepire, in quei distanti suoni distorti (come in Tod o Blank Page), l'intenzione dell'autore, il suo tentativo di mostrare un'epoca tormentata e instabile. Le poche lyrics (alcune cantate da Ring stesso) accentuano questo senso di straniamento e malinconia, così come i lenti crescendo che si compiono poi nel breve finale (PV) mantengono l'ascoltatore sempre in bilico, sull'orlo di una tensione inespressa. Forse il pezzo più "facile" è l'ultimo, A Violent Sky, in cui sembra infine riaccendersi una scintilla di serenità, anche grazie al ritorno a schemi musicali familiari.

Forse nel momento in cui si passa a parlare di musica da orchestra non sono probabilmente il commentatore più competente, visto che non ho una formazione musicale ufficiale (escludiamo il flauto che suonavo alle medie) né seguo abitualmente questo genere. Tuttavia quando un dj sfrutta le sue capacità per creare qualcosa di diverso dal solito mi lascio sedurre, e devo ammettere che in questo caso Apparat ha centrato l'obiettivo (non che mi aspettassi diversamente). Credo che dischi come questi siano la dimostrazione di come la musica elettronica sia molto più vicina di quanto si creda comunemente a quella classica, nel senso in cui entrambe partono da una maggiore attenzione a quella che è la struttura (armonica, matematica) della composizione e dei singoli suoni. Forse non è un collegamento così immediato, ma personalmente mi accorgo spesso di come il confine tra questi due apparenti estremi sia in realtà molto sottile. E anche qualcun altro l'ha capito, certo non qui da noi, ma nel resto del mondo.




*Non l'ho ascoltata, ne ho solo sentito parlare, quindi non so se è effettivamente così, ma comunque stiano le cose, è ridicolo e basta.

Nessun commento:

Posta un commento