[quote] # 10

Questo primo [quote] del nuovo blog (ma preceduto da altri nove su quello vecchio) potrà apparire di natura sociologica, o politica, o anche etica, e forse in fondo è un po' tutte queste cose. Ma come spiego nell'elenco delle rubriche, l'intenzione dei [quote] è quella di riportare pezzi che reputo abbastanza interessanti da essere condivisi, indipendentemente dal contesto e dalle intenzioni.

Il brano che segue è tratto da Il gene egoista di Richard Dawkins, un libro che ho finito di leggere solo di recente e che, come mai prima mi era capitato con un "saggio" mi ha catturato, affascinato e stravolto (non era successo nemmeno con L'orologiaio cieco, dello stesso autore, che ho citato nel post riepilogativo delle letture del 2010). Il libro in sostanza tratta di una teoria elaborata dall'autore, che appartiene (e anzi si può dire sia attualmente il maggior esponente) alla corrente dei cosiddetti neodarwiniani, secondo la quale l'oggetto della selezione naturale non siano gli individui ma i geni, e che tutta la vita nell'universo non sia altro che un complesso sistema di giganteschi automi costruiti allo scopo (inconscio) di replicare i geni che portano in sé. Partendo da questa assunzione, Dawkins esamina alcuni importanti aspetti della vita e della selezione naturale, dandone un'interpretazioe in chiave di "geni egoisti". Nel capitolo dedicato alla "pianificazione familiare" si legge:

Gli individui che hanno pochi figli sono penalizzati non perché l'intera popolazione si estingue, ma semplicemente perché pochi dei loro piccoli sopravvivono. I geni per avere troppi figli non vengono passati in gran numero alle generazione successiva perché pochi dei piccoli che portano questi geni raggiungono l'età adulta. Oggi all'uomo civilizzato succede che le dimensioni della famiglia non sono più limitate dalle risorse finite che i genitori possono fornire: se una coppia ha più bambini di quanti ne può nutrire, lo stato, che significa il resto della popolazione, si fa avanti e tiene in vita e in salute i bambini in più. Non c'è in effetti nulla che trattenga una coppia senza alcuna risorsa dall'avere e allevare esattamente quel numero di figli che la donna può fisicamente avere. Ma lo stato sociale è una cosa del tutto innaturale. In natura, genitori che hanno più figli di quanti ne possono mantenere non hanno molti nipoti e i loro geni non vengono passati alle generazioni future. Non c'è bisogno di limitazioni altruistiche del numero delle nascite perché in natura non c'è uno stato sociale. Qualunque gene dell'indulgenza in questo senso viene immediatamente punito: i piccoli che contengono quel gene moriranno di fame. Poiché noi umani non vogliamo ritornare a quei vecchi sistemi egoistici in cui i figli di famiglie troppo grandi venivano lasciate morire di fame, abbiamo abolito la famiglia come unità di autosufficienza economica, sostituendole lo stato. Ma non si dovrebbe abusare del privilegio del mantenimento garantito dei bambini.
La contraccezione talvolta viene attaccata perché considerata innaturale. È vero, è fortemente innaturale. Il problema è che anche lo stato assistenziale è innaturale. Penso che la maggior parte di noi creda che lo stato assistenziale sia una cosa positiva, ma esso non può esistere se non esiste anche un controllo delle nascite (innaturale), altrimenti il risultato finale sarà una miseria ancora maggiore di quelal che si ha in natura. Lo stato assistenziale è forse il più grande sistema altruistico che il regno animale abbia mai conosciuto. Ma qualunque sistema altruistico ha un'inerente instabilità, perché è vulnerabile all'absuo da parte di individui egoisti pronti a sfruttarlo. Individui umani che hanno più bambini di quanti ne possano allevere sono probabilmente nella maggior parte dei casi troppo ignoranti per essere accusati di sfruttamento malintenzionato cosciente. Più sospettabili mi sembrano le istituzioni potenti e i capi che deliberatamente li incoraggiano a comportarsi così.
Com'era prevedibile queste parole sono state fraintese, anche se Dawkins (qui e in seguito) afferma più volte che il suo non è un manifesto pro-egoismo o un elogio della selezione naturale all'interno della società, ma soltanto una constatazione di come le cose sono nate e si evolvono. In questo caso, il punto centrale non è l'inadeguatezza dello stato sociale o la necessità di abbandonare le famiglie coi loro figli. Si cerca di sottolineare come, in un sistema del tutto innaturale come lo è appunto l'enorme complessa società umana, si rendono necessarie misure innaturali per mantenere la stabilità.

E questo veniva detto nel 1976. Trentacinque anni dopo, a chi dareste ragione?

3 commenti:

  1. Ne parla anche Pasolini ne Le Lettere Luterane, una raccolta di saggi dirompente coeva al libro di Dawkins. In soldoni, Pasolini dice che il progresso sociale e tecnologico permette la sopravvivenza di quei feti che, altrimenti, in natura o non verrebbero a esistenza oppure verrebbero schiacciati dalla selezione naturale. In questo modo, dice, non c'è più reale progresso, né genetico, né sociale. Siamo fermi. L'umanità è ferma.

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  2. c'è però da dire che quando Dawkins parla di evoluzione non la intende come sinonimo di progresso. l'evoluzione (quella biologica) non è un processo di miglioramento e non ha un scopo: accade incidentalmente, come la vita stessa.

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