scopro che è il 16 gennaio solo accendendo il computer. avevo perso il conto dei gionri. sono rimasto chiuso e isolato per diverso tempo, ed è per questo che non ho più fornito aggiornamenti dopo l'
ultimo risalente ai primi dell'anno. e tutto questo perché, alla fine, è successo.
quello che avevo temuto
fin dall'inizio, è successo nei giorni scorsi. non so di preciso quando. era metà mattina. io stavo facendo colazione da solo, qualcuno era ancora a letto, mentre carlo, uno degli amici che ho ospitato in casa mia, era fuori per prendersi cura dell'orto. non che sapesse esattametne cosa fare, probabilmente si limitava a rivoltare la terra senza un vero scopo. ho smesso di mangiare la zuppa di latte e biscotti che stavo mangiando (una cosa che ho sempre odiato, ma adesso rimane poco altro di adatto alla colazione) e sono uscito per dare glia vanzi ai gatti. ma a differenza di quanto succede di solito, non mi sono venuti incontro appena ho aperto la porta. i gatti non c'erano. nessuno di loro.
se era vero quello che avevo sentito dire, questo voleva dire solo una cosa: gialli nei paraggi. sono andato nell'orto a chiamare carlo per farlo rientrare, e lui mi ha guardato con aria sorpresa... e vuota. in quel momento mi sono convinto che fosse lui a essere infetto. sono corso indietro e prima che potsse raggiungermi ho chiuso la porta lasciando la chiave nella serratura in modo che non potesse aprire da fuori. sono rimasto per un minuto appoggiato alla porta, cercando di riprendere fiato. poi alfredo, il tizio che si è unito a noi quando stavamo migrando verso questa casa, mi è venuto incontro.
"cosa è successo?"
"i gatti" ho spiegato. "non ci sono"
"chi c'è fuori?"
"carlo"
"è in pericolo"
l'ho fissato e ho dato una risposta a voce tanto bassa che non mi sono sentito nemmeno io. "è lui" ho ripetuto.
"sei sicuro?"
stavolta non sapevo cosa rispondere. no che non ero sicuro, non lo ero per niente. ero solo spaventato. alfredo mi è passato oltre e stava per aprire la porta, ma con una spinta l'ho alontanato. "non uscire" ho detto.
"dobbiamo controllare. non possiamo lasciarlo li fuori se non è infetto."
"ma se lo è?"
è toccato a lui non rispondere. ma quando ha aperto la porta non sono riuscito a fermarlo di nuovo.
siamo usciti insieme. carlo non era davanti la porta. non era da nessuna parte. non era una bella situazione. poteva davvero essere arrivato alla fase del contagio che lo rendeva un animale selvaggio, o poteva essere lucidissimo e in cerca di qualcosa per forzare l'entrata. siamo tornati dentro.
"vai a chiamare gli altri" ha ordinato alfredo.
ma gli altri avevano sentito tutta la scena di poco prima, e si sono radunati nell'ingresso con noi. tutti tranne uno.
"dov'è tua sorella" mi ha chiesto alfredo, incalzante, come se gli stessi nascondendo qualcosa.
"non lo so!" ho sbottato. "perché dovrei saperlo io e non lui?" indicavo il ragazzo di lei, che era appena sceso dalla stanza.
"l'ho sentita alzarsi stamattina presto, non sapevo che non fosse qui" ha raccontato lui.
la tensione cominciava a salire.
"e carlo invece dov'è?" ha chiesto luca, l'altro mio amico.
"fuori. i gatti non ci sono" ha spiegato alfredo. è bastato questo a far capire la situazione.
il ragazzo di mia sorella si è precipitato sulla porta, ma alfredo l'ha trattenuto. "non possiamo uscire così"
"chi cazzo sei per decidere? e se lei è fuori?"
"e se lei è infetta?" ha ribattuto.
"e se lo è carlo?"
"e se lo sei tu?"
"e se non lo è nessuno e stiamo per essere attaccati da un gruppo di gialli mentre stiamo qui a litigare?"
alfredo non ha risposto con le parole. ha spinto da parte il ragazzo e si è parato davanti la porta. "nessuno esce" ha ribadito. "dobbiamo prima capire come..."
"se qualcuno di noi è infetto" ho detto, parlando in tono soprendentemente calmo "stare tutti qui a parlarne non risolverà niente. anzi, forse ci stiamo contagiando l'un l'altro"
il mio cognatodi fatto non ha sopportato quell'insinuazione e mi si è lanciato addosso, buttandomi a terra. ho battuto la testa sul pavmiento in cotto e per diversi secondi i miei sensi si sono offfuscati, anche se percepivo il suo peso su di me, le urla e i colpi che mi si abbattevano sul viso. poi gli altri lo hanno preso e sollevato, trattenendolo. mi sono ripreso e sono riuscito ad alzarmi. la prima cosa che ho fatto è stato pulirmi il viso con la manica: temevo che la sua saliva mi fosse arrivata addosso, che il mio sangue potsse essere esposto all'infezione.
"calmiamoci" ha detto alfredo, ma lui stesso non lo era affatto.
poi la porta si è aperta. carlo era riuscito ad aprirla dall'esterno. "che cazzo fate?" il suo sguardo si è puntato su di me, e l'odio che riuscivo a scorgervi mi faceva pensare che fosse tutt'altro che infetto.
"credevo..." ho inizato a dire, ma non sapevo come continuare. d'altra parte era evidente quello che era successo.
ma non era finita. il ragazzo di mia sorella ha mollato una gomitata nelle costole ad alfredo, si è divincolato ed è sparito fuori, approfittando della porta aperta. alfredo gli è corso dietro, sbalzando carlo con una spallata che mi è finito addosso, facendomi cadere di nuovo.
questa volta è stato luca a chiudere la porta, ma la serratura non girava più, dopo la forzatura di carlo. "non si chiude più!" ha urlato, nel panico. "sei un coglione!" ha aggiunto, rivolto a carlo.
lui gli si è avvicinato: "che dovevo fare? rimanere fuori e aspettare che mi attaccassero? questa testa di cazzo mi aveva chiuso fuori, dovevo lascarmi morire perché si è cacato addosso? sono io il coglione?"
"scusa, per un attimo..." ho tentato ancora di giustificarmi dopo essermi rialzato.
"un attimo un cazzo! mi avresti lasciato morire"
"lo abbiamo fatto con quell'altro" ha ricordato luca, riferendosi al vicino di casa che, poco dopo esserci trasferiti qui, abbiamo abbandonato fuori dopo che aveva mostrato i primi sintomi dell'infezione.
"ma sono IO!" ha insistito carlo, e stavolta nella voce non c'era tanto rabbia quanto dolore. la consapevolezza che i suoi amici gli avrebbero voltato le spalle in quasliasi momento. che lo avrebbero lasciato morire anche solo per un sospetto.
eravamo tutti contro tutti.
ci siamo fissati a vicenda. poi ho sentito i loro sguardi farsi insistenti su di me. e mi sono ricordato che stavo ancora sanguinando per i colpi ricevuti poco prima. la vista del sangue li terrorizzava. perché poteva voler dire contagio.
se anche eravamo tutti nemici, io adesso ero un nemico più temibile.
prima che uno di loro trovasse il coraggio di muoversi, ho preso di corsa le scale e sono sceso nel garage. la porta è metallica e pesante, e dopo averla chiusa con un paio di mandate mis ono sentito al sicuro. mi hanno seguito, hanno picchiato sulla porta ma è troppo pesante per essere buttata giù.
i suoni mi giungevano attutiti, ma ho sentito grida e passi affrettati, la voce di alfredo che doveva essere toranto indietro, un colpo di fucile, vicino, forse sparato alla serratura della porta del garage, poi altri passi, fuori e intorno alla casa, altre grida, uno sparo.
poi, forse è stato lo shock. ho sentito il terreno ondeggiare, la testa dondolare. mi sono accucciato a terra, sul pavimento gelido. mi sono addormentato.
sono rimasto nel garage da allora, qualche (non so quanti) giorni fa. ho mangiato poco: salsa di pomodoro nei vasetti che preparava mia madre, qualche frutto, mezzo salame che era appeso qui al fresco. nessuno è più venuto a cercarmi. oggi, quando sono stato sicuro di non aver sentito rumori di sopra da almeno un gionro, sono tornato di sopra. non c'era più nessuno. la porta era aperta. fuori ho trovato i gatti, intenti a leccarsi a vicenda. vederli collaborare come noi non siamo stati capaci di fare mi ha fatto male. ho sentito il respiro fermarsi nel petto, e mi sono inginocchiato, cercando di ritrovare l'ossigeno. un gatto mi si è avvicinato, si è strusciato alle mie gambe. mi è venuto da ridere. ma invece ho pianto, per alcuni minuti, lì per terra, circondato dai gatti che miagolavano in risposta ai miei singhiozzi.
questo accadeva un'ora fa. nel frattempo ho mangiato, mi sono finalmente medicato le ferite, ho nutrito i gatti. poi ho ripreso il computer. non ho nemmeno letto gli ultimi resoconti degli altri sopravvissuti. non so se mi sono perso la definitiva sconfitta del genere umano, in questi ultimi giorni. quello che so è che
io sono sconfitto. non sono infetto, altrimenti i gatti non mi si struscerebbero addosso, ma nondimeno sono finito.
non sto nemmeno a chiedervi aiuto, perché non è quello che voglio. abbiamo sbagliato tutto.