La cinematografia horror mi lascia quasi sempre perplesso o indifferente. Nelle varie istanze del Coppi Club che hanno premiato questo genere, raramente ho espresso entusiasmo per un film ben fatto, a parte qualche caso di trash dichiarato, e il mio giudizio finale è sempre tiepido se non infastidito. Dio ne guardi se si tratta poi di quei film "found footage" (alla fine l'ho trovata la parola con cui si indicano quei film composti da supposte riprese di una videocamera a mano!). Pertanto, sono abbastanza soddisfatto di poter dire che questo film mi è effettivamente piaciuto! Vediamo perché.
The Descent ha una trama horror standard: un gruppo di ragazze (una delle quali, la protagonista, ha perso marito e figlio in un incidente pochi mesi prima) parte per un'esplorazione speleologica negli appalachi. Delle sei, solo due sono "professioniste", le altre lo fanno solo per spirito di avventura e per riunire il gruppo. Poi siccome in qualunque horror ci dev'essere la persona che fa la cazzata mettendo in pericolo di vita tutti quanti, una delle due apripista conduce il gruppo in una caverna non esplorata, senza cartine a disposizione, e quando la via d'accesso cede dietro di loro sono costrette a proseguire per cunicoli e baratri poco agevoli, in cerca di un'uscita che potrebbe anche non esistere. Le cose si complicano ulteriormente quando, all'interno delle caverne, scoprono una razza di subumani piuttosto disgustosi e affamati di carne, di cui presto diventano le prede. Il gruppo si divide, le prime ragazze vengono catturate, e tutto butta per il peggio. Come andrà a finire?
La trama può sembrare abbastanza prevedibile. Anzi, lo è: segue praticamente tutti i cliché dell'horror: il gruppetto, il retroscena drammatico, la fuga, la separazione, i mostri. Tuttavia, se sulle prime io stesso ero scettico (in particolare quando, nei primi cinque minuti di film, assistiamo alla morte della famiglia della protagonista, per poi vedere la scritta "x mesi dopo"), in seguito la struttura e le dinamiche del film prendono corpo e si dimostrano efficaci. Forse a contribuire all'inquietudine generale c'è già solo il setting: case stregate, manicomi, chiese sconsacrate le conosciamo fin troppo bene. Ma quando vedi una persona che si trascina in un tunnel largo appena per far passare le spalle, l'ansia monta velocemente. Non sono claustrofobico, ma l'idea di infilarmi in un canale del genere, senza la possibilità di girarmi e tornare indietro, mi mette un'angoscia terribile, e quando la ripresa mostra chiaramente questo senso di costrizione iniziavo già a stare male. I contrasti che si creano poi all'interno del gruppo non sono artificiosi: l'accusa verso la tizia che ha scelto una caverna inesplorata, la rabbia per quella che corre avanti lasciando le altre indietro, e altri particolari che non posso rivelare, e che se pure non detti risultano implicitamente ammessi, contribuiscono a creare un'atmosfera poco confortevole. Quando poi arrivano i "mostri", ben oltre metà film, sembra quasi un'aggiunta non necessaria. Eppure gli abitanti delle caverne hanno una loro logica e un'origine del tutto credibile: una razza di ominidi adattati alla vita nei tunnel sotterranei, predatori ciechi che individuano le loro vittime con l'ecolocalizzazione. Non c'è niente di soprannaturale o mistico, e nemmeno esagerato: come a volte vengono scoperti popoli rimasti isolati dalla "civiltà" per millenni, è del tutto possibile che da qualche parte esista davvero una subspecie di umani di questo tipo. Gli "uomini delle caverne" sono selvaggi, veloci, forti, immuni alla paura e al dolore. Affrontarli non è facile, e per riuscire a sopravvivere le ragazze devono regredire al loro livello, lasciandosi dietro quella che viene considerata la loro "umanità" e diventare delle bestie altrettanto spietate.
Non mi piace andare a cercare significati metaforici, ma credo che in questo caso il titolo non si riferisca soltanto alla discesa "fisica" all'interno dei tunnel sotterranei. La discesa è anche quella che le donne, e la protagonista in particolare, sono costrette a compiere per difendersi, abbandonando pietà, empatia e ragione per porsi allo stesso livello dei loro cacciatori. Questa regressione viene mostrata in modo abbastanza evidente quando, dopo le prime vittime, la protagonista si difende da uno dei mostri donna, combattendo con una ferocia inumana. Quando si ripresenta, intrisa di sangue e interiora, con sguardo glaciale e fisso, si capisce che, forse anche catalizzato dal dolore della sua perdita, lei è passata a uno stato mentale più basso, affidandosi alla parte rettiliana del suo cervello. Ed è sempre questo feroce istitnto di sopravvivenza che la guiderà al confronto finale, coi mostri e non solo. Questo è quel tipo di approfondimento che di solito manca nella maggior parte degli horror, che pur mostrando atrocità di vario genere non forniscono una vera "introspezione". Pertanto The Descent, pur essendo probabilmente un film a basso budget, dimostra una qualità inusuale rispetto ai suoi parenti più prossimi.
Si può al più lamentare che la storia sia piuttosto lenta nella parte iniziale, ma tutto questo si rivela in seguito funzionale. Inoltre, l'ultima sequenza (che non posso rivelare) può sulle prime infastidire perché infrange uno dei basilari patti con lo spettatore, ma se la si considera nell'economia di tutta la storia ci si accorge che è perfettamente giustificata e valida. Non è quindi un escamotage per risolvere e sorprendere, ma una conclusione più che appropriata, che aumenta il senso di inquietudine generale, e lascia quindi con un certo amaro finale. Un amaro piacevole, se è il gusto che cercate (come dovrebbe essere) in un horror.
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