Il mese di luglio mi ha piuttosto occupato con il lancio del
canale youtube (sapevate che
ho aperto un canale youtube, vero?) e lo studio/lavoro che questo ha comportato, quindi di fatto sono riuscito a consumare un solo libro di narrativa. Ma visto che quell'unico libro è
Distòpia, il
Millemondi Urania italiano in cui compare anche il mio racconto
Seocrazia, questo mi dà l'occasione di dedicare un intero post al commento di questo libro.
So di muovermi su un terreno accidentato perché in quanto autore incluo nella raccolta e coinvolto in questo "rilancio della fantascienza italiana" non dovrei avere che parole di apprezzamento, ma qui su
Unknown to Millions vi ho abituati male esprimendo sempre opinioni il più possibili
oggettive e argomentate, quindi temo che dovrò fare lo stesso in questo caso, come d'altra parte
avevo fatto anche per il volume dell'anno scorso, in cui però non ero incluso come autore e si poteva pur sempre dire che stessi rosicando. In realtà è mia ferma convinzione che il "rilancio" di un genere/settore/ambiente debba necessariamente passare da un approccio trasparente e senza sconti di parte di chi si confronta con tale genere/settore/ambiente, tanto più se ne fa parte. Non è questa la sede per riaprire questo discorso mai chiuso, ma ritengo (e non sono il solo) che uno dei mali che hanno afflitto la cosiddetta "fantascienza italiana" nei decenni scorsi sia stata proprio quell'
autoreferenzialità che portava allo scambio reciproco di favori tra gli addetti ai lavori, che da una parte non ha permesso la
maturazione di una critica professionale (che manca ancora oggi), dall'altra ha eretto una serie di barriere all'ingresso che hanno ristretto il genere in un ghetto autoimposto, tenuto su da fenomeni di
gatekeeping che sono in uso ancora oggi, tanto diffusi che ammetto di trovarmi a metterli in pratica anch'io.
Ci sarebbe anche da fare un discorso sulla
definizione di "distopia" che era il tema della raccolta. Scelta che col senno di poi si è forse rivelata infelice perché il lockdown e la pandemia hanno messo la distopia sulla bocca di tutti, spesso a sproposito. Ma il progetto era nato alla fine dell'anno scorso quindi ormai non si poteva fare marcia indietro, questa è una pura questione di sorte. Il problema semmai è che molti dei racconti mi sembrano qualificabili come distopie in modo molto marginale: magari sono anche buoni, ma di distopico hanno ben poco. Ora, se è vero che negli ultimi anni c'è stato davvero un abuso di questo termine per definire storie che semplicemente presentano un'
ambientazione in una generica società poco desiderabile, io da lettore di fantascienza mi aspetto che gli autori di fantascienza presentati sulla principale collana di fantascienza sappiano di cosa parliamo quando parliamo di distopia, e potrei risentirmi un attimo se quello che mi propongono non risponde ai criteri. Dormo lo stesso la notte, figuriamoci, però ci faccio caso. Non entrerò troppo nello specifico su questo aspetto, anche perché lo farò tra qualche giorno in un editoriale su
Stay Nerd. Quindi se la polemica vi appassiona, vi aspetto lì e la risolviamo da uomini.
Premesso tutto ciò, andiamo quindi a commentare i racconti uno per uno, evidenziando con la massima serenità aspetti positivi e negativi.
Hector di Paolo Aresi - Discutibile in questo caso la classificazione come distopia. Il protagonista è un androide, inteso come replicante organico alla Blade Runner, usato per i lavori in una miniera su Plutone. È sostanzialmente uno schiavo, ma è nato così e non se la passa così male, ha anche una posizione di relativo prestigio e infatti gli viene assegnato un incarico di grande responsabilità dopo un incidente nella miniera. Alla fine decide di fuggire, prende con sé un paio di colleghi e fugge. Il problema a mio avviso è che questo racconto mi è sembrato soprattutto noioso, forse anche per le paginate di wall of text che già a prima vista non sitmolano la lettura. Non si avverte mai un cambio di tensione nella narrazione, anche perché il protagonista è piuttosto piatto e a malappena risponde alle domande che gli vengono fatte. Certo si può dire che questa è proprio la sua caratteristica in quanto androide, ma allora se devi farmi appassionare a un protagonista apatico devi creargli intorno una storia che sia una bomba. A un certo punto ha una specie di visione del passato in cui scopre l'origine degli androidi e... niente, questo non ha nessun impatto sullo svolgimento della storia. Insomma un racconto che non accende particolarmente l'interesse, con situazioni e trame viste decine di volte.
Cogito ergo sum di Valeria Barbera - Racconto a mio avviso confuso, che sembra andare avanti un po' "a braccio", come se l'autrice l'avesse scritto di getto con quello che le veniva in mente e poi non lo avesse risistemato per dargli unità. Credo che gli si possano imputare due errori principali: 1- Se sei un autore di fantascienza che scrive nel 2020, non puoi scrivere del Covid19! A raccontare del Covid ci penseranno poi i bravi autori mainstream che l'hanno già annunciato come Moccia, un autore di sf deve spingere la sua speculazione oltre lo steccato dell'attualità. Non dico che non si possa parlare di cosa il Covid ha comportato, perché sicuramente il suo impatto sarà forte su tutta la società, ma inserirlo come elemento portanto della storia è una strategia pigra. 2- In questo racconto c'è troppo: così tanto che non si capisce quale sia l'argomento vero della storia. Un racconto deve parlare di una cosa sola, perché non ha la dimensione per affrontare in modo esauriente più temi. In questo la storia sembra all'inizio proseguire in un certo modo, si arriva alla rivelazione della creatrice della noosfera (l'universo virtuale a cui tutti sono connessi) che aveva visioni delle persone morte per permettere che lei realizzasse il suo progetto, e sembra che questo sia il punto di svolta della storia. Salvo che poi viene dimenticato perché entra in gioco un Memevid, cioè un virus memetico all'interno della noosfera, e allora sembra che questo sia il nucleo, e invece no perché in realtà il memevid non è un virus memetico ma un virus che attacca i corpi materiali dei partecipanti alla noosfera nei loro gusci. Tutti questi incrementi sono "cose in più che accadono" ma non aggiungono significato a un tema di fondo che appunto non si riesce a individuare. Infine anche in questo caso l'aspetto distopico è discutibile, anche perché la minaccia che poi porta il mondo al collasso è un fattore del tutto esterno (la diffusione di questo virus), e se non fosse arrivato tutti avrebbero continuato con le loro vite bellissie nel paradiso della noosfera.
Ninfe sbranate di Francesca Cavallero - Il racconto è ambientato nella stessa Morjegrad con cui l'autrice ha vinto il Premio Urania, ma segue un personaggio secondario del romanzo (che io non ho letto). Il rischio di ambientare un racconto nello stesso universo di un romanzo è che chi non ha letto il secondo manchi dei riferimenti per capire il primo, ma fortunatamente non è questo il caso. La storia è in sostanza una trama thriller/investigativa che fila bene, con personaggi vividi e credibili. Niente di particolarmente soprendente, ma una scrittura efficace e capace di generare la tensione nei momenti giusti. Distopia purtroppo non pervenuta, a meno che non si intenda che il contesto complessivo di Morjegrad sia di per sé distopico, che però in questo racconto non emerge abbastanza.
Yamapuri di Alberto Cola - Un racconto complesso e affascinante, che non va troppo incontro al lettore spiegandogli le cose ma lascia che sia lui a mettere insieme i pezzi del disegno. La cosa purtroppo non viene facilitata dai nomi dei personaggi e dalla caratterizzazione blanda che li fa apparire tutti piuttosto simili. Peccato anche che non ci sia un vero e proprio protagonista al quale aggianciarsi per seguire la vicenda, che avrebbe facilitato l'immersione. Superati questi ostacoli però si arriva a individuare un contesto storico piuttosto articolato e la presenza di diverse forze in gioco. La distopia qui è borderline, si parla di un'ambientazione post-bellica in un'India in cui non nascono più donne ma non ci sono veri e propri regimi oppressivi di vario genere a cui opporsi. Comunque una storia che trae la sua forza soprattutto dall'ambientazione esotica e dal registro adatto a trasmettere questa suggestione.
Il distillatore di Milena Debenedetti - Una storia basata su un cacciatore/spacciatore di ricordi che parte alla ricerca di una "fonte primaria" dei ricordi dell'epoca prima della catastrofe che ha fatto crollare la società e provocato l'ascesa di un regime repressivo non meglio identificato. L'idea di fondo è interessante e i personaggi principali funzionano, la parte centrale della trama avviene però tutta con un lungo spiegone che ammazza la tensione nel momento più importante. Nel complesso comunque un racconto valido e con un finale melenso al punto giusto di quelli che piacciono a me.
Al servizio di un oscuro potere di Giovanni De Matteo - Avendo già letto di De Matteo, so che è capace di costruire una trama thriller ben fatta, e questo ne è un ottimo esempio. Un mondo che dopo una serie di disastri adesso è dominato da tre IA tra loro apparentemente complementari, ma che in realtà hanno progetti diversi, e la minaccia incombente di forze extraterrestri che spingono a dare la caccia a una bambina pesantemente traumatizzata. Tra inseguimenti, hackeraggi e sparatorie, si arriva alla rivealzione finale, se pur con qualche intermezzo di infodump spadellato in capitoli dedicati, e i fili si riannodano. Una di quelle storie che nasce già pronta per diventare un film con Keanu Reeves.
Negli occhi di chi comanda di Linda De Santi - Se ci fosse un premio per il racconto più puramente distopico all'interno dei racconti di Distòpia vincerebbe questo. De Santi racconta la vita di una "ragazza qualsiasi" che deve affermarsi in un mondo in cui abbiamo smesso di fingere che l'apparenza non conta, e che si fonda totalmente sulla bellezza. In pratica è l'estremo opposto di quel racconto di Ted Chiang in cui parla di persone a cui hanno tolto la capacità di vedere la bellezza. Qui ognuno ha un suo "benchmark", cioè la sua versione ideale da raggiungere, e il discostamento da questo deve essere mantenuto al minimo per poter accedere a servizi e lavori migliori. La protagonista peraltro sta studiando per diventare una scrittrice, ed è indicativo che per diventare una "stella della cultura" si debba comnque essere belli belli belli in modo assurdo. C'è anche un plot twist che funziona bene perché si può notare che era stato preparato con cura fin dall'inizio. Indubbiamente tra i migliori della raccolta.
La fredda guerra dei mondi di Valerio Evangelisti - Sempre se ci fosse quel premio per il racconto più distopico, il testo di Evangelisti arriverebbe ultimo. Non ci ha nemmeno provato, a scrivere una distopia, e d'altra parte si può anche permettere di fare un po' come gli pare. Ma glielo perdoniamo anche perché questo racconto è davvero spassoso. Narrata dalla prospettiva di un ladro francese di altro profilo (ma non un Lupin III, questo è un ladro tutt'altro che gentiluomo), questa storia offre una prospettiva curiosa sugli UFO e ci spiega perché come vediamo in molti film sembrano così ossessionati dal distruggere i monumenti. Sembra quasi un divertissement, si potrebbe adattare benissimo come trama per un epsiodio di Rick & Morty. Un altro dei racconti più validi, se solo fosse stato in un libro che non aveva scritto "distopia" in copertina...
Facciamo venerdì? di Caterina Mortillaro - Un racconto che gira intorno alle relazioni sentimentali, regolate attraverso algoritmi che permettono di conoscere interamente le persone con cui abbiamo intenzione di avere rapporti di qualsiasi genere. Alla ricerca di qualche brivido in più la protagonista entra a far parte di club privati di gente che si incontra da sconosciuti, come ci capita ancora di fare oggi quando ci troviamo là fuori nel mondo. Dall'aspetto in apparenza più superficiale delle relazioni la storia cala più in profondità nel funzionamento di queta società abbastanza simile alla nostra, e la protagonista è portata a scegliere come vuole vivere lei, in un finale per certi versi inaspettato. Anche questo raggiunge un buon indice di distopicità.
A scrivere distopie di Simonetta Olivo - Praticamente un meta-racconto, la storia di come è stata scritta queta storia, con il protagonista che incarna il classico scrittore tormentato e procrastinatore, ingaggiato da un editore per scrivere un racconto distopico. All'inizio si può dubitare che ci sia un qualunque elemento distopico, che emerge quasi a sorpresa nel finale per arrivare a una sorta di distopia della creatività. Personalmente mi è piaciuto parecchio, soprattutto perché ho riconosciuto molte delle dinamiche con cui mi capita di confrontarmi. Ho però il dubbio che questo aspetto non possa essere colto allo stesso modo da un non-scrittore, che quindi non potrebbe comprendere a pieno il valore del racconto. Poi però mi sono ricordato che dei 2500 lettori di fantacienza italiani, 2497 sono anche autori (non dico numeri a caso, quei 3 lettori-solo-lettori so proprio chi sono, con nomi e cognomi) quindi il target è comunque preso in pieno.
Lilia (un'estate) di Giampietro Stocco - Ho letto e apprezzato in passato altri lavori di Stocco, qui però mi è sembrato poco ispirato. Quasi due terzi della storia si basano su questo rapporto epistolare tra il protagonista e una ragazza conosciuta in chat, che è una dinamica che avrebbe potuto essere interessante nel 1996 ma oggi è ampiamente superata. Senza contare che il lettore si trova costantemente "avanti" rispetto al protagonista, perché si capisce che c'è qualcosa che non va in questa tizia ma lui non se ne accorge, così fa la figura del cinquantenne ottuso arrapato che si merita di venire fregato. Verso la fine si rivela quale sia il piano più complesso che c'è sotto la vicenda in superficie, e si scopre che tutto dipende da rancori ancora vivi da parte della ex moglie del protagonista, ma questo è un aspetto che viene accennato troppo tardi così quando si scopre che è la chiave di volta di tutta la storia sembra un'improvvisazione. E inoltre viene da pensare che quella storia sarebbe più interessante da leggere rispetto a quella del signore di mezza età che perde la testa sulle chat erotiche. Con una focalizzazione diversa avrebbe potuto essere un buon racconto ma così appare un po' stantio.
Tranne la pelle di
Nicoletta Vallorani - Mi sarei aspettato che Vallorani scrivesse una storia nello stesso universo narrativo di
Eva e
Avrai i miei occhi che sono già una distopia bella e pronta, attuale e funzionale. Invece
Tranne la pelle non c'entra nulla e mi ha quindi sorpreso, dall'altra parte però siamo su un altro di quei racconti buoni ma dalla distopicità discutibile. La storia si svolge su un pianeta minerario popolato di varie razze aliene materiali e immateriali, la protagonista vive accanto alla proiezione di sua nonna morta decenni prima. Anche qui figurano pandemie usate per controllare la popolazione, che è una cosa più che plausibile ma che forse non era proprio il momento più adatto per tirare fuori. In ogni caso la protagonista riesce nel suo piano di liberazione del pianeta, e quando dico "liberazione del pianeta" i mean it. La scrittura per immagini e le situazioni estreme, quasi paradossali, che si presentano fanno procedere bene il racconto, anche se il finale è un po' affrettato.
Naturalmente non parlerò dell'ultimo racconto, e non mi metto ad analizzare il saggio finale di
Carmine Treanni che fa un'utile panoramica sull'evoluzione della distopia come tema e genere letterario. In generale, se paragonato a
Strani Mondi dell'anno scorso, la qualità media di
Distòpia mi è sembrata più costante, mentre in quello precedente c'erano picchi più alti e più bassi. Purtroppo però a questo giro non ho trovato le perle (come erano i racconti di Vietti e Voudì nell'altro) che compensano i momenti di stanca. Non assegno il voto finale, credo di aver fornito abbastanza elementi di valutazione nei commenti sopra. Nel complesso
Distòpia è
un'antologia meritevole, ma posso dire di averne lette di migliori di soli autori italiani, anche in anni recenti. Forse l'
imposizione del tema così inflazionato non ha giocato a favore della creatività degli autori, visto che in molti casi come ho detto l'elemento distopico risulta labile o addirittura assente. Se la tradizione del Millemondi italiano verrà confermata di nuovo, a mio avviso sarà meglio tornare al tema libero, e lasciare così che gli autori affrontino i temi o i generi in cui si possono esprimere al meglio.