Un paio di settimane fa, per ragioni che non sto a spiegare qui, ho ripescato il libretto Corti Terza Stagione, pubblicato alcuni anni fa dalle compiante Edizoini XII, che contiene alcuni (credo tre) miei racconti. Sfogliandolo a caso l'occhio mi è caduto proprio su uno dei miei racconti, che non ricordavo assolutamente di aver scritto, e che per qualche ragione non è nel mio archivio dei testi salvati (per abitudine li conservo tutti, anche quelli di poche centinaia di caratteri come questo). Rileggendolo mi sono detto: wow, è forte (lo so, un autore non dovrebbe compiacersi così tanto del suo lavoro, ma ho potuto giudicarlo proprio perché l'avevo completamente rimosso dalla memoria), e allora ho pensato di ripoporlo sul blog, visto che la reperebilità attuale di questo libretto (piccolo e geniale) è oggi pressoché nulla.
C'è una ragione se era in un libro intitolato Corti. È breve, ma breve davvero. Appena 800 caratteri, se ricordo bene. Eppure, oh... è forte.
QuanticatErwin aveva evitato Ruth per tutta la mattinata. Ma quando lei gli montò sulle ginocchia non poté negarle la sua attenzione.
«Papà» chiese la piccola «dov’è Bertha?»
Il padre lanciò un’occhiata furtiva alla scatola sul pavimento della cucina. Era lì che la gatta dormiva, ed era lì che lui l’aveva trovata morta, quella mattina. Aveva coperto il giaciglio per evitare che Ruth la scorgesse.
«Tesoro, Bertha è…» Stava per rivelarle la triste perdita, ma si immobilizzò, perso nei profondi occhi di sua figlia, innocenti e pieni di speranza. Come poteva darle quel dolore?
«Bertha è nella scatola» concluse.
«Sta bene? Possiamo giocare?»
«No» ribatté deciso. «Non aprire quella scatola. Finché rimarrà chiusa, Bertha starà sempre bene».
Ruth sembrò sospettosa, ma lui non cedette. E se anche le aveva mentito, il dottor Schrodinger avrebbe fatto in modo che tutto il mondo credesse a quella bugia.
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