Bisogna che qualcuno spieghi ai miei colleghi del Coppi Club che non ne posso più di commediole, tanto peggio se sono di quelle italiane. Voglio dire, la settimana scorsa mi sono visto W la foca, e non è stato facile, ma sono riuscito comunque a darne un giudizio sostanzialmente positivo. Questo tipo di film qui poi è proprio quello che più mi irrita: quella commedia tutt'altro che innocente, che ha la sottintesa pretesa di trasmettere un "messaggio" sociale e che poi va a vincere i Leoni d'oro a Venezia, come se non sfruttasse temi e contenuti degni di pagine facebook tipo "Camorra and love".
La storia, come in molti film diretti da Verdone, è quella di un piccolo gruppo di derelitti, nello specifico tre uomini affossati dai debiti, dalla vita familiare distrutta e senza alcuna aspirazione, che per reciproco vantaggio si trovano a convivere e condividono così la loro miseria. Questo da un parte serve a mostrare la condizione di estremo disagio in cui si trovano molti elementi di questa generazione di mezzo (non che quelli delle altre generazioni se la passino meglio, nda), e dall'altro fa da pretesto per creare equivoci e assortite situazioni imbarazzanti/divertenti. Il tutto facilitato dall'inclusione nel gruppo di una ragazzetta, anche lei messa nella merda, che guarda caso va a invaghirsi di Verdone (cioè, lei ha venticinque anni e lui è un trippone sessantenne che convive con altri due disperati e ha un negozio di vinili costantemente in perdita, ma lei si innamora di lui, certo).
Non si può dire che non ci siano momenti divertenti, Verdone interpreta il suo solito personaggio al limite del paranoico, impacciato e schivo, che si lascia trascinare dalle situazioni ma poi cerca di uscirne, mentre Marco Giallini è il coatto di turno, agente immobiliare e gigolo per arrotondare, con due o tre famiglie da mantenere. Le scene di convivenza del trio sono simpatiche, anche se certo niente di originale, ma purtroppo dopo metà film la sceneggiatura sembra dimenticarsi che il fulcro della storia dovrebbe essere il gruppo, e non i singoli personaggi, infatti da quel momento in poi i tre si separano, ognuno segue una strada diversa per cercare di risolvere i suoi problemi e poi... boh, nulla, perché non c'è una vera e propria fine, nessun epilogo e nessun indizio su come le cose procederanno. E non venitemi a dire che si tratta di una metafora della loro condizione che non ha una vera collocazione, è solo una scrittura superficiale e senza scopo, è mettere insieme una storia partendo da un'idea ma non sapendo dove andrà a portare. A un certo punto si tira anche fuori un piano per raggranellare soldi
velocemente (e illegalmente), ma il piano fallisce e poi... e poi nulla,
tutto archiviato. È vero, in un senso, che vedere questi cinquantenni separati spremuti dalle mogli per il mantenimento dei figli (ringraziamo i flashback eleganti come calzini di spugna a pois per averci fatto vedere come si sono separati tutti) fa riflettere sulle attuali perversioni del sistema "famiglia", ma è altrettanto innegabile che questa riflessione non ha nessuna rilevanza all'interno del film. E questo, come credo di ripetere ogni volta, è l'aspetto più insopportabile del "nostro" cinema, che sembra non sia in grado di produrre storie.
Una nota a parte va fatta per l'implacabile pubblicità occulta presente nel film. Intendiamoci, io non sono uno di quelli che crede ai messaggi subliminali, e neppure mi scandalizzo se in una scena di "vita quotidiana" si vede il logo dei Kellogg's con cui il protagonista fa colazione: quello è realistico. Ma non è realistico stringere l'inquadratura su marchi e tenerla ferma lì per tre-quattro secondi buoni, soprattutto quando questi sono fuori contesto, come quello di una banca (che peraltro già all'inizio viene inclusa nei titoli come patrocinante, e allora perché poi devi anche far vedere il marchio così insistentemente?) o il bel bigliettone del "Turista per sempre" che rimane su schermo per una decina di secondi. E poi ci dicono anche di giocare responsabilmente.
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