Scorrete velocemente la pagina delle recensioni e troverete pochi titoli del cinema orientale. C'è un abbastanza recente Battle Royale ma a parte questo non me ne vengono proprio altri in mente. In effetti come mi è capitato di affermare altre volte, è un tipo di cinema che non riesco a comprendere a pieno, sicuramente per lacune mie. Infatti anche il film qui presente credo che lo avrei difficilmente visto, se non mi fosse stato volutamente regalato per avvicinarmi al settore. Quindi mi ci sono avvicinato con tutto lo scetticismo del caso, pensando che sì, può darsi sia un ottimo film, ma è pur sempre un film coreano e io non è che li capisca del tutto, quindi magari rimarrò insoddisfatto. Invece, mi sono dovuto ricredere un po' su tutta la linea.
Il film inizia come una sorta di parodia del più famoso Castaway, con la sottile differenza che il naufrago è rimasto intrappolato su un piccolo isolotto sul fiume che scorre nel mezzo della città (una qualche megalopoli coreana, non so bene quale sia). L'incidente occorre in seguito a un tentativo di suicidio, che si conclude con il tragicomico naufragio sull'isola a poche centinaia di metri dalla civiltà ma completamente isolata da essa. Inizialmente seguiamo i tentativi di sopravvivenza del protagonista, che sulle prime cerca il modo di ritornare al punto di partenza (solo per tornare a suicidarsi), ma poi viene a pace con la situazione e con se stesso, e comincia a provare piacere per quella noia totalizzante che lo assale.
Interviene poi una svolta piuttosto brusca, con l'introduzione di un nuovo personaggio: una ragazza che vive isolata per sua scelta, conducendo decine di vite virtuali ma senza mai uscire di casa, o anche dalla sua stanza. La ragazza scopre per caso il naufrago sull'isolotto, avvistabile col telescopio dalla sua finestra, e inizia a seguirne le avventure, fino a decidere di volerlo contattare. Inizia così una lenta e scarna corrispondenza tra i due, che pure li porta a sviluppare un legame profondo.
Può sembrare una storia simpatica ma banalotta, i due amici di penna che si scrivono e si innamorano, ma non è questo. Non c'è mai traccia di un interesse romantico tra i due, tanto più che il naufrago fino alla fine non sa chi sia chi gli sta scrivendo. In realtà quella che vediamo svilupparsi è una relazione più istintiva, è la ricerca di un appiglio presso qualcuno di affine, qualcuno che condivide i tuoi stessi demoni (come ho letto da qualche parte). E quando il mondo irrompe a distruggere il precario equilibrio che si era creato in questa situazione paradossale, perché il mondo fa così, irrompe e distrugge sempre, allora è in quel momento che questo appiglio si rivela essenziale, e sono quegli ultimi tre secondi di film, quell'immagine semplice ma esplicita, a renderlo chiaro.
C'è anche una chiara componente satirica, una critica alla spersonalizzante società capitalistica contemporanea, che ti riempie di jingles che ti tornano in testa quando stai affogando o ti permette di creare un'identità completamente inventata sui social network. In effetti entrami i protagonisti vivono alle estreme conseguenze la disumanizzazione imposta da questo livello di civiltà, tuttavia la questa critica non è presentata in modo didascalico e pesante, e anche la contrapposizione città-natura non è così sbilanciata verso la seconda, perché in più di un'occasione il naufrago ha modo di approfittare delle opportunità che derivano dall'ambiente urbano.
Non so se Castaway on the Moon sia un film più "occidentale" rispetto agli standard del cinema asiatico, e quindi se è questo che mi ha permesso di capirlo e apprezzarlo di più, oppure se semplicemente affronti temi così universali da infrangere le barrire culturali. Per di più, nonostante la profondità di questi temi, è anche un film che riesce a essere leggero, alternando sequenze comiche e drammatiche, un film che riesce a farti affezionare a un'anatra che galleggia e farti commuovere per un piatto di noodles.
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