Coppi Night 27/09/2015 - Jumanji

Oh, era da parecchio che speravo di poter rivedere questo film! Era stato proposto a più riprese nel corso di tante altre Coppi Night, ma non era mai riuscito a spuntarla. Mi piaceva l'idea di rivederlo perché Jumanji è uno di quei film che ricordo dalla mia infanzia e che temevo di aver idealizzato con il passare del tempo. Quindi adesso, a forse dieci o più anni dall'ultima volta che l'ho visto, posso dire che Jumanji è effettivamente un gran film.

Senza stare a ripercorrere la storia, che mi auguro tutti conoscano già, preferisco soffermarmi sugli aspetti che, a vent'anni dall'uscita del film, lo rendono ancora una visione valida e appassionante. Jumanji è prima di tutto un'avventura, e questo lo rende di per sé avvincente. Ma è un'avventura che si basa su una premessa forte e terribile: il gioco che prende il controllo sul giocatore. Abbiamo poi lo scontro tra l'uomo (la civiltà) e la natura (la giungla), e il rapporto conflittuale tra le generazioni. Quest'ultimo credo che sia forse il tema di fondo più importante di tutta la storia, poiché lo si vede sviluppato su più livelli: è facile vedere il conflitto tra il piccolo Alan e suo padre, ma c'è anche quello dei due bambini coi loro genitori (di cui non accettano la scomparsa) e la zia (che cerca di indirizzarli a una vita "normale"), e poi il rapporto tra Alan e il poliziotto ex impiegato della fabbrica di scarpe, che pur essendo della stessa generazione si trovano su piani diversi a causa della scomparsa del bambino. In fondo non è un caso se il cacciatore e il padre di Alan sono interpretati dallo stesso attore. C'è qualcosa di ciclico nel fatto che il ragazzino urli al padre di non voler più avere a che fare con lui, e che il cacciatore si manifesti per uccidere lui (e solo lui). La battuta chiave in tutto questo è quella di Alan-adulto al Peter-scimmia (di nuovo, da una generazione all'altra): "Ventisei anni nella giungla nera e sono lo stesso diventato uguale a mio padre".

Ma tutto questo non emerge a prima vista, non è inserito in modo didascalico e assillante, non ci sono scene che gridino allo spettatore "guardami, sto dicendo cose importanti!". Tutto si incastra nelle dinamiche del gioco, e il meccanismo funziona alla perfezione, con una accurata escalation dei pericoli da affrontare. Si comincia con piccoli animali quasi innocui, pipistrelli, zanzare e scimmie, ma poi si arrivano a scatenare forze naturali ben più distruttive: monsoni, sabbie mobili, terremoti. Gli umani coinvolti nel gioco non sono in competizione ma devono collaborare, e paradossalmente sono costretti ad assicurare la salvezza del gioco stesso. Questo è un'altra metafora davvero forte, se la si vuole leggere, il modo in cui spesso riusciamo (o dobbiamo) giustificare la causa stessa del nostro dolore.

Ma forse davvero, voglio vederci troppo. Al di là di tutto questo, Jumanji è un gran film, appassionante, divertente e ben interpretato (nemmeno Kirsten Dunst a dieci anni risulta odiosa, e dire che è antipatica ora che è adulta), con effetti speciali davvero eccezionali per l'epoca. È anche uno dei pochi film di cui aspetto con curiosità il remake (che si farà, è già stato annunciato per natale 2016), anche se è difficile vedere qualcun altro al posto di Robin Williams. Ma il dubbio glielo concederemo comunque, chissà che una volta tanto questa storia dei prequel/sequel/reboot/remake non funzioni davvero.

1 commento:

  1. Io credo che tu non abbia visto niente di più di quello che il film volesse esprimere, la tua analisi è perfetta. Non avevo mai notato che il cacciatore e il padre fossero interpretati dallo stesso attore, mi hai sconvolto!
    Sono molto poco fiducioso per quanto riguarda il remake, in genere odio questo tipo di trovate cinematografiche, anche perché fin ora mi hanno sempre deluso, ma ovviamente il beneficio del dubbio non si nega a nessuno!

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